Questa bella espressione della liturgia – puer natus est nobis – viene da lontano. È un accento profetico di Isaia applicato a Gesù. Esprime la nostra fede nel Dio fatto uomo. È messaggio per ogni generazione, anche in questo nostro tempo, stretto nelle spire di una grave crisi sociale, economica, valoriale.
Un Bimbo è nato! Al suo tempo, pochi se ne accorsero. Gli angeli lo annunziarono ai semplici, ai pastori, che corsero a Betlemme. Oggi, dopo duemila anni di storia cristiana, quell’evento dev’essere riannunciato. Almeno nel suo significato profondo, perché si possono anche costruire presepi e fare splendidi presepi viventi, ma la crisi di fede e la società consumistica non aiutano a cogliere il mistero.
Del resto, a parte la fede, la stessa nascita di un qualunque bambino oggi non fa più notizia. La nostra società si va rassegnando al grande deficit di natalità, sembra aver perso il gusto di dare alla luce bambini. Lo si addebita alla crisi economica, alla precarietà occupazionale, ai guasti di una politica poco attenta alla famiglia. E tutto ciò è vero. Ma c’entra anche un limite culturale. Dobbiamo tornare a credere alla vita. Dobbiamo tornare a farci illuminare dal sorriso dei bambini.
Una società “normale” è una società che desidera, accoglie e rispetta profondamente la vita nascente. Che la considera una risorsa, non un problema. Che si attrezza, “mentalmente”, prima ancora che economicamente, per stare vicina ai bambini. C’è bisogno di una cultura che ridiventi consapevole del valore di ogni esistenza umana. Che impari a fare i conti con l’originalità di ogni esistenza. Ogni persona umana ha una identità e una vocazione che mai possono essere coartati. Tra i paradossi della nostra cultura, si registra anche questa contraddizione: da un lato, scarseggia il desiderio dei bambini; dall’altra, quando si vogliono, spesso si “pretendono” in funzione di se stessi. Occorre invece sapere che mettere al mondo un bimbo è abbandonarsi all’avventura della gratuità.
Dentro questo scenario di un infanzia dai mille volti, in cui i bambini del mondo opulento sono viziati e quelli, la maggioranza, del mondo più povero sono terribilmente abbandonati, irrompe la luce della fede con questo ritornello che si ripete da venti secoli: puer natus est nobis.
Un Bimbo è nato per noi. Si tratta di quel Bimbo in cui l’Onnipotente si fa piccolo, per essere uno di noi, anzi, uno “per noi”. “Prendete e mangiate”. L’eucaristia è già, in qualche modo, anticipata a Betlemme. Com’è prefigurato il Calvario. In quel sorriso di Bimbo – che è deposto in una mangiatoia perché non c’è altro posto per lui – è Dio che si dona. Un dono che ci coinvolge nella sua logica oblativa: chi accoglie quel sorriso, deve imparare a sorridere. Chi si lascia nutrire da quel “Pane di vita”, deve imparare a farsi pane, a condividere, a sfamare, a farsi – in un parola – dono.
Betlemme diventa così perenne “laboratorio” di un’umanità che si rinnova nell’amore. Dio viene a far breccia nel muro dei nostri egoismi, delle nostre indifferenze, delle nostre violenze. Apre una strada all’amore dentro le nostre mille contraddizioni: dentro i nostri difficili rapporti familiari, dentro le paure che ci rendono poco accoglienti di fronte agli immigrati, dentro gli egoismi che ci pongono in uno stato di indifferenza o di diffidenza, e fanno scatenare persino guerre tra i poveri, quando invece tutto diventerebbe più semplice se si mettesse in moto il dinamismo della solidarietà.
Un Bimbo è nato per noi! Proviamo a riscoprire la forza di questo “per noi”, come una grande forza educativa. Ci potrà forse anche inquietare, perché disturba gli equilibri in cui tendiamo a tranquillizzare la nostra esistenza. Ma in compenso ci coinvolge in un movimento di vita e di speranza.