Potrei continuare a lungo a parlare di papa Giovanni, dei “Fioretti” che videro presente anche me. Come quando (credo fosse la sua prima uscita ufficiale, da Papa), con accanto il card. Canali e mons. Dell’Acqua, fulminò con un sorriso l’incauto che gli aveva posto la domanda che certamente lui, da santo marpione, aveva previsto, (“Che differenza fa, Santità, fra Roma e Venezia?”); spallucce: “Bah! dell’acqua lì e Dell’Acqua qui, canali lì e Canali qui!”. Il veneratissimo vescovo di Gubbio mons. Ubaldi, che per Papa Giovanni stravedeva, mi aveva voluto con sé, come “Segretario”, per la messa d’Incoronazione; ma una guardia svizzera mi aveva fermato, e io avevo dovuto assistere alla fastosa cerimonia baroccheggiante dall’alto di uno degli scalandrini del fotografo Felici, che spuntava da dietro una delle alte tribune erette per l’occasione. Scomodo. Ma la carica positiva del discorso che quel giorno tenne Papa Giovanni ci conquistò tutti. A quaranta anni di distanza, quando penso a quegli anni sento emergere in me un duplice rammarico. Il primo rammarico riguarda me: mi domando perché non sono diventato buono come lui. Credo perché io sono rimasto fondamentalmente un esteta, mentre lui sapeva tradurre con immediatezza le grandi intuizioni spirituali nella trama delle piccole grandi decisioni del quotidiano. Nel “Giornale dell’anima” non c’è un’intuizione spirituale che non venga tradotta subito in un proposito. Il problema non è quello di convincersi della bellezza e della forza del vangelo: solo un bue Doc o un fazioso impenitente può riuscire a non rendersene conto. Il problema è mantenere operante momento per momento la tensione spirituale che il Vangelo ha innescato. Ancora più a fondo, il problema è sempre quello degli antichi maestri di spirito: le cose che vediamo e tocchiamo sul proscenio della vita valgono poco o nulla, le cose che decidono in maniera definitiva della qualità della nostra vita, agli occhi di Dio, sono tutte invisibili, tutte sul retro del proscenio. Dovevamo diventare servi del Vangelo, ma non avevamo benzina sufficiente, e siamo rimasti ammirator i del Vangelo. E’ l’estetica che ci ha fregato, noi intellettuali d’accatto. Primo rammarico.