Nei giorni scorsi L’Unità, quotidiano del Partito democratico, ha pubblicato in prima pagina con grande evidenza la notizia del varo, entro settembre, della legge sulle unioni gay. Esse avranno gli stessi diritti del matrimonio, esclusa l’adozione. I partner della nuova “unione civile”, che verrà registrata, potranno scegliere il regime patrimoniale comune, avranno il dovere di reciproca solidarietà, godranno dei diritti in campo sanitario, assistenziale, di successione, di reversibilità pensionistica. Per comprendere meglio i contenuti di questo disegno di legge, abbiamo intervistato la senatrice Pd Emma Fattorini, prima firmataria del testo depositato al Senato.
Quali sono gli elementi qualificanti della vostra iniziativa legislativa?
“Il primo è che si determina una distinzione netta tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, e quindi per queste ultime non si parla di matrimonio. La ratio giuridica di queste unioni è che si fondano su una stabilità che non discende dal matrimonio e non sono, al tempo stesso, un ‘simil-matrimonio’. Infatti vengono attribuiti tutti i diritti civili eccetto quello dell’adozione dei figli. Il concetto di ‘unione civile’ non va confuso con le ‘coppie di fatto’ etero, che hanno dei diritti molto più limitati rispetto al matrimonio. Queste coppie, se vogliono, possono sposarsi acquisendo i relativi diritti”.
Perché l’Italia dovrebbe arrivare al riconoscimento della coppie gay?
“Intanto perché è un discorso di fondo per la società: credo che noi tutti, laici e cattolici, dobbiamo incoraggiare le unioni stabili, impostate sulla solidarietà e la protezione dei deboli, rispetto a condizioni di precarietà esistenziale o non riconosciute. Le coppie gay ci sono, non è lassismo riconoscerle”.
Rispetto all’impalcatura dei diritti civili attualmente riconosciuti in ambito privato, cosa cambia con la nuova configurazione giuridica da voi ipotizzata?
“Il vero salto nel dibattito giuridico in questi ultimi tempi si è avuto con le due sentenze, una della Corte costituzionale del 2010 e l’altra della Cassazione del 2012, che ci indicano, su questo tema, la via maestra. Queste sentenze infatti dicono che, riguardo alle unioni omosessuali, i diritti non sono da intendere solo come diritti individuali ma come diritti di coppia. Aggiungono che però tali diritti di coppia non significano equiparazione al matrimonio. Direi che la cultura giuridica italiana ha cominciato ad affermare la necessità della tutela giuridica della coppia omosessuale, asserendo come essa sia titolare, oltreché del diritto individuale, riconosciuto all’art. 2 della Costituzione, anche del diritto di vivere liberamente una condizione di coppia”.
Non teme che una parte consistente dei cattolici italiani possa esprimere contrarietà alla proposta del Pd di legalizzare le unioni omosessuali?
“Ci sono indagini, sondaggi, studi recenti che ci dicono come gli italiani, e tra di essi i cattolici, non sono contrari a unioni riconosciute che abbiano diritti. Invece sono contrari al matrimonio omosessuale. Noi da qui siamo partiti per elaborare la nostra proposta, tenendo presente l’aspetto dei figli per i quali prevediamo la non possibilità di adozione, escluso quando uno dei soggetti della coppia gay possa adottare il figlio, anche adottivo, dell’altra parte della nuova unione. Ciò nello spirito della difesa dei diritti della parte debole, in questo caso rappresentata dal figlio che rimarrebbe, senza tale adozione, isolato e senza riferimenti”.