Attorno al distretto tecnologico umbro – l’accordo di programma è stato recentemente siglato fra la Regione Umbria e il ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca (Miur) – crescono le aspettative del mondo delle imprese, di quello universitario e delle stesse istituzioni locali; ansiosi tutti di vedere la nuova creatura alla prova. Del Distretto ad alta tecnologia umbro si è parlato lunedì scorso, in un convegno organizzato dalla Confindustria e dallo sportello regionale dell’Agenzia per la promozione della ricerca europea (Apre) dal titolo ‘Un sistema di ricerca aperto: i distretti tecnologici, nuovi strumenti di intervento per la ricerca industriale’. In Umbria, il Distretto tecnologico riguarderà i settori della meccatronica, dei materiali speciali metallurgici, delle micro e nano tecnologie e della meccanica avanzata. Perché l’economia umbra ha sentito il bisogno di realizzare un proprio Distretto tecnologico? Per difendersi dalla competizione delle imprese americane (ricche detentrici di brevetti, circa il 50 per cento di quelli mondiali), di quelle cinesi, indiane e giapponesi. Per far questo, le imprese umbre sono obbligate a puntare sull’eccellenza e sulla ricerca, nel tentativo di competere al top sul mercato globale. Attualmente, in Italia, ci sono 16 regioni che ospitano 23 distretti tecnologici; il primo fu quello sviluppato in Piemonte sulle moderne tecnologie wireless, quelle che permettono di far comunicare hardware diversi senza l’ausilio di cavi. Solo la Valle d’Aosta, il Trentino e le Marche ne restano sprovvisti e quello dell’Umbria è in fase di decollo.Per alcuni il Distretto tecnologico costituirà una sorta di evoluzione del tradizionale distretto industriale, per altri (come, ad esempio, per gli imprenditori associati alla Confederazione delle piccole e medie imprese) sarebbe già stato concettualmente superato dall’idea di polo industriale di eccellenza. Il Distretto tecnologico non è stata una ‘medicina’ che ha funzionato in tutta Italia, là dove è stato istituito ed applicato; anzi, in certe zone della penisola si fa poca ricerca e innovazione anche là dove c’è un distretto tecnologico. Che funge, in quei casi, come mero erogatore di finanziamenti pubblici alle aziende; un sistema come un altro per drenare risorse economiche verso un determinato territorio. ‘Non sarà questo il caso dell’Umbria’, ha affermato il direttore dello Sviluppo economico e delle attività produttive della Regione Umbria, Ciro Becchetti. ‘Perché l’Umbria – ha continuato, – è una regione piccola e già dispone di reali eccellenze fra le imprese’. È molto probabile, quindi, che il Distretto tecnologico funzionerà a dovere. Certo è che la Regione dell’Umbria ha fatto un’importante scommessa sul nuovo Distretto tecnologico. Puntandoci sopra 25 milioni di euro, messi subito a disposizione delle imprese pronte a cimentarsi nella ricerca e nell’innovazione; la stessa cifra è stata stanziata, in tre anni, dal Miur e dal ministero dell’Economia e delle Finanze, per un totale di 50 milioni di euro.
Una ‘nuova creatura’ per rilanciare l’impresa
Il futuro Distretto tecnologico 'sarà un successo', assicura Becchetti della Regione. Cinquanta milioni di euro per le nuove idee delle imprese
AUTORE:
Paolo Giovannelli