La nostra ricerca di motivazioni teologiche atte a dare consistenza culturale, sulla base del Vangelo, alla scelta della vita condivisa con gli ultimi ci ha portato a recuperarne due: primo, la grande legge secondo la quale la Chiesa o si fonda sulla “pietra scartata dai costruttori” oppure sprofonda; secondo, quei 30 anni iniziali della vita di Gesù. “Vita nascosta”? No, vita condivisa. E abbiamo concluso, icasticamente e con un certa supponenza: “Prima, per 30 anni ha condiviso la vita del paese degli scemi, poi, per tre anni, ha spiegato e motivato la tesi ‘bislacca’ con la quale l’aveva motivata, quella scelta: senza un essenziale riferimento agli ultimi, la vita è una bolla di sapone, un soprannome”.
Ma recentemente m’è arrivata, e in questo momento non saprei dire da dove, una provocazione molto più radicale. Il primo spunto me l’ha dato tanti anni fa Sergio Quinzio, l’anno in cui l’ex ufficiale della Guardia di finanza, che all’improvviso s’era innamorato follemente della Bibbia, scrisse la prefazione di quel flop totale che fu il mio libro Mi querido Penipe. Viaggio nella speranza, pubblicato dalle Paoline. Mi parlava, Sergio, di un minuscolo gruppo di ebrei, persi nella profonda Russia, che nelle loro liturgie introducevano sempre il Dio che piange. Uno spunto. Da dove poi mi sia venuta la provocazione vera e propria… non saprei dirlo. Sì, è così, perché io la teologia non la studio, la pilucco, nella speranza che qualche mio lettore cominci a studiarla.
La provocazione è questa. Quando Dio ha creato il mondo, l’ha fatto per noi: Lui non ne aveva alcuna necessità. Per.
Ma quando, nella seconda Persona della Trinità santissima, Dio ha deciso di diventare uno di noi, mescolandosi del tutto all’umanità media – al punto che la gente l’ha preso per un taumaturgo, Giuda per un illuso, Pilato per un rivoluzionario di pezza – al per è subentrato il con.
“Emanuele”, Dio con noi. Con noi condivide tutto. Tutto, al punto da rinunciare all’esercizio della sua onnipotenza a vantaggio della condivisione con noi, con tutti gli uomini, anche quelli che lo negano e lo bestemmiano, anche nei momenti in cui i suoi seguaci gli chiedono di squarciare il cielo e di venire in soccorso del loro dolore atroce; ma lui non lo lenisce, lo condivide.
In tempi recenti ho dovuto presiedere alla liturgia di commiato di tre ragazzi morti in maniera traumatica. E ai loro genitori, che da sempre amo come fratelli, ho dovuto dire che quelle morti Gesù non le ha né volute né permesse, ma le ha subìte: con un dolore immenso come il loro, come il suo quando nel Giardino degli ulivi sudò sangue. Odore acre. Insopportabile. Ma era il segno di un amore di fronte al quale i miliardi di galassie sono solo un mucchietto di polvere.