25 gennaio 1959 – 25 gennaio 2009: sono trascorsi 50 anni dal primo annunzio del Concilio Vaticano II da parte di Giovanni XXIII a San Paolo fuori le Mura, a conclusione dell’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani.Proprio durante la Settimana ecumenica di quest’anno, un evento importante accadrà nella Chiesa russa con l’elezione del Patriarca successore di Alessio II, morto circa due mesi fa: un evento che non interessa solo l’Ortodossia, poiché, come scriveva Giovanni Paolo II nella enciclica Orientale lumen del 1995: ‘Noi crediamo che la venerabile e antica tradizione delle Chiese Orientali sia parte integrante del patrimonio della Chiesa di Cristo’ È necessario che anche i figli della Chiesa cattolica di tradizione latina possano conoscere in pienezza questo tesoro e sentire così, insieme con il Papa, la passione perché sia restituita alla Chiesa e al mondo la piena manifestazione della cattolicità della Chiesa, espressa non da una sola tradizione, né tanto meno da una comunità contro l’altra; e perché anche a noi tutti sia concesso di gustare insieme quel patrimonio divinamente rivelato e indiviso della Chiesa universale che si conserva e cresce nella vita delle chiese di Oriente come in quelle di Occidente’. Il richiamo all’evento di cui sopra non è una distrazione dal tema del Concilio, ma un rivivere quello spirito di comunione ecclesiale che ne fu l’anima e la sostanza, aprendosi a quanti partecipano – anche in parte – alle stesse ricchezze spirituali; e a quanti sono chiamati a parteciparvi, secondo la volontà del Signore che vuole l’unità di tutta la famiglia umana. Non fu questo lo spirito dell’annuncio di Giovanni XXIII?Contro tutte le perplessità e le resistenze che ben presto gli venivano opposte da più parti, come se la sua decisione fosse stata precipitosa e irriflessa, Roncalli continuò sempre ad opporre la sua umile risolutezza, fedele a quella prima idea ‘sorta quasi come umile fiore nascosto nei prati: non lo si vede nemmeno, ma se ne avverte la presenza dal suo profumo’ (allocuzione alle Opere missionarie del 7 maggio 1960). Noi diciamo grazie al Signore con commozione, perché ‘quell’umile fiore’ l’abbiamo visto crescere e svilupparsi nel Concilio Vaticano II e nei suoi permanenti frutti. Di essi mi pare di sottolineare l’insegnamento più innovatore della Dei Verbum sulla Rivelazione che, superando una concezione intellettualistica per una concezione insieme interpersonale e storica (magistralmente richiamata da Benedetto XVI nell’ultimo Sinodo dei vescovi), colmava il fossato tra esegesi scientifica e lectio divina. Un altro grande frutto è l’abbondante ricchezza della Parola di Dio nelle celebrazioni in lingua volgare, che ha fatto della liturgia il luogo più appropriato del suo salutare ascolto; insieme all’orizzonte nuovo di una ecclesiologia misterica, aperto dalla Costituzione liturgica con la centralità del Mistero pasquale e con l’affermazione che la ‘principale manifestazione della Chiesa è nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattutto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai ministri’ (SC, 41).Così come dalla Lumen gentium e dalla Gaudium et spes è derivata una crescita della coscienza di Chiesa in molti fedeli, con la conseguente spiritualità e disponibilità missionaria. Si pensi ad esempio allo sviluppo dei movimenti ecclesiali. Eppure c’è da dire che non solo nelle generazioni più giovani, nate dopo la chiusura del Concilio, e anche in quelle che pure in gioventù hanno assistito al Vaticano II, sembra diminuire l’interesse a comprendere se e quanto del Concilio sia entrato nella vita delle Chiesa; o se rimanga tutto al più un fatto del passato, di cui non si coglie la vitalità attuale. Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente (n. 36) con quattro precise domande ci chiedeva una serio esame di coscienza sulla ricezione del Vaticano II. A me sembra che sia il caso di rispondere a quelle domande; io umilmente vi ho impostato il Sinodo diocesano per ravvivare la coscienza del dono dello Spirito che fu e che rimane il Concilio. ‘In che misura la Parola di Dio è divenuta più pienamente anima della teologia e ispiratrice di tutta l’esistenza cristiana, come chiedeva la Dei Verbum? È vissuta la liturgia come ‘fonte e culmine’ della vita ecclesiale, secondo l’insegnamento della Sacrosanctum Concilium? Si consolida, nella Chiesa universale e in quelle particolari, l’ecclesiologia di comunione della Lumen gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del popolo di Dio, pur senza indulgere a un democraticismo e a un sociologismo che non rispecchiano la visione cattolica della Chiesa e l’autentico spirito del Vaticano II? Una domanda vitale deve riguardare anche lo stile dei rapporti tra Chiesa e mondo. Le direttive conciliari – offerte nella Gaudium et spes e in altri documenti – di un dialogo aperto, rispettoso e cordiale, accompagnato tuttavia da un attento discernimento e dalla coraggiosa testimonianza della verità, restano valide e ci chiamano a un impegno ulteriore’.
Un fiore dai frutti permanenti
Cinquanta anni fa, proprio in occasione della preghiera per l'unità dei cristiani, Papa Giovanni XXIII indiceva ufficialmente il Concilio Vaticano II. Mons. Pietro Bottaccioli, che lo visse da vicino
AUTORE:
' Pietro Bottaccioli