A due anni dalle prime e forti scosse di terremoto, la fase degli interventi di emergenza in Umbria è terminata, mentre si sta avviando quella della ricostruzione. “Come è stato fatto per i precedenti terremoti – ha detto la presidente della Regione, Catiuscia Marini vogliamo continuare a rappresentare un modello per il futuro, pensando a ricostruire e allo stesso tempo alla prevenzione”.
I problemi per chi ha perso la casa e per tutti gli abitanti della Valnerina sono però ancora tanti. “Manca – ha detto ad esempio Vincenzo Bianconi, presidente di Federalberghi Umbria – un piano di rilancio economico del territorio e del tessuto imprenditoriale. Un imprenditore che deve ricostruire la sua azienda ha bisogno di risposte certe, di cifre e strumenti”. La complessità delle procedure burocratiche rischia di rallentare non solo la ricostruzione di edifici distrutti ma anche gli interventi per danni più lievi e facilmente sanabili (continua a leggere gratuitamente l’articolo di Enzo Ferrini sull’edizione digitale de La Voce).
A farsi principali interpreti di questo intento di ricostruzione anche le 26 diocesi coinvolte dal sisma, che hanno chiesto di accelerare l’iter riguardante la ricostruzione dei luoghi di culto. Facciamo il punto con mons. Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica e copresidente dell’Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica, il quale è intervenuto alla Commissione Ambiente della Camera qualche settimana fa come rappresentante della Cei.
Dopo quasi due anni la ricostruzione post-sisma è più critica e urgente che mai: qual è la situazione attuale?
“Gran parte delle ricognizioni sono state fatte da tempo e, come sappiamo, non parliamo di un unico terremoto ma di eventi tellurici che, a più riprese, hanno avuto effetti devastanti su un territorio diversificato. Se ci riferiamo agli edifici di culto, sono circa 3.000 le chiese in totale danneggiate: alcune sono inagibili, altre lesionate in modo gravissimo. Parliamo di strutture di dimensioni differenti, disseminate spesso in piccoli centri storici collocati nelle montagne dell’Appennino centrale. Non dimentichiamo, inoltre, che ci sono anche centinaia di edifici di proprietà ecclesiastica che hanno subìto danni seri, come case canoniche, stabili per la pastorale, episcopi, archivi, musei, biblioteche, ecc.” (continua a leggere gratuitamente l’intervista di Francesca Cipolloni su La Voce).