Bisogna decisamente diffidare dei pontificati cosiddetti “di transizione”! Nel 1958, Giovanni XXIII ci era stato presentato come un Papa anziano (aveva 77 anni), conservatore e di transizione… Ha scombussolato il volto della Chiesa convocando il Concilio Vaticano II, e dandole i mezzi per lavorare in libertà.
Nel 2005, ci è stato presentato Benedetto XVI, eletto a 78 anni, come un conservatore che, dopo il lungo e carismatico pontificato di Giovanni Paolo II, sarebbe stato tranquillo. Ed eccolo che prende una decisione unica nella lunga storia del papato, radicalmente nuova, in rottura con la tradizione della Chiesa cattolica, che si annuncia come portatrice di modernità e di trasformazione nell’esercizio del magistero romano.
Certo, abbiamo avuto nella storia alcuni casi di rinuncia alla sede di Pietro (san Clemente nel 97, san Ponziano nel 235, e alcuni altri nel Medioevo), ma erano legati ad avvenimenti esterni, alle persecuzioni o a gravi crisi nella Chiesa che esigevano di non lasciarla senza un Pastore incontestabile. Il caso più vicino a quello che stiamo vivendo sarebbe quello di Celestino V nel 1294, ma era molto differente: eremita, si sentiva incapace di adempiere all’incarico e si dimise molto rapidamente, con dimissioni del resto imposte dai cardinali.
Benedetto XVI aveva preparato gli animi con dichiarazioni e gesti, per esempio la sua visita al sepolcro di Celestino V, che permettevano di supporre che un giorno avrebbe preso una simile decisione. La sua condizione di stanchezza, che si poteva osservare in questi ultimi giorni, l’ha spinto, probabilmente, a prenderla in piena lucidità e libertà.
È questa libertà che, oggi, permette a numerosi osservatori di parlare di coraggio. In questo mondo caratterizzato dalla volontà di molti di dominare ed esercitare il potere per il potere, rinunciare riconoscendo umilmente la propria debolezza sorprende. Tuttavia, durante tutto il suo pontificato, Benedetto XVI ci ha abituati al coraggio, nella linea tracciata da Giovanni Paolo II fin dall’inizio del suo papato.
Benedetto XVI ha messo in opera per se stesso questo coraggio, affrontando con fermezza i problemi più delicati con parole e gesti di grande portata: la questione della pedofilia in seno alla Chiesa, il dialogo interreligioso, la persecuzione dei cristiani in tutto il mondo, la crisi economica e finanziaria, il dialogo con gli integralisti. Un simile pontificato è stato difficile per questo grande intellettuale che non ama il potere, ma ha fatto fronte alle tempeste con un’umile determinazione che costringe all’ammirazione.
Tuttavia, un tale atto tenderebbe a fare del pontificato una funzione come un’altra, a “dissacrarlo”. Bisognerà misurarne tutte le conseguenze. Si pongono già numerose domande le cui risposte non sono evidenti, per esempio sullo statuto in seno alla Chiesa di un ex-Papa, di un vescovo “emerito” di Roma. Il Papa è, in effetti, al tempo stesso, vicario di Cristo, dunque rivestito di una missione sacra, vescovo della diocesi di Roma e primate d’Italia; un capo di Stato che possiede una considerevole responsabilità morale nelle relazioni internazionali, la cui parola è attesa da tutti, e che è alla testa di un’amministrazione complessa, la Curia romana.
Tutte queste missioni, Benedetto XVI le ha assunte come un servizio. Il 19 aprile 2005, dal balcone della basilica di San Pietro, si è presentato alla folla come “un semplice ed umile lavoratore nella vigna del Signore”. È questa alta idea del servizio che ha abitato il Santo Padre durante tutti questi anni di pontificato, che l’ha abitato durante questi ultimi mesi di riflessione, e che ha illuminato la decisione annunciata l’11 febbraio, anniversario della prima apparizione della Vergine Maria a Bernadette, a Lourdes. È abitato dall’idea del servizio, come il Vangelo di Luca la declina, e che ha ricordato proprio a Lourdes nel settembre 2008.
Per Benedetto XVI, cosciente dell’importanza della sua decisione, ritirarsi è, ancora una volta, farsi servo.