Alla nostra liturgia eucaristica – incredibile ma vero! – il Concilio ecumenico Vaticano II ha tagliato il fiato. Si è trattato del risvolto negativo di una scelta positiva: ma è quando ha distinto la Chiesa dal Regno il momento in cui il Concilio ha tagliato il fiato alla messa. Pur senza scalfire l’antica verità dell’extra Ecclesiam nulla salus, nel Concilio la Chiesa non si identifica con il Regno.
La Chiesa è “la comunità dei chiamati da”: noi, chiamati a uscire dalla bontà orizzontale della vita che nasce, cresce, si riproduce e muore, per attingere la bontà che “zampilla fino alla vita eterna”.
Il Regno ha la sua anima nella Chiesa, ma non si identifica con essa: la Dominus Iesus, dichiarazione apostolica firmata dall’allora card. Ratzinger nella festa della Trasfigurazione di Gesù il 6 agosto 2000, insegna al n.19/74: “Affermare l’inscindibile rapporto tra Chiesa e Regno non significa però dimenticare che il Regno di Dio, anche se considerato nella sua fase storica, non si identifica con la Chiesa”. E siccome non si deve escludere l’opera di Cristo e dello Spirito fuori dei confini visibili della Chiesa, occorre dire (n.19/75) che il Regno riguarda tutti: le persone, la società, il mondo intero. Proprio per questo, lavorare per il Regno vuol dire riconoscere e favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la trasforma.
C’è traccia di questa formidabile apertura nella mia messa quotidiana? No.
E io (“a modo mio!”) sono tentato di strafare. E quando, nella preghiera di intercessione che segue l’anamnesi, leggo sul Messale la preghiera “per Papa Francesco, per il vescovo Mario e per tutto l’ordine sacerdotale” (cioè per tutti i miei fratelli cristiani, titolari di quel sacerdozio dei fedeli del quale per primo ci ha parlato Pietro) è forte la tentazione di aggiungere “e per tutta la grande famiglia umana”. Ma subito mi incombe nella memoria l’austero monito del card. Giulio Bevilacqua, il padre oratoriano al quale Paolo VI conferì la porpora ad personam, secondo il quale “cambiare anche una sola virgola del Canone della messa è un sacrilegio”. Ma la tentazione si ripresenta poco dopo, nella preghiera prima della Comunione: “Non guardare ai nostri peccati, ma alla fede della tua Chiesa” e perché no?, “anche alla fede di tutta la grande famiglia umana”.
Tentazioni tutte e solo personali? Paturnie strettamente private?
Mi auguro che chi sta redigendo il testo del nuovo Messale lo faccia sul duplice orizzonte, quello della Chiesa e quello del Regno.