Ricordo un episodio avvenuto in cattedrale. Dopo un’omelia in cui si metteva in evidenza il silenzioso martirio delle comunità cristiane che vivono in territorio a maggioranza islamica, come piccole isole sperdute in un immenso mare avverso, due signori vennero a ringraziare perché di loro non si parla mai…Questa era ed è la condizione in cui si sono venuti a trovare i cristiani in Medio Oriente dal tempo in cui l’islam si è imposto sul territorio. La condizione prevalente dei cristiani in questi Paesi è stata regolata dallo statuto di dhimmi: cittadini di serie B, protetti e discriminati. In questi ultimi tempi le condizioni si sono aggravate e sono aumentati il sospetto e l’intolleranza. Vi sono situazioni persino tragiche, con il rischio che la presenza cristiana scompaia. Da tale constatazione è nata da Magdi Allam, musulmano laico, vicedirettore del Corriere della Sera e prolifico scrittore, coraggioso nel denunciare il pericolo dell’integralismo islamico, l’iniziativa del 4 luglio scorso che si è svolta in piazza Santi Apostoli a Roma. L’appello da lui lanciato ha fatto breccia nella coscienza di molte persone, offrendo l’occasione per un’ulteriore riflessione e preghiera da parte dei cattolici. È la prima volta che si prende atto, in una manifestazione pubblica e laica, che esistono cristiani che vivono in stato di minoranza, riconosciuti come vittime bisognose di essere difese nei loro diritti di sopravvivenza e di libertà.
I media cattolici da tempo riportano servizi, dichiarazioni, interviste, appelli su questo tema (vedi la prima pagina de La Voce n. 22), ma ci voleva un musulmano da un pulpito laico ad attivare un’attenzione più vasta. In questo modo si possono correre i rischi della strumentalizzazione politica – da qualcuno tentata – e quello di rafforzare la contrapposizione tra due religioni. Il pericolo sembra che sia stato evitato in piazza Santi Apostoli, grazie alla presenza di musulmani laici e moderati, ebrei e cristiani di varie confessioni. È stata inoltre una manifestazione determinata da uno stato di emergenza: il rapimento di padre Bossi nelle Filippine, e soprattutto l’uccisione di padre Ragheed Ganni, prete caldeo di 34 anni ammazzato insieme a tre suddiaconi a Mosul, che ha fatto ripensare a don Andrea Santoro e ad altre vittime cadute per il semplice fatto di essere cristiane. C’è ancora l’emergenza di intere famiglie e comunità costrette dall’emarginazione e dalle minacce a fuggire dalla terra che fu loro e dei loro padri. Certo, per un cristiano, come hanno detto i padri del Pime, confratelli del missionario rapito, è da mettere in conto l’eventualità di essere perseguitato. Da duemila anni la colonna sonora che accompagna il cammino della Chiesa è la parola di Pietro che incoraggia ad essere persino lieti di soffrire per il Vangelo. Gesù inoltre ha detto ai suoi: “Se vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra”. Ma dove?, si domanda il cristiano che vive in Medio e anche in Estremo Oriente. I missionari stranieri devono forse ritornare in patria a ri-evangelizzare i propri concittadini, oppure rimanere in terra islamica come presenze silenziose, secondo la regola francescana o a imitazione di fratel Charles de Foucauld?
Se la predicazione nei Paesi islamici è perseguibile penalmente come blasfemia e proselitismo, e la conversione punibile in quanto apostasia, come si può legittimamente esercitare la missione? Agli abitanti cristiani di quelle terre possiamo offrire solo la prospettiva dell’esilio? Tutta la Chiesa e il mondo che ha il culto della democrazia e della libertà deve porsi questi problemi. Non si possono più far circolare le idee, le fedi, e si deve ritornare al cuius regio eius religio di triste memoria, a dimensione mondiale? La globalizzazione vale solo per lo scambio delle merci? C’è da fare una rivoluzione culturale che abbia come presupposto la libertà religiosa e di coscienza, che tuttavia non imponga il dogma del relativismo come condizione della libertà stessa, come gran parte della nostra secolarizzata cultura occidentale reclama. Su questi temi i cristiani, soprattutto quelli che hanno potere di incidere nella società, dovrebbero prendere la palla al balzo dalle mani di un geniale musulmano laico e giocarla con stile e spirito evangelico, rianimando il sopito movimento ecumenico e interreligioso, purificato da ingenuità e sentimentalismi e bisognoso di un nuovo slancio per provare a salvarci tutti insieme dalla barbarie.