Tredici anni e più di ritardo e centinaia di milioni di euro di sanzione che, come una spada di Damocle, potrebbero cadere da un momento all’altro sulla testa – e sulle finanze già precarie – dell’Italia. E sull’Umbria che, tra le regioni italiane, non spicca certo per virtù. È la situazione relativa agli impianti di depurazione delle acque reflue, che pongono il nostro Paese fra i peggiori in Europa per non aver ancora messo a norma (nonostante la scadenza risalga al 31 dicembre 1998) le strutture in base alla direttiva europea vigente del 1991.
In Umbria sono all’incirca 300 i depuratori presenti sul territorio: 170 circa quelli sparsi tra i 38 Comuni serviti da Umbra Acque (Ati 1 e 2), un centinaio quelli serviti rispettivamente dal Sii (Servizio idrico integrato) di Terni (Ati 4) e dalla Vus (Valle umbra servizi) della zona dell’Ati 3. A dispetto del numero, però, l’efficienza di questi impianti lascia in molti casi a desiderare, con conseguenti danni all’ambiente e alla salute umana. I depuratori “spesso mancano o sono dotati di vecchie ed inadatte tecnologie. Ne basterebbero molti di meno, ma più moderni e all’avanguardia per migliorare la situazione” aveva sottolineato l’estate scorsa, in piena emergenza siccità, Alessandro Carfì, amministratore delegato di Umbra Acque, annullando qualsiasi prospettiva circa il riutilizzo irriguo delle acque di scarico, prassi invece molto diffusa all’estero, soprattutto in Paesi con problemi di disponibilità idrica, quali Israele.
Anche dall’Unione europea i “rimproveri” non si sono fatti attendere. Nel 2011, infatti, la Commissione Ue ha richiamato l’Italia – non per la prima volta – per il mancato adempimento della direttiva europea del 1991, fornendo un elenco di 143 città non ancora collegate ad un idoneo sistema fognario e/o di depurazione. Tra queste spiccavano proprio alcune dei principali centri umbri: Assisi, Bastia, Città di Castello, Foligno, Spello, Perugia, Spoleto, Deruta, Torgiano, Bettona, Gubbio, Todi e Umbertide.
Conferme circa la situazione arrivano anche dall’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione ambientale, incaricato di redigere periodicamente un rapporto da inviare alla Commissione europea sullo stato del sistema fognario e di depurazione sulla base dei dati forniti dalle Regioni. Dagli ultimi dati disponibili (che però si fermano al 2007) risulta, infatti, che l’Umbria ha un indice di conformità rispetto al trattamento delle acque reflue di circa il 63%, rispetto ad una media nazionale del 79%, che la colloca terz’ultima in Italia dopo Liguria e Sicilia. Tutte le altre regioni hanno un indice superiore al 70%.
Non poteva poi mancare la voce delle Guardie ecologiche volontarie di Legambiente Umbria, secondo cui nella regione la copertura della rete fognaria e di depurazione “è insufficiente, soprattutto se si considera che molti depuratori delle nostre città sono sottodimensionati o mal funzionanti, e che sono una delle principali cause di inquinamento dei nostri fiumi. Occorrono controlli più accurati, ma soprattutto non sono più rinviabili interventi strutturali al sistema fognario e di depurazione delle nostre città”.
Spesso, però, alle mancanze strutturali si sommano inadempienze umane. Esempio eclatante quello del depuratore comunale di Bettona, che ha portato lo scorso gennaio davanti alla corte d’Assise di Perugia 18 persone rinviate a giudizio per la presunta gestione illecita e dannosa dell’impianto, con accuse che vanno dall’associazione a delinquere al disastro ecologico, senza contare le responsabilità imputate ad alcuni tecnici dell’Arpa che, secondo l’accusa, avrebbero espresso pareri favorevoli fittizi sugli impianti o rappresentato alla sede centrale dell’Agenzia una realtà completamente diversa. Nel 2011, invece, il Corpo forestale dello Stato aveva accertato, a seguito di 56 verifiche effettuate nei depuratori della regione, 139 illeciti amministrativi per sanzioni pari a circa 387 mila euro, 3 illeciti penali con 9 persone indagate e il sequestro preventivo di due depuratori, ad Acquasparta e Amelia.
Come si muove la Regione
Il sistema degli impianti di depurazione delle acque reflue in Umbria ha bisogno di un vero e proprio restyling. Non a caso la Regione ha individuato tra le priorità da perseguire nei prossimi anni il miglioramento del ciclo idrico umbro, consapevole della presenza sul territorio di un sistema definito “non adeguato” nei documenti dell’ente stesso. A questa professione di intenti sta seguendo un impegno concreto dell’istituzione per porre rimedio alla situazione. “Abbiamo risposto alle sollecitazioni dell’Europa – ha detto Silvano Rometti, assessore regionale all’Ambiente –, così da poter uscire dalla lista nera delle regioni italiane e regolarizzare la nostra situazione, rientrando nei parametri stabiliti dall’Unione. È infatti pronto un piano di ammodernamento degli impianti per cui la Regione ha destinato ben 44 dei 213 milioni complessivamente disponibili grazie ai Fondi Fas, ovvero i Fondi per le aree sottoutilizzate. Al momento le aziende si stanno predisponendo per avviare i lavori e stiamo mettendo in moto tutta la parte di progettazione e organizzazione. Va inoltre ricordato – ha poi sottolineato Rometti – che, a differenza di altre regioni, sulle nostre aree sensibili abbiamo voluto mettere dei parametri di valutazioni più restrittivi. E questo, ovviamente, ci ha penalizzati rispetto ad altre realtà, dovendo raggiungere degli standard più elevati. Per questo molti dei nostri impianti tecnicamente non sono conformi, ma, rispetto alla qualità delle acque, sono tra i più puliti”.