Una luce: don Andrea

Martedì siamo venuti a sapere che il giovane turco (16 anni) Ouzhan Akdil, che otto mesi fa uccise don Andrea Santoro mentre si trovava nella chiesa di Santa Maria di Trebisonda, è stato condannato a 18 anni e dieci mesi di carcere. Al momento della condanna, secondo una corrispondenza da Ankara, il giovane avrebbe gridato, come nel momento dell’assassinio: ‘Allah è grande’. Un’agenzia turca riporta invece che avrebbe detto di essere dispiaciuto dell’accaduto. Forzare l’una o l’altra delle versioni non serve ora al nostro discorso, che verte sulla testimonianza del prete romano. Don Andrea, secondo una recente notizia, poco prima di morire avrebbe fatto incidere su una lastra di marmo la frase del Vangelo: ‘Io sono la risurrezione e la vita. Chi crede in me, anche se muore vivrà; chi vive e crede in me, non morirà in eterno’ (Gv 11,25). Un messaggio che va diritto al cuore del quarto Convegno della Chiesa italiana che si sta per aprire a Verona, che porta il titolo: ‘Testimoni del Cristo risorto, speranza del mondo’. Ma la testimonianza di don Santoro va anche al cuore della cristianità pigra e distratta che non andrà e non pensa a Verona, e si perde nei meandri del mondo complesso e cangiante di ogni giorno. Don Andrea è un richiamo a vivere una fede non a basso prezzo. Poteva starsene comodamente a Roma, tanto che molti si sono domandati e si domandano: perché è andato fin là, sulle rive del Mar Nero? Stessa domanda sul prossimo viaggio di Benedetto XVI: perché tanto spreco di attenzione a quel mondo? Un pallido tentativo di risposta potrebbe essere che si vuole inviare il messaggio, quel messaggio e quella testimonianza di vita e di morte, al cuore del mondo musulmano. Ce n’è urgente bisogno, è venuta l’ora, che superati gli scambi di salamelecchi, si faccia conoscere l’identità cristiana autentica, al di fuori degli stereotipi circolanti abbondantemente in quel mondo che chiama ‘crociati’ i cristiani e li scorpora dalla sequela del loro Maestro, negando verità e autenticità alla loro fede. Se un ragazzo di sedici anni ha fatto quel gesto con l’idea di compiere un sacrificio gradito a Dio, significa che la coscienza collettiva di gran parte dei credenti musulmani è pervasa da questa convinzione, sedimentata in secoli di lotte e odi. La condanna del giovane Akdil ci consente di rivolgere a tutti i credenti in Dio un’esortazione alla speranza di essere liberati dall’odio, dalla paura vicendevole e dal sospetto, e di convertirci tutti alla vicendevole stima e comprensione. Don Angelo Fanucci (vedi Abat jour a pag. 3) risponde da par suo all’invito alla conversione rivolto da un leader di Al Qaeda ai cristiani perché diventino musulmani. Ma oltre a quanto detto da lui, e che corrisponde ad una sura che invita cristiani e musulmani a ‘gareggiare nelle opere buone’, si deve aggiungere che non basta. Si deve anche chiarire che il presupposto teologico islamico che prevede l’esito finale di tutte le fedi nell’ultima e unicamente perfetta religione musulmana è sbagliato. Non è quindi una provocazione quella riportata, e non è fuori dalla logica musulmana operare per la conversione degli infedeli e dei miscredenti. Don Andrea con il suo martirio sta in mezzo a questa situazione, ed è una luce per i cristiani e per tutti coloro che non vogliono archiviare la sua morte come un banale incidente di viaggio all’estero.

AUTORE: Elio Bromuri