Francesca Di Maolo*
Si avvicina il 4 ottobre, festa di san Francesco, e risuonano forti le parole che il Santo si sentì dire pregando davanti al Crocifisso di San Damiano: “Francesco, va’, ripara la mia casa che, come vedi, è in rovina”. È un appello che oggi interroga ciascuno di noi. La casa che abitiamo ci sembra proprio in rovina. Crisi economica, ambientale e sociale sono in realtà – tra di loro collegate in una sola crisi che colpisce un mondo che nella storia non è mai stato più fragile e interconnesso.
Da dove partirebbe oggi san Francesco per ricostruire la casa in rovina, con quali azioni inizierebbe la ricostruzione? La prima azione sarebbe certamente la costruzione della fraternità , che oggi può svolgere un ruolo decisivo in politica come in economia. Fraternità per rifondare una politica che ha perso la dimensione della visione del bene comune, che implica un continuo andare verso l’altro. Quante cose può ancora insegnarci la vita di san Francesco che, fin dall’inizio, ha voluto i suoi frati in mezzo alla gente. La politica dovrebbe riscoprire questa via della fraternità, senza porsi l’obiettivo dei grandi risultati, ma ripartendo dalla preoccupazione per gli altri.
Viviamo nell’epoca dei paradossi. Mentre la ricchezza mediamente aumenta, le disuguaglianze aumentano più che in proporzione. Dove c’è disuguaglianza, certamente non può esserci sviluppo. Altro paradosso riguarda la scarsità dei beni comuni. Il nostro sistema è capace di produrre beni privati e pubblici, ma facciamo difetto dei beni comuni come l’ambiente, il territorio, l’acqua. Senza la fraternità sarà impossibile sciogliere questi paradossi. L’economia della fraternità, delineata dal carisma di Francesco di Assisi, custodisce l’anima della democrazia sostanziale e diventa lo strumento al servizio dell’uomo e di un sistema che tende ad assicurare lavoro, educazione e salute per tutti.
Pensando a san Francesco e al suo abbraccio con il lebbroso, che lo aprì pienamente all’amore, la seconda azione per la ricostruzione è certamente la cura. Siamo chiamati a riscoprire la bellezza e la generatività del gesto di cura. La cultura della cura si fonda sul riconoscimento della dignità di ogni persona e si sviluppa sulla via dell’accoglienza, della compassione e della riconciliazione.
Infine, Francesco ci indicherebbe la via della speranza. La speranza come virtù capace di proiettarci oltre la ristrettezza di una situazione. La speranza che richiede il coraggio di saper vedere le cose come dovrebbero essere. Segni di speranza li troviamo nei giovani di Economy of Francesco, che il 2 ottobre si ritrovano collegati da ogni parte del mondo per rispondere all’appello di Papa Bergoglio per ridare un’anima all’economia. Li troviamo nei cattolici italiani che saranno a Taranto dal 21 al 24 ottobre, in occasione della 49° Settimana sociale, per ripensare al “Pianeta che speriamo” secondo la logica dell’ecologia integrale. E infine, accanto a ogni gesto di cura, individuale e collettivo di chi sente la responsabilità delle ferite dell’altro. La nostra società sa essere resiliente non tanto perché resiste ai continui shock, ma perché è capace di guardare avanti.
*presidente Istituto Serafico,
coordinatrice commissione Ceu per i problemi sociali e il lavoro