“Ti amo, Signore, mia forza”, dichiara il salmista che ha sperimentato l’amore di Dio attraverso interventi concreti di Lui nella sua vita. E di amore ci parla la Parola di Dio di questa 30ma domenica del T. O., ma di un amore che si prova perché prima lo si è ricevuto. Il contesto evangelico da cui deduciamo il messaggio è la terza diatriba tra Gesù e i Suoi “avversari”. Dopo la prima che ha visto protagonisti gli erodiani inviati dai farisei (22,15-22) e la seconda portata avanti dai sadducei (22,23-33), questa è la volta dei farisei che impostano in prima persona la provocazione. Anzi, è un capo di loro, un “dottore della Legge” a farsi avanti e ad interrogare Gesù: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Il titolo “Maestro” riconosciuto a Gesù può essere stato pronunciato con sincerità perché Gesù ha appena chiuso la bocca ai rivali dei farisei, cioè ai sadducei. Inadeguata potrebbe sembrare la domanda sul “grande comandamento”. Nella tradizione giudaica, così come ci è pervenuto nel Talmud, erano totalizzati 613 precetti, di cui 365 “negativi” (n. dei giorni dell’anno) e 248 “positivi” (n. delle ossa che si riteneva avessero gli esseri umani). Ebbene, tra questi, ce n’era uno considerato “grande”? Per Gesù poteva costituire un trabocchetto visto che nella Sacra Scrittura si legge “Tu hai promulgato i tuoi precetti perché siano osservati interamente” e ancora “non dovrò vergognarmi se avrò considerato tutti i tuoi comandi” (Sal 119), per dire che l’uomo che ha osservato “tutti” i precetti e solo lui è un “giusto” e tale da poter essere fiero di sé. Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura citando quello che è il cuore della dottrina e della preghiera israelita: l’ascolto! È il noto brano dello “Shemà, Israel” (“Ascolta, Israele”) che due volte al giorno veniva e ancora oggi viene recitato dagli ebrei osservanti, tra l’altro come obbligo espresso in uno dei precetti. Sebbene qui non venga riportato da Gesù l’imperativo “Ascolta”, forse perché scontato, è ripreso invece quasi letteralmente il testo del Deuteronomio (6,5): “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il Signore va quindi amato a partire dal cuore (sede dei sentimenti), durante tutta la vita e con tutte le facoltà intellettive. L’evangelista Matteo nel mettere in bocca a Gesù questo “comandamento” alla fine si discosta dal Deuteronomio e al posto del terzo elemento “con tutte le forze” (letteralmente con “l’eccesso di sé”), propone “con tutta la tua mente” dando così risalto al coinvolgimento dell’intelletto nell’amare Dio. Tutto l’uomo deve essere armonicamente proteso ad amare Dio. Ma Gesù non si ferma all’amore per Dio e, sempre citando la Scrittura, aggiunge un secondo “comandamento”: “Amerai il prossimo tuo come te stesso”. La fonte da cui è tratto questo comandamento è il libro del Levitico che ci aiuta anche ad identificare la fisionomia del “prossimo”: non è soltanto colui che mi è prossimo fisicamente e affettivamente, ma anche colui che mi è vicino eppure è stato causa di ingiustizia e di sofferenza o si trova esso stesso nell’indigenza! I versetti da cui è tratta la citazione dicono infatti: “Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso” e ancora “Il forestiero dimorante fra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi; tu l’amerai come te stesso” (Lv 19,18.34). L’amore dunque, seppur necessiti di parole, si riscontra nella realtà dei fatti. Ecco quindi il nesso con la Prima Lettura che elenca i precetti dell’amore concreto: l’accoglienza del forestiero, il soccorso alle vedove e agli orfani, il prestito senza interesse, la pietà verso i poveri. Ma tali gesti d’amore si adempiono nella misura in cui si è fatta esperienza dell’amore di Dio e il Suo amore lo si sperimenta negli eventi della vita e soprattutto dall’incontro personale e comunitario con Lui attraverso l’ascolto della Parola. Come la fede e l’amore per Dio da parte del popolo d’Israele nasce dall’“ascolto”, così anche per le comunità cristiane, come quella dei Tessalonicesi cui Paolo scrive, ha origine dall’aver “accolto la Parola in mezzo a grandi prove” e la conseguenza è la fecondità spirituale tanto che la loro fede “si è diffusa dappertutto”. L’“ascolto” della Parola consente all’uomo di sentirsi amato da Dio e perciò atto ad amare a sua volta. Tornando perciò al brano evangelico, Gesù termina il Suo dialogo con i farisei i quali non fanno obiezione alcuna perché condividono l’amore per Dio e tuttavia Gesù si spinge oltre associandolo inscindibilmente all’amore per il prossimo: l’amore per Dio è vero se viene dimostrato altrettanto al prossimo. Infine Gesù sigilla il discorso affermando che ai due precetti dell’amore per Dio e per il prossimo “sono appesi” (letteralmente) la Legge e i Profeti. Gesù muore “appeso” alla Croce dell’amore per il Padre e per l’umanità, e volgendo lo sguardo a Lui che è stato trafitto “ogni uomo minacciato nella sua esistenza incontra la sicura speranza di trovare liberazione e redenzione” (san Giovanni Paolo II).
PRIMA LETTURA
Dal libro dell’Esodo 22, 20-26
SALMO RESPONSORIALE
Salmo 17
SECONDA LETTURA
I lettera di Paolo ai tessalonicesi 1,5c-10
Commento al Vangelo della XXX Domenica del tempo ordinario – Anno A
Dal Vangelo di Matteo 22, 34-40