Ma… a pensarci bene, la solidarietà, così come l’ha disegnata la Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II, è praticabile? C’è differenza fra ordinare al bar un’acqua tonica ghiacciata in questa torrida estate e adottare come modulo feriale di vita la ferma e perseverante determinazione a perseguire il bene comune, incarnata in una serie di comportamenti omogenei, che nel loro insieme qualificano tutta la vita di chi la pratica e rimandano ad una radicale coscienza di essere tutti responsabili di tutto e di tutti, ad un sentire la grande famiglia umana come il “solidum” che dà senso alla vita individuale. Utopia. Pura utopia. Una grande utopia. Dicesi utopico quel traguardo che risulta in ogni caso letteralmente irraggiungibile nella sua materialità. Inutile dunque? L’utopista è un perdigiorno impegnato ad ingannare se stesso? Tutt’altro! Tutti i grandi della storia dello spirito sono stati inguaribili utopisti, si sono intestarditi a perseguire traguardi letteralmente irraggiungibili nella loro materialità. Francesco d’Assisi, Evangelium sine glossa, niente meno! Ghandi,a non violenza come strumento unico di lotta politica oi oi!!. Follie. Ma proprio grazie a “follie” di questo tipo la loro vita è esplosa in tutta la ricchezza delle sue potenzialità. Se Francesco il suo vangelo l’avesse sognato, invece che sine glossa, guarnito di carote dolci… Se Ghandi avesse limitato la portata liberatoria della non violenza ai conflitti di condominio…In realtà quel loro impossibile ideale essi lo spolveravano ogni mattina, lo tiravano a lucido, si concentravano con tutte le loro energie nella contemplazione orante del suo splendore. Identica la prassi che viene richiesta a ciascuno di noi; recuperare ogni giorno nella preghiera il sogno di una vita totalmente solidale, cioè totalmente oblativa, e rimetterlo a fuoco nell’umiltà di una quotidiana operazione a due facce: scioglie le parole di ghiaccio e mette sul candelabro le parole di fuoco.