Sì, proprio bislacca, ho pensato in un primo momento, l’idea che mi è venuta qualche giorno fa. “Bislacca” nel senso corrente più accreditato: “stravagante”. Stravagante, ma non del tutto sciocca, come potrebbe suggerire l’etimologia messa a punto da Isabella Vaj, che fa risalire il vocabolo a bislaco, epiteto che nella notte dei tempi i veneziani appiopparono ai friulani e agli slavi dell’Istria, storpiatura dello sloveno beziak = sciocco.
L’idea stravagante è questa: perché, dopo don Puglisi (“Me l’aspettavo!”, e sul volto aveva il sorriso di chi prende in giro qualcuno), la mia Chiesa non beatifica anche Falcone e Borsellino? Scusatemi, ma da qualche giorno vivo sotto shock; da quando, qualche giorno fa, ho visto in tv, per la seconda volta, la fiction televisiva su Falcone e Borsellino. Ho provato di nuovo, vivido come se l’avessi incassati ieri, il dolore di quei due tremendi pugni nello stomaco: per Falcone mentre, da Papone a Manfredonia, ancora continuava l’interminabile pranzo di nozze di Caterina e Manlio; per Borsellino nel primo pomeriggio di una luminosa domenica di sole trascorsa con i miei “ragazzi”, su, a ridosso di Ranco Giovannello, sopra Campitello di Scheggia, dove 62-60 anni fa, in estate, il Seminario minore di Gubbio allestiva per noi adolescenti una splendida vacanza in tenda. Quel 22 maggio 1992 che vide l’auto di Falcone saltare in aria sull’autostrada, e quel 19 luglio in cui un’auto di piccola cilindrata imbottita di tritolo sventrò via D’Amelio e uccise Borsellino, rimasi come stordito. Oggi, rivisitando i due eventi in tv, ho pianto come un bambino.
Miei coetanei: Puglisi era del ’37, io sono del ’38, Falcone del ’39, Borsellino del ’40. Amici che non hanno fatto in tempo né ad operarsi di prostata, né a farsi collocare un paio di stent nelle coronarie, né a combattere il diabete con fiumi di insulina. Mi affascinano irresistibilmente. Quando sento Giovanni Falcone che, come se si trattasse di qualcun altro, parla di se stesso come di “un morto che cammina”, quando vedo Paolo Borsellino recarsi tutti giorni, dopo il 22 maggio, alla stessa ora nella stessa edicola ad acquistare il giornale e nello stesso bar per sorbire un caffè, con la vana speranza che gli sparino a quell’ora e la sua scorta possa salvarsi, penso: la mia Chiesa, che con il Concilio ha recuperato il primato del proprio servizio a quel mondo che Dio “ama e custodisce con immenso amore” (V Preghiera eucaristica), non potrebbe inventarsi – che so io? – una “canonizzazione parallela”, per dire a tutti che, sì, a volte la prassi cristiana di questi uomini lasciava a desiderare, ma la loro vicinanza a Cristo nel cuore della scelta di Cristo, che è quella di mettere la vita al servizio dei propri fratelli, costi quello che costi, compresa la vita, era totale.
Bislacca, la mia idea? Nelle mie preghiere io continuo a raccomandarmi anche a Giovanni e Paolo.