Sono tanti i falsi miti e i luoghi comuni da sfatare intorno al mondo dell’immigrazione, mentre i politici si azzuffano e l’opinione pubblica è sempre più disorientata e divisa. Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università di Milano, precisa che in Italia “non è in corso alcuna invasione” e gli immigrati non sono un fardello ma anzi sono vantaggiosi per la nostra società. Lo abbiamo incontrato a Roma a margine della summer school “Acting EurHope” promossa da Ac, Caritas italiana, Focsiv, Istituto Toniolo e Missio.
Il tema dello ius soli rischia di diventare motivo di crisi politica, tant’è che il dibattito sulla legge sulla cittadinanza è stato rimandato. Cosa ne pensa?
“Si fa una confusione, forse voluta, tra questioni molto diverse: una cosa sono gli sbarchi, un’altra è l’immigrazione, un’altra è il tema della cittadinanza per i figli di genitori immigrati cresciuti in Italia. La confusione porta opposizione, paura, ansia. Se si mettono insieme tutti questi temi, si forma un fantasma di assedio, di invasione, che nuoce alla serietà del dibattito. Dobbiamo ricordare che gli sbarchi sono poca cosa rispetto al fenomeno dell’immigrazione, e che i richiedenti asilo sono 180.000 a fronte di 5 milioni e mezzo di immigrati residenti. L’immigrazione nel complesso è stazionaria in Italia, non c’è nessuna invasione in corso”.
Che fare?
“Oggi abbiamo l’esigenza di stabilizzare, favorire l’integrazione e dare un futuro alle famiglie immigrate e ai loro figli, un milione e 100 mila tra bambini e ragazzi che frequentano le scuole italiane, si affacciano all’università, al mondo del lavoro. Che senso ha tenerli fuori dal sistema della cittadinanza, dando loro l’impressione di essere cittadini di serie B in una società che non li vuole o li mantiene in una condizione di limbo permanente? Se vogliamo affrontare il tema razionalmente, occorre preparare un futuro più armonico e pacifico per tutti. Certo è un passo importante. Significa prendere atto che gli italiani non saranno più così come siamo abituati a pensarli. Avremo sempre più italiani con la pelle scura, con gli occhi a mandorla, con il velo, di varie religioni. Questo esiste già nei fatti, si tratta di dargli compiutezza e capire che la nostra società sarà sempre più diversificata”.
Perché tutte queste resistenze da parte dell’opinione pubblica e dei politici?
“La resistenza a prendere atto di questa situazione riflette, da una parte, le ansie di un Paese in difficoltà di fronte alla globalizzazione. Gli italiani, invece di reagire e prendersela con i lupi di Wall Street o con le forze finanziarie globali, se la prendono con l’africano sbarcato e con i figli degli immigrati. Mi sembra che, siccome avanza la povertà, dobbiamo difenderci da possibili concorrenti o, comunque sia, da persone che destabilizzano l’immagine dell’ordine sociale che abbiamo. Dall’altra parte, è un tipico calcolo politico-elettorale. Nei sondaggi la maggior parte degli italiani si dice oggi contraria allo ius soli perché probabilmente accomuna questo tema agli sbarchi, come si tenta di fare. È diventato un modo, per i partiti, di ridefinirsi. Un tema abbastanza marginale, di modesto impatto politico, sociale, economico e culturale, diventa invece decisivo per quanto riguarda il posizionamento delle forze politiche e le loro strategie elettorali”.
Il presidente dell’Inps ha ricordato che il sistema pensionistico ha bisogno di immigrati regolari, i quali “regalano” agli italiani un punto di Pil in contributi.
“Nel silenzio un po’ assordante della politica su questi temi, è bene che qualcuno faccia i conti, metta in evidenza questioni note agli esperti. Il tema è squisitamente demografico. Gli immigrati sono perlopiù giovani adulti e non gravano ancora sul sistema pensionistico. Se si guarda il rapporto tra ciò che versano in termini di contributi e ciò che incassano o fruiscono in termini di servizi, il saldo è largamente positivo per il nostro Paese. Anche qui si tratta di sfatare un altro fantasma: che gli immigrati siano un fardello per l’Italia, predatori di risorse scarse. Non è così, neanche tenendo conto dei costi dell’accoglienza dei rifugiati”.
Questo vale anche a livello locale?
“A livello locale ci sono dei costi indotti: perché significa aver bisogno di più scuole, di più case popolari, di più servizi sanitari e sociali. Su questo punto varrebbe la pena aprire un dibattito più serio su come andare incontro alle necessità delle località in cui c’è un maggiore insediamento di immigrati residenti. Altra cosa da mettere in rilievo è l’importanza delle tasse e dei contributi versati dagli immigrati nel bilancio dello Stato, con un’operazione di contabilizzazione a parte che evidenzi questo saldo positivo. Questa semplice operazione contabile da parte della Ragioneria dello Stato potrebbe contribuire a sfatare qualche luogo comune”.
Però per l’accoglienza, nonostante i fondi europei, le spese sono più alte. Come vengono compensate?
“Certo quello che spendiamo è più di quello che riceviamo, anche se ogni tanto l’Europa aumenta i contributi. Tra le operazioni di salvataggio in mare, operazioni di pubblica sicurezza e accoglienza a terra, stiamo parlando di una spesa intorno ai 4 miliardi di euro, mentre i contributi europei incidono intorno a 1 miliardo o 2 rispetto al totale. Su questa voce c’è un costo compensato da voci positive a vantaggio delle casse dello Stato su altre partite”.
Alcuni esempi?
“Non dimentichiamo che gli italiani lavorano nei centri di accoglienza. E poi si pensa poco al contributo degli immigrati ai consumi: sono 5 milioni e mezzo di persone che comprano auto di seconda mano, abitazioni di modesto pregio, supermercati e discount, telefonia, rimesse o beni di largo consumo come i pannolini e gli alimenti per l’infanzia. Il contributo che danno le nascite degli immigrati si traduce in consumi e gettito Iva per le casse dello Stato. Non se ne parla mai. Sembra solo che gli immigrati prendano”.