Il 21 giugno 2009 l’Opera don Guanella a Perugia è giunta ai suoi 50 anni di vita, e il 20 giugno scorso ha chiuso l’anno di festeggiamenti. Sono stati anni di difficile impegno, perché in continuo cambiamento e aggiustamento nella fedeltà alla loro missione: prendersi cura delle persone che soffrono di disturbi cognitivi. La fisionomia delle due Case guanelliane dall’arrivo a Perugia a oggi è cambiata: la breve storia che ce ne fa il guanelliano don Beppe Frugis restituisce al lettore l’attenzione con cui la comunità ha cercato di rispondere alle mutate esigenze, modificando non solo la struttura, ma anche l’utenza e la tipologia di intervento riabilitativo, specializzandosi infine nella diagnosi e cura delle persone con disabilità cognitiva grave.
Don Frugis, molte cose sono cambiate in questi cinquant’anni… “Sì, e altre novità sono in cantiere per il futuro, compresa la ristrutturazione del centro di Sant’Elena, con la ridistribuzione degli ospiti tra le due strutture e l’apertura al femminile. Attualmente accogliamo 61 persone a residenziale e 19 semiresidenziali. Con un’età che oscilla tra i 32 e i 76 anni (eccezione un solo 23enne, l’ultimo inserimento) divisi in due moduli e in diversi gruppi tra vita e attività. Portiamo avanti tantissime attività e siamo sempre in ricerca di occasioni e opportunità nuove”.
Le persone che vengono da voi hanno gravi patologie da cui non potranno mai guarire, eppure voi ve ne prendete cura. “Ogni azione educativa e riabilitativa intesa, secondo don Guanella, come ‘lavoro di ogni giorno per tutti i giorni della vita’, è finalizzata, anche secondo l’attuale orientamento delle neuroscienze, al mantenimento e all’acquisizione di strategie cognitive che migliorano la qualità di vita”.
Cosa significa fare questo come religiosi? “Oltre alla cura degli ospiti, ci anima un altro obiettivo che forse è l’aspetto più difficile: stimolare il territorio, l’ambiente in cui siamo inseriti, cercare di fare cultura della carità, che è uno degli scopi del nostro essere nella chiesa e nel mondo”.
Pensando alla vostra casa, cosa vuol dire fare cultura della carità? “Vuol dire far passare l’idea che la qualità della vita non è solo dare un letto e un piatto, ma si compone di mille interventi e persone che entrano nelle nostre strutture, per poter far vivere ai nostri ‘figli’ una vita degna di questo nome. E questo nella difficoltà di far passare le emozioni, i sentimenti, gli sforzi – che a volte diventano fatica – di mantenere vive persone con importanti compromissioni neurologiche, a chi non lavora sul campo, ma ha il potere di disciplinare questa materia. Ancor più, cerchiamo di far comprendere che in questo terreno tutti si fa la propria parte, dai genitori alla persona che incontriamo per caso uscendo, e tutti devono sentirsi coinvolti”.
Chiedete un impegno gravoso…“Le energie da mettere in campo sono tante, sono di ogni giorno. E non ci si può arrendere o fermarsi. Fermarsi può significare perdere il lavoro di mesi e dover ricominciare. Tutti dobbiamo operare per il bene di questi ‘figli’, mettere insieme le nostre forze perché sempre più possano godere una vita di qualità al nostro interno, e non siano mai guardati con diffidenza all’esterno. Ci accorgiamo ogni giorno, che pur avendo ben operato in questi anni, ancora c’è tanto ancora da superare, perché la diversità dei disabili non generi paura e pietismo, ma accoglienza e sostegno”.
I Guanelliani in Umbria dalle origini…
Tutto è iniziato nel 1946 quando Antonio Sereni e consorte contattarono a Roma i preti dell’Opera don Guanella, che – possiamo ben dire – erano una potenza in fatto di “scemi” e “deficienti”. Offrirono a questi una grande proprietà, con al centro la loro villa estiva in località Sant’Elena di Marsciano. Nel 1949 parte l’attività che accolse i “buoni figli” – così don Guanella chiama i disabili – delle famiglie che lavoravano i terreni dei Sereni e dai paesi limitrofi. Velocemente la struttura diventa inadeguata ad accogliere le persone che aumentano di numero, e nel ’56 i Guanelliani decidono di realizzare una struttura vicino alla città, che diventerà il Centro Sereni a Montebello, inaugurato il 21 giugno 1959.
Nella nuova struttura furono trasferiti gli assistiti più giovani di Sant’Elena (circa 60 persone) e inseriti in scuole speciali, e lì restarono quelli non più scolarizzabili. Nonostante ciò, si notò ancora la difficoltà di erogare un servizio valido a tipologie troppo varie di handicappati psichici e fisici. A quel tempo il personale era composto da religiosi e studenti universitari volontari – che ricevevano in cambio vitto e alloggio – che frequentavano il corso di Pedagogia o la scuola di Servizio sociale, a cui si aggiungeva un operatore che svolgeva attività sportive. Per rendere il servizio efficace si pose il problema di una scelta di categorie di handicap, e l’orientamento fu per l’handicap psichico. Coloro che avevano un handicap fisico vennero trasferiti nell’opera di Roma e in altre specifiche (1960-62).
Negli anni 1960-70 furono accolte circa 130-150 persone che frequentavano la scuola speciale. Già allora si cercava di non rompere i contatti con le famiglie di origine dove i ragazzi tornavano, e tornano anche oggi, per le festività e le vacanze. Nel decennio 1968-78 si crearono gruppi di 5 o 6 ragazzi che potessero vivere in appartamenti, in cui autogestirsi, pur seguito da due operatori per quanto riguardava le faccende quotidiane (fare la spesa, le pulizie, cucinare, ecc.). Svolgevano un lavoro retribuito in laboratori in cui lavoravano normodotati, ma l’esperienza ebbe vita breve anche per l’impossibilità dei ragazzi di rispettare le esigenze di produzione.
Con l’abolizione delle “scuole speciali” e l’inserimento dei disabili nelle scuole normali, si ebbe una riduzione drastica delle richieste di ammissione. Da 140, gli ospiti divennero 20-40, con handicap tanto gravi da non poter essere inseriti in classi normali. Allora si passò da un orientamento educativo-riabilitativo, verbale, teorico, ad uno concreto, fattuale, manipolativo, sviluppando al massimo il potenziale di ciascun ragazzo, seguito da maestre specializzate, istruttori di laboratori, logopedisti, fisioterapisti. L’attività si fonda su alcuni punti chiave, che possiamo riassumere nel favorire la progressiva autonomia dei ragazzi nelle attività di tutti i giorni.
Negli anni Novanta le due strutture risultano inadeguate a seguito delle nuove norme in materia di sicurezza e di abbattimento delle barriere architettoniche. Nel 1997 iniziarono i lavori di ristrutturazione, e a dicembre 2000 la struttura rinnovata poteva essere inaugurata riportando l’attività a ritmi normali dopo i tanti disagi sostenuti – senza che gli interventi riabilitativi si interrompessero – durante gli anni dei lavori. Contemporaneamente, si procede alla stesura del Progetto educativo riabilitativo, spinti dalla congregazione, nel quale sono evidenziati sia i principi che l’Opera don Guanella persegue, sia l’organizzazione per l’attività quotidiana.
Nel novembre 2006, non avendo possibilità economiche per intervenire sulla struttura di Sant’Elena, i Guanelliani sono costretti a trasferire i “buoni figli” a Montebello, dove si giunge a 67 interni e circa 20 semiresidenziali. Negli anni è progressivamente aumentato il numero degli operatori, che sono oltre 70 considerando i volontari del Servizio civile, tirocinanti di varia provenienza e il personale religioso che continua a dirigere e ad amministrare il Centro curandone anche la crescita spirituale. A questi vanno aggiunti le figure a contratto libero professionale.
Tutto questo lavoro è stato possibile, e continua a dare i suoi frutti, grazie a percorsi formativi continui di preparazione e approfondimento del personale. Infine, dal 2006 la struttura si è munita di Certificato di qualità e tende ad una crescita e miglioramento continui per rispondere “con scienza e con cuore” ai bisogni delle persone che socialmente sono considerate infelici.