Venerdì santo. Quante cose, a proposito della sua morte, hanno detto nei secoli i seguaci di Gesù? Da quante e quali angolazioni l’hanno riconsiderata? Quante volte e con quale turba di sentimenti sono tornati a guardare quei cinque soli luminosissimi aperti dall’umana malvagità nelle mani che avevano sempre benedetto, nei piedi che l’avevano sempre portato incontro ai più deboli, nel costato al cui interno aveva pulsato quel cuore di carne che era insieme il cuore del mondo? Una di queste angolazioni mi coinvolge in maniera fortissima, quasi traumatica, ogni volta che la rileggo. Quando don Carlo Molari ce la suggerì, al Convegno del Coordinamento nazionale della Comunità di accoglienza, Torino, maggio 1984, sperammo tutti che la nostra blanda, innocua ‘opzione preferenziale dei poveri’ potesse diventare un vizio assurdo. Disse così: ‘Il destino degli emarginati è quello di essere sempre assenti là dove si decide del loro futuro. Ma la loro missione è quella di vivere le situazioni di male in modo tale da rovesciarle nel loro contrario’ Essi diventano così il luogo privilegiato dove la storia delinea il destino di tutti… Quando Gesù moriva sulla croce, fuori della città, ai margini di una festa pasquale, si compiva un delitto, un’ingiustizia si consumava. Ma Gesù seppe vivere in un modo così coerente la sua dannazione, da fare di un delitto degli uomini una riserva di grazia da parte di Dio’C’era poca gente a condividere quella tragedia. Ma da lì germinò una nuova umanità. Non è senza significato che tra quella poca gente ci fosse anche sua Madre. Gli aveva insegnato ad amare, avvolgendolo di oblatività, e il figlio ‘imparò da ciò che soffrì l’obbedienza’. Gli aveva insegnato a morire, dato che ogni gesto di amore è apprendimento dell’offerta radicale che un giorno la morte chiede ad ogni uomo. Sotto la croce completò la sua maternità con l’ultimo gesto della sua condivisione oblativa. Gli insegnò a morire fino all’ultimo respiro. E Gesù si consegnò al punto da ‘essere costituito da Dio Messia e Signore’. La croce era ai margini della città, e divenne una frontiera per l’umanità intera. La frontiera è sempre marginale. Ma essa è l’unico luogo dove il futuro si introduce nella storia: essa è il centro dove s’inventa la vita. La storia nuova non nasce certo dove si scrivono le leggi, né dove i potenti programmano la spartizione dei beni della terra. La storia nuova nasce dove si sprigionano le forze sotterranee della vita, dove esplodono le invenzioni della vita. Dove il margine diventa frontiera’.
Un Venerdì ai margini
AUTORE:
Angelo Maria Fanucci