Terremoto. Cosa vuol dire “ricostruzione etica”

Dopo i vari terremoti che hanno colpito il centro Italia e l’Umbria, il tema della ricostruzione è sempre stato in primo piano. Quello che è emerso dal recente convegno di Solomeo “Terremoto 2016. Un’etica per la ricostruzione tra memoria e futuro” è però un nuovo e diverso approccio al tema.

Cosa c’entra l’etica quando si parla di ricostruzione?

“Un approccio etico alla ricostruzione si traduce in due aspetti – spiega l’architetto Marco Petrini Elce di Archilogos, gruppo di architetti che ha promosso l’evento – . Il primo è relativo alla progettazione e alla necessità di avere consapevolezza quando si restaura o si ricostruisce in ambienti storici. Una progettazione consapevole è data dal riconoscimento della valenza dei luoghi, cominciando dall’ascolto dei contesti in cui deve svolgersi l’azione”.

Poi c’è il secondo significato di “etica della ricostruzione”: “La ricostruzione attuale – continua Petrini Elce – , per come è stata concepita dal punto di vista politico amministrativo, non ha tenuto conto della rifunzionalizzazione degli edifici.

Viene finanziata la ricostruzione dei muri, ma senza nessuna idea o strategia di quello che potrà essere il contesto ricostruito in futuro. Pensiamo soprattutto ai borghi della dorsale appenninica dove già prima del terremoto c’era una ‘vulnerabilità sociale’, cioè già erano oggetto di una decrescita della popolazione”.

Secondo i promotori del convegno dunque, perché la ricostruzione sia ben fatta deve tenere conto dei possibili scenari futuri che si verificheranno sul territorio dove si va ad intervenire. “La ricostruzione impiega in media 10-15 anni. Quindi, se nei Comuni del cratere si parte da una popolazione di circa 584.000 abitanti, tra 10-15 anni, in previsione, avremo il 15% circa di morti per vecchiaia e il 37% di over 65. Se andiamo avanti così – afferma Petrini Elce – ricostruiremo delle scatole vuote ma non avremo affrontato il cuore del problema”.

Possibili soluzioni?

“Investire su elementi di futuro come i nuclei familiari che restano nel territorio, le imprese, i centri d’eccellenza e i poli universitari che creano crescita. Certamente vanno ricostruiti i simboli culturali, sociali e religiosi dei luoghi, ma accanto a questo occorre creare le condizioni perché questi luoghi diventino ancora più ‘appetibili’”.

A tal proposito, l’architetto Olimpia Niglio ha raccontato, nel corso del convegno, le esperienze del Giappone e della Colombia, dove a soli 3 anni dall’evento sismico, è stato ricostruito tutto e con un criterio ben preciso.

La ricostruzione è partita da “funzioni collettive”, come ad esempio, una biblioteca che crea aggregazione. “Quando facciamo ricostruzione – commenta Petrini Elce – , oltre a restaurare case e muri dovremmo restaurare l’identità collettiva che in quei simboli crollati si riconosceva. Al contrario, la frammentazione dei contributi tra tante piccole realtà private separate non credo farà rinascere i territori”.

L’Osservatorio permanente

Al termine del convegno, è stata annunciata l’attivazione di un Osservatorio permanente da parte di Archilogos, aperto a tutti i contributi di chi vorrà segnalare situazioni di criticità nell’etica della ricostruzione.

“Non vogliamo porci con un atteggiamento di critica nei confronti della politica e dell’amministrazione pubblica, ma, in quanto architetti che lavorano da molto tempo nella ricostruzione, vogliamo essere una risorsa”. Il sito www.archilogos.eu raccoglierà dunque tutte le segnalazioni anche dei privati cittadini.

“La nostra missione – conclude Petrini Elce – è quella di trasformare tutte queste energie finora teoriche in qualcosa di concreto che possa velocizzare e finalizzare nel migliore dei modi la ricostruzione”.

Valentina Russo