Proprio oggi, 1 marzo, comincia il lavoro della convenzione che, su mandato del summit degli Stati membri della Cee, tenutosi a Laeken lo scorso gennaio, dovrà stendere il documento di base della futura Costituzione d’Europa. A tale uopo la dichiarazione previa afferma che, “perché il dibattito sia ampio e coinvolga l’insieme dei cittadini verrà aperto un forum per le organizzazioni che rappresentano la società civile: parti sociali, settore privato, organizzazioni non governative… Salta agli occhi il fatto che tra le realtà che rappresentano la società civile non vengano citate, e in prima fila, le religioni. Il Papa se né lamentato, Prodi ha rabberciato e minimizzato. Dove non c’era da minimizzare. Perché non si è trattato affatto di una dimenticanza. La funzione di guida per la redazione del futuro documento è stata attribuita all’ex Presidente della Repubblica francese Valery Giscard d’Estaing, e sarebbe stata proprio la Francia, gelosa della propria, assoluta laicità di ex “Figlia primogenita della Chiesa”, ad opporsi alla citazione esplicita delle religioni. Sottovoce: la questione tocca radici scoperte. Duole, come un dente in via di devitalizzazione. Io credo che, in tema di organizzazione della convivenza civile, lo Stato non possa non essere laico. Ma credo anche che non possa esserlo più come lo è stato fino ad oggi. Esiste una laicità in negativo, dalla quale non si torna indietro, ma che al tempo stesso oggi non basta più, perché le richieste della vita la sopravanzano. Ed esiste una laicità in positivo che chiede strada e offre quello che la laicità in negativo non può dare. La laicità in negativo si nutre di tolleranza e sfocia nel reciproco rispetto. La laicità in positivo si nutre di disponibilità di rimettere sempre in giuoco e rilanciare all’interno di sintesi sempre nuove, al servizio dell’uomo, la propria mappa valoriale. Di solo rispetto si muore, la tolleranza lasciata a se stessa è l’anticamera dell’obitorio. Solo la volontà incessante di ampliare e consolidare la tela dei valori condivisi, tessendone e ritessendone la trama e l’ordito, ha un futuro. Lo Stato, che ha giustamente rinunciato a “produrre valori”, deve preoccuparsi che continuino a produrne quei settori della società civile che hanno fiato sufficiente per farlo, e favorire al massimo che sintesi morali sempre più avanzate fondino il più solidamente possibile la nostra convivenza civile, attrezzandola ad affrontare gli immani compiti inediti che essa oggi si trova davanti.