Non c’è nulla di esagerato o di retorico in questo titolo.
È la pura definizione di Sydney ’08, letta nelle intenzioni e nei discorsi ufficiali di Benedetto XVI, ancora una volta il Papa giusto al momento giusto; un Papa coraggioso che non si ferma alle apparenze, che sa leggere la storia come pochi e sa indicare la strada dell’autentica umanizzazione, a partire da quel piccolo grande gregge smarrito dei giovani, che può tuttavia diventare il nuovo futuro di questo mondo e di questa Chiesa.
È incredibile la fiducia nei giovani di questo ottantenne, successore di Pietro, e perciò il coraggio di educarli alle grandi verità, anche quando molti si defilano. Lui affronta un viaggio ‘carico di apprensione’, ma non ha nessuna paura ad affrontare un dialogo su un contenuto di altissimo livello, su quella ‘Persona dimenticata della santissima Trinità’, lo Spirito santo, l’unico che può sempre ancora rinnovare e ringiovanire la Chiesa e il mondo.
Non si poteva scegliere un scenario migliore: una città spettacolare, l’emblema della modernità e dell’efficienza; una terra caratterizzata dallo ‘splendore maestoso della bellezza naturale’, che tuttavia racchiudono un’umanità frammentata e fragile, che non riesce da sola a superare le inevitabili contraddizioni e a ricostruire il vero giardino della civiltà dell’amore.
Questa città e questa terra si sono presentate un po’ sonnolente e scettiche di fronte all’evento della Giornata mondiale. Non potevano credere che tanti giovani cattolici facessero sul serio. Subito hanno pensato alla solita sceneggiata, ma quando hanno dovuto costatare che si trattava di gioia vera, di entusiasmo sincero, senza le solite siringhe e bottiglie, si sono lasciati contagiare e hanno aperto le porte di casa. Molti ‘ è vero ‘ sono di origine italiana, ma ormai sono australiani a tutti gli effetti.
La presenza del Papa e la testimonianza aperta di tantissimi giovani veramente motivati ha fatto loro riscoprire l’orgoglio della propria fede e la bellezza delle proprie radici cristiane.
Effettivamente i nostri giovani della Gmg sono un capitale preziosissimo e un motivo di grande speranza. Ha veramente ragione il Papa a considerarli una base sicura per la nuova evangelizzazione. Possiamo veramente contare sulla loro serietà e sul loro impegno, a patto di non lasciarli soli.
Dobbiamo tutti – vescovi, sacerdoti, diaconi, genitori, catechisti’- imparare dal Papa: amarli ed educarli ai grandi voli, ma con coraggio, senza temere che se ne vadano, se siamo noi i primi convinti della bellezza, della razionalità e dell’efficacia della nostra fede. Certamente non possiamo pretendere di avere tutti la stessa chiarezza di dottrina di Benedetto XVI, ma seguirne le piste indicative è più che necessario. Lui legge per noi la cultura del nostro tempo, ed è già un enorme vantaggio. Con lui dobbiamo sentirci dentro ‘la storia più grande di tutti i tempi’, iniziata dagli apostoli con la Pentecoste, e fare la parte che ci tocca, interpretare ‘il nostro turno’, seguendo il metodo delle sue catechesi sullo Spirito santo. Ce l’aveva già detto un anno fa, in vista di Sydney, che dovevamo conoscere meglio lo Spirito santo (‘il grande sconosciuto’).
A Sydney con grande pazienza ci ha fatto il ritratto del nostro battesimo (‘nuove creature’) ed ha analizzato il potere dello Spirito, il potere della vita di Dio (‘amore unificante’, ‘amore durevole’, ‘amore che si dona’) per credere nella missione che lo stesso Spirito ci affida: ‘essere suoi testimoni’.
Nel catino dell’ippodromo quella domenica c’erano veramente giovani di tutte le etnie e, quando il Corpo di Cristo fu distribuito a tutti, ho pianto di gioia, perché effettivamente lo Spirito ci rendeva l’unico Corpo, per dire a tutti che è possibile rinascere in Cristo e costruire un mondo nuovo. Mi sono venute in mente quelle parole di sant’Agostino sull’eucaristia: ‘Ricevete ciò che siete, e potete essere ciò che vedete’ (Accipite quod estis, estote quod videtis).
Questa è la nostra Pentecoste.