di Paolo Bustaffa
Riprese dai social appaiono sempre più su giornali e in tv notizie che sorprendono, anche se a volte sollevano qualche dubbio sulla loro aderenza alla realtà.
Ormai da tempo le strade dell’informazione “storica” incrociano le strade digitali. C’è una sorta di alleanza mediatica che incuriosisce e merita attenzione.
I social hanno raccontato nei giorni scorsi di un bimbo cinese arrivato a scuola, dopo aver percorso, assai poco protetto dal freddo, una strada di quattro chilometri.
La temperatura era di 9 gradi sotto zero. Il piccolo, giunto in classe, aveva i capelli irrigiditi dal ghiaccio. I compagni lo hanno subito e simpaticamente soprannominato “Fiocco di neve”.
Il maestro ha postato l’immagine di quel piccolo volto arrossato dall’aria fredda che contrastava con il bianco della capigliatura. Un quotidiano italiano ha ripreso e rilanciato.
“Mi piace molto la scuola – ha detto lo scolaretto il cui nome, Manfu, significa “Pieno di felicità” – possiamo avere pane con il latte a pranzo e si imparano un sacco di cose belle”.
Il bambino appartiene a quella moltitudine di orfani sociali, chiamati “liushou”, che in Cina sono la conseguenza della forzata emigrazione di milioni di contadini costretti, di conseguenza, ad abbandonare i figli. È uno dei macigni della povertà che il presidente Xi Jinping si è impegnato a rimuovere entro il 2020.
Non può essere messo da parte o taciuto ma le parole di Manfu fanno percepire l’orizzonte verso il quale un ragazzino, vittima di tanta ingiustizia, ogni giorno cammina nel freddo per imparare “un sacco di cose belle”.
Lui cammina, non ha paura della fatica, non ha paura di rischiare. Lo sostiene il desiderio di “cose belle” che a scuola impara e imparerà.
Con le doverose distinzioni non è forse lo stesso desiderio che un prete suscitava nei ragazzi poveri di Barbiana?
Non arrivavano a scuola con i capelli ghiacciati come quelli di “Fiocco di neve” ma come lui dietro le “cose belle” da imparare vedevano un orizzonte con i colori della speranza.
Per raggiungerlo accettavano la fatica di un cammino nella neve o sotto la pioggia.
Sapevano che le “cose belle” apprese e da apprendere erano importanti, erano la conoscenza, la coscienza critica, la consapevolezza della dignità, il coraggio di prendere la parola.
Sapevano, come Manfu, che da queste “cose belle”, imparate sfidando il gelo non solo atmosferico, sarebbero venute la forza e l’intelligenza per cambiare la direzione della propria storia e della storia di altri.