Tre anni per evitare l’emergenza rifiuti

Piano regionale disatteso: incubo “Napoli” alle porte

In Umbria non c’è ancora una vera e propria emergenza rifiuti, ma se – da subito – non si interviene con provvedimenti concreti, e non solo con polemiche e promesse, le immagini della “monnezza” di Napoli potrebbero diventare una realtà anche nelle nostre città. I numeri parlano chiaro. Il Piano regionale per la gestione rifiuti approvato nel maggio 2009 prevede, come punti fondamentali, l’“azzeramento della dinamica di crescita” (cioè non deve aumentare la quantità di rifiuti prodotti) ed il progressivo aumento della raccolta differenziata, con una percentuale fissata del 50 per cento alla fine del 2010 e del 65 per cento nel 2012. Entrambi gli obiettivi al momento sono falliti. Nel 2010, rispetto al 2009, la produzione di rifiuti è aumentata di 10 mila tonnellate, pari a circa 10 chilogrammi per abitante. Male anche la differenziata: nello stesso periodo è cresciuta di appena l’1,5 per cento, restando di gran lunga al di sotto di quel 50 per cento previsto dal Piano regionale. Perugia, che nel corso del 2010 ha attivato parzialmente il servizio di raccolta porta a porta, al 31 dicembre 2010 era al 35,4 per cento, con un incremento del 2,8 per cento rispetto al 2009; Terni aveva addirittura peggiorato la propria prestazione attestandosi al 32,2 per cento (-1,6 per cento) e Foligno non era andata oltre il 30,6 per cento. Ma era tutta l’Umbria nel suo complesso a segnare il passo, tanto che, per il capogruppo in Consiglio regionale dell’Italia dei valori Oliviero Dottorini, questi dati “certificano il fallimento delle politiche di gestione dei rifiuti in Umbria. Di questo passo – ha detto – la nostra regione si avvia verso una situazione di emergenza difficilmente recuperabile” e l’obiettivo del 65 per cento di raccolta differenziata “non verrà raggiunto nemmeno tra 20 anni”. Della stessa opinione è anche il consigliere regionale del Prc-Fds Orfeo Goracci, secondo il quale “il Piano regionale è sostanzialmente fermo e l’Umbria comincia ad essere in difficoltà sui rifiuti”. Entrambi temono che il rischio che si vada verso una situazione di emergenza “faccia scattare la seconda opzione del Piano”, quella della realizzazione di un termovalorizzatore in provincia di Perugia, o del ricorso ai cementifici per bruciare i rifiuti. “Il presidente di Confindustria Umbria, Bernardini, mensilmente, ormai da anni – ha detto Goracci – ripete il suo mantra: ‘Abbiamo le ciminiere pronte’”. È cambiato qualcosa nella prima metà di quest’anno? L’assessore comunale all’ambiente del Comune di Perugia Loredana Pesaresi ha detto che nel capoluogo la percentuale della differenziata è già salita al 47 per cento. La stessa – ha detto il presidente della Gesenu Graziano Antonielli – dei 23 Comuni dell’Ati (Ambito territoriale integrato) 2, che comprende centri importanti quali Perugia, Todi, Bastia ed Assisi. Intanto in provincia di Perugia la discarica di Pietramelina è ormai satura e non può ricevere altri rifiuti. Quelle di Belladanza e Borgogiglione sono “sature” dal punto di vista amministrativo – ha spiegato Antonielli – nel senso che hanno raggiunto il limite massimo previsto dalle autorizzazioni amministrative, ma non quello “fisico”. A differenza di Pietramelina, hanno la possibilità di ricevere altri rifiuti, con l’autorizzazione dell’ampliamento. Anche per la discarica di Orvieto sono in corso procedure di ampliamento. Complessivamente quindi – ha detto il presidente della Gesenu – in Umbria nelle discariche c’è posto ancora per un milione e mezzo di tonnellate di rifiuti. La produzione attuale è di 500 mila metri cubi, quindi ci sono ancora – secondo Antonielli – circa tre anni per scongiurare il “rischio Napoli”. Ma bisogna agire subito su tre fronti: la riduzione dei rifiuti, l’incremento della differenziata, e – ultimo e più contestato – l’eventuale inceneritore o termovalorizzatore, sul quale il Piano regionale è abbastanza vago, limitandosi a parlare di “chiusura del ciclo”. Ma anche con il 65 per cento di differenziata – si chiede il presidente della Gesenu – con le discariche piene e senza farne altre, dove mettere quelle 150-180 mila tonnellate all’anno che dovranno comunque essere smaltite? Un interrogativo al quale dovranno rispondere i nostri amministratori. Con risposte e progetti concreti. E subito.

AUTORE: Enzo Ferrini