vocazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/vocazione/ Settimanale di informazione regionale Thu, 17 Oct 2024 12:27:35 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg vocazione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/vocazione/ 32 32 Don Claudio Regni, una vita, una vocazione “per gli altri” https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/ https://www.lavoce.it/don-claudio-regni-una-vita-una-vocazione-per-gli-altri/#comments Tue, 15 Oct 2024 06:27:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77992

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>

Fugge dal piccolo seminario dei padri Barnabiti di Piaggia Colombata a Perugia, che non aveva ancora dieci anni, don Claudio Regni parroco a San Sisto per più di mezzo secolo, conosciuto, stimato e benvoluto come il “prete sociale” in seguito “il prete del cammino”. Originario di Colombella dove riceve l’ordinazione sacerdotale il 31 agosto 1969, don Claudio è nato il 21 dicembre 1943. In paese la sua vocazione muove i primi passi. Ha sei anni quando una sera d’agosto si mette a guardare il cielo restando, come racconta, «inebriato dal fulgore delle stelle, dalla loro distanza…, sentendo in me un desiderio profondo d’infinito, di Cielo… Desiderio che passerà nella quotidianità dei giorni con le amicizie della fanciullezza per poi concretizzarsi con una chiamata fatta attraverso la benemerita e mecenate del paese, Caterina Sereni Bonucci, che dona ai Barnabiti una villa con una chiesetta alla Piaggia Colombata per un piccolo seminario con l’intento di accogliere anche un ragazzino di Colombella. Quello ero io ben voluto dalla signora Caterina, dalla brava maestra elementare Dina e dalla madre superiora della materna suor Anna, tre delle mie prime “guide” alla vocazione oltre alla mamma. Una chiamata che sarebbe dovuta maturare, per queste donne, nella “pulizia” e nella “perfezione” più assoluta della mia vita. Questo, però, mi avrebbe fatto diventare un emerito fariseo, tutto l’opposto del Cristianesimo dove alla base, come ricorda il Papa, c’è la Misericordia. Ho vissuto una adolescenza non facile, perché combattuta tra l’essere ed il non essere un “pulito”, uno tutto d’un pezzo. Questo sentimento mi manderà letteralmente in crisi nel momento in cui stavo per ricevere il diaconato, al punto di volermi togliere la vita. Mi salvò l’atto di fede vero che feci per la prima volta rivolgendomi a Dio con queste parole: Signore io so che sei mio Padre, non voglio più lottare, mi arrendo, mi metto nelle tue mani, fai tu quello che desideri di me. Mi sono abbandonato a Dio, fu un’esperienza che mi ha segnato profondamente. Ma era solo l’inizio di una conversione. Dio mi aveva preso sul serio e in un momento di crisi mi fece incontrare il Cammino Neocatecumenale di Perugia, invitato a frequentare la “Celebrazione della Parola” dagli amici Maria Luisa e Giancarlo Pecetti. Compresi anche l’importanza dei cammini di fede e dei Movimenti e per la comunità di San Sisto fu una grazia. Questa esperienza mi ha rinfocolato ridandomi carica e spazzando via la rigidità per far completamente posto alla misericordia, alla tenerezza, ad una relazione bella con tutti, perché l’unica sorgente di vita è l’Amore di Dio». Don Claudio, la sua è stata una chiamata al sacerdozio molto combattuta, che non ha esitato a confidarcela a 55 anni dalla sua ordinazione, ma ci dice il motivo della fuga dai Barnabiti? «Ero un fanciullo dal carattere molto indomito (anche se all’esterno non appariva), non accondiscendente a influenze, ingiustizie, pressioni… di nessun genere e mi resi conto che quell’ambiente non era fatto per me, ma non entriamo nei particolari di quella fuga… Da premettere che la mia famiglia era molto umile, ma il papà, di sinistra e lontano dalla Chiesa, e la mamma, casalinga molto credente, non fecero mancare nulla ai loro quattro figli assecondandoli nelle loro scelte di vita.

Vocazione … da bambino

Nel mio caso, dopo la fuga, si prodigarono affinché continuassi a coltivare l’idea del seminario sempre più supportata dal fascino che avevo per la luce in chiesa e l’attrazione per i canti, le musiche e i riti liturgici. Soprattutto cresceva in me un sentimento di immenso amore a Gesù e alla Madonna, nutrito dal desiderio (condiviso da mamma) di portare papà alla riscoperta di Dio. Nella mia chiamata influirono non poco i parroci don Giuseppe Berardi e don Gilberto Paparelli. Anche a San Sisto - nei miei anni di parroco - sette giovani hanno maturato la loro chiamata al sacerdozio». È entrato in seminario a Perugia, ma poi ha proseguito gli studi a Bologna. Perché? «A dodici anni, grazie a don Gilberto, entrai al Seminario Minore Diocesano il cui rettore era mons. Carlo Urru, poi vescovo, che inizialmente aveva dei dubbi su di me dovuti alla fuga di due anni prima, ma si ricredette man mano che crescevo e maturavo. Quando lui e gli altri docenti (concretamente fu don Gino Vicarelli, parroco di Ponte Felcino e cappellano del lavoro alla “Spagnoli”) compresero la mia predisposizione al sociale, mi proposero di entrare nell’Istituto “Onarmo” e proseguire gli studi nel Seminario Maggiore a Bologna. Io non esitai a partire per il capoluogo emiliano dove ebbi modo di conoscere e frequentare don Giuseppe Dossetti, già membro della Costituente, e il cardinale Giacomo Lercaro. Due figure che contribuirono non poco a farmi trovare la linfa della mia vocazione, rivolgendola soprattutto al mondo del lavoro. Compresi che almeno il 70% degli uomini in età lavorativa non aveva a che fare con la Chiesa, come il mio papà, chiedendomi il perché di questa lontananza. Nacque in me il desiderio di diventare una sorta di missionario per poter aiutare queste persone a rientrare nella Madre Chiesa del Concilio Vaticano II». Ci parla del suo arrivo nella comunità di San Sisto, dove poi è diventato anche il “parroco missionario dei lavoratori”? «Ero un giovane prete di sinistra-sinistra, perché, come papà, mi preoccupavo del debole, del povero, dello scartato. Questa condizione di “amore al prossimo” è stata sempre dentro di me molto profonda e per cui mi sono interessato sin da subito al mondo del lavoro più che ai giovani studenti, anche se sarebbe stato più facile. Il mondo del lavoro sono i genitori e se si convertono loro, ho pensato, lo faranno anche i figli. Rimango sempre stupito come Dio Padre mi abbia preceduto con fatti nel condurre la vita pastorale. È stato Lui a darmi la soluzione di cosa avrei dovuto fare per trasformare la vita dei miei fratelli lavoratori. Già nel 1965 - a Bologna con Dossetti a Monteveglio - venni a contatto con il “potere della Parola di Dio” quando lui, tutti i sabati, intronizzava la Parola e la catechizzava di fronte ad una folla di giovani». … e ci fu l'incontro con il Cammino Neocatecumenale… «Fu indimenticabile la partecipazione ad una “Celebrazione della Parola” del Cammino Neocatecumenale che mi fece dire davvero felice: “Questa è la Chiesa che voglio”.

Don Claudio a San Sisto

E fu davvero un dono anche per San Sisto. Qui nacque quel “trittico pastorale” “formazione-comunione-missione” che, partendo da una parola evangelizzata, conducendo le persone in un cammino di fede e di conversione, le matura alla statura adulta di Cristo. Forse ho contribuito a far crescere nella fede un popolo stando al suo interno e questo è accaduto a San Sisto, quartiere periferico, complesso ed operaio per eccellenza. Tante volte sono stato davanti ai cancelli della Nestlé-Perugina per essere vicino, come Chiesa, alle maestranze. L’arcivescovo Ferdinando Lambruschini ci inviò in tre a San Sisto per creare una comunità cristiana, don Sandro Passerini, don Alviero Buco ed io. Arrivammo il 17 ottobre 1969, quattro mesi dopo lo sbarco dell’uomo sulla luna… San Sisto era la nostra piccola luna… Oggi, insieme all’area industriale di Sant’Andrea delle Fratte, all’abitato di Lacugnano, all’Ospedale Santa Maria della Misericordia con la Facoltà di Medica, nel nostro territorio tra residenti (circa 15.000) e non, vi transitano ogni giorno 45mila persone. La Chiesa con i suoi sacerdoti, diaconi e laici impegnati svolge una missione di prima linea e non solo attraverso le opere caritative (centro di ascolto ed emporio), e aggregative (oratorio Sentinelle del Mattino). Deve essere una Chiesa accogliente e lo è grazie al complesso parrocchiale realizzato nel 2006, che evangelizzi, che annunci la Parola, che celebri l’Eucaristia. Costituimmo non solo gruppi di preghiera ma demmo vita a tre grandi processioni, Palme, Corpus Domini e della Beata Vergine, che riassumono la religiosità del nostro popolo». Oggi è collaboratore del suo successore e fa vita comunitaria con altri sei sacerdoti. Cosa si sente di dire a quelli giovani e alla comunità parrocchiale? «Io vivo con don Michael Tiritiello, don Stefano Bazzurri, don Lorenzo Marazzani, don Antonio De Paolis, don Andrea Papa e don Vittorio Bigini, parroco mio successore coadiuvato anche da tre diaconi, Valeriano Bibi, Moreno Fabbri e Simone Cicchi. Facciamo vita di comunità, incarnando lo spirito dell’Unità pastorale tanto a cuore anche al Vescovo Ivan. Non concepisco di stare da solo proprio come fatto naturale e sono contento di avere con tutti loro delle buone relazioni. Non mancano i momenti dove io resto solo, ma è una solitudine ricca, monacale per restare solo con Gesù. Lo ringrazio perché, a causa dei miei occhi che si stanno spegnendo, mi permette di essere guidato. Voglio bene a tutti i preti, ma soprattutto ai giovani che sono capaci, seppur a volte fragili, perché sento che c’è amore in loro, desiderio di portare al bene tantissimi altri. Con la comunità parrocchiale c’è sempre stato un bel rapporto, ma non so se continuerà così come l’ho ricevuta io. Sicuramente cambierà il modo di essere cristiani nel mondo e credo che adesso la Chiesa debba tornare a quella immagine preziosa evangelica del “voi siete il sale della terra, il lievito e la luce”. Piccole comunità all’interno delle quali vivrà Gesù Cristo in una comunione profonda per poi unirsi tra di loro in tempi precisi per avere comunioni più ampie aprendosi con tutti per il bene del mondo».]]>
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Don Giuseppe Ricci si racconta… Il suo affetto alla sua Chiesa e alla sua gente https://www.lavoce.it/giuseppe-ricci/ https://www.lavoce.it/giuseppe-ricci/#respond Mon, 13 May 2024 11:00:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76156 Mons. Giuseppe Ricci nel suo studio nella canonica a Ponte Felcino. Accanto, appesa al muro la foto di Chiara Lubich con il Papa.

Monsignor Giuseppe Ricci compirà sessant’anni di sacerdozio, il 1° luglio, e ottantacinque di età, il 15 maggio. È stato il primo economo diocesano perugino a mettere a frutto i contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa cattolica. Fu chiamato dall’arcivescovo Cesare Pagani alla guida dell’Ufficio economato nell’anno della revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sancì la nascita dello “strumento finanziario” denominato “8xmille” di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla sua introduzione (1984-2024). Don Giuseppe, come preferisce essere chiamato, si racconta nell’apprestarsi a “tagliare” questi suoi due traguardi molto significativi, testimoniando il “buon investimento” dei contribuenti italiani, che firmano ogni anno l’8xmille, su di lui e su tanti sacerdoti. Don Giuseppe, il suo primo pensiero di parroco emerito… «È curioso, alla veneranda età di 85 anni, trovarsi quasi conteso da parroci che dicono di avere bisogno del mio aiuto. Attualmente sono collaboratore di un parroco che ha cinque parrocchie… Grazie a Dio la salute mi è sufficiente per aiutarlo e sono ben contento di farlo. Ogni giorno ringrazio il Signore, perché ho svolto tanti ruoli in quasi sessant’anni di sacerdozio, iniziando come cappellano a San Donato all’Elce di Perugia e poi parroco a San Valentino della Collina. Con l’arrivo dell’arcivescovo Cesare Pagani sono diventato suo segretario e canonico della cattedrale di San Lorenzo. Sempre Pagani mi incaricò di realizzare la sede della radio diocesana in alcuni locali del Capitolo dei Canonici di San Lorenzo. Al riguardo ricordo un particolare, quello di avergli presentato il preventivo delle spese per finanziare il progetto della radio (spese pagate interamente di tasca sua), il cui consuntivo risultò inferiore. Fu un caso davvero molto raro, perché è quasi sempre l’inverso per i tanti imprevisti in corso d’opera. Non so se questo risparmio sulla somma preventivata sia stato il motivo ispiratore per affidarmi la guida dell’Ufficio economato diocesano, incarico che mi ha visto impegnato per 17 anni».

Economo ma anche parroco

Così si è trovato ad amministrare il patrimonio materiale della Chiesa, “trascurando” il suo essere pastore di anime? «Non è andata proprio così, mi riservo di parlarne più avanti, perché per tutto il periodo di economo diocesano ho guidato pastoralmente una piccola, ma molto significativa comunità parrocchiale di periferia, che mi ha dato tantissimo nell’aiutarmi a non farmi assorbire totalmente dai “bilanci materiali”. Quando ho poi ricevuto il dono di tornare a fare il parroco a tempo pieno, a Marsciano e dintorni, dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, affidandomi una comunità parrocchiale di circa 10mila anime, ho accolto con gioia questo dono che non mi ha visto impreparato grazie all’esperienza della piccola parrocchia di periferia. Altro dono l’ho ricevuto dal nostro giovane arcivescovo Ivan Maffeis nel benedire il mio progetto, quello di venire a Ponte Felcino, con il parroco don Alberto Veschini, a fare vita comune». Lei è tra i sacerdoti “pionieri” dell’esperienza d’Unità pastorale che vede protagonisti in primis presbiteri affiancati, dove è possibile, dai diaconi, ma come si trova a Ponte Felcino? «Io mi trovo molto bene in quest’esperienza di vita, perché sono insieme ad un fratello e tra noi c’è una gara di Amore l’uno per l’altro. Anche per questo ringrazio il Signore, perché adesso mi è rimasta la parte più facile della missione sacerdotale, quella di distribuire la grazia di Dio attraverso i sacramenti, non avendo gli impegni prettamente pastorali della parrocchia. Mi resta il “dolce” delle celebrazioni liturgiche: le confessioni e l’Eucaristia, perché ho tutto il tempo a mia disposizione per prepararle bene ed anche questo è un dono del Signore che mi dà serenità e mi fa sentire in qualche modo utile alla Chiesa».

La vocazione di don Giuseppe

Come è nata in lei la chiamata-vocazione al Sacerdozio? «Ripercorrendo la mia vita a volo d’uccello, ho avuto il momento di grande dolore dal punto di vista umano a cui ha fatto seguito uno successivo dove è partito il progetto di Dio su di me. Il dolore provato ad appena cinque anni d’età fu causato dalla perdita del papà, cavatore di lignite a San Martino in Campo, unica fonte di reddito della nostra modestissima famiglia di quattro figli… Intervenne l’assistenza sociale che fece accogliere me e mio fratello, i figli più piccoli, nell’orfanotrofio delle suore di Gesù Redentore, nel quartiere Bellocchio di Perugia, all’epoca la Casa Generalizia di questa congregazione ancora oggi presente in città con le sue opere socio-educative e caritative. Per me chiusa una “porta” si è poi aperto un “portone”, perché la madre generale, illuminata, intravvide in me qualche segno di vocazione da coltivare affidandomi alle cure del cappellano don Rino Valigi, una bella figura di sacerdote, quasi un secondo padre per me, che mi suggerì di fare la domanda per entrare al Seminario Minore. Essendo stato “adottato pienamente” dalle suore di Gesù Redentore, la loro casa era la mia casa, fino a quando sono diventato sacerdote, sostenendo loro le spese per la mia istruzione-formazione in Seminario. Ho potuto godere anche dell’ospitalità delle loro case religiose in Italia e all’estero. Una provvidenza del Signore che mi ha aiutato molto a portare a compimento i miei studi e a maturare la mia vocazione al sacerdozio». Nel suo studio campeggia su una parete una grande immagine di Chiara Lubich… «Altra esperienza determinante per la mia formazione è stato il contatto con la spiritualità del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich con cui ho avuto la possibilità di incontri personali e scambi epistolari. La ricchezza di questo carisma donato alla Chiesa ha condizionato nel bene la mia vita sia personale sia pastorale. Anche questa scelta di venire a fare “focolare sacerdotale” con don Alberto, che condivide pienamente questa spiritualità, è quanto di meglio potessi ricevere in dono dal Signore».

Don Giuseppe Ricci: “Benedetto 8xmille

Tornando al delicato ruolo di economo, come ha utilizzato i finanziamenti derivanti dall’8xmille? «Ho benedetto il momento in cui monsignor Attilio Nicora, poi divenuto cardinale, è stato l’ispiratore di quell’accordo provvidenziale per le risorse dell’8xmille, preziosissime per compiere tante opere di sostegno, di intervento nelle strutture necessarie agli enti ecclesiastici. Come non ricordare due grandi opere della nostra Chiesa particolare negli anni in cui ho ricoperto la responsabilità di economo, il Centro “Mater Gratiae” e la Casa del Clero. Il primo fu realizzato con il recupero del complesso un tempo Seminario Minore ridotto a un immenso deposito di 4mila mq, senza nessun utilizzo pastorale, mentre io vedevo l’urgenza per il nostro Clero di avere un luogo dignitoso dove incontrarsi mensilmente e dove poter promuovere e ospitare convegni, incontri, ritiri… All’interno di questo complesso vennero realizzate la grande sala riunioni, poi intitolata all’arcivescovo Pagani, e diverse aule, oltre alla struttura ricettiva del Centro “Mater Gratiae”, con annessi ambienti adibiti ad uffici e foresteria; il tutto con un ampio parcheggio a poco meno di due chilometri dal centro storico. Altra opera è stata la ristrutturazione della “Casa del Clero” del complesso della Cattedrale, un’altra esigenza condivisa con i pastori per garantire ai nostri sacerdoti un luogo per le loro necessità una volta espletato in parrocchia il servizio pastorale e in assenza di una dignitosa assistenza con l’avanzare dell’età. Con mia gioia vedo oggi valorizzare la “Casa del Clero” dall’arcivescovo Ivan, perché è ritornata pienamente funzionante e con le sue originali finalità». Non ha trascurato nemmeno la nascita di opere di carità… «Quando sono stato parroco di Marsciano e Schiavo, abbiamo dato vita all’Emporio Caritas “Betlemme” (Casa del Pane), il quarto aperto in diocesi per volontà del cardinale Gualtiero Bassetti, per la cui realizzazione è stato determinante l’aiuto dell’8xmille. Inoltre è stata fondamentale l’opera svolta da operatori e volontari guidati dal diacono Luciano Cerati, il cui sostegno è stato non poco significativo prendendo a cuore questo funzionante progetto di carità concreta, che va avanti ancora oggi grazie allo stesso diacono Luciano e al mio successore, il giovane parroco don Marco Pezzanera».

Gli anni in parrocchia

A Marsciano ha lasciato un segno anche in questa parrocchia “prestigiosa ma complessa” «Arrivai a Marsciano salutando i miei nuovi parrocchiani con queste parole: " rimboccarsi le maniche e seguire Cristo, vero ed unico pastore, dovunque avesse voluto Lui". Dopo 17 anni, al momento del congedo, una parrocchiana mi scrisse: “Da saggio e umile servo nella vigna del Signore, Lei, don Giuseppe Ricci, ha mantenuto fede al Suo impegno, vivendo fino in fondo l'esperienza del ‘buon pastore’ che, come dice Papa Francesco, conosce le sue pecore e sa quando è il momento di stare in mezzo ad esse e, a volte, anche dietro di loro. Una volta Lei ha presentato la vita della nostra Comunità con l’immagine di un operoso cantiere, dove ognuno è invitato a collaborare: questo ci ha aiutato a comprendere il valore e la funzione dell'Unità Pastorale, intesa come ‘un modo nuovo di offrire il Vangelo’, integrando le risorse del territorio e sostenendo il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione. Ripercorrere gli anni che vanno dal 2001 al 2018 significa capire quanti doni di Grazia abbiamo ricevuto nel cercare di fare della nostra Comunità ‘la casa di tutti’, sostenuti dal Suo ‘Avanti con coraggio!’ e alla scuola di quella ‘spiritualità di comunione’ che secondo San Giovanni Paolo II ci educa a vedere ‘il fratello come primo strumento prezioso’ per andare a Dio”. Sono stato e sono tutt’ora un convinto sostenitore delle Unità pastorali, espressioni concrete anche della comunione tra sacerdoti. Non mi dilungo oltre, aggiungo solo un’opera realizzata per i giovani, l’“OSMA” (Oratorio Santa Maria Assunta), anch’essa con il contributo dell’8xmille. Ben presto l’“OSMA” si rivelò un punto di riferimento per tutta la comunità marscianese, perché gli oratori parrocchiali svolgono anche una funzione sociale come del resto noi sacerdoti». Don Giuseppe Ricci, avviandoci alla conclusione di questo piacevole dialogo-intervista, ci rivela il nome di quella «piccola parrocchia di periferia» che le ha permesso di continuare ad essere curato di anime mentre “curava”, teneva in ordine i conti dell’intera Diocesi? «È la parrocchia di Castelvieto, nel comune di Corciano, una comunità di appena cinquecento abitanti dove ho trovato persone e famiglie meravigliose. Ricordo, quando ero segretario dell’arcivescovo…, venivano in Curia genitori a chiedere a monsignor Pagani un prete per i loro figli, perché il parroco era malato. Chiese a me di seguire questa comunità almeno la domenica, ma io iniziai quasi subito ad andarci ogni sera, perché, trovando del terreno fertile, diedi vita a degli incontri formativi. Vi celebrai il mio 25° di sacerdozio e fu meraviglioso… Quando dovetti lasciarla, perché nominato parroco a Marsciano, ricevetti dai giovani di Castelvieto una lettera commovente che conservo tra le mie carte più care. Scrissero un toccante “arrivederci, ad una persona, un padre, un amico, un fratello che è stato per ben 17 anni con noi, anzi, è meglio dire fra noi… È arrivato quasi in punta di piedi, don Giuseppe…, ma ha fatto subito capire che a Castelvieto non era giunta una personalità come tante altre, ma un ciclone dalle idee meravigliose e dalle maniere esaltanti, coinvolgenti; un gentiluomo, oltre che un parroco…, un motivatore! Non era facile farsi apprezzare, e soprattutto seguire, dalla gioventù così bella e piena di potenzialità, ma anche così restia al coinvolgimento..., ebbene lei, don Giuseppe, ci è riuscito.

Il “grazie” dei giovani a don Giuseppe Ricci

Non si deve pensare di chissà quali alchimie o miracoli sia stato autore, serviva una cosa tanto semplice ma così complicata allo stesso tempo… affetto! Con tanto affetto e amore, don Giuseppe, lei ha plasmato un gruppo di giovani assetati di opere buone tra di noi e verso gli altri. La ringraziamo per averci portato un ideale, per essere intervenuto ai nostri incontri, per aver organizzato i nostri incontri, per aver fatto confluire la nostra creatività in quelle belle feste di Natale e dell’Epifania, per averci consigliato, per averci prestato una spalla quando dovevamo piangere, per averci telefonato tutte quelle volte quando si accorgeva che ci stavamo allontanando, per averci sgridato quando ce lo meritavamo… Siamo felici per i giovani della sua nuova parrocchia, perché potranno godere della sua vicinanza, anzi, forse è meglio dire che siamo un po’ invidiosi…”». Anche dalla testimonianza dei giovani della piccola Castelvieto traspare nitidamente l’affetto di don Giuseppe alla sua Chiesa e alla sua gente, un “investimento”, soprattutto umano e spirituale, andato a buon fine per il bene dell’intera società. [gallery size="large" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Mons. Giuseppe Ricci" ids="76178,76180,76183,76179,76184,76185,76182,76181"]]]>
Mons. Giuseppe Ricci nel suo studio nella canonica a Ponte Felcino. Accanto, appesa al muro la foto di Chiara Lubich con il Papa.

Monsignor Giuseppe Ricci compirà sessant’anni di sacerdozio, il 1° luglio, e ottantacinque di età, il 15 maggio. È stato il primo economo diocesano perugino a mettere a frutto i contributi derivanti dall’8xmille alla Chiesa cattolica. Fu chiamato dall’arcivescovo Cesare Pagani alla guida dell’Ufficio economato nell’anno della revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, che sancì la nascita dello “strumento finanziario” denominato “8xmille” di cui quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla sua introduzione (1984-2024). Don Giuseppe, come preferisce essere chiamato, si racconta nell’apprestarsi a “tagliare” questi suoi due traguardi molto significativi, testimoniando il “buon investimento” dei contribuenti italiani, che firmano ogni anno l’8xmille, su di lui e su tanti sacerdoti. Don Giuseppe, il suo primo pensiero di parroco emerito… «È curioso, alla veneranda età di 85 anni, trovarsi quasi conteso da parroci che dicono di avere bisogno del mio aiuto. Attualmente sono collaboratore di un parroco che ha cinque parrocchie… Grazie a Dio la salute mi è sufficiente per aiutarlo e sono ben contento di farlo. Ogni giorno ringrazio il Signore, perché ho svolto tanti ruoli in quasi sessant’anni di sacerdozio, iniziando come cappellano a San Donato all’Elce di Perugia e poi parroco a San Valentino della Collina. Con l’arrivo dell’arcivescovo Cesare Pagani sono diventato suo segretario e canonico della cattedrale di San Lorenzo. Sempre Pagani mi incaricò di realizzare la sede della radio diocesana in alcuni locali del Capitolo dei Canonici di San Lorenzo. Al riguardo ricordo un particolare, quello di avergli presentato il preventivo delle spese per finanziare il progetto della radio (spese pagate interamente di tasca sua), il cui consuntivo risultò inferiore. Fu un caso davvero molto raro, perché è quasi sempre l’inverso per i tanti imprevisti in corso d’opera. Non so se questo risparmio sulla somma preventivata sia stato il motivo ispiratore per affidarmi la guida dell’Ufficio economato diocesano, incarico che mi ha visto impegnato per 17 anni».

Economo ma anche parroco

Così si è trovato ad amministrare il patrimonio materiale della Chiesa, “trascurando” il suo essere pastore di anime? «Non è andata proprio così, mi riservo di parlarne più avanti, perché per tutto il periodo di economo diocesano ho guidato pastoralmente una piccola, ma molto significativa comunità parrocchiale di periferia, che mi ha dato tantissimo nell’aiutarmi a non farmi assorbire totalmente dai “bilanci materiali”. Quando ho poi ricevuto il dono di tornare a fare il parroco a tempo pieno, a Marsciano e dintorni, dall’allora arcivescovo Giuseppe Chiaretti, affidandomi una comunità parrocchiale di circa 10mila anime, ho accolto con gioia questo dono che non mi ha visto impreparato grazie all’esperienza della piccola parrocchia di periferia. Altro dono l’ho ricevuto dal nostro giovane arcivescovo Ivan Maffeis nel benedire il mio progetto, quello di venire a Ponte Felcino, con il parroco don Alberto Veschini, a fare vita comune». Lei è tra i sacerdoti “pionieri” dell’esperienza d’Unità pastorale che vede protagonisti in primis presbiteri affiancati, dove è possibile, dai diaconi, ma come si trova a Ponte Felcino? «Io mi trovo molto bene in quest’esperienza di vita, perché sono insieme ad un fratello e tra noi c’è una gara di Amore l’uno per l’altro. Anche per questo ringrazio il Signore, perché adesso mi è rimasta la parte più facile della missione sacerdotale, quella di distribuire la grazia di Dio attraverso i sacramenti, non avendo gli impegni prettamente pastorali della parrocchia. Mi resta il “dolce” delle celebrazioni liturgiche: le confessioni e l’Eucaristia, perché ho tutto il tempo a mia disposizione per prepararle bene ed anche questo è un dono del Signore che mi dà serenità e mi fa sentire in qualche modo utile alla Chiesa».

La vocazione di don Giuseppe

Come è nata in lei la chiamata-vocazione al Sacerdozio? «Ripercorrendo la mia vita a volo d’uccello, ho avuto il momento di grande dolore dal punto di vista umano a cui ha fatto seguito uno successivo dove è partito il progetto di Dio su di me. Il dolore provato ad appena cinque anni d’età fu causato dalla perdita del papà, cavatore di lignite a San Martino in Campo, unica fonte di reddito della nostra modestissima famiglia di quattro figli… Intervenne l’assistenza sociale che fece accogliere me e mio fratello, i figli più piccoli, nell’orfanotrofio delle suore di Gesù Redentore, nel quartiere Bellocchio di Perugia, all’epoca la Casa Generalizia di questa congregazione ancora oggi presente in città con le sue opere socio-educative e caritative. Per me chiusa una “porta” si è poi aperto un “portone”, perché la madre generale, illuminata, intravvide in me qualche segno di vocazione da coltivare affidandomi alle cure del cappellano don Rino Valigi, una bella figura di sacerdote, quasi un secondo padre per me, che mi suggerì di fare la domanda per entrare al Seminario Minore. Essendo stato “adottato pienamente” dalle suore di Gesù Redentore, la loro casa era la mia casa, fino a quando sono diventato sacerdote, sostenendo loro le spese per la mia istruzione-formazione in Seminario. Ho potuto godere anche dell’ospitalità delle loro case religiose in Italia e all’estero. Una provvidenza del Signore che mi ha aiutato molto a portare a compimento i miei studi e a maturare la mia vocazione al sacerdozio». Nel suo studio campeggia su una parete una grande immagine di Chiara Lubich… «Altra esperienza determinante per la mia formazione è stato il contatto con la spiritualità del Movimento dei Focolari di Chiara Lubich con cui ho avuto la possibilità di incontri personali e scambi epistolari. La ricchezza di questo carisma donato alla Chiesa ha condizionato nel bene la mia vita sia personale sia pastorale. Anche questa scelta di venire a fare “focolare sacerdotale” con don Alberto, che condivide pienamente questa spiritualità, è quanto di meglio potessi ricevere in dono dal Signore».

Don Giuseppe Ricci: “Benedetto 8xmille

Tornando al delicato ruolo di economo, come ha utilizzato i finanziamenti derivanti dall’8xmille? «Ho benedetto il momento in cui monsignor Attilio Nicora, poi divenuto cardinale, è stato l’ispiratore di quell’accordo provvidenziale per le risorse dell’8xmille, preziosissime per compiere tante opere di sostegno, di intervento nelle strutture necessarie agli enti ecclesiastici. Come non ricordare due grandi opere della nostra Chiesa particolare negli anni in cui ho ricoperto la responsabilità di economo, il Centro “Mater Gratiae” e la Casa del Clero. Il primo fu realizzato con il recupero del complesso un tempo Seminario Minore ridotto a un immenso deposito di 4mila mq, senza nessun utilizzo pastorale, mentre io vedevo l’urgenza per il nostro Clero di avere un luogo dignitoso dove incontrarsi mensilmente e dove poter promuovere e ospitare convegni, incontri, ritiri… All’interno di questo complesso vennero realizzate la grande sala riunioni, poi intitolata all’arcivescovo Pagani, e diverse aule, oltre alla struttura ricettiva del Centro “Mater Gratiae”, con annessi ambienti adibiti ad uffici e foresteria; il tutto con un ampio parcheggio a poco meno di due chilometri dal centro storico. Altra opera è stata la ristrutturazione della “Casa del Clero” del complesso della Cattedrale, un’altra esigenza condivisa con i pastori per garantire ai nostri sacerdoti un luogo per le loro necessità una volta espletato in parrocchia il servizio pastorale e in assenza di una dignitosa assistenza con l’avanzare dell’età. Con mia gioia vedo oggi valorizzare la “Casa del Clero” dall’arcivescovo Ivan, perché è ritornata pienamente funzionante e con le sue originali finalità». Non ha trascurato nemmeno la nascita di opere di carità… «Quando sono stato parroco di Marsciano e Schiavo, abbiamo dato vita all’Emporio Caritas “Betlemme” (Casa del Pane), il quarto aperto in diocesi per volontà del cardinale Gualtiero Bassetti, per la cui realizzazione è stato determinante l’aiuto dell’8xmille. Inoltre è stata fondamentale l’opera svolta da operatori e volontari guidati dal diacono Luciano Cerati, il cui sostegno è stato non poco significativo prendendo a cuore questo funzionante progetto di carità concreta, che va avanti ancora oggi grazie allo stesso diacono Luciano e al mio successore, il giovane parroco don Marco Pezzanera».

Gli anni in parrocchia

A Marsciano ha lasciato un segno anche in questa parrocchia “prestigiosa ma complessa” «Arrivai a Marsciano salutando i miei nuovi parrocchiani con queste parole: " rimboccarsi le maniche e seguire Cristo, vero ed unico pastore, dovunque avesse voluto Lui". Dopo 17 anni, al momento del congedo, una parrocchiana mi scrisse: “Da saggio e umile servo nella vigna del Signore, Lei, don Giuseppe Ricci, ha mantenuto fede al Suo impegno, vivendo fino in fondo l'esperienza del ‘buon pastore’ che, come dice Papa Francesco, conosce le sue pecore e sa quando è il momento di stare in mezzo ad esse e, a volte, anche dietro di loro. Una volta Lei ha presentato la vita della nostra Comunità con l’immagine di un operoso cantiere, dove ognuno è invitato a collaborare: questo ci ha aiutato a comprendere il valore e la funzione dell'Unità Pastorale, intesa come ‘un modo nuovo di offrire il Vangelo’, integrando le risorse del territorio e sostenendo il ruolo dei laici negli organismi di partecipazione. Ripercorrere gli anni che vanno dal 2001 al 2018 significa capire quanti doni di Grazia abbiamo ricevuto nel cercare di fare della nostra Comunità ‘la casa di tutti’, sostenuti dal Suo ‘Avanti con coraggio!’ e alla scuola di quella ‘spiritualità di comunione’ che secondo San Giovanni Paolo II ci educa a vedere ‘il fratello come primo strumento prezioso’ per andare a Dio”. Sono stato e sono tutt’ora un convinto sostenitore delle Unità pastorali, espressioni concrete anche della comunione tra sacerdoti. Non mi dilungo oltre, aggiungo solo un’opera realizzata per i giovani, l’“OSMA” (Oratorio Santa Maria Assunta), anch’essa con il contributo dell’8xmille. Ben presto l’“OSMA” si rivelò un punto di riferimento per tutta la comunità marscianese, perché gli oratori parrocchiali svolgono anche una funzione sociale come del resto noi sacerdoti». Don Giuseppe Ricci, avviandoci alla conclusione di questo piacevole dialogo-intervista, ci rivela il nome di quella «piccola parrocchia di periferia» che le ha permesso di continuare ad essere curato di anime mentre “curava”, teneva in ordine i conti dell’intera Diocesi? «È la parrocchia di Castelvieto, nel comune di Corciano, una comunità di appena cinquecento abitanti dove ho trovato persone e famiglie meravigliose. Ricordo, quando ero segretario dell’arcivescovo…, venivano in Curia genitori a chiedere a monsignor Pagani un prete per i loro figli, perché il parroco era malato. Chiese a me di seguire questa comunità almeno la domenica, ma io iniziai quasi subito ad andarci ogni sera, perché, trovando del terreno fertile, diedi vita a degli incontri formativi. Vi celebrai il mio 25° di sacerdozio e fu meraviglioso… Quando dovetti lasciarla, perché nominato parroco a Marsciano, ricevetti dai giovani di Castelvieto una lettera commovente che conservo tra le mie carte più care. Scrissero un toccante “arrivederci, ad una persona, un padre, un amico, un fratello che è stato per ben 17 anni con noi, anzi, è meglio dire fra noi… È arrivato quasi in punta di piedi, don Giuseppe…, ma ha fatto subito capire che a Castelvieto non era giunta una personalità come tante altre, ma un ciclone dalle idee meravigliose e dalle maniere esaltanti, coinvolgenti; un gentiluomo, oltre che un parroco…, un motivatore! Non era facile farsi apprezzare, e soprattutto seguire, dalla gioventù così bella e piena di potenzialità, ma anche così restia al coinvolgimento..., ebbene lei, don Giuseppe, ci è riuscito.

Il “grazie” dei giovani a don Giuseppe Ricci

Non si deve pensare di chissà quali alchimie o miracoli sia stato autore, serviva una cosa tanto semplice ma così complicata allo stesso tempo… affetto! Con tanto affetto e amore, don Giuseppe, lei ha plasmato un gruppo di giovani assetati di opere buone tra di noi e verso gli altri. La ringraziamo per averci portato un ideale, per essere intervenuto ai nostri incontri, per aver organizzato i nostri incontri, per aver fatto confluire la nostra creatività in quelle belle feste di Natale e dell’Epifania, per averci consigliato, per averci prestato una spalla quando dovevamo piangere, per averci telefonato tutte quelle volte quando si accorgeva che ci stavamo allontanando, per averci sgridato quando ce lo meritavamo… Siamo felici per i giovani della sua nuova parrocchia, perché potranno godere della sua vicinanza, anzi, forse è meglio dire che siamo un po’ invidiosi…”». Anche dalla testimonianza dei giovani della piccola Castelvieto traspare nitidamente l’affetto di don Giuseppe alla sua Chiesa e alla sua gente, un “investimento”, soprattutto umano e spirituale, andato a buon fine per il bene dell’intera società. [gallery size="large" td_select_gallery_slide="slide" td_gallery_title_input="Mons. Giuseppe Ricci" ids="76178,76180,76183,76179,76184,76185,76182,76181"]]]>
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“Le vocazioni in otto parole” – Il video con otto testimonianze https://www.lavoce.it/le-vocazioni-in-otto-parole-il-video-con-otto-testimonianze/ Fri, 23 Apr 2021 11:00:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60263

Vocazioni. In occasione della Giornata di preghiera, la Commissione regionale Ceu per la Pastorale vocazionale ha prodotto e diffuso un video con otto tesimonianze di vocazioni diverse. Per ciascuna è stata scelta una parola chaive. Da qui il titolo: “Le vocazioni in otto parole”.   https://youtu.be/URpGXqVZILw]]>

Vocazioni. In occasione della Giornata di preghiera, la Commissione regionale Ceu per la Pastorale vocazionale ha prodotto e diffuso un video con otto tesimonianze di vocazioni diverse. Per ciascuna è stata scelta una parola chaive. Da qui il titolo: “Le vocazioni in otto parole”.   https://youtu.be/URpGXqVZILw]]>
Il testo della lettera di Papa Francesco per il 50esimo del cardinal Bassetti https://www.lavoce.it/il-testo-della-lettera-di-papa-francesco-per-il-50esimo-del-cardinal-bassetti/ Wed, 29 Jun 2016 18:52:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46561 concistoro_bassetti_cardinale-3628Al Venerabile Fratello Nostro
Cardinale Gualtiero Bassetti
Arcivescovo Metropolita di Perugia-Città della Pieve

A te, Venerabile Fratello, che nella solennità ormai prossima dei Santi Apostoli Pietro e Paolo celebrerai il cinquantesimo anno dall’ordinazione sacerdotale, invio di cuore questa Lettera, per manifestarti i più gioiosi sensi, augurandoti ogni bene e prosperità.
E poiché mi è ben noto con quanta diligenza tu abbia svolto il sacro ministero, in questa occasione che mi si offre desidero rallegrarmi con te delle fatiche compiute e ricordare i momenti più importanti del tuo apostolato.
In giovane età, dopo aver compiuto gli studi teologici nel Seminario Arcivescovile di Firenze, sei stato ordinato sacerdote per la medesima chiesa diocesana, in seno alla quale hai svolto vari incarichi:  Vicario parrocchiale, Assistente e in seguito Rettore del Seminario Minore, Delegato dell’Opera delle Vocazioni, Moderatore della Pastorale Scolastica, Rettore del Seminario Maggiore, Membro del Consiglio Presbiterale e del Collegio dei Consultori, Canonico onorario della chiesa metropolitana, Provicario e Vicario Generale.
Nell’anno 1994, il santo Pontefice Giovanni Paolo II, mio Predecessore di piissima memoria, per le tue notevoli doti di animo e d’ingegno e la tua esperienza pastorale, riconoscendo i tuoi meriti, ti nominava Vescovo di Massa Marittima – Piombino, dalla quale sei stato successivamente trasferito alla sede di Arezzo – Cortona – Sansepolcro e, infine, alla Chiesa metropolitana di Perugia – Città della Pieve, che al presente con diligente cura stai guidando.
Nel adempiere il delicatissimo compito di Pastore e Padre, hai profuso e continui a profondere tutte le tue energie e le tue cure per i fedeli a te affidati testimoniando, soprattutto con l’esempio, il Vangelo, affinché essi, consci della propria vocazione, crescano in fede, speranza e carità, alla sequela di Cristo, Maestro divino.
Ma ti sei adoperato anche, con impegno, a beneficio della chiesa italiana come Delegato per i Seminari, Membro della Commissione Episcopale per il Clero e la Vita Consacrata, Membro del Consiglio di gestione del Comitato Cattolico per la collaborazione culturale con le Chiese ortodosse, Vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana e ora Presidente della Conferenza Episcopale Umbra.
Dalla Cattedra di San Pietro, considerato tutto ciò sopra esposto, riconoscendo i tuoi molti meriti, nell’anno 2014 ti ho aggregato all’insigne Collegio dei Cardinali, conferendoti il titolo presbiterale di Santa Cecilia, e ti ho nominato membro delle Congregazioni per i Vescovi e per il Clero e del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani.
Ricordando pertanto l’evento così gioioso del tuo Sacerdozio, carissimo Fratello, esulta in Dio, con lo stesso cantico della Vergine Maria: «L’anima mia magnifica il Signore, e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47).
Cristo, sommo ed eterno Sacerdote, per l’intercessione di Maria Madre e Regina della Chiesa, con la Sua grazia ti custodisca, ti sostenga e ti protegga, Pastore benemerito, per tutti i giorni della tua vita.
La mia Benedizione Apostolica dalla Sede di San Pietro che per tuo tramite estendo anche a codesta Arcidiocesi, sia pegno dei doni celesti e testimonianza del mio particolare affetto, carissimo Fratello, mentre chiedo preghiere per me e per il Mio Ministero Petrino.

La pace, la luce e l’amore di Cristo rimangano sempre nei Vostri cuori, Figli a Noi carissimi.

Dal Vaticano, 18 maggio dell’anno 2016, Giubileo della Misericordia e quarto del Nostro Pontificato.
Francesco

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Bassetti, da 50 anni nel cuore della Chiesa https://www.lavoce.it/bassetti-da-50-anni-nel-cuore-della-chiesa/ Wed, 29 Jun 2016 11:48:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46547 Bassetti-cardinaleGli sarebbe bastata la messa con il Papa a Santa Marta il 2 maggio scorso con i sei sacerdoti perugini che con lui hanno raggiunto quest’anno il 50° di ordinazione presbiterale, ma la diocesi farà festa al suo arcivescovo, il cardinale Gualtiero Bassetti, mercoledì 29 giugno alle ore 18 nella Cattedrale di San Lorenzo. Nato il 7 aprile 1942 a Popolano di Marradi, ordinato prete il 29 giugno 1966 al termine della formazione ricevuta nel seminario di Firenze, nominato Vescovo il 3 luglio 1994, arriva a Perugia nel 2009 dopo essere stato vescovo di Arezzo (dal 1998) e prima ancora vescovo di Massa Marittima-Piombino. E da Perugia Papa Francesco lo chiama a far parte del collegio cardinalizio il 22 febbraio 2014.

Eminenza, mercoledì celebra 50 anni di ordinazione sacerdotale e giusto quattro giorni prima nella stessa Cattedrale ordinerà tre nuovi preti. Com’è cambiata la sua vocazione, da prete, vescovo e ora cardinale?

“La domanda che mi fanno i bambini quando vado in visita alle scuole: cosa hai fatto per diventare vescovo? E io rispondo: vedete, mi sono preparato per 10 anni per diventare sacerdote, e poi il Papa mi ha scritto una lettera e in 5 minuti mi è stato comunicato che mi nominava vescovo. Quindi già c’è questa differenza di fondo. La mia vocazione rimane quella del prete, di stare con la gente, fare il più possibile una Chiesa di popolo, accogliere i piccoli, gli ultimi, dare voce a chi non ce l’ha, annunciare il Regno di Dio nel suo amore, nella sua giustizia, nella sua santità. Sono i motivi che spingono un giovane a diventare prete. E che mi hanno spinto a diventare prete nel ’66”.

Ragioni sempre attuali anche per i giovani che entrano in seminario?

“Sempre attuali. Magari quando sono stato ordinato si insisteva più sulla sacralità del prete, sul- l’aspetto spirituale e sacramentale. Pur rimanendo oggi si insiste più sul servizio e sulla diaconia. Io non mi aspettavo altro, anche se il mio sacerdozio l’avevo sentito un po’ sacrificato quando, due anni dopo l’ordinazione, mi era stato chiesto un servizio nel Seminario, come Rettore, che poi è durato per 22 anni. E quando, dopo 22 anni, ho chiesto una parrocchia, il card. Piovanelli mi disse ‘Guarda, ho indetto il sinodo bisogna che tu mi dia una mano come vicario generale’. Pensavo fosse qualcosa di temporaneo perché avevo 48 anni e pensavo ancora di poter finire in mezzo alla gente. Poi nel ’94 è arrivata questa chiamata a servire la Chiesa di Massa Marittima Piombino, una delle diocesi più antiche ma un po’ ai margini, nel cuore della Maremma. Ma lì io sono andato molto molto volentieri perché direi che di tutte è stata la diocesi in cui ho esercito di più la mia dimensione di presbitero stando veramente con la gente, essendo piccola, avendo tempo, avendo energie”.

Da lì è stato chiamato alla diocesi di Arezzo, molto più grande

“È la seconda diocesi più grande della Toscana dopo Firenze. Come territorio è una delle più grandi dell’Italia centrale e meridionale, ci sono cinque vallate immense, tanta montagna, con una religiosità popolare, agricola, che in parte poi l’ho ritrovata nella diocesi di Perugia verso il Lago, verso Città della Pieve. E poi sono venuto a Perugia che ha altre tradizioni date da una storia diversa. Lo Stato Pontificio era altra cosa dal Granducato di Toscana”.

Ogni passaggio un cambiamento della vocazione iniziale…

“La vocazione al sacerdozio con una responsabilità molto diversa, perché il vescovo è in pienezza padre, pastore e sposo della Chiesa. L’anello lo porta il vescovo non il sacerdote. Il sacerdote ha una parte del potere del vescovo per l’esercizio del Ministero. Il Concilio Vaticano II con la Lumen gentium ha chiarito molto bene che l’episcopato, il presbiterato e il diaconato differiscono non solo di grado ma di natura, di essenza, e questo è importante perché prima c’era una visione molto diversa”.

Questi 50 anni sono stati molto ricchi di eventi e cambiamenti, e molto stimolanti…

“Molto belli. Il mio sacerdozio, nel ’66, è avvenuto in una Chiesa, quella fiorentina, che era un’esplosione di preti eccezionale. Basta dire Turoldo e Balducci, ma anche tanti altri, preti diocesani come don Bensi e don Facibeni, o don Bartoletti e don Agresti insieme a laici come La Pira. Ho respirato una ricchezza culturale e spirituale davvero enorme, e quell’Umanesimo fiorentino è il contesto in cui io sono nato come prete. In quegli anni si viveva una spiritualità che ha portato ai preti operai. C’era il desiderio di condividere la vita degli altri, di essere prete come fratello in mezzo ai fratelli, chiamato da Dio. Quindi sono 50 anni di cui 27 di prete e 23 di vescovo”.

Nel 2014 Papa Francesco la vuole cardinale e questo la colloca nel cuore della Chiesa universale…

“Direi anche nei problemi più delicati, perché con la Congregazione dei vescovi ho la responsabilità di dover proporre dei candidati al Papa”.

Sabato c’è stata l’ordinazione di tre seminaristi. Sappiamo che lei ha una attenzione particolare per i seminaristi e per i giovani preti.

“Anche in questi giorni sto andando in seminario per gli ultimi colloqui con i seminaristi. È molto importante che il vescovo li conosca, che ci parli”.

Si può dire che in seminario lei è sempre stato di casa…

“Quando, eletto cardinale ci si presentò, i nuovi cardinali di fronte ai vecchi cardinali, io esordii dicendo ‘Sono un caso psichiatrico perché ho fatto 42 anni di seminario e nessuno di voi l’ha fatto!’ Dieci anni per diventare prete, ventidue come Rettore e dieci come Visitatore apostolico. Nel visitare i seminari d’Italia che esperienza mi son fatto delle diocesi, dei vescovi!”.

La visita pastorale l’ha tenuta molto impegnata in questi ultimi anni…

“È stata un’esperienza anche originale rispetto alle altre diocesi perché abbiamo costituito le unità pastorali, alcune delle quali cominciano a funzionare, e sto facendo la Visita per UP anche per promuoverle. Per questo ci sono dei momenti che coinvolgono tutta le parrocchie che formano l’unità pastorale, per esempio l’inizio e la conclusione della Visita. Ho incontrato tutti gli alunni delle scuole, sono stato nelle fabbriche, ho incontrato i malati… Per me è importante avere questo rapporto con le persone, con i poveri, con le missioni, perché sono quelli che aiutano il vescovo a vivere la fede, altrimenti rischiamo di diventare come dei burocrati che dirigono la pastorale. Guai dirigere la pastorale! La pastorale va proposta e vissuta. La visita pastorale l’ho fatta con l’aiuto del Vescovo ausiliare Paolo Giulietti, e direi che io ho fatto la parte più bella perché ho fatto quella strettamente pastorale mentre lui si è preso l’impegno di tutti gli organismi pastorali collegiali, quindi coi vari consigli”.

Come è stato condividere questo impegno?

“Questa visita fatta in tandem è molto bella e ci siamo dati l’esempio di che cos’è una unità pastorale. E a me ha dato anche l’occasione di ribadire l’ Evangelii Gaudium , con tutti i punti che il Papa poi ha ripreso anche nell’ Amoris letitia, soprattutto quell’invito ad ‘accompagnare’, che puoi applicare a tutti i tipi di annuncio in parrocchia dal catechismo ai fidanzati alla preparazione degli sposi, a discernere e soprattutto a integrare”.

 

**** Gli auguri della Conferenza Episcopale Umbra al Card. Gualtiero Bassetti
nel 50esimo anniversario dell’ordinazione sacerdotale

I Vescovi della Conferenza Episcopale Umbra si stringono con affetto e ammirazione intorno al loro Presidente il Cardinale Gualtiero Bassetti, Arcivescovo Metropolita di Perugia-Città della Pieve, che celebra il 50° anniversario dell’ordinazione sacerdotale.

I Presuli ricordano il prezioso servizio da lui svolto nella formazione dei futuri sacerdoti come Rettore dei Seminari e poi Vicario Generale di Firenze, il fecondo ministero episcopale a Massa Marittima-Piombino, ad Arezzo-Cortona-San Sepolcro e, finalmente, a Perugia-Città della Pieve.

«Ringraziamo Dio – scrivono in una nota ufficiale – per il dono del sacerdozio del Card. Bassetti ed eleviamo fervide preghiere a Cristo Buon Pastore affinché continui a sostenerlo nel suo servizio episcopale, rendendolo sempre più annunciatore mite e coraggioso del Vangelo. Lo accompagnino in questa felice ricorrenza le parole di S. Agostino Vescovo di Ippona: “Siamo presuli, e siamo servi; possiamo essere presuli solo se facciamo del bene” (S. Agostino, Sermones post Maurinos reperti, Roma 1930, p. 565)».

 

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La storia di Giampiero Morettini raccontata dai genitori https://www.lavoce.it/la-storia-di-giampiero-morettini-raccontata-dai-genitori/ Thu, 02 Jun 2016 17:13:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46414

Pochi giorni prima della serata in ricordo del seminarista Giampiero Morettini, siamo andati a trovare i suoi genitori, mamma Caterina e papà Mario, nella loro casa in Sant’Angelo di Celle di Deruta. Accompagnati da suor Roberta Vinerba, giunti in paese, abbiamo fatto sosta prima al cimitero. La tomba di Giampiero è meta di un costante “pellegrinaggio” di amici, conoscenti ed anche di persone che non l’hanno conosciuto in vita, ma ne hanno sentito molto parlare ad iniziare dalle comunità parrocchiali dove lui prestava servizio pastorale, formandosi sul “campo” al sacerdozio. Quello che colpisce della famiglia Morettini, dalle origini modeste, è la dignità e la compostezza nell’affrontare il dolore per la perdita di Giampiero, trasmettendo agli altri tanta fede e speranza perché la morte, soprattutto di un uomo che si stava preparando per donarsi totalmente a Dio, non ha mai il sopravvento sulla vita. E questa è anche una «conversione» e la prima a viverla è mamma Caterina, come emerge dal piacevole colloquio avuto con lei e con il marito. «Giampiero mi ha aiutata a pregare, perché prima non pregavo – ci racconta Caterina –, trascuravo la mia fede perché veniva prima il lavoro. Passavano anche due, tre anni prima di confessarmi e di fare la comunione. Adesso ho questa “grazia della preghiera” e senza la messa la domenica non posso stare. Con Giampiero ci siamo avvicinati molto alla Chiesa, al Signore, anche se con Lui, in realtà, io dovrei essere arrabbiatissima per avermelo strappato. Nei giorni della sua malattia ho tanto pregato il Signore e con me tante persone in tutt’Italia, ma Dio non ci ascoltava. Mi sono rimessa a alla sua decisione, anche se perdere un figlio è un dolore che solo chi ci passa può capirlo, gli altri possono immaginarlo». Signora Caterina, quanto Giampiero ha inciso nel suo “ritorno” al Signore? «Giampiero, anche se stava in Seminario, non mi ha mai "obbligata" ad andare a messa, a fare la comunione, forse perché pensava che piano piano mi sarei avvicinata da sola. Invece c'è voluta la sua morte per capire che se uno "accetta" è solo per la fede che si ottiene qualcosa. Faccio il paragone con altre mamme che come me non hanno più i figli, sono arrabbiate, non vogliono vedere nessuno. Mentre con Mario teniamo sempre le porte aperte a tutti. Invece doveva essere al contrario. Parlare spesso di Giampiero non vi crea difficoltà? Non acuisce il vostro dolore per la sua perdita? «Per noi genitori è normale parlare di Giampiero, forse perché dall'inizio del suo ricovero in ospedale abbiamo avuto sempre delle persone vicine, non siamo mai stati soli e questa cosa ci ha aiutato. Anche noi siamo stati sempre disponibili a parlare della vita di Giampiero e della sua malattia, pur con emozione e sofferenza. Ci fa bene parlare di lui, perché così il dolore non ci schiaccia. Tanti genitori, purtroppo, nella nostra situazione si sono trovati isolati. Noi siamo sempre circondati anche da persone che non conoscevamo. Non ci danno niente, però ci danno tutto». Cosa ricordate degli ultimi giorni di Giampiero?  (mamma Caterina) «Qualche giorno prima della forte emorragia, una dottoressa mi chiese: "Signora, come le sembra suo figlio?". Le risposi: "Sembra un pochino meglio". Non volevo dire davanti a Giampiero che non c'era più niente da fare. Non era una domanda da farsi da parte della dottoressa. Giampiero stava malissimo e lei lo sapeva meglio di me. Dal 17 agosto, per me, Giampiero già non c'era più. Il giorno prima la caposala mi disse che se volevo potevo riprendere i suoi oggetti: c'era il breviario di Giampiero ..., perché tanto era finita. Per me, da quella data, era già in Cielo e alle sorelle che erano fuori dalla stanza ho fatto un gesto come a dire: "Non c'è più niente da fare". Quel giorno è stato come se "lo avessi riconsegnato", "donato"».  Avete donato vostro figlio a Dio per la seconda volta … «La prima volta il Signore l’ha portato via a noi in un modo diverso, chiamandolo al suo fianco nel servire la Chiesa e il suo popolo; la seconda volta l’ha portato via per sempre». Per voi non è stato facile accettare che Giampiero entrasse in Seminario, lasciando la sua famiglia, il suo lavoro nella vostra azienda … (mamma Caterina) «In effetti ho sempre espresso sinceramente qualche dubbio quando vedevo che frequentava la Chiesa (la Scuola teologica di Montemorcino, il Corso dei Dieci Comandamenti dai frati di Santa Maria degli Angeli…) e non ho versato lacrime al momento. Ma poi, invece, gliene ho dette di tutte di colori ... che era matto, che non capiva nulla. Mentre mio marito e l'altro figlio stavano zitti. La notte, quando Giampiero non c'era, io piangevo, ma non perché io volessi che lui a tutti i costi si facesse una famiglia, ma perché andava a "rinchiudersi" nella vita religiosa. Ho cominciato ad accettarlo al momento dell'attesa che lui entrasse in Seminario e quando sono andata la prima volta a trovarlo ad Assisi, per Natale, rendendomi conto dell'ambiente in cui viveva, studiava... Quando Giampiero è andato in Cielo, non ho pianto tanto quanto alla sua entrata in Seminario. All'inizio è stata dura, ma poi lo vedevo davvero felice, era cambiato, trasformato, tranquillo. Non mi ha mai raccontato se avesse problemi con i compagni in Seminario, ma se chiedevo come andava rispondeva solo: "Bene!". Mentre quando lavoravamo insieme lo vedevo arrabbiato, teso e si litigava anche tra noi. Dopo la scelta del Seminario vedevo luce nei suoi occhi, serenità. Negli ultimi 4-5 anni era un altro ragazzo, sereno. Ora ci dà serenità a noi, altrimenti sarebbe impossibile andare avanti senza di lui». Giampiero aiuta dal Cielo non solo la sua famiglia, anche tante persone, soprattutto i giovani… (papà Mario) «E’ una cosa inaspettata e non credevo che mio figlio fosse così benvoluto da tante persone che oggi affidano anche a lui le preghiere. Se non aiuta noi non importa, ma se aiuta altre persone che ne hanno bisogno sono felice anche se non le conosco. Quello che ha colpito molto la mia famiglia è stata la veglia del funerale di Giampiero, una vera sorpresa nel vedere tutta quella folla. Va bene a Castel del Piano, dove era conosciuto in parrocchia, ma tutta quella marea di gente non me la sarei mai aspettata. C’erano uomini e donne, giovani e adulti, che neppure avevano conosciuto Giampiero, ne avevano solo sentito parlare. In un'occasione particolare per la parrocchia, due persone dissero a don Francesco Buono che avevano sognato Giampiero. Una delle due l’aveva conosciuto, ma l'altra no, veniva dalla Calabria, eppure aveva dato una descrizione precisa, con i capelli lunghi, come li portava prima Giampiero ... e per due-tre notti, sempre alle 3, si era svegliata dopo aver sognato nostro figlio». Suor Roberta davanti alla tomba di Giampiero ci ha raccontato del suo intenso legame con l’Eucaristia e della sua incessante preghiera del Rosario… (risponde mamma Caterina) (mamma Caterina) «All'inizio, Giampiero, non sapeva neppure cosa fosse l'Adorazione eucaristica. Una mattina, a una signora che più volte arrivava presto nel nostro negozio di ortofrutta, chiese se stava andando al lavoro oppure tornava. Lei disse che era stata all'Adorazione eucaristica in chiesa e lui non disse più nulla, perché non capiva le ragioni della donna che così presto usciva da casa. E a pensare che dopo è diventato anche ministro straordinario dell'Eucarestia. Ad un amico disse: "Divento ministro!" e l'amico: "Ma come, prima ti dai al Rosario e poi alla politica?". Aveva un modo particolare di dare l'Eucarestia innalzandola verso il cielo, che è rimasto impresso a tante persone e ancora oggi me lo dicono. Anche la preghiera del Rosario la viveva con particolare raccoglimento. Mi accorsi che qualcosa stava cambiando in Giampiero proprio dalla corona del Rosario, che un giorno la lasciò sul letto e non volevo crederci, non volevo accettarlo … Cosa avrebbero provato i genitori se Giampiero fosse diventato sacerdote?  (mamma Caterina) «Il prossimo anno Giampiero avrebbe compiuto 40 anni e sarebbe diventato sacerdote. Una vocazione adulta … Mi diceva: “Mamma preparati, perché anche tu dovrai essere vestita come ad un matrimonio, perché il sacerdozio ‘è’ un matrimonio”. Molte volte lo penso come se lui sia diventato davvero sacerdote... nel Regno dei Cieli».   ___ Le foto della serata di presentazione del libro “Con lui Dio non si era sbagliato” ____ [ad-gallery orderby="ID" include="46407,46408,46409,46410,46411" slideshow="false"]]]>

Pochi giorni prima della serata in ricordo del seminarista Giampiero Morettini, siamo andati a trovare i suoi genitori, mamma Caterina e papà Mario, nella loro casa in Sant’Angelo di Celle di Deruta. Accompagnati da suor Roberta Vinerba, giunti in paese, abbiamo fatto sosta prima al cimitero. La tomba di Giampiero è meta di un costante “pellegrinaggio” di amici, conoscenti ed anche di persone che non l’hanno conosciuto in vita, ma ne hanno sentito molto parlare ad iniziare dalle comunità parrocchiali dove lui prestava servizio pastorale, formandosi sul “campo” al sacerdozio. Quello che colpisce della famiglia Morettini, dalle origini modeste, è la dignità e la compostezza nell’affrontare il dolore per la perdita di Giampiero, trasmettendo agli altri tanta fede e speranza perché la morte, soprattutto di un uomo che si stava preparando per donarsi totalmente a Dio, non ha mai il sopravvento sulla vita. E questa è anche una «conversione» e la prima a viverla è mamma Caterina, come emerge dal piacevole colloquio avuto con lei e con il marito. «Giampiero mi ha aiutata a pregare, perché prima non pregavo – ci racconta Caterina –, trascuravo la mia fede perché veniva prima il lavoro. Passavano anche due, tre anni prima di confessarmi e di fare la comunione. Adesso ho questa “grazia della preghiera” e senza la messa la domenica non posso stare. Con Giampiero ci siamo avvicinati molto alla Chiesa, al Signore, anche se con Lui, in realtà, io dovrei essere arrabbiatissima per avermelo strappato. Nei giorni della sua malattia ho tanto pregato il Signore e con me tante persone in tutt’Italia, ma Dio non ci ascoltava. Mi sono rimessa a alla sua decisione, anche se perdere un figlio è un dolore che solo chi ci passa può capirlo, gli altri possono immaginarlo». Signora Caterina, quanto Giampiero ha inciso nel suo “ritorno” al Signore? «Giampiero, anche se stava in Seminario, non mi ha mai "obbligata" ad andare a messa, a fare la comunione, forse perché pensava che piano piano mi sarei avvicinata da sola. Invece c'è voluta la sua morte per capire che se uno "accetta" è solo per la fede che si ottiene qualcosa. Faccio il paragone con altre mamme che come me non hanno più i figli, sono arrabbiate, non vogliono vedere nessuno. Mentre con Mario teniamo sempre le porte aperte a tutti. Invece doveva essere al contrario. Parlare spesso di Giampiero non vi crea difficoltà? Non acuisce il vostro dolore per la sua perdita? «Per noi genitori è normale parlare di Giampiero, forse perché dall'inizio del suo ricovero in ospedale abbiamo avuto sempre delle persone vicine, non siamo mai stati soli e questa cosa ci ha aiutato. Anche noi siamo stati sempre disponibili a parlare della vita di Giampiero e della sua malattia, pur con emozione e sofferenza. Ci fa bene parlare di lui, perché così il dolore non ci schiaccia. Tanti genitori, purtroppo, nella nostra situazione si sono trovati isolati. Noi siamo sempre circondati anche da persone che non conoscevamo. Non ci danno niente, però ci danno tutto». Cosa ricordate degli ultimi giorni di Giampiero?  (mamma Caterina) «Qualche giorno prima della forte emorragia, una dottoressa mi chiese: "Signora, come le sembra suo figlio?". Le risposi: "Sembra un pochino meglio". Non volevo dire davanti a Giampiero che non c'era più niente da fare. Non era una domanda da farsi da parte della dottoressa. Giampiero stava malissimo e lei lo sapeva meglio di me. Dal 17 agosto, per me, Giampiero già non c'era più. Il giorno prima la caposala mi disse che se volevo potevo riprendere i suoi oggetti: c'era il breviario di Giampiero ..., perché tanto era finita. Per me, da quella data, era già in Cielo e alle sorelle che erano fuori dalla stanza ho fatto un gesto come a dire: "Non c'è più niente da fare". Quel giorno è stato come se "lo avessi riconsegnato", "donato"».  Avete donato vostro figlio a Dio per la seconda volta … «La prima volta il Signore l’ha portato via a noi in un modo diverso, chiamandolo al suo fianco nel servire la Chiesa e il suo popolo; la seconda volta l’ha portato via per sempre». Per voi non è stato facile accettare che Giampiero entrasse in Seminario, lasciando la sua famiglia, il suo lavoro nella vostra azienda … (mamma Caterina) «In effetti ho sempre espresso sinceramente qualche dubbio quando vedevo che frequentava la Chiesa (la Scuola teologica di Montemorcino, il Corso dei Dieci Comandamenti dai frati di Santa Maria degli Angeli…) e non ho versato lacrime al momento. Ma poi, invece, gliene ho dette di tutte di colori ... che era matto, che non capiva nulla. Mentre mio marito e l'altro figlio stavano zitti. La notte, quando Giampiero non c'era, io piangevo, ma non perché io volessi che lui a tutti i costi si facesse una famiglia, ma perché andava a "rinchiudersi" nella vita religiosa. Ho cominciato ad accettarlo al momento dell'attesa che lui entrasse in Seminario e quando sono andata la prima volta a trovarlo ad Assisi, per Natale, rendendomi conto dell'ambiente in cui viveva, studiava... Quando Giampiero è andato in Cielo, non ho pianto tanto quanto alla sua entrata in Seminario. All'inizio è stata dura, ma poi lo vedevo davvero felice, era cambiato, trasformato, tranquillo. Non mi ha mai raccontato se avesse problemi con i compagni in Seminario, ma se chiedevo come andava rispondeva solo: "Bene!". Mentre quando lavoravamo insieme lo vedevo arrabbiato, teso e si litigava anche tra noi. Dopo la scelta del Seminario vedevo luce nei suoi occhi, serenità. Negli ultimi 4-5 anni era un altro ragazzo, sereno. Ora ci dà serenità a noi, altrimenti sarebbe impossibile andare avanti senza di lui». Giampiero aiuta dal Cielo non solo la sua famiglia, anche tante persone, soprattutto i giovani… (papà Mario) «E’ una cosa inaspettata e non credevo che mio figlio fosse così benvoluto da tante persone che oggi affidano anche a lui le preghiere. Se non aiuta noi non importa, ma se aiuta altre persone che ne hanno bisogno sono felice anche se non le conosco. Quello che ha colpito molto la mia famiglia è stata la veglia del funerale di Giampiero, una vera sorpresa nel vedere tutta quella folla. Va bene a Castel del Piano, dove era conosciuto in parrocchia, ma tutta quella marea di gente non me la sarei mai aspettata. C’erano uomini e donne, giovani e adulti, che neppure avevano conosciuto Giampiero, ne avevano solo sentito parlare. In un'occasione particolare per la parrocchia, due persone dissero a don Francesco Buono che avevano sognato Giampiero. Una delle due l’aveva conosciuto, ma l'altra no, veniva dalla Calabria, eppure aveva dato una descrizione precisa, con i capelli lunghi, come li portava prima Giampiero ... e per due-tre notti, sempre alle 3, si era svegliata dopo aver sognato nostro figlio». Suor Roberta davanti alla tomba di Giampiero ci ha raccontato del suo intenso legame con l’Eucaristia e della sua incessante preghiera del Rosario… (risponde mamma Caterina) (mamma Caterina) «All'inizio, Giampiero, non sapeva neppure cosa fosse l'Adorazione eucaristica. Una mattina, a una signora che più volte arrivava presto nel nostro negozio di ortofrutta, chiese se stava andando al lavoro oppure tornava. Lei disse che era stata all'Adorazione eucaristica in chiesa e lui non disse più nulla, perché non capiva le ragioni della donna che così presto usciva da casa. E a pensare che dopo è diventato anche ministro straordinario dell'Eucarestia. Ad un amico disse: "Divento ministro!" e l'amico: "Ma come, prima ti dai al Rosario e poi alla politica?". Aveva un modo particolare di dare l'Eucarestia innalzandola verso il cielo, che è rimasto impresso a tante persone e ancora oggi me lo dicono. Anche la preghiera del Rosario la viveva con particolare raccoglimento. Mi accorsi che qualcosa stava cambiando in Giampiero proprio dalla corona del Rosario, che un giorno la lasciò sul letto e non volevo crederci, non volevo accettarlo … Cosa avrebbero provato i genitori se Giampiero fosse diventato sacerdote?  (mamma Caterina) «Il prossimo anno Giampiero avrebbe compiuto 40 anni e sarebbe diventato sacerdote. Una vocazione adulta … Mi diceva: “Mamma preparati, perché anche tu dovrai essere vestita come ad un matrimonio, perché il sacerdozio ‘è’ un matrimonio”. Molte volte lo penso come se lui sia diventato davvero sacerdote... nel Regno dei Cieli».   ___ Le foto della serata di presentazione del libro “Con lui Dio non si era sbagliato” ____ [ad-gallery orderby="ID" include="46407,46408,46409,46410,46411" slideshow="false"]]]>
Ricca di emozioni la serata dedicata a Giampiero Morettini https://www.lavoce.it/ricca-di-emozioni-la-serata-dedicata-a-giampiero-morettini/ Thu, 02 Jun 2016 16:38:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46406

È stata una grande serata di forti emozioni e di immensa gioia in ricordo del seminarista perugino Giampiero Morettini (1977-2014), quella che si è svolta al Centro congressi “A. Capitini” in Perugia il 1° giugno con centinaia di persone tra laici, sacerdoti, religiosi e religiose ma soprattutto tantissimi giovani e i compagni del Pontificio Seminario Umbro “Pio XI” di Assisi. Giampiero, che prima di entrare in Seminario lavorava presso l’azienda agricola di famiglia, è tornato alla Casa del Padre il 21 agosto 2014 per le complicanze insorte dopo un intervento al cuore resosi necessario a seguito di una malformazione congenita scoperta dopo un malore che lo colpì mentre si trovava in Seminario. Alla serata in suo ricordo è intervenuto il cardinale Gualtiero Bassetti, che è stato lui a volerla come anche il libro biografico scritto da suor Roberta Vinerba dal titolo: “Con lui Dio non si era sbagliato. Giampiero Morettini” (Edizioni Paoline, Milano 2016, pp. 158). Questa pubblicazione è stata presentata dallo stesso porporato insieme all’autrice, che ha introdotto le numerose testimonianze e i momenti di preghiera intonati dal Coro giovanile diocesano “Voci di Giubilo” diretto da don Alessandro Scarda. Ad aprire l’incontro le parole dei genitori di Giampiero, Caterina e Mario Morettini, rotte dalla commozione e da un lungo applauso. «Giampiero – ha detto mamma Caterina – è sempre vivo attraverso tutti voi e il dolore che proviamo per la sua perdita, grazie alla vostra vicinanza, lo stiamo vivendo con serenità». Le foto della serata e dei genitori [gallery size="medium" ids="46409,46408,46410"] Giunti anche da lontano per Giampiero e onorare la sua vocazione sacerdotale. Nella grande sala del Centro “Capitini” c’erano anche non pochi ospiti venuti da fuori Perugia, come il vescovo di Macerata mons. Nazareno Marconi, che accolse da rettore Giampiero in Seminario. C’erano i genitori di un giovane sacerdote bergamasco di ventotto anni, don Giovanni Bertocchi, morto a seguito di un incidente avvenuto nei locali dell’Oratorio della sua parrocchia. E c’era la mamma di Ovidio Stamulis, il ragazzo di Pietrafitta (Pg) che amava la vita e animava il gruppo giovani della parrocchia, barbaramente assassinato in famiglia. Il cardinale Bassetti si è commosso nel presentare questi ospiti e le storie dei loro figli strappati alla vita, legati a Giampiero perché tutti loro «hanno amato Dio e si sono sentiti amati da Lui». «Dal sorriso di Giampiero – ha detto il cardinale – colgo la gioia pacata che deriva dal suo essere abitato da Cristo. Quando era in vita non ti dava l’impressione di uno che ha lasciato qualcosa, ma di uno che ha trovato Qualcuno. Mi sembra che questo sia emerso in maniera molto chiara da tutte le testimonianze. Giampiero quando ha capito che Cristo era pazzamente innamorato di lui, gli ha risposto con il suo “sì” cosciente e lucido e dall’allora non ha fatto che consumarsi per Lui. Giampiero camminava con i piedi per terra, perché dalla terra veniva, la sua origine era contadina, ma ogni giorno era spinto ad immergersi nel mistero di Dio, per scoprire i suoi segni. Perciò quando è venuta a mancare la sua presenza tra noi, è stato un vuoto immenso». Giampiero alimenta il «fuoco» delle vocazioni …, perché aveva il «profumo di Cristo». «Basterebbero le fotografie della vita di Giampiero con gli amici di seminario – ha proseguito il presule –, che abbiamo visto questa sera, per dirvi che Cristo, cari ragazzi, non vi chiede di fare cose straordinarie; Giampiero non le ha fatte, ma ci ha insegnato una cosa importante: a saltare il fosso per andare verso il Tutto e per sempre, per andare verso quell’Amore che l’aspettava. E questo è anche il suo grande insegnamento che lascia ai seminaristi ed è anche per questo che continuano a fiorire le vocazioni tra i giovani della nostra Umbria, dove c’è un fuoco acceso che io non mi so spiegare». «C’era in Giampiero la voglia di vedere lontano, anche se camminava con i piedi in terra – ha commentato il cardinale –, e il suo vivere semplice faceva si che da lui potesse uscire quel profumo di Cristo, che è fondamentale per ogni prete, che la gente ha diritto di incontrare e di assaporare. Se fosse diventato prete di lui papa Francesco avrebbe detto che aveva il “profumo delle pecore”, ma nessuno può avere il “profumo delle pecore” se non ha il profumo di Cristo».   La «bellezza di Dio attraverso Giampiero» che è vivo attraverso i suoi numerosi amici. E’ stata una serata molto particolare, «una serata vocazionale», così l’ha definita suor Roberta Vinerba, che ha esortato a vedere «la bellezza di Dio attraverso Giampiero». Il cardinale Bassetti ha parlato di «serata unica emotivamente nella mia vita» e, al termine, rivolgendosi ai presenti, ha detto: «Raccontate alle vostre famiglie, ai vostri amici la gioia che questa serata ci ha trasmesso nel vivo ricordo di Giampiero».Tutti hanno avuto parole commoventi e pregne di ricordo vivo per il giovane seminarista perugino legatissimo all’adorazione eucaristica e alla preghiera del Rosario, come è emerso dalle testimonianze. Poche volte sono stati usati i verbi al passato, perché «Giampiero è sempre vivo». Sintetizziamo questo sentimento condiviso con la frase: «Giampiero vive attraverso noi nel pensarlo accanto a noi nelle nostre giornate in Seminario, in parrocchia, all’oratorio, nei luoghi di ritrovo, in famiglia …».  ]]>

È stata una grande serata di forti emozioni e di immensa gioia in ricordo del seminarista perugino Giampiero Morettini (1977-2014), quella che si è svolta al Centro congressi “A. Capitini” in Perugia il 1° giugno con centinaia di persone tra laici, sacerdoti, religiosi e religiose ma soprattutto tantissimi giovani e i compagni del Pontificio Seminario Umbro “Pio XI” di Assisi. Giampiero, che prima di entrare in Seminario lavorava presso l’azienda agricola di famiglia, è tornato alla Casa del Padre il 21 agosto 2014 per le complicanze insorte dopo un intervento al cuore resosi necessario a seguito di una malformazione congenita scoperta dopo un malore che lo colpì mentre si trovava in Seminario. Alla serata in suo ricordo è intervenuto il cardinale Gualtiero Bassetti, che è stato lui a volerla come anche il libro biografico scritto da suor Roberta Vinerba dal titolo: “Con lui Dio non si era sbagliato. Giampiero Morettini” (Edizioni Paoline, Milano 2016, pp. 158). Questa pubblicazione è stata presentata dallo stesso porporato insieme all’autrice, che ha introdotto le numerose testimonianze e i momenti di preghiera intonati dal Coro giovanile diocesano “Voci di Giubilo” diretto da don Alessandro Scarda. Ad aprire l’incontro le parole dei genitori di Giampiero, Caterina e Mario Morettini, rotte dalla commozione e da un lungo applauso. «Giampiero – ha detto mamma Caterina – è sempre vivo attraverso tutti voi e il dolore che proviamo per la sua perdita, grazie alla vostra vicinanza, lo stiamo vivendo con serenità». Le foto della serata e dei genitori [gallery size="medium" ids="46409,46408,46410"] Giunti anche da lontano per Giampiero e onorare la sua vocazione sacerdotale. Nella grande sala del Centro “Capitini” c’erano anche non pochi ospiti venuti da fuori Perugia, come il vescovo di Macerata mons. Nazareno Marconi, che accolse da rettore Giampiero in Seminario. C’erano i genitori di un giovane sacerdote bergamasco di ventotto anni, don Giovanni Bertocchi, morto a seguito di un incidente avvenuto nei locali dell’Oratorio della sua parrocchia. E c’era la mamma di Ovidio Stamulis, il ragazzo di Pietrafitta (Pg) che amava la vita e animava il gruppo giovani della parrocchia, barbaramente assassinato in famiglia. Il cardinale Bassetti si è commosso nel presentare questi ospiti e le storie dei loro figli strappati alla vita, legati a Giampiero perché tutti loro «hanno amato Dio e si sono sentiti amati da Lui». «Dal sorriso di Giampiero – ha detto il cardinale – colgo la gioia pacata che deriva dal suo essere abitato da Cristo. Quando era in vita non ti dava l’impressione di uno che ha lasciato qualcosa, ma di uno che ha trovato Qualcuno. Mi sembra che questo sia emerso in maniera molto chiara da tutte le testimonianze. Giampiero quando ha capito che Cristo era pazzamente innamorato di lui, gli ha risposto con il suo “sì” cosciente e lucido e dall’allora non ha fatto che consumarsi per Lui. Giampiero camminava con i piedi per terra, perché dalla terra veniva, la sua origine era contadina, ma ogni giorno era spinto ad immergersi nel mistero di Dio, per scoprire i suoi segni. Perciò quando è venuta a mancare la sua presenza tra noi, è stato un vuoto immenso». Giampiero alimenta il «fuoco» delle vocazioni …, perché aveva il «profumo di Cristo». «Basterebbero le fotografie della vita di Giampiero con gli amici di seminario – ha proseguito il presule –, che abbiamo visto questa sera, per dirvi che Cristo, cari ragazzi, non vi chiede di fare cose straordinarie; Giampiero non le ha fatte, ma ci ha insegnato una cosa importante: a saltare il fosso per andare verso il Tutto e per sempre, per andare verso quell’Amore che l’aspettava. E questo è anche il suo grande insegnamento che lascia ai seminaristi ed è anche per questo che continuano a fiorire le vocazioni tra i giovani della nostra Umbria, dove c’è un fuoco acceso che io non mi so spiegare». «C’era in Giampiero la voglia di vedere lontano, anche se camminava con i piedi in terra – ha commentato il cardinale –, e il suo vivere semplice faceva si che da lui potesse uscire quel profumo di Cristo, che è fondamentale per ogni prete, che la gente ha diritto di incontrare e di assaporare. Se fosse diventato prete di lui papa Francesco avrebbe detto che aveva il “profumo delle pecore”, ma nessuno può avere il “profumo delle pecore” se non ha il profumo di Cristo».   La «bellezza di Dio attraverso Giampiero» che è vivo attraverso i suoi numerosi amici. E’ stata una serata molto particolare, «una serata vocazionale», così l’ha definita suor Roberta Vinerba, che ha esortato a vedere «la bellezza di Dio attraverso Giampiero». Il cardinale Bassetti ha parlato di «serata unica emotivamente nella mia vita» e, al termine, rivolgendosi ai presenti, ha detto: «Raccontate alle vostre famiglie, ai vostri amici la gioia che questa serata ci ha trasmesso nel vivo ricordo di Giampiero».Tutti hanno avuto parole commoventi e pregne di ricordo vivo per il giovane seminarista perugino legatissimo all’adorazione eucaristica e alla preghiera del Rosario, come è emerso dalle testimonianze. Poche volte sono stati usati i verbi al passato, perché «Giampiero è sempre vivo». Sintetizziamo questo sentimento condiviso con la frase: «Giampiero vive attraverso noi nel pensarlo accanto a noi nelle nostre giornate in Seminario, in parrocchia, all’oratorio, nei luoghi di ritrovo, in famiglia …».  ]]>
Le parole di papa Francesco per il Giubileo della vita consacrata https://www.lavoce.it/profeti-solidali-e-speranzosi/ Fri, 05 Feb 2016 10:29:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45330 vita-consacrata2015_CMYK.jpgDa “religioso” anche lui (ossia appartenente alla Compagnia di Gesù, i gesuiti), Papa Francesco ha parlato dal cuore ai religiosi e religiosi venuti a Roma per il Giubileo della vita consacrata, il 1° febbraio in aula Paolo VI. Tant’è che non ha letto il discorso che aveva preparato ma ha parlato interamente a braccio.
Era anche la conclusione dell’Anno dedicato alla vita consacrata, la quale – ha detto Bergoglio – ha “tre pilastri. Il primo è la profezia, l’altro è la prossimità, e il terzo è la speranza”. Ha però cominciato dalla più ‘classica’ virtù dei monaci: l’obbedienza.
“La perfetta obbedienza è quella del Figlio di Dio, che si è annientato, si è fatto uomo per obbedienza, fino alla morte di croce. Ci sono tra voi uomini e donne che vivono un’obbedienza forte” e dicono: “Secondo le regole devo fare questo, questo e questo. E se non vedo chiaro qualcosa, parlo con il superiore, con la superiora, e, dopo il dialogo, obbedisco”. Questa – ha commentato il Papa – “è la profezia, contro il seme dell’anarchia, che semina il diavolo. ‘Tu che fai?’ – ‘Io faccio quello che mi piace’. L’anarchia della volontà è figlia del demonio, non è figlia di Dio!”. E a proposito di profezia, essa consiste nel “dire alla gente che c’è una strada di felicità, di grandezza, una strada che ti riempie di gioia, che è proprio la strada di Gesù. È la strada di essere vicino a Gesù. È un dono, è un carisma, la profezia, e lo si deve chiedere allo Spirito santo: che io sappia dire quella parola, in quel momento giusto; che io faccia quella cosa in quel momento giusto; che la mia vita, tutta, sia una profezia… Poi l’altra parola è la prossimità. Uomini e donne consacrate non per allontanarmi dalla gente e avere tutte le comodità, no! Per avvicinarmi e capire la vita dei cristiani e dei non cristiani, le sofferenze, i problemi, le tante cose che si capiscono soltanto se un uomo e una donna consacrati diventano prossimo. ‘Ma, Padre, io sono una suora di clausura, cosa devo fare?’. Pensate a santa Teresa del Bambin Gesù, patrona delle missioni, che con il suo cuore ardente era prossima, e le lettere che riceveva dai missionari la facevano più prossima alla gente”.
La scelta della vita consacrata – ha aggiunto – non è uno status di vita che mi fa guardare gli altri così [con distacco]. La vita consacrata mi deve portare alla vicinanza con la gente: vicinanza fisica, spirituale, conoscere la gente”. Il Papa è quindi tornato su un tema che gli è particolarmente caro, quando parla dello stile di vita quotidiana del cristiano, religioso o laico che sia: “Sentite bene: non le chiacchiere, il terrorismo delle chiacchiere! Perché chi chiacchiera è un ‘terrorista’ dentro la propria comunità, perché butta come una bomba la parola contro questo, contro quello, e poi se ne va tranquillo. Distrugge! Chi fa questo, distrugge. Questa, l’apostolo Santiago [ossia Giacomo, vedi Gc 3,5-10] diceva che era la virtù forse più difficile, la virtù umana e spirituale più difficile da avere: quella di dominare la lingua”. Infine, la speranza, la virtù che guarda con fiducia al futuro.
E qui Francesco si è confidato con l’uditorio: “Vi confesso che a me costa tanto quando vedo il calo delle vocazioni, quando ricevo i vescovi e domando loro: ‘Quanti seminaristi avete?’ – ‘Quattro, cinque…’. Quando voi, nelle vostre comunità religiose, maschili o femminili, avete un novizio, una novizia, due, e la comunità invecchia, invecchia…. a me questo fa venire una tentazione che va contro la speranza: ‘Ma, Signore, cosa succede? Perché il ventre della vita consacrata diventa tanto sterile?’. Alcune congregazioni fanno l’esperimento della ‘inseminazione artificiale’. Accolgono: ‘Ma sì, vieni, vieni, vieni…’. E poi i problemi che [nascono] lì dentro… No, si deve accogliere con serietà! Si deve discernere bene se questa è una vera vocazione, e aiutarla a crescere. E credo che contro la tentazione di perdere la speranza, che ci dà questa sterilità, dobbiamo pregare di più. E pregare senza stancarci”. Con il consueto realismo, ha aggiunto: “Perché c’è un pericolo… questo è brutto, ma devo dirlo: quando una congregazione religiosa vede che non ha figli e nipoti e incomincia a essere sempre più piccola, si attacca ai soldi. E voi sapete che i soldi sono lo sterco del diavolo… E così non c’è speranza! La speranza è solo nel Signore!”.
Per concludere con un grande abbraccio fraterno: “Vi ringrazio tanto per quello che fate”, voi “consacrati, ognuno con il suo carisma!”.

 

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Misericordia, cuore della vita consacrata https://www.lavoce.it/misericordia-cuore-della-vita-consacrata/ Fri, 29 Jan 2016 08:06:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45203 Padre-Domenico-CancianDurante quest’anno su La Voce ogni Istituto religioso presente in regione ha fatto conoscere il proprio carisma e la propria missione. Ci siamo resi conto della ricchezza della vita consacrata nelle nostre Chiese che hanno visto fiorire una moltitudine di sante e santi religiosi, alcuni dei quali fondatori e fondatrici di ordini e congregazioni noti in tutto il mondo. La felice coincidenza della chiusura dell’Anno della vita consacrata, il 2 febbraio 2016, con il Giubileo straordinario della Misericordia, da poco iniziato, entrambi voluti da papa Francesco, ci aiuta a fare una semplice e profonda affermazione conclusiva: la “misericordia”, che è al centro del Vangelo, “deve essere anche al cuore di ogni carisma religioso”, in modo ancora più deciso. La Parola di Gesù: “Siate misericordiosi come il Padre“ è rivolta in modo tutto particolare alle persone consacrate che si propongono la sequela radicale di Gesù. Più precisamente, questo comporta alcuni orientamenti.

1. Ogni vocazione, quella religiosa in particolare, proviene da uno sguardo che è allo stesso tempo espressione di misericordia e di elezione da parte del Signore ( miserando atque eligendo). Solo nella misura in cui si è consapevoli di avere ricevuto e di ricevere continuamente in modo personale l’amore misericordioso, si può offrire la gioiosa testimonianza del vangelo.

2. Da questa esperienza personale, sempre più coinvolgente, scaturisce l’impegno di “trasformare le comunità religiose” in luoghi nei quali ogni giorno s’impara a mettere in atto il dono e il perdono reciproco, la correzione fraterna, la mutua accoglienza delle diversità e il servizio.

3. L’esperienza personale e comunitaria della misericordia dovrebbe portarci ancora più a vivere la missione di Gesù stesso: “portare il Vangelo dell’amore misericordioso” ai poveri con le opere di misericordia corporale e spirituale, portare la tenerezza di Dio agli uomini sfiduciati che, feriti dalla vita, hanno chiuso il cuore alla speranza.

San Francesco nel suo Testamento ha lasciato scritto che egli aveva imparato fin dalla sua conversione una cosa: facere misericordiam . Del resto, non sono stati forse i carismi religiosi a tenere in piedi “l’architrave della misericordia” e a sorreggere la vita della Chiesa? La stessa appartenenza di papa Francesco all’ordine religioso dei Gesuiti è per lui un notevole aiuto nell’opera di rinnovamento della Chiesa e del mondo. Il Papa parla della “rivoluzione della tenerezza”.

Egli dice che tutto “dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza” e nulla “può essere privo di Misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’Amore misericordioso e compassionevole” ( MV 10).

Chiediamoci come questo volto misericordioso, che è il cuore del vangelo, possa e debba “rivoluzionare” il nostro modo di pensare e di vivere, di celebrare e di testimoniare con le opere caritative la missione stessa di Cristo. Ciò richiede una profonda revisione di vita che porti a superare pesantezza e stanchezza, a non cedere alla mediocrità e alla mondanità spirituale, a non fare della vita consacrata un luogo protetto, a svegliarsi e ad abbandonare ogni stile di vita non evangelico.

Come dare oggi un volto all’amore misericordioso di Dio? Santa Teresa del Bambin Gesù si è offerta vittima all’Amore misericordioso, moltiplicando le attenzioni nei confronti delle sorelle, intercedendo incessantemente per le necessità della Chiesa missionaria. Santa Faustina Kowalska chiede al Signore la grazia di essere interamente trasformata nella sua divina misericordia: occhi, udito, lingua, mani, piedi e cuore. La Beata Madre Speranza diceva: “Un amore che non opera non è amore, se non riscalda e non brucia non è amore”. Insomma la Misericordia porta a vivere la consegna che il Papa aveva dato per l’anno della vita consacrata: “Vangelo, Profezia e Speranza”.

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“Restaurati” da Cristo https://www.lavoce.it/restaurati-da-cristo/ Wed, 22 Jul 2015 13:48:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=39836 Un momento del Convegno a Collevalenza
Un momento del Convegno a Collevalenza

Dal 14 al 18 luglio si è svolto a Collevalenza, presso la struttura di accoglienza del santuario dell’Amore Misericordioso, un incontro internazionale di pastorale giovanile e vocazionale.

Padri e Ancelle provenienti da Spagna, Italia, Brasile, Bolivia, Messico, Cile, Romania, Germania hanno riflettuto sul senso di identità e di appartenenza, consapevoli di essere chiamati a essere icona dell’Amore Misericordioso, icona vivente capace di mostrare ai giovani la bellezza dell’Amore Misericordioso.

Dopo il messaggio introduttivo su “il senso di appartenenza come fondamento della pastorale giovanile e vocazionale” reso da m. Speranza Montecchiani, superiora generale delle Ancelle, e da p. Aurelio Perez, superiore generale dei Fam, i partecipanti all’incontro hanno ascoltato le relazione di don Fabio Attard, salesiano, consigliere generale per la pastorale giovanile, di p. Francesco Piloni, ofm, responsabile del servizio orientamento giovani di Assisi, e di p. Andrea Arvalli, ofm conv, responsabile del progetto “Portico francescano”.

Don Fabio Attard ha tracciato un dettagliato e prezioso quadro di riferimento della pastorale giovanile a livello internazionale. Padre Piloni ha illustrato il metodo che i Frati minori hanno sperimentato in più di trent’anni e la cui idea centrale è “lasciarsi restaurare da Gesù Cristo”: il mandato di Gesù a Francesco d’Assisi perché riparasse la sua Chiesa.

Per la famiglia dell’Amore Misericordioso può essere centrale un cammino di riconciliazione con Dio, Padre buono e misericordioso che arde di amore per tutti gli uomini. Ecco alcuni suggerimenti di padre Francesco per i responsabili del settore: l’importanza della prima evangelizzazione (infatti non ci sono vocazioni senza evangelizzazione, senza annunciare la Pasqua del Cristo); proporre ai giovani una meta alta, la prospettiva di legare la propria vita a Qualcuno; offrire ai giovani il “sogno di Dio”, il Suo progetto d’amore; suscitare in loro domande fondamentali come “Chi ti abita? A chi obbedisci? Da dove vieni, dove sei, dove vai, per quale strada passi?”.

In questo senso – ha ribadito Piloni – la strada passa per i personaggi biblici, che permettono ai giovani di vivere processi di identificazione positivi e una vera propria scuola di amore.

Soltanto la sacra Scrittura può suscitare nel cuore dei ragazzi le domande giuste e, nell’epoca delle passioni tristi, ristabilire l’ordine dei quattro desideri, quelli dell’uomo e quelli di Dio per ogni uomo/donna: diventare uomo (donna), essere figlio (figlia), sposo (sposa) e padre (madre).

Ciò che fa la differenza è la possibilità di accompagnare i giovani verso la purificazione delle loro storie, stando loro accanto senza fare gli “amiconi” ma in virtù dell’autorevolezza di animatori dal cuore grande e libero, attenti a curare una formazione a tutto campo, per comprendere il linguaggio delle nuove generazioni, parlando il linguaggio di Dio e indicando la misura alta della vita.

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Crescere insieme https://www.lavoce.it/crescere-insieme/ Tue, 07 Jul 2015 10:43:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37688 Paola e Maurizio Leonardi con i figli Luca e Andrea e le figlie Maria Letizia e Maria Giulia
Paola e Maurizio Leonardi con i figli Luca e Andrea e le figlie Maria Letizia e Maria Giulia

Dopo qualche settimana di pausa, in cui abbiamo riascoltato alcuni “storici” commentatori della Parola su La Voce, da questa settimana torna la Bibbia “firmato famiglia” con i coniugi Leonardi, Paola e Maurizio. Nel ringraziarli per la loro disponibilità, ringraziamo ancora quanti li hanno preceduti.

Maurizio è chimico e manager, spesso impegnato per lavoro oltreoceano, mentre Paola è casalinga, ma non meno “presa” dalla gestione familiare. Sono Salesiani cooperatori dal 1984 e sposi dal 1987. Hanno due figli, Luca ed Andrea di 27 e 22 anni, e due figlie, Maria Letizia e Maria Giulia di 25 e 16 anni. Luca e Maria Letizia, anche loro Salesiani cooperatori e già laureati all’Università di Perugia, sono alle prese con le prime esperienze lavorative; e tutti e quattro offrono il loro impegno in attività di animazione in ambito giovanile.

Quale servizio svolgete nella comunità ecclesiale?

“Prima del matrimonio – ci dicono Paola e Maurizio – eravamo entrambi impegnati nella pastorale giovanile e nella catechesi. Dopo i primi anni di matrimonio abbiamo accolto con gioia l’invito ad animare, col nostro parroco, gruppi di giovani coppie nostre coetanee e, con alcune di loro e il parroco, abbiamo iniziato ad accompagnare il cammino dei nubendi entrando anche a far parte della Commissione diocesana della pastorale familiare di cui il Vescovo ci ha affidato la corresponsabilità nel 2011. Dallo scorso maggio, Maurizio è anche segretario del Consiglio pastorale diocesano di Terni”.

E la vostra spiritualità coniugale?

“Il nostro essere famiglia da 28 anni, si è sempre caratterizzato come crescita in ‘una sola carne’ nella nostra vocazione cristiana e coniugale, nell’appartenenza alla comunità cristiana e nel servirla con entusiasmo ed impegno a livello parrocchiale e diocesano scoprendo e testimoniando ogni giorno la bellezza e la responsabilità reciproca di ‘rendere la moglie più donna e il marito più uomo’”.

Le radici del vostro impegno come laici nella Chiesa.

“Sappiamo di dover essere grati alle nostre famiglie di provenienza e alla loro testimonianza di fede, semplice ma incarnata che – nei momenti di gioia ma anche nelle difficoltà e nel dolore – ha costituito una risorsa sicura a cui attingere per avere sostegno e incoraggiamento. Non di meno è stato per noi determinante l’incontro con Gesù e con la sua Chiesa nel volto gioioso e accogliente della spiritualità salesiana che, attraverso i figli di don Bosco e l’associazione dei Salesiani cooperatori, si è presa cura di noi e, nonostante i nostri limiti, continua a impregnare il nostro essere sposi e genitori. Cerchiamo di mantenerci sempre attenti alla dimensione educativa delle relazioni familiari ed ecclesiali, improntate al trinomio ragione, religione, amorevolezza”.

 

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“Dico con gioia: prete è bello” https://www.lavoce.it/dico-con-gioia-prete-e-bello/ Wed, 24 Jun 2015 09:03:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36411 Milli-1“Prete è bello, e posso dirlo con la gioia nel cuore”. Don Filippo Milli, con l’occhio umido e la voce rotta dall’emozione, al termine della celebrazione in cui è stato ordinato sacerdote, domenica 21 giugno, ha salutato con queste parole i tanti fedeli presenti in cattedrale.

La liturgia era presieduta dal vescovo Cancian, che ha concelebrato con mons. Pellegrino Tomaso Ronchi, mons. Nazzareno Marconi e tutto il clero diocesano. L’evento ha rappresentato una grande festa per la Chiesa tifernate, che ha accolto con calore il giovane don Filippo (24 anni), in servizio come vicario parrocchiale a San Giustino, dove già svolgeva il ministero di diacono.

Durante l’omelia il Vescovo ha detto che “Cristo, con il suo amore, vuole cambiare le nostre vite, vuole farci persone nuove, libere dal male”. In seguito, dispensando alcuni consigli a don Filippo e ai presenti, ha ricordato anche quanto sia importante “fidarsi del Signore” e di dedicarsi assiduamente alla preghiera, cercando di “restare con Cristo” e di seguire i suoi insegnamenti.

Ha terminato con due richieste al neo-sacerdote: “Da oggi appartieni a questo presbiterio. Cerca di vivere con il massimo impegno la fraternità sacerdotale, la comunione presbiterale da cui partire per portare il Vangelo a tutti. Infine ti chiedo l’obbedienza, che probabilmente è la cosa più difficile; legato a questa è anche il tuo prossimo servizio pastorale come vice parroco nella comunità di San Giustino”.

Alla stessa comunità di San Giustino sono andati i primi pensieri di don Filippo, che nei ringraziamenti conclusivi ha ricordato, con emozione, anche l’accoglienza e il sostegno dimostratagli da don Gino Capacci, al suo arrivo nella parrocchia sangiustinese.

Don Filippo, infine, al termine della celebrazione, ha colto l’occasione dei tanti giovani presenti in chiesa per proporre una piccola testimonianza del suo percorso verso il sacerdozio e invitare tutti a riflettere su quale sia la propria vocazione. “Non abbiate paura di seguire Gesù – ha affermato. – Se sono qui, lo devo all’amore di Gesù, che è più forte dei nostri peccati… Prendi in mano la tua vita e non avere paura, perché con te c’è il Signore. E anche se sembra chiedere tanto, la Sua ricompensa sarà sempre molto più grande di quanto possiamo immaginare”.

Milli-3Don Filippo celebrerà a Promano, sua parrocchia di provenienza, la sua prima messa domenica prossima, 28 giugno, alle ore 11.30.

 

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Perugia: ordinato sacerdote don Lorenzo Perri dal cardinale Gualtiero Bassetti https://www.lavoce.it/perugia-ordinato-sacerdote-don-lorenzo-perri-dal-cardinale-gualtiero-bassetti/ Tue, 23 Jun 2015 12:47:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36380 imposizione delle mani del card gualtiero bassetti sul capo di don lorenzo perri (1)Lo scorso 20 giugno, nella cattedrale di San Lorenzo in Perugia, sacerdoti, religiosi, religiose, seminaristi e fedeli dell’Archidiocesi si sono ritrovati numerosi attorno al ventiseienne don Lorenzo Perri, ordinato presbitero dal cardinale Gualtiero Bassetti; concelebranti il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti e l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti. Con don Lorenzo i sacerdoti perugino-pievesi sono 112 e la Chiesa diocesana sta vivendo una “primavera di vocazioni” con i suoi 20 seminaristi che studiano presso il Pontificio Seminario Regionale Umbro “Pio XI”, dei quali tre il prossimo 12 settembre, a conclusione dell’Assemblea diocesana, saranno ordinati diaconi avvicinandosi al presbiterato.

Don Lorenzo Perri, che domenica 21 giugno ha celebrato la sua prima messa nella chiesa parrocchiale di Santo Spirito, dove ricevette il sacramento del Battesimo dall’attuale parroco mons. Saulo Scarabattoli, pochi giorni prima della sua ordinazione ha scritto al cardinale Bassetti una “breve, concisa, essenziale lettera”, come lo stesso porporato l’ha definita nel leggere la parte finale durante l’omelia, accogliendola come “una provocazione così positiva e forte”.

“Mi affido alla sua custodia – ha scritto il futuro sacerdote –, sapendo di non vantare l’applauso di molti, ma rassicurato dalla certezza che la mia vita sia cara ai suoi occhi, tanto e quanto essa è cara agli occhi di Dio”. Al riguardo il cardinale ha parlato di “esame di coscienza per un vescovo” e di un “richiamo ad una paternità profonda e sincera”. Ed ha aggiunto: “Mi sono chiesto: la vita dei miei preti, dei miei seminaristi, dei consacrati, dei diaconi, delle famiglie, di tutto il popolo di Dio che mi è stato affidato, è davvero cara ai miei occhi tanto e quanto è cara agli occhi di Dio? Il brano della Lettera ai Corinzi (letto durante la celebrazione, n.d.r.) ci viene incontro e dà senso a tutto ciò che sta per compiersi in te Lorenzo, nella nostra Chiesa diocesana e in tutta la Chiesa”.

“Noi uomini siamo e riposiamo nelle “mani di Dio”… L’importante è aver preso Gesù sulla nostra barca”

E poi la profonda riflessione del porporato sull’“ordinazione di un presbitero”, che “è di fatto un’indicibile Pentecoste. L’amore di Cristo ci possiede. Lui è morto per noi e noi viviamo per Lui, risorto. Perciò chi è in Cristo è una nuova creatura: le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove… Noi uomini siamo e riposiamo nelle ‘mani di Dio’. È una verità che avrebbero dovuto credere gli Apostoli nell’attraversare il lago, che, pur avendo Gesù sulla barca, ebbero paura di affondare. Una verità in cui dobbiamo credere tutti, soprattutto nelle prove e nei momenti difficili.

E Dio che è padre non lascerà cadere il proprio figliolo! Diceva giustamente santa Teresa d’Avila: ‘Nulla ti turbi, nulla ti spaventi. Tutto passa solo Dio non cambia’. Eppure, ci dice Gesù, ‘perché avete paura? Non avete ancora fede?’. Non siamo soli sulla barca, anche se nel mare c’è tempesta. Talvolta sembra che Dio dorma nella nostra vita. Talvolta ci sembra di essere soli nella lotta contro il male; ma attorno a noi non c’è il vuoto. Le mani di Dio sono più sicure delle nostre. Diceva san Giovanni XXIII: ‘Il Signore sa che ci sono e questo mi basta’. L’importante è aver preso Gesù sulla nostra barca: si tratti della barca della vita, della barca della Chiesa. Oggi, purtroppo, Gesù è escluso da troppe barche, dal cuore di troppe persone, di troppe famiglie”.

La croce è la gloria del prete!

Rivolgendosi al neo sacerdote, il cardinale Bassetti ha detto: “sono grato innanzitutto a te Lorenzo, che ti consegni liberamente e generosamente per l’ordinazione sacerdotale, come sono grato al nostro Seminario Regionale che ti ha aiutato, alla tua famiglia, alla comunità parrocchiale di origine e alle parrocchie a cui sei stato affidato in questi anni di formazione. Un grazie familiare e affettuoso ai sacerdoti, ai consacrati, ai fedeli della Diocesi, che, con la loro presenza, hanno reso più bella questa ordinazione. Caro Lorenzo, ti dico con forza che la croce è la gloria del prete! Sublime mistero, fecondissima esperienza della vita sacerdotale! Essa è il punto culminante della redenzione e perciò dell’adempimento della vocazione sacerdotale. Amore e dolore, come è avvenuto nella vita di Francesco d’Assisi, sono il canto unico ed unitario della vita del prete.

Amore e dolore si integrano e si incrociano per patire i patimenti di tutti, per piangere con chi piange e per esprimere la gioia della nostra vita e della nostra vocazione che possono far sorridere il mondo. Un mondo che difficilmente sorride ma che, nella vocazione del prete, dovrebbe, in modo particolare, vedere il sorriso della grazia. Sono i sacramenti, particolarmente l’Eucaristia celebrata e vissuta, che danno l’immedesimazione efficace alla croce e alla gloria, che fanno del sacerdote un imitatore perfetto di Gesù Cristo ed un amministratore gioioso dei misteri di Dio ad un mondo che, forse senza accorgersene, ne è affamato. E quanta fame e quanta sete di Dio hanno gli uomini di oggi, ad iniziare dai giovani seduti sulla gradinata della nostra cattedrale… Perciò noi preti non siamo per noi stessi, ma per la gente, per il popolo di Dio. Siamo mandati a dare gratuitamente, come gratuitamente abbiamo ricevuto”.

Occorre avere “il cuore di Cristo!”

“E noi per avere questo cuore – ha evidenziato il porporato – dobbiamo essere liberi dalle passioni di ogni tipo e soprattutto da quella terribile del ‘possesso’, che fa l’avarizia e il rinchiudersi in sé, ragione fondamentale di tanti fallimenti sacerdotali e della loro non credibilità. Liberi sempre, caro Lorenzo, per essere servi di misericordia, con un cuore libero, che si senta ‘donato’ e aperto al dono”.

La missione sacerdotale è quella di unire

Il cardinale Bassetti, avviandosi alla conclusione dell’omelia, ha ricordato a don Lorenzo che “la missione del prete è la più pacificante e la più gioiosa” e rivolgendosi al nuovo sacerdote ha detto “possa tu portare nella nostra Chiesa diocesana la speranza di una maggiore comunione fra noi e di un più profondo senso della comunità, per farti anche comunione di questo mondo diviso, di disperazione e di morte. È missione sacerdotale unire: essere corde di congiungimento come diceva san Giovanni Crisostomo”.

Le prime parola da presbitero diocesano di don Lorenzo Perri

Al termine della celebrazione, don Lorenzo ha pronunciato un breve ma toccante discorso di saluto-ringraziamento: “La mia benedizione va a mamma e papà per il dono della vita, a tratti tremenda, tutt’altro che allegra e spensierata, che Dio ha segnato con il passaggio di tutti voi qui presenti. Una vita che Dio ha toccato e diviso in due parti: ciò che c’era prima di incontrarvi, come fosse l’attesa di voi e ciò che c’è stato dopo avervi conosciuto, come fosse la promessa di amarvi per sempre.

Non potendo ricordarvi a uno a uno, vi benedico tutti. Ringrazio tutte le famiglie e gli amici che sono venuti dalla valle tiberina, gli zii e i parenti che sono venuti da lontano, tutta la famiglia, le parrocchie di Madonna Alta, Monteluce, Pierantonio, Solfagnano, Rancolfo, Civitella Benazzone, Santo Spirito e Ferro di Cavallo. Benedico Dio per tutte le amiche e gli amici e i responsabili della ‘Montegrillo Fc’, la piccola società sportiva dove sono cresciuto. Una squadra così scarsa, che in dieci anni non ha vinto mai niente.

Mi avete chiesto ‘chi fosse Dio’ e non sono mai stato in grado di rispondervi. Ci sono pure entrato in Seminario per tentare di rispondervi e non ho ancora trovato le parole e le opere per farlo. Vedendo però come vi siete amati in tutto questo tempo, servendovi e perdonandovi l’un l’altro ogni giorno, siete stati per me la prova che Dio e l’amore esistono e sono la medesima realtà. Verrò a vedervi ridere mentre perdete l’ennesimo torneo di periferia… Viva Cristo Re!”.

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Carismi: nati per diventare ministeri https://www.lavoce.it/carismi-nati-per-diventare-ministeri/ Wed, 06 May 2015 12:49:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32815 Mons. Mario Ceccobelli e Mons. Pietro Bottaccioli
Mons. Mario Ceccobelli e Mons. Pietro Bottaccioli

“I ministeri laicali vanno sviluppati non perché mancano i preti, ma perché così deve essere la Chiesa: una comunità viva e articolata, cui lo Spirito santo dona carismi in abbondanza. La Chiesa stessa, con il discernimento ultimativo di chi la guida, trasforma questi carismi in ministeri, cioè in servizi continuativi e ben organizzati per la sua corretta edificazione”. È un passo dell’omelia pronunciata dal vescovo Mario Ceccobelli il 30 aprile durante la solenne celebrazione eucaristica officiata in duomo in occasione della festa dei santi Mariano e Giacomo, titolari della Cattedrale, alla presenza dei numerosi ministri istituiti in tutta la diocesi.

Il presule ha ricordato che tali ministeri non sono un “benevola concessione” dei Vescovi in questi tempi, ma un’esigenza propria della nostra identità di battezzati: la Chiesa di Cristo è un organismo sociale pienamente carismatico, che deve diventare tutto ministeriale. Nella comunità cristiana non ci sono attori e spettatori, tutti sono attori. In una Chiesa locale, quindi, deve esserci il riconoscimento di questi doni e la loro destinazione al servizio della comunità.

Durante la celebrazione sono stati istituiti lettori e ministri straordinari della comunione eucaristica che, mediante un percorso articolato durante tutto l’anno, pastorale si sono preparati ad approfondire la loro vocazione al ministero.

Molteplici gli spunti che il Vescovo ha offerto durante l’omelia, sia sull’identità ministeriale della Chiesa sia sulla spiritualità che dovrebbe esercitare l’esercizio di ogni ministero.

Per quanto riguarda la spiritualità dei ministeri, mons. Ceccobelli ha anzitutto sottolineato l’importanza di curare la propria vita interiore, indispensabile per portare buoni frutti.

Allo scopo di fornire indicazioni specifiche, ha focalizzato due aspetti: da una parte, il rapporto con il Risorto; dall’altra, l’atteggiamento fondamentale da mantenere nell’esercizio del proprio ministero. Per quanto riguarda il primo punto mons. Ceccobelli, partendo dal discorso di Gesù sulla vite e i tralci riportato dall’evangelista Giovanni, ha infatti ricordato come sia indispensabile rimanere nell’amore del Cristo per poter essere testimoni del suo amore e della sua misericordia.

Il Vescovo ha poi richiamato tutti i ministri presenti a esercitare il proprio ministero con umiltà, cioè con un atteggiamento di vero servizio per l’edificazione della comunità cristiana.

 

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Toccati dalla bellezza di Dio https://www.lavoce.it/toccati-dalla-bellezza-di-dio/ Thu, 23 Apr 2015 08:24:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31685 veglia-vocazioniMettersi in ascolto della voce di Cristo per comprendere quale sia la propria vocazione, per pregare insieme nella Giornata mondiale per le vocazioni.

La veglia di preghiera nella cattedrale di Terni nella serata del 24 aprile, presieduta dal vescovo Piemontese, segna una tappa importante del cammino di animazione avviato dal Centro diocesano Vocazioni, scandito da incontri per i ministranti, per giovani e adulti e da veglie di preghiera a Narni e Terni durante l’anno pastorale.

La veglia, che precede la Giornata mondiale per le vocazioni, è rivolta in particolare ai gruppi giovanili, un ritrovarsi per pregare coralmente per tutte le vocazioni, da quelle sacerdotali a quelle matrimoniali, alla vita consacrata, al diaconato o alla missione a cui sono invitati i giovani in ricerca.

“Un’occasione – spiega don Luca Andreani, direttore del Centro diocesano Vocazioni – per pregare perché il Signore doni nuove vocazioni alla diocesi, e pregare per comprendere quale sia la propria vocazione e come rispondere a essa. Il tema ‘Vocazioni e santità: toccati dalla Bellezza’ invita a riflettere su come la vocazione sia espressione di una vita piena e bella, un dono d’amore ricevuto e ridonato. Pieni dell’amore di Cristo, si è capaci di un dono vero e profondo per trasmettere la vita naturale e quella di Dio nella propria modalità vocazionale”.

La veglia si snoda con letture della Parola di Dio commentate dal Vescovo, e un canto – “Tu sei bellezza” – animato dai coristi della scuola di musica della parrocchia di Borgo Rivo e da una giovane danzatrice. Poi una preghiera per ogni singola vocazione, pronunciata da persone che hanno fatto una scelta nel matrimonio, nella vita consacrata, nei ministeri ordinati o nel servizio al prossimo.

“Affidiamo – continua don Luca – alla Madonna della Misericordia la nostra ricerca e il nostro impegno nella Chiesa, consegnando a ciascuno un mandato a percorrere la ricerca vocazionale”. L’appuntamento successivo per tutti i giovani sarà l’1 maggio alle ore 16 con la visita al monastero della Carmelitane Scalze di Macchia di Bussone, dove si terrà la preghiera e la meditazione personale silenziosa su brani del Vangelo. Successivamente il gruppo si sposterà allo Speco francescano di Narni per un incontro con i frati, con i quali si condividerà la cena, e a seguire un confronto sul tema della vocazione.

 

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Alle quattro del pomeriggio https://www.lavoce.it/alle-quattro-del-pomeriggio/ Mon, 12 Jan 2015 14:30:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29764 Il Vangelo di Giovanni, subito dopo il prologo (vv. 1-19) e la testimonianza del Battista (vv.19-34), presenta la chiamata dei primi discepoli. La narrazione si compone di due quadri simmetrici: nel primo si racconta la sequela di Andrea, del discepolo anonimo e di Pietro (vv. 35-42), nel secondo la chiamata di Filippo e Natanaele (vv. 43-51). Questa domenica leggeremo la chiamata dei primi tre discepoli, e come la loro vita occupò, da un giorno all’altro, un posto speciale nella storia della salvezza.

Il racconto giovanneo si discosta dai Sinottici perché non compare l’ambientazione del lago di Galilea. Soprattutto, colpisce per il modo immediato in cui i discepoli riconoscono il Messia, mentre per i Sinottici è la confessione di Pietro che segna una svolta nella penetrazione del mistero di Gesù. Decisiva è qui la mediazione del Battista, che “fissando lo sguardo su Gesù che passava” lo riconosce. In questo istante, fugace ma eterno, l’uomo percepisce che Dio ha fatto irruzione nella storia. Si compie un mistero di bellezza, un mistero che nel suo accadimento interroga profondamente anche le nostre vite. Lo sguardo di Giovanni è fermo, fisso, è lo sguardo del vecchio mondo della Legge che attende che le speranze si adempiano. Anche noi spesso e volentieri fermiamo la nostra vita, aspettiamo che la risposta al nostro vuoto di senso arrivi dall’alto a illuminare la nostra attesa, talvolta passiva e impaurita. Gesù sta passando, è in cammino, è il divenire, è dinamicità, è la storia della salvezza che mette l’umanità in strada.

Il camminare di Gesù è un andare che interpella l’uomo, che interroga la fissità delle nostre piccole certezze, alle quali ogni giorno ci aggrappiamo per nasconderci dalla vita. Gesù ci propone un senso che è incontro, esperienza personale, scoperta continua ma anche conflitto. Giovanni lo riconosce, così come lo riconoscono Andrea e il discepolo di cui non conosciamo il nome: è per la grazia di questo istante che iniziano a seguirlo. La sequela dei primi discepoli è la risposta a una domanda di senso che lo stesso Messia ripropone loro (“Che cosa cercate?”).

È Gesù che, nell’urgenza della domanda suscitata (“dove dimori?”), sceglie i suoi compagni (cfr. Gv 15,16). L’unico modo per partecipare alla storia della salvezza è allora quello del gesto concreto, scelto, voluto; è l’esperienza di vita, è l’incontro personale accettato. Così, messi in cammino dietro a Gesù, come ognuno di noi, anche i discepoli capiranno la grandezza di questa elezione soltanto nel tempo. Gesù invita i suoi discepoli: “Venite e vedrete”.

Loro percepiscono che la salvezza sta passando: “Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui”. Il dimorare e il restare dei discepoli derivano dallo stesso verbo greco (ménein). È in questo rimanere dentro l’esperienza di Cristo che il divenire della vita dei discepoli si carica di senso, pur nella dimensione perenne dell’andare. L’ora in cui avviene l’incontro (le 4 del pomeriggio) può essere un’ora qualunque, segno di un Dio che ci visita nella ferialità dei nostri giorni. Quelle 4 del pomeriggio – che sono “l’ora decima” – possono però anche rappresentare l’ora dell’adempimento (il 10 è simbolo di pienezza).

Fatto sta che da quel momento la vita dei discepoli cambia, inizia la loro sequela Christi, inizia quell’avventura straordinaria che li porterà a condividere l’esperienza dell’irruzione dell’Infinito nel finito; anzitutto e soprattutto nella loro vita personale. Il brano si conclude con l’ingresso di Pietro – futura “roccia” su cui Gesù costruirà la sua Chiesa – nella comunità messianica. È Andrea a portare Cristo nella vita di Pietro, così come Giovanni era stato il punto di convergenza tra Gesù e i primi due discepoli.

Anche da questo punto di vista emerge la scelta di Dio di utilizzare il tempo e lo spazio, e quindi le persone che li abitano, per abbracciare l’umanità. Dio è amore che ci incontra in luoghi precisi, attraverso persone precise. È un incontro fatto di vita vissuta che si incarna giorno per giorno, e che sempre cammina per le strade del mondo. Un Dio alla nostra portata, nelle nostre famiglie, nei nostri uffici, nei nostri supermercati, in ogni luogo della nostra vita su questa terra. Un Dio possibile, un Dio accessibile, tramite Gesù che ha mostrato l’uomo capace di Dio. Un Dio vicino, in ogni istante. Lo stesso istante che, attraverso gli occhi di Giovanni, spalancò al mondo l’opportunità della Bellezza.

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Tre nuovi preti per la Diocesi https://www.lavoce.it/tre-nuovi-preti-per-la-diocesi/ Fri, 20 Jun 2014 12:52:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25669 Matteo Rubechini
Matteo Rubechini
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Lorenzo-Marazzani
Marco (Pino) Cappellato
Marco (Pino) Cappellato

Sabato 28 giugno, nella solennità dei Santi Pietro e Paolo, Marco Cappellato, Lorenzo Marazzani e Matteo Rubechini saranno ordinati sacerdoti dall’arcivescovo Cardinale Gualtiero Basetti. Sarà un giorno di festa per tutta la comunità diocesana nella quale questi nuovi preti doneranno la loro vita a Cristo attraverso il servizio pastorale che il Vescovo vorrà chiedere loro.

Ma chi sono i tre che tra pochi giorni saranno sacerdoti diocesani perugino-pievesi, e come è nata in loro la chiamata a servire il Signore a la sua Chiesa?

La vita e la vocazione di Marco, detto Pino dagli amici, è riassunta nella una frase di Gesù che dice “gratuitamente avete ricevuto gratuitamente date”. “Questa, infatti, – racconta – è la frase che descrive meglio quello che è stato il mio cambiamento interiore”. Nato a Monza, ha vissuto fino all’età di 28 anni a santa Margherita di Lissone. Era un giovane come tanti che dopo la cresima “scappa” via. Lavora per 12 anni come idraulico ma quella domanda è sempre lì: “che senso ha la vita e per che cosa ne vale la pena vivere?”.
A 24 anni decide di cambiare qualcosa e per caso capita con amici al Campo Caritas in Case Basse di Nocera Umbra durante il sisma del 1997.
Da lì inizia un percorso interiore e geografico segnato dalla morte suo padre. Lasciato il lavoro va a vivere nella Casa Caritas in Sanfatucchio (Pg). Una sera va ad ascoltare la testimonianza di fede Lia Trancanelli che parla del marito Vittorio, morto da poco. Le ultime parole che Vittorio disse a Lia guardando il figli, quello naturale e quelli in affido, “per questo valeva la pena vivere” lo colpiscono. “Mi sembrava – racconta Marco – di aver trovato il grande senso della vita: aiutare e imparare a voler bene agli altri. Decisi in seguito di entrare in Seminario”.

Vocazione adulta anche quella di Lorenzo, 46 anni, di Trevi. Anche lui con gli anni si allontana dalla Chiesa e da Dio. Lavora e ritrova “il Signore Gesù Cristo e la maternità della Chiesa a Perugia, attraverso la predicazione cosiddetta dei ”Dieci Comandamenti” e all’esperienza del Cammino Neocatecumenale”. Dalla conversione arriva alla vocazione ed inizia il cammino di formazione presbiterale nel Seminario Regionale Umbro in Assisi, “con una grande gratitudine che ha costituito la forza e la spinta più grande per intraprendere questo percorso a quarant’anni”.

Ordinaria e straodinaria allo stesso tempo è invece la storia di Matteo, 25 anni, di Perugia, che già a 10 anni dice che da grande farà il prete. La sua famiglia non lo ostacola, ed è lì che “respira” la preghiera “soprattutto da mia nonna” e scopre progressivamente “la realtà celeste”, “soprattutto all’indomani della morte del mio amato nonno”. La vocazione sostenuta, pur nelle prove, dal “servizio all’altare, durante la messa”, e “dall’umile esempio” del suo parroco di allora”. “Legata a questo desiderio – aggiunge Matteo – è emersa gradualmente anche la responsabilità di chi solo sulla via del sacerdozio comprende di poter essere sale e luce per il mondo che abita”.

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Amati e chiamati a “uscire” https://www.lavoce.it/commento-al-vangelo-17/ Fri, 09 May 2014 12:21:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24767 La Parola di questa domenica ci offre un brano che temporalmente si colloca durante la missione di Gesù, e che oggi siamo chiamati ad ascoltare con orecchie e cuore resi nuovi dall’esperienza viva della Risurrezione. Come i discepoli di Emmaus, che abbiamo lasciato la scorsa domenica nella gioia di chi ha finalmente “compreso”, anche noi ora siamo invitati a riflettere su una Parola che assume pienezza alla luce del Signore risorto. Gesù è l’unico “buon” e “bel” pastore! Gesù è l’unica porta che apre alla felicità.

È il Pastore che conosce le sue pecore nel profondo e nell’unicità del proprio essere; è il Pastore che “odora di pecore” come ha detto di recente Papa Francesco, invitando i sacerdoti a esserlo anche loro. È il Pastore di tutti e di ciascuno, dove la contraddizione tra “universalità” e “particolarità” è conciliata nella Sua tenerezza incarnata (cfr. don Carlo Rocchetta, Teologia della Tenerezza). È il Pastore dei “recinti aperti”, che non rinchiude i suoi figli in una fede fatta di precetti morali o disincarnata. Egli apre alla vita, quella vera, fatta di libertà e fiducia. È Lui che segna il cammino, è Lui che si fa bell’esempio da seguire per trovare la felicità. Perché egli è il Cristo, ed è anche “porta”, passaggio, apertura verso la pienezza della nostra vocazione, di ogni vocazione. Non a caso, la Chiesa in questa domenica celebra anche la Giornata mondiale per le vocazioni. Solo con Lui come guida, la nostra sequela e il nostro apostolato non conosceranno la paura dei ladri e dei briganti, e noi avremo la vita in abbondanza.

Raggiungere allora la pienezza del Divino nella nostra vita vuol dire, prima di tutto, raggiungere la pienezza dell’Umano cui siamo chiamati dal Padre. La Parola di oggi invita ogni uomo e donna di buona volontà a realizzare tale pienezza secondo la propria vocazione specifica: i Pastori e i religiosi nelle proprie parrocchie o comunità, e noi famiglie nel nostro più “piccolo recinto”. Tutti e insieme, siamo chiamati a vivere ognuno la propria chiamata particolare non nella chiusura ma nell’apertura e nell’accoglienza, perché si realizzi l’idea di una “Chiesa in uscita” che sta tanto a cuore a Papa Francesco e di cui ha parlato anche nella Evangelii gaudium (nn. 23-24).

In particolare, per noi famiglie la Parola contiene il richiamo forte a dare l’esempio di una vita matrimoniale che esce dal proprio recinto, dalle proprie sicurezze per aprirsi agli altri e, in comunione con i sacerdoti, suggerire nuove vie pastorali alla Chiesa, con la certezza che Lui ci porterà “a pascoli erbosi e ad acque tranquille”, come annuncia il Salmo 22 di questa liturgia domenicale. Dovremo avere la forza e la convinzione di raccontare ai nostri figli, nella quotidianità, che si può spendere la propria vita per Lui, nelle molte chiamate e vocazioni che il Padre ha pensato per l’uomo, non solo attraverso la vita sponsale, ma anche come sacerdoti o religiosi.

Dovremo avere il coraggio di testimoniare per primi, a chi ci sta accanto, che siamo chiamati a vivere i misteri che spesso la vita ci mette dinanzi (un lutto, la crisi economica, l’incomprensione con i figli…), sapendo che solo Lui è la porta che apre a vie nuove dove ritrovare la vita, non come semplice “sopravvivere”, ma come tornare a vivere in pienezza. Quale tenerezza del Signore si rivela in quest’abbondanza evangelica! Un’abbondanza che promette il centuplo quaggiù e l’eternità in cielo, che elargisce un perdono che si ripete settanta volte sette, e che dona pani e pesci in quantità. Quanta bellezza nel sentirsi così amati da non avere più paura di abbandonare i nostri recinti! Quanta pienezza nel comprendersi come Suoi figli!

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Vivere il matrimonio come vocazione https://www.lavoce.it/vivere-il-matrimonio-come-vocazione/ Thu, 23 May 2013 14:13:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16916 Boccardo“Se dovessimo individuare, come Chiesa, una priorità dell’evangelizzazione, essa non potrebbe non includere il sostegno, la formazione e l’accompagnamento della famiglia”. Così si esprimeva il card. Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il clero, al ritiro spirituale dei sacerdoti dell’arcidiocesi di Spoleto-Norcia lo scorso 9 maggio. Riprendendo questo messaggio e ripensando alla Festa della famiglia che abbiamo celebrato a Spoleto domenica 28 aprile, vorrei proporre alcune riflessioni sulla vita familiare ai lettori del settimanale La Voce. Cari sposi, prendetevi cura del vostro volervi bene come marito e moglie: tra le tante cose urgenti, tra le tante sollecitazioni che vi assediano, è necessario custodire qualche tempo, difendere qualche spazio, programmare qualche momento che sia come un rito per celebrare l’amore che vi unisce. Esso, infatti, non si riduce all’emozione di una stagione un po’ euforica, non è solo un’attrazione che il tempo consuma; l’amore sponsale è la vostra vocazione: nel vostro volervi bene potete riconoscere la chiamata del Signore; il volto di due persone che si amano rivela qualcosa del mistero di Dio. Si tratta di custodire la bellezza del vostro amore e perseverare nella vostra vocazione: ne deriva tutta una concezione della vita che incoraggia la fedeltà, consente di sostenere le prove e le delusioni, aiuta ad attraversare le eventuali crisi senza ritenerle irrimediabili. Chi vive il suo matrimonio come una vocazione professa la sua fede: non si tratta solo di rapporti umani che possono essere motivo di felicità o di tormento, si tratta di attraversare i giorni con la certezza della presenza del Signore, con l’umile pazienza di prendere ogni giorno la propria croce, con la fierezza di poter far fronte, per grazia di Dio, alle responsabilità. E non manchi la preghiera: una preghiera semplice per ringraziare il Signore, per chiedere la sua benedizione per voi, i vostri figli, i vostri amici, la vostra comunità. Si tratta poi di trovare il tempo per parlare tra di voi con semplicità, senza trasformare ogni punto di vista in un puntiglio, ogni divergenza in un litigio: un tempo per parlare, scambiare delle idee, riconoscere gli errori e chiedervi scusa, rallegrarvi del bene compiuto, un tempo per parlare passeggiando tranquillamente la domenica pomeriggio, senza fretta.

famiglia-bambiniAbbiate, inoltre, cura di qualche data, distinguetela con un segno, come una visita a un santuario, una messa anche in giorno feriale, una lettera per dire quelle parole che inceppano la voce: la data del vostro matrimonio, quella del battesimo dei vostri figli, quella di qualche lutto familiare. E abbiate fiducia nell’incidenza della vostra opera educativa: troppi genitori sono scoraggiati dall’impressione di una certa impermeabilità dei loro figli, capaci di pretendere molto ma refrattari a ogni interferenza nelle loro amicizie, nei loro orari, nel loro mondo. La vostra vocazione a educare è benedetta da Dio: perciò trasformate le vostre apprensioni in preghiera, meditazione, confronto pacato. Educare è come seminare: il frutto non è garantito e non è immediato, ma se non si semina è certo che non ci sarà raccolto. Infine, care famiglie, fate del Vangelo la regola fondamentale della vostra famiglia. E fate della vostra famiglia una pagina di Vangelo scritta per il nostro tempo!

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Mons. Bassetti a piedi a Assisi per le vocazioni https://www.lavoce.it/mons-bassetti-a-piedi-a-assisi-per-le-vocazioni/ Tue, 09 Oct 2012 18:43:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=13282 L’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti lunedì 8 ottobre ha rinnovato il pellegrinaggio a piedi ad Assisi, in ringraziamento per le vocazioni che il Signora ha donato alla diocesi di Perugia – Città della Pieve. È stata «un’esperienza forte – ha detto il presule – che intendo perfezionare nei prossimi anni».

Nell’ultimo anno ai 14 seminaristi si sono aggiunti i due giovani che sono entrati al primo anno di Seminario, Giosuè Busti e Giordano Commodi. In diocesi, sottolinea mons. Bassetti, ci sono state anche sei vocazioni femminili (tre ragazze entrate in monastero di clausura, ed una ciascuna nelle Congregazioni delle suore di madre Teresa, delle monache di Betlemme e nella Comunità ecumenica di Bose) e altre maschili alla vita religiosa.

Quest’anno la meta del pellegrinaggio è stata la Porziuncola della Basilica di Santa Maria degli Angeli. «La Porziuncola mi ha sciolto il cuore – ha commentato mons. Bassetti – e ho sempre sognato di celebrarvi la S. Messa… E’ stata per me la prima volta e  mi sono commosso, mi è tornato in mente quando da giovane seminarista venivo tutti gli anni ad Assisi… In questo luogo Francesco non aveva ancora compiuto 40 anni quando la sera del 3 ottobre del 1226 moriva cantando, perché la sua vita era stata tutta una lode all’Altissimo. Francesco non cantava per altri tipi gioie, ma perché era diventato il crocifisso… e la basilica che racchiude la Porziuncola è dedicata a Maria Regina degli Angeli, un’altra vita che è stata un canto di lode… ».

Al pellegrinaggio hanno partecipato anche il vicario generale, mons. Paolo Giulietti,  sette sacerdoti (don Alberto Veschini, rettore del Seminario diocesano, don Simone Sorbaioli, vice rettore del Seminario regionale, don Alessandro Scarda, direttore dell’Ufficio diocesano per le Vocazioni, e i parroci don Fonasco Salvatori, don Claudio Schioppa, don Antonio Sorci e don Francesco Verzini), il diacono permanente Bruno Roscioli, alcuni seminaristi tra cui Giosuè  e Giordano, alcune religiose, alcuni giovani ealcune mamme.

Giosuè Busti, 24 anni, della Parrocchia di Pontevalleceppi,  si è appena laureato in Scienze Politiche.  Ha maturato la sua scelta nella comunità Magnificat della parrocchia di San Donato all’Elce. Si è confrotnato con don Alessandro Scarda, responsabile della Pastorale vocazionale diocesana ed ha partecipato al pellegrinaggio in Terra Santa con il gruppo della Pastorale giovanile. «E’ stata un’altra forte esperienza che ha contribuito a far maturare in me questa scelta», ha detto Giosuè.

Giordano Commodi, 32 anni, della Parrocchia di Castel del Piano, tirocinante in farmacia, veniva da una realtà molto “lontana” dalla fede. Nel 2004 ha seguito gli incontri sui Dieci Comandamenti a Monteripido. Da lì è iniziato un percorso lungo, maturato in parrocchia, a Castel del Piano. Da otto anni è catechista dei Dieci Comandamenti e si è recato più volte in Terra Santa. «Ogni esperienza è stata per me una crescita, un’opportunità che mi ha indotto a bussare alla porta del Seminario».

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