Martedì 15 aprile, nella sala del Consiglio comunale di Todi gremita da adulti e giovani, dopo il saluto del vescovo Benedetto Tuzia e l’introduzione di don Andrea Rossi e di Gianluca Tomassi, responsabile diocesano del settore Adulti di Azione cattolica, il prof. Vittorino Andreoli, noto psichiatra e scrittore di successo, ha subito catturato l’attenzione della platea parlando dell’educazione e del rapporto tra le generazioni partendo dal titolo della serata: “I giorni dell’amore”.
Andreoli ha spiegato che una delle etimologie della parola amore è “assenza di morte”. Il termine è stato abusato per designare la storia delle coppie, ma è molto di più, è il legame essenziale per l’essere umano, perché senza amore ci si sente morti. Ha proseguito affermando che la vita umana è all’insegna del sentimento della fragilità, che ci fa avvertire limiti che ci portano ad avere relazioni con l’altro: non come oggetto da utilizzare per sentirci forti, ma come soggetto fragile insieme al quale crescere e darsi forza reciproca.
Nella famiglia queste fragilità, se ben “orchestrate”, producono una melodia capace di cambiare le relazioni tra i componenti ed essere segno per la comunità. Non deve esserci un soggetto “forte” deputato a proteggere gli altri. Il padre è chiamato ad essere un “direttore d’orchestra” in grado di armonizzare tutti gli altri componenti, sapendo che ha bisogno del coniuge e dei figli, i quali però in questo momento storico – dove ci si arrende facilmente e non ci si mette in discussione – sono visti come un “problema costoso” anziché persone di cui si ha bisogno.
Si tratta di capovolgere l’idea che la famiglia debba essere “forte”, nel senso del potere, mentre nella storia umana la famiglia si è dimostrata un incontro di fragilità che hanno acquisito significato nell’insieme. Ognuno deve sentirsi parte dell’insieme familiare, deve sentire che nella propria fragilità ha bisogno di fare qualcosa per l’altro di cui ha bisogno, innescando un circuito in cui nessuno si senta estraneo e inadeguato. La fragilità dei componenti di una famiglia, che si scoprono bisognosi l’uno dell’altro, deve portare al piacere di stare insieme, a sentirsi legati da sentimenti autentici che portano ad avere presente sempre l’altro, anche quando non c’è, permettendo “la presenza dell’assente”.
La distinzione tra sentimenti ed emozioni è stato un altro punto affrontato da Andreoli. Il quale, in particolare, ha affermato che in questo momento si è persa la capacità di coltivare i sentimenti, che sono diventati usa-e-getta, per fare spazio alle emozioni, che sono risposte immediate a una situazione, e non sono capaci di costruire relazioni. Il senso di solitudine che si avverte è dovuto alla velocità con cui si buttano via anche i sentimenti, così da non permettere, all’interno delle famiglie e della società, la capacità di costruire relazioni vere.
Continuando ad analizzare altri luoghi dell’educazione, il professore ha parlato poi della scuola, dove non devono valere le stesse dinamiche presenti nell’educazione familiare, perché i ruoli tra insegnanti e alunni vanno ben distinti, ma dove comunque deve emergere ed essere sempre presente l’obiettivo di costruire relazioni basate su sentimenti di reciprocità.
La sfida educativa di questo momento storico – secondo Andreoli – è quella di insegnare ai giovani a vivere e saper gestire i sentimenti e le emozioni, a saper vincere e perdere, a sapersi confrontare con gli altri, a saper ascoltare i consigli dei genitori e a saper “essere contro”, gestendo con intelligenza i conflitti, anche generazionali, senza permettere al disagio giovanile di trasformarsi in violenza distruttiva.
Il prof. Andreoli ha concluso la serata raccontando una storia tratta dall’Epica omerica, la cui morale è che genitori e nonni non devono desiderare che i figli somiglino a loro, ma desiderare che le nuove generazioni siano migliori, più adeguate ai tempi moderni.