“E’ stata una sorpresa vedere questi duemila giovani del Centro sportivo italiano sulle gradinate dello stadio per partecipare ad una messa”. Con queste parole rivolte al consulente ecclesiastico nazionale del Csi don Vittorio Peri la mattina di domenica 23 giugno al termine di una messa, il Sindaco di Cesenatico esprimeva una meraviglia condivisa da molte altre persone intervenute al momento iniziale delle finali nazionali della Joy Cup organizzate dal Csi. Parole analoghe sono state poi dette la sera di sabato 29 dall’assessore alla Cultura e allo sport della stessa città nel vedere altri duemila giovani attorno all’altare, al termine delle stesse finali. Ma chi vive dal di dentro la vita del Csi non si meraviglia affatto di queste massicce presenze di giovani ai bordi degli stadi, nelle palestre o, comunque, in ambienti …poco “canonici” per le celebrazioni liturgiche. E ciò, per il semplice motivo che lo sport promosso dal Centro sportivo italiano non è fine a se stesso, ma è praticato per la crescita globale dei giovani. Crescita globale: cioè sviluppo corporeo, educazione psicologica e sociale, promozione culturale, formazione spirituale. Questi obiettivi da quasi cent’anni il Csi (dal 1906 al 1927 con il nome di Fasci) cerca insistentemente di perseguirli su tutti i campi sportivi d’Italia. Nonostante che molti (i più?) pensino che lo sport sia una buona occasione per fare soldi e diventare famosi, il Csi continua a remare controcorrente. Non vuole infatti che i successi dello sport crescano sulle rovine delle persone. In parole semplici, più che allevare campioni si impegna a far crescere persone, uomini e donne pienamente realizzati in ogni dimensione. Quella “globale”, appunto. I circa 4.000 giovani della Joy Cup (2.500 ragazzi, 1.500 ragazze) provenivano da ogni regione: dai 680 della Lombardia 17 appena della Calabria. Dalla nostra Umbria 63 soltanto; non molti in verità. In due settimane di competizioni hanno davvero fatto vedere, come qualcuno ha detto di loro, “la vera Joy di fare sport”. Le due grandi assemblee eucaristiche poste all’inizio e al termine dei giochi sono state inserite nella programmazione non come degli oboli da pagare alla natura ecclesiale del Csi o come biglietti d’ingresso ai campi di gara. Sono state invece due preziose occasioni sia per pregare insieme sia per comprendere il significato profondo del grande dono di poter fare attività sportiva. Un’attività che, oltre ad essere simbolo e metafora della vita umana – con i suoi momenti di gioia e di tristezza, di incontro e di distacco, di esaltazione e di depressione, di vittoria e di sconfitta – è soprattutto occasione e fonte di autentici valori umani e cristiani. Non si può certo dire che la totalità dei 4.000 giovani Csi presenti a Cesenatico abbiano interiorizzato il messaggio di vita che i responsabili del Csi hanno loro rivolto attraverso i vari momenti della grande manifestazione. E’ però certo che il messaggio è stato consegnato a tutti, senza sconti, nella cristiana fiducia che nessun seme è gettato invano.
Un modo diverso di esercitare lo sport
Csi / Conclusa la Joy cup con una celebrazione presieduta da mons. Vittorio Peri
AUTORE:
V.P.