Prosegue l’istruzione dei discepoli da parte di Gesù, che alterna spiegazioni, eventi e insegnamenti. Dopo la professione di fede di Pietro (Mc 8,29), e l’appellativo di Gesù nei suoi confronti: Satana (v. 33), il Maestro ricorda la sorte di chi decide di seguirlo: “Prenda la sua croce e mi segua” (v. 34).
Il primo annuncio della Passione, domenica scorsa, è seguito dall’esperienza della trasfigurazione sul monte Tabor (Mc 9,2-8). Questo fatto sembra rincuorare i Dodici, ma Gesù prosegue ribadendo ciò che accadrà all’arrivo a Gerusalemme: “Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma dopo tre giorni risorgerà” (Mc 9,31).
I Dodici non capivano cosa significasse risorgere dai morti
È il secondo annuncio della Passione a zittire i Dodici: “Avevano paura ad interrogarlo” (v. 32). Anche scendendo dal monte Tabor, dopo la Trasfigurazione, rimasero muti, non tanto per l’invito di Gesù, quanto per l’incapacità a comprendere il tema della resurrezione (Mc 9,9). Non capivano cosa significava risorgere dai morti, però non tacquero lungo la strada che li riportava a Cafarnao.
I Dodici discutono su chi fosse tra di loro il più grande
Gesù li interpella ancora una volta direttamente: “Di cosa stavate discutendo lungo la strada?” (Mc 9,33). Questa volta nessuno parla, un grande imbarazzo serpeggia tra i Dodici, gli argomenti trattati lungo la via sono lontani anni luce dalla logica di Gesù. Il silenzio imbarazzato nasconde un altro tradimento dell’insegnamento del Maestro. L’evangelista Marco annota che i Dodici “avevano discusso tra loro chi fosse il più grande” (Mc 9,34). Sarà dura per gli apostoli comprendere in che senso Gesù è il Messia, in che senso lui, il Maestro, sarà il liberatore d’Israele. Il cammino di Gesù con i suoi verso Gerusalemme sarà ritmato dagli annunci della Passione, ben tre. Dopo questo brano di Vangelo, ancora un’altra volta Gesù dovrà ribadire quale sarà la sua sorte (Mc 11,32-34), e per l’ennesima volta i Dodici discuteranno con criteri avulsi dalla logica del Vangelo (Mc 11,35-45).
Per essere il primo devi metterti all’ultimo posto
A questo punto è il Maestro a prendere la parola. Tutti si siedono attorno a lui (Mc 9,35). Chi è il più grande? Gesù la declina in un altro modo: vuoi essere il primo? Bene, non è un’aspirazione sbagliata, ma per essere il primo devi metterti all’ultimo posto per essere servo di tutti (v. 35), così dirà Gesù. Poi, nella logica sacramentale per cui alle parole seguono i gesti, pone un bambino in mezzo a loro: quello è veramente l’ultimo nella cultura del tempo, proprietà dei genitori e senza diritti. Gesù lo fa essere persona abbracciandolo (v. 37) e diviene portatore dei diritti divini: accogliendolo, si accoglie Dio stesso.
“Imparate da me che sono mite e umile di cuore”
Il bambino, ai margini della cultura del tempo, è posto al centro, il luogo proprio di chi insegna, ma senza la ridondanza di sentirsi al primo posto. È la mitezza e l’umiltà fatta persona. Gesù stesso dirà di sé: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29). Il bambino, non avendo diritti, non solo è indifeso, ma non ha neanche le armi per difendersi. È la condizione che sceglierà Gesù nell’identificarsi con l’agnello immolato: “Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca” (Is 53,7), come ricorda questo brano proclamato nell’azione liturgica del Venerdì santo.
I miti e gli umili del mondo sono un pungolo alla malvagità dell’uomo
Eppure la mitezza e l’umiltà non hanno sempre come effetto la pacificazione dei cuori di chi gli sta davanti. Di fronte al volto di Gesù si scatena l’odio del mondo: gli empi, come ci ricorda la prima lettura (Sap 2,12.17-20), tendono insidie al giusto, perché con la sua condotta rinfaccia loro le trasgressioni (v. 12). I miti e gli umili del mondo sono un pungolo alla malvagità dell’uomo. Pur non avendo armi, sono un baluardo al bene; infatti mitezza e umiltà non sono sinonimi di debolezza e rassegnazione, ma esprimono la fortezza evangelica che non arretra di fronte alla violenza.
Il volto dei giusti è il volto di Dio
Il volto dei giusti è il volto dei Figli di Dio (Sap 2,18), che di fronte al sopruso diventa duro, spigoloso come il diamante, prezioso e capace di fendere il ventre molle della malvagità umana. È il volto che assume Gesù nel momento in cui decide di incamminarsi verso Gerusalemme, consapevole della sorte che lo attende. Il testo originale usa proprio il termine “rese duro il suo volto (Lc 9,51). Sulla scena di questo mondo, non sempre gli umili e gli indifesi trovano il sostegno solidale. Magari non si partecipa alla violenza contro di loro, ma si preferisce voltarsi dalla parte opposta. “Non ho paura della cattiveria dei malvagi ma del silenzio degli onesti” dirà Martin Luther King. Elie Wiesel, superstite dell’Olocausto, aggiungerà: “L’opposto dell’amore non è l’odio, ma l’indifferenza”.