Una carica da non sottovalutare

Tra i tanti problemi che affliggono l’Italia, quello dell’elezione di uno o due giudici della Corte costituzionale non è certo il più bruciante. Ma sarebbe sbagliato sottovalutarlo. La Corte costituzionale non è uno di quegli organismi misteriosi che sono importanti solo agli occhi degli addetti ai lavori e di chi aspira a entrarci. È uno dei principali poteri dello Stato, e fa da arbitro a tutti gli altri. Non può scegliere di sua iniziativa le questioni di cui occuparsi, e il percorso per portare una questione sul suo tavolo è molto complicato, ma, una volta che si pronuncia, la sua è veramente l’ultima parola. Può annullare (il termine non è esatto tecnicamente, ma rende l’idea) le leggi del Parlamento, i decreti del Governo, perfino gli atti del Capo dello Stato; nessuno può annullare le sue decisioni. Di più, ha il compito di risolvere i conflitti di competenza tra lo Stato e le Regioni, che ormai sono centinaia di casi ogni anno. La Costituzione vorrebbe che i suoi quindici giudici fossero tutti di grande esperienza giuridica, ma anche personalità veramente al di sopra delle parti. Di fatto, i cinque che vengono eletti dalle Camere (in questi giorni ci sono due posti da coprire) sono sempre stati scelti col bilancino dei partiti e delle correnti; e si è trattato quasi sempre di persone che hanno nel cassetto i titoli professionali necessari, ma, se si sono fatti un nome, se si sono imposti all’attenzione del mondo politico, è stato perché in quel mondo politico hanno vissuto assimilandone la mentalità e le abitudini (per non dire i vizi). In questi giorni se n’è avuta una prova lampante: il candidato inizialmente proposto da Forza Italia, un vero giurista e tecnico di ottima fama, uomo delle istituzioni e non di partito, è stato rifiutato dai parlamentari del partito di Berlusconi proprio perché “non ha niente a che fare con il nostro partito” (gli altri partiti ragionano nello stesso modo, non sto facendo classifiche). Non è questo lo spirito della Costituzione. Un piccolo episodio; ma conferma che in Italia manca una vera cultura istituzionale.

AUTORE: Pier Giorgio Lignani