È una sorta di India minore in cui convivono pacificamente tutte le religioni; illuminata dai sorrisi del suo popolo, povero ma dignitoso, e dallo splendore stupefacente dei suoi templi buddisti e induisti, dei suoi monumenti, delle sue montagne e della natura spettacolare.
Ora in Nepal ci sono lacrime, cadaveri sotto le macerie o sulle pile di legna per la cremazione, distruzione ovunque, migliaia di feriti negli ospedali già allo stremo e centinaia di migliaia di persone senza tetto che hanno urgente necessità di assistenza umanitaria.
Il Governo ha stimato finora oltre 4.300 morti, ma la Caritas ne teme oltre 6.000, e la popolazione parla addirittura di 10-15 mila vittime. Perché molti villaggi vicini alla zona dell’epicentro del terremoto di sabato, di magnitudo 7,8 della scala Richter, non sono stati ancora raggiunti dai soccorsi. Oltre alla nota Durbar Square di Katmandu – dove si affacciava ogni giorno la Kumari, la dea bambina istruita fin da piccola a fare la vita di una divinità – sono state completamente distrutte anche città storiche bellissime, come il piccolo centro di Baktapur, che sembrava un gioiellino medievale fatto su misura per i viaggiatori che fuggivano dall’inquinamento della capitale, e Patan, la più antica tra le città reali nella valle di Kathmandu.
A Pokhara, la cittadina da cui si partiva per le escursioni sull’Himalaya, c’è ancora ansia e panico per i tanti alpinisti dispersi. Nel dramma della popolazione, come già avvenuto durante lo tsunami del 2004, sono infatti rimasti coinvolti anche i turisti, degli alpinisti, ecco perché l’attenzione dei media è ancora così alta. Al momento sono morti tre italiani, altri tre risultano dispersi.
L’aeroporto di Katmandu è ancora inagibile, alcuni ponti sono crollati e molte vie di comunicazione sono interrotte, manca l’acqua e l’energia elettrica, come spesso capita in queste drammatiche catastrofi naturali. Domenica Papa Francesco ha assicurato “vicinanza alle popolazioni colpite”, preghiera “per le vittime, per i feriti e per tutti coloro che soffrono a causa di questa calamità” e ha chiesto la mobilitazione della comunità internazionale perché “abbiano il sostegno della solidarietà fraterna”.
La Cei è subito intervenuta con uno stanziamento di 3 milioni di euro dai fondi 8xmille, che arriveranno tramite mons. Salvatore Pennacchio, nunzio apostolico in India e Nepal.
La rete Caritas si è immediatamente attivata per gli aiuti, anche se in condizioni difficilissime. Piove e la notte fa molto freddo. “Ho visto – racconta padre Pius Perumana, direttore di Caritas Nepal – tantissima distruzione, edifici completamente collassati e corpi per strada. Le persone sono ancora intrappolate sotto gli edifici, e non sappiamo se sono vivi e morti. Abbiamo bisogno soprattutto di alloggi: i bambini dormono ancora all’addiaccio”.
Katmandu è già invasa dalle tendopoli dei senza tetto, che hanno bisogno di tutto. “Speriamo di tornare presto alle nostre case” dice Magdalene Thakuri, 54 anni, ospitata con altre famiglie nella chiesa dell’Assunzione. Santos Kumash Magar, 29 anni, insegnante, racconta di essersi salvato insieme agli abitanti del suo villaggio perché erano tutti andati all’ordinazione di nuovi sacerdoti a Okhaldhunga, in una zona remota del Nepal orientale: “È stata un’esperienza terribile. Tornando verso casa, ho visto distruzione ovunque”.
“È stato inviato un team di esperti in supporto a Caritas Nepal, soprattutto da Caritas India, e dalla sezione indiana del Crs, la Caritas americana”, informa Fabrizio Cavalletti, responsabile dell’ufficio Asia di Caritas italiana. Anche Caritas Bangladesh ha offerto il suo contributo. “Sono già in distribuzione tende, teli per ripari temporanei, coperte, cibo e kit igienici. Pur essendo una realtà piccola, Caritas Nepal riesce ad avere uno sguardo su tutto il Paese”.
La priorità rimane la ricerca dei sopravvissuti e l’assistenza ai senzatetto con beni di prima necessità, soprattutto acqua e materiale igienico sanitario. Vi è una preoccupazione particolare per la fasce più vulnerabili, come minori, anziani, disabili.
Caritas italiana ha messo a disposizione un primo contributo di 100 mila euro e, grazie anche ai suoi operatori nell’area, resta in costante contatto con le Caritas dei Paesi colpiti. A breve invierà una sua missione in zona per verificare i danni e stabilire un piano d’azione.
Accanto alla immediata mobilitazione delle Caritas asiatiche, le più vicine ai luoghi del disastro, anche l’Europa non manca di dare il suo contributo. Mobilitato il Cafod (la Caritas inglese) e Caritas Germany, che manderanno propri specialisti nel settore water and sanitation (acqua e servizi igienici). Secours Catholique – Caritas France ha immediatamente devoluto un primo aiuto di 50 mila euro e ha lanciato una raccolta di fondi. Anche Caritas svizzera ha già versato 500 mila franchi in aiuto dei terremotati.