Alla mensa della Caritas diocesana di Terni la Giornata mondiale del rifugiato, promossa dalla Caritas Internationalis e Caritas italiana, è stata vissuta nel segno della festa, della condivisione, fraternità, colore, sapore e allegria, che nel sorriso dei tanti bambini presenti, provenienti da Nigeria, Gambia, Guinea, Ghana, Eritrea, Somalia, ha trovato la sua espressione più semplice e bella.
Qui la Caritas diocesana e l’associazione di volontariato San Martino hanno unito la tradizione e la cultura delle varie etnie africane dei rifugiati e richiedenti asilo, circa cinquecento persone ospitate in vari centri della diocesi di Terni-Narni-Amelia, con la cultura e cucina italiana. A fare gli onori di casa il direttore della Caritas Ideale Piantoni, il vescovo Giuseppe Piemontese, il presidente della San Martino Francesco Venturini, tanti operatori e volontari che ogni giorno vivono fianco a fianco con gli immigrati. È stato condiviso un pasto multietnico, in parte cibo italiano preparato dai volontari della mensa, in parte tipico dell’Africa preparato da alcuni nigeriani. Tutti insieme intorno ad un pasto, viatico di vita e di unità, un momento di scambio tra chi ha vissuto direttamente il dover migrare e coloro che a vario titolo lavorano su questi temi. E poi la festa con i canti gospel e la musica dei tamburi che ha accompagnato le danze africane che hanno visto esibirsi diversi gruppi di africani, alcuni nei caratteristici abiti dai colori sgargianti. Dall’inizio dell’emergenza sbarchi e dall’avvio dei progetti territoriali Sprar di accoglienza e integrazione dei migranti, la Caritas diocesana ha accolto diverse centinaia di profughi, divenendo negli anni modello di buone pratiche per l’integrazione. Da febbraio aderisce al progetto Corridoi umanitari, ospitando due famiglie eritree, tre adulti e otto bambini, a cui si aggiungerà un’altra famiglia in arrivo a fine giugno. “Qui abbiamo ritrovato la speranza per un futuro migliore per noi e le nostre famiglie, ma non disciminateci” dicono alcuni nigeriani. Molte le storie difficili alle spalle: la fuga da guerre, da violenze private, dalla povertà, dalla fame che spinge a intraprendere cammini difficili dove non di rado “si viene imprigionati, picchiati e venduti da un gruppo all’altro per avere soldi”, raccontano. Un percorso lungo e faticoso che per alcuni è durato anni. E così prosegue il cammino alla ricerca di un futuro tranquillo per le proprie famiglie, con la volontà di studiare e di essere anche loro di aiuto al paese che li ha accolti. È questo il loro modo concreto di dire grazie.