Un fatterello di cronaca, di cui però i giornali non hanno parlato, perché il “cane che morde un uomo” non fa notizia. Il 15 aprile scorso si è aperto a Roma un processo penale contro 133 imputati, accusati di truffa ai danni dello Stato e dell’Unione europea per avere conseguito, grazie a documenti falsi, contributi comunitari per l’agricoltura per un totale di circa 26 milioni di euro. Un episodio fra mille; i contributi all’agricoltura sono uno dei campi più fecondi per la frode. In genere funziona così: il coltivatore Tizio fa domanda dichiarando di aver fatto questo e quello, ma non è vero; nessuno controlla; e i premi vengono liquidati. Il caso dei 133 era un po’ diverso: non c’erano state neppure le pratiche. Due o tre funzionari ‘infedeli’ dell’ufficio addetto truccavano le carte aggiungendo nomi di gente qualunque agli elenchi degli aventi diritto; gli interessati incassavano il premio (in media, qualcosa come 200 mila euro) e lo spartivano con gli autori del falso. Per non dare nell’occhio, gli ideatori avevano pescato a caso i 133 beneficiari in varie regioni (qualcuno anche in Umbria), gli avevano fatto la proposta e quelli avevano subito aderito senza porsi un’ombra di problema (questo è lo stato della moralità media in Italia). Però un controllore – non infedele, questa volta – si è accorto che qualche conto non tornava, così è partita un’indagine, e uno per volta sono venuti fuori tutti. La ricerca è stata lunga e complicata, ma infine, il l5 aprile 2014, si è aperto il processo. Aperto e subito richiuso. Tutti prosciolti per prescrizione del reato: erano ormai passati otto anni dall’epoca dei fatti. Una leggina di qualche anno fa ha tagliato drasticamente i tempi della prescrizione (i malpensanti dissero che era fatta per favorire un certo signore). Certo, i soldi li dovrebbero restituire comunque, ma acchiappali se ti riesce. Così, al danno di 26 milioni di premi pagati senza motivo, si aggiunge quello di anni di lavoro degli investigatori, che finisce in fumo. Colpa della giustizia? No, della disonestà di massa, e di leggi che sembrano fatte apposta per lasciare impuniti gli imbroglioni.