Wittgenstein Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/wittgenstein/ Settimanale di informazione regionale Fri, 10 Jul 2015 13:03:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Wittgenstein Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/wittgenstein/ 32 32 Dio non è affatto morto: è vivo e illumina la Città dell’uomo https://www.lavoce.it/dio-non-e-affatto-morto-e-vivo-e-illumina-la-citta-delluomo/ Thu, 11 Jul 2013 12:15:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18029 papa-francesco-salutoUna felice meditazione sulla luce che illumina la vita è l’enciclica Lumen fidei dei due Papi. Visto che si avverte sino in fondo la cultura profonda di Ratzinger, il suo dialogo anche critico con i pensatori dell’Occidente, mentre si coglie l’immediatezza dello stile di Papa Francesco.

Certo tra i pensatori, se si escludono Agostino, il Tommaso d’Aquino, il Guardini, sono citati Nietzsche e Wittgenstein, ma nel sottofondo di alcune espressioni s’intuiscono i nomi di alcuni capisaldi della cultura moderna.

Il filosofo della “morte di Dio”, Nietzsche, è citato per aver decretato che seguire l’illusione della fede significa rinunciare alla verità. E Ludwig Wittgenstein, pur da credente, aveva confinato la fede nell’irrazionale, nella mistica, perché le uniche verità possibili, dimostrate sono soltanto quelle della scienza e dei risultati della tecnica. Invece conta anche la memoria, perché ci si rivolge anche a chi ci ha preceduto, come sono i martiri, i profeti, gli apostoli, Gesù.

Dunque i due Papi entrano nella nostra contemporaneità. Anzi in quella modernità che vedrebbe nella fede addirittura “una verità che si imponga con la violenza”, per cui chiede un passo indietro alle religioni nella vita pubblica, in nome dell’universalismo, della tolleranza, dell’inclusione come vorrebbe J. Habermas. Verità e religione, invece, non sono assolutamente causa di intolleranza e fanatismo, anche se i conflitti non sono mancati.

Vedendo che le religioni non scompaiono, come prevedeva la sociologia, ma rinascono nuove religiosità, almeno nel resto del mondo fuori dell’Europa, ora alcuni sociologi sostengono una sorta di religione fai-da-te, risultante da un assemblaggio di diverse verità, di diversi riti. Le chiamano le religioni individualizzate, personalizzate, costruite su misura di ciascuno. Ricorda invece, Papa Francesco, che la “fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un’opinione soggettiva”, come vorrebbe invece il sociologo tedesco Ulrich Beck.

Certo il linguaggio dell’enciclica è semplice. Il testo non è infarcito di citazioni a piè di pagina. Scorre velocemente. Va a incontrare gli interrogativi del dubbioso, del laico, dello stesso credente. Proprio perché si rivolge a tutti senza distinzioni o esclusioni per cultura, la lettera apostolica sulla “luce della fede” cerca di mostrare l’efficacia pratica del credere.

Anzitutto perché porta luce nell’esistenza personale. Ma anche nella società. O il bene comune, il bene di tutti, che deve perseguire la politica, ha un fondamento nell’amore di un Padre, oppure lo sviluppo è guidato dall’utile e dalla misura del profitto. Si potrebbe chiosare che l’utilitarismo – di pochi – è proprio il sistema adottato da quel capitalismo finanziario che ha generato la grande crisi attuale. I rapporti sociali, il bene comune vanno ripensati nella chiave dalla “fraternità”.

Né si può scindere il credere, la sua luce, dal diritto e dalla giustizia, dalla pace se essa si fonda in un Dio che è Padre e madre. La fede mostra la sua efficacia anche come fondamento della famiglia, in quanto legge l’unità di essa come rispecchiamento di un’alleanza più grande, quella di Dio.

Se la fede è efficace nello scorrere dell’esistenza, significa ancora di più che non è una illusione. Dio non solo non è morto, ma illumina la Città terrena, prima ancora di quella celeste.

 

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Enciclica “Lumen fidei”: sintesi e commenti

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Il valore profondo del silenzio dentro cui “accade” la Parola https://www.lavoce.it/il-valore-profondo-del-silenzio-dentro-cui-accade-la-parola/ Fri, 08 Jun 2012 12:13:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=11267
Giuseppe Betori

Giovedì 31 maggio i sacerdoti delle otto diocesi della nostra regione si sono ritrovati a celebrare la loro annuale giornata di spiritualità presbiterale a Collevalenza, al santuario dell’Amore Misericordioso. È una tradizione che dura da alcuni anni ed ha avuto come maestri personaggi di grande rilevanza teologica e pastorale. Il nostro collaboratore Colasanto ne ha ricordati due che sono divenuti Papi, Albino Luciani divenuto Giovanni Paolo I, che dettò la meditazione nel 1974, e Joseph Ratzinger (oggi Benedetto XVI) nel 1984.

Quest’anno è venuto il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, che ha fatto un gradito ritorno nella sua terra umbra. La sua meditazione ha preso lo spunto dalla lettera pastorale che ha inviato ai fiorentini, intitolata Nel silenzio la Parola. La prima riflessione, che poi si è snodata per tutto il discorso, è la relazione tra i due termini, che non devono essere considerati estranei l’uno all’altro, ma si richiamano e si integrano nel processo della comunicazione, che è fondamentale per creare la comunione.

La meditazione ha avuto momenti di grande profondità ed ha messo in luce la necessità di re-immergersi nel silenzio per dare significato e spessore alla parola. La parola, quella minuscola, e tanto più quella che si scrive con la maiuscola, “accade nel silenzio”, ha detto Betori. Ha commentato questo pensiero servendosi del testo del libro della Sapienza (18,14-15) usato dalla liturgia di Natale, in cui si evoca il grande silenzio nel quale si compie la rivelazione della Parola, l’incarnazione del Verbo. Nello stesso tempo la parola si apre al silenzio per il suo intrinseco limite e spinge verso la meditazione, la preghiera e l’adorazione. Ha citato anche autori antichi e moderni: Dante, Wittgenstein, Simone Weil, Mario Luzi, ed ha evocato la questione del “silenzio di Dio” ad Auschwitz. Di Simone Weil ha citato le due fonti che aprono al silenzio, e fanno rimanere muti e attoniti, senza parole: sono la sventura e la bellezza. La prima parola pronunciata da Adamo è stata di ammirazione per Eva.

Non si pensi che il discorso sia rimasto nelle sfere alte della riflessione, ma è calato nella concretezza dell’attività pastorale, come ad esempio nella celebrazione liturgica, dove si devono rispettare i momenti di silenzio e non aver la preoccupazione di riempire di parole o di suoni tutto il tempo, come se si avesse paura del silenzio quasi fosse un vuoto, una mancanza di qualcosa. Non si deve neppure pensare che la vecchia liturgia sia stata più rispettosa del silenzio, come alcuni dicono in polemica con la nuova liturgia, perché il celebrante parla sempre sottovoce, “bisbiglia per conto suo”.

Non potendo raccontare tutta la meditazione, suggeriamo di collegarsi al sito della diocesi di Firenze e scaricare la lettera pastorale dell’Arcivescovo.

Si deve purtroppo segnalare che il numero dei preti presenti non era il massimo, data la triste circostanza della morte di don Mario Curini, parroco di Norcia, oltre all’appuntamento a Orvieto per l’annuncio della nomina del nuovo Vescovo. In ambedue i casi sia i rispettivi Vescovi sia alcuni sacerdoti sono dovuti rimanere nelle loro sedi. L’incontro di Collevalenza, comunque è sempre molto gradito ed efficace per consolidare l’unione spirituale e pastorale del presbiteri delle diocesi umbre.

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Il bernoccolo https://www.lavoce.it/il-bernoccolo/ Thu, 09 Feb 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4962 Micromega apre il suo n. 2 del 2006 con un articolo di Gustavo Zagrebelsky dal titolo: ‘La Chiesa cattolica è compatibile con la democrazia?’. Un articolo bello e faticoso, a riprova dell’oggettiva difficoltà del tema e dell’eccentricità (nel senso di ‘cattiva centratura’) dell’angolazione dal quale si è scelto di illustrarlo. Chiesa e democrazia sono realtà che si collocano su piani talmente diversi che non è possibile inserirle in un’unica centrifuga, ruotante intorno ad un unico perno. La centrifuga di Zagrebelsky approda a questa conclusione: non risulta che la verità cristiana sia un insieme di astratte dottrine, come qualsiasi dottrina umana’ La verità cristiana è una Persona, il Cristo’ e il mondo non è rischiarato da nessuna dottrina, ma dalla carità’ Ma la logica della carità non si esprime in parole astratte: la Vita, la Famiglia, la Procreazione, eccetera’ Si esprime nella considerazione, comprensione, condivisione e compassione, con riguardo agli altri esseri umani nelle loro condizioni di vita. E nell’ordine della carità la Verità non ha posto, o, se ha posto, per usare un linguaggio impreciso e allusivo, è il prossimo tuo la tua verità.Hasta la vista! Una simile captatio benevolentiae a suo tempo suonò come la voce sublime di una sirena formosa (cm 105-60-95, esclusa la coda) per chi già allora da decenni condivideva il quotidiano di un gruppo di emarginati: intorno alla mensa quotidiana tre sedie a rotelle, quattro disabili mentali, un operatore, un paio di ragazze del servizio civile; e in aria volano (invece che citazioni di Aristotele e di Wittgenstein) aforismi ruspanti, tipo ‘E fémmene so’ a rr’ìmene dell’uòmmene’. Traduzione: Le donne sono la rovina degli uomini. Quella che, come cristiani, ci conquistò alla condivisione di vita con gli emarginati fu la grande promessa che Papa Giovanni formulò a pochi giorni dall’inizio del Concilio: ‘Da oggi in avanti la Chiesa sarà la Chiesa di tutti e soprattutto la Chiesa dei poveri’. Poi il convegno diocesano di Roma, nel 1974, su ‘La Chiesa e i mali di Roma’, sotto la regia del card. Poletti. Poi il I Convegno ecclesiale del 1976, a tema ‘Evangelizzazione e testimonianza della carità’ sotto la regia di padre Sorge e di mons. Nervo. Poi l’invito che ci rivolse la Cei nel 1981, nel documento La Chiesa e le esigenze del paese: ‘Bisogna ricominciare dagli ultimi’. Ricominciare, compris? O nostalgia, pallida vestale del rimpianto amaro! In quel clima ci trovammo effettivamente molto vicini alle tesi di Zagrebelsky. Sarebbe stata la fine. Ma l’ignoto (per me) autore di una delle più belle canzoni di chiesa, aggiunse a ‘Quando le parole non bastano all’amore’ l’altra strofa: ‘Quando il mio fratello domanda più del pane’. Una testata contro il muro. Il bernoccolo doloroso ci aiutò a prendere le distanze dalle tesi di Zagrebelsky.

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