È “L’omelia” il tema della 37a Settimana di studio promossa a Capaccio (Salerno) dal 30 agosto al 3 settembre, presso il Centro di spiritualità Getsemani di Paestum, da parte dell’Associazione professori e cultori di liturgia. Scopo è approfondire forme, contenuti, problemi e prospettive dell’omiletica contemporanea partendo dalle indicazioni del Concilio Vaticano II. Abbiamo intervistato padre Paolo Sartor, docente di Metodologia della ricerca teologica all’Issr di Milano e direttore della rivista Ambrosius. Una “buona omelia” è determinante per una messa ben vissuta? “Sì, nel senso che rappresenta il compimento della liturgia della Parola. Il suo specifico è di puntare al rinnovamento dell’atto di fede. In quest’ottica è necessario che sia valida, anche se non costituisce il tutto della celebrazione ben vissuta”. A volte si ha notizia di qualche parrocchia dove il parroco viene considerato un “predicatore”. Allora si registrano presenze massicce di fedeli, provenienti anche da altre parrocchie. “Forse bisognerebbe distinguere se si tratta di una situazione in cui una persona ritorna alla fede dopo tanto tempo. Il fatto di trovare un prete o un vescovo che siano bravi predicatori, e che quindi aiutino con un discorso più carismatico, non è poi una cosa negativa. Il problema è se la persona, successivamente, continuando in un itinerario di fede e in una dimensione più ordinaria, non ha più una comunità concreta con cui relazionarsi. In questo caso la ricerca dell’omelia ‘carismatica’ sarebbe un modo di indulgere ai costumi del nostro tempo, basati sul bricolage degli stimoli, anche in campo spirituale. Non bisogna dimenticare che la caratteristica dell’omelia è di essere la predicazione alla comunità, suppone una certa comunità che sia guidata da un determinato Pastore. Quindi il nostro legame con la comunità non è accessorio, e nemmeno l’omelia lo è”.Quanto alla durata, c’è una ricetta ideale, oppure dipende dal contesto, dal predicatore, dall’uditorio, dalla resistenza fisica dei presenti? “Sulla durata, la risposta dipende dal contesto. In ogni caso, se l’omelia è parte della liturgia, come dice il Concilio Vaticano II, non può rappresentare l’unica parte o la parte dominante. Il card. Schuster diceva che doveva durare 7 minuti e non di più. Non so se lui stesso ce la faceva a stare in questa misura. Un dato è che noi predicatori tendiamo a fare premesse, svolgimento, conclusioni e non consideriamo che oggi le persone, specie i giovani, sono abituati a ragionamenti-spot. Dovremmo imparare ad aprire l’omelia con la ‘notizia’ che vogliamo sia recepita, come fanno i giornalisti, e poi far seguire un adeguato svolgimento…”.
Tutti i segreti di una buona predica
Settimana di studio dell’Associazione professori e cultori di liturgia; sarà dedicata al tema dell’omelia
AUTORE:
Luigi Crimella