violenza sulle donne Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/violenza-sulle-donne/ Settimanale di informazione regionale Fri, 01 Dec 2023 19:42:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg violenza sulle donne Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/violenza-sulle-donne/ 32 32 Violenza contro le donne, la Basilica di Santa Rita a Cascia si tinge di rosso per la Giornata internazionale https://www.lavoce.it/violenza-contro-le-donne-la-basilica-di-santa-rita-a-cascia-si-tinge-di-rosso-per-la-giornata-internazionale/ https://www.lavoce.it/violenza-contro-le-donne-la-basilica-di-santa-rita-a-cascia-si-tinge-di-rosso-per-la-giornata-internazionale/#respond Thu, 23 Nov 2023 09:36:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=74032 santa rita

Profondamente colpite dalla storia della giovane Giulia Cecchettin, l’ultima di tante, troppe vite stroncate con ferocia dalle mani di un uomo, le monache del Monastero Santa Rita da Cascia, ribadiscono il loro no alla violenza illuminando di rosso la facciata della Basilica, e chiedendo per le nuove generazioni un’educazione all’amore. Lo fanno accogliendo l’invito giunto dall’amministrazione comunale, da sempre sensibile al tema, anche a portare un messaggio agli studenti di Cascia che incontreranno sabato mattina. L’occasione è un evento voluto dal Comune per la comunità e principalmente per le scuole, in programma alla Sala della Pace del Santuario il 25 novembre dalle 10.30, durante il quale si terrà il reading Ti amo da morire, di Margherita Romaniello, con gli attori Roberta Giarrusso e Pino Quartullo.

La riflessione della Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

"Nella Bibbia -riflette Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia- le donne non sono strumenti nelle mani di qualcuno, bensì protagoniste al fianco di Cristo. In particolare, in tempi in cui le figure femminili erano sottomesse agli uomini, affidando alle donne l’annuncio della Risurrezione, Dio ci sorprende. Ma la sua scelta non è gerarchica, anzi ci indica la via giusta, quella della collaborazione tra maschile e femminile perché la presenza di ognuno sia davvero feconda. Oggi, invece, le donne, sono costrette a fermarsi alla Passione, costrette dagli uomini. È dovere di tutti fare in modo che questo calvario finisca. Perciò invito ogni uomo a imparare da Dio la strada del rispetto, della parità e dell’amore, così da amare ma per davvero. Vediamo un’estrema necessità di portare nelle famiglie e nelle scuole un’educazione all’amore perché la sua radice si innesti, cresca e venga diffusa. L’amore vero, che ascolta, comprende, dialoga, dà gioia, mette prima l’altro e perciò ci eleva. Si smetta di vedere come debolezza o limite l’amore, soprattutto se associato alla sfera maschile. L’amore è essenziale per avere consapevolezza di sé e degli altri e rompere l’onda dilagante di violenza e femminicidi. L’amore è ciò che Santa Rita da sempre ci insegna e proprio con l’amore ci auguriamo che ogni essere umano possa rivoluzionare il suo cammino".   --        ]]>
santa rita

Profondamente colpite dalla storia della giovane Giulia Cecchettin, l’ultima di tante, troppe vite stroncate con ferocia dalle mani di un uomo, le monache del Monastero Santa Rita da Cascia, ribadiscono il loro no alla violenza illuminando di rosso la facciata della Basilica, e chiedendo per le nuove generazioni un’educazione all’amore. Lo fanno accogliendo l’invito giunto dall’amministrazione comunale, da sempre sensibile al tema, anche a portare un messaggio agli studenti di Cascia che incontreranno sabato mattina. L’occasione è un evento voluto dal Comune per la comunità e principalmente per le scuole, in programma alla Sala della Pace del Santuario il 25 novembre dalle 10.30, durante il quale si terrà il reading Ti amo da morire, di Margherita Romaniello, con gli attori Roberta Giarrusso e Pino Quartullo.

La riflessione della Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia

"Nella Bibbia -riflette Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia- le donne non sono strumenti nelle mani di qualcuno, bensì protagoniste al fianco di Cristo. In particolare, in tempi in cui le figure femminili erano sottomesse agli uomini, affidando alle donne l’annuncio della Risurrezione, Dio ci sorprende. Ma la sua scelta non è gerarchica, anzi ci indica la via giusta, quella della collaborazione tra maschile e femminile perché la presenza di ognuno sia davvero feconda. Oggi, invece, le donne, sono costrette a fermarsi alla Passione, costrette dagli uomini. È dovere di tutti fare in modo che questo calvario finisca. Perciò invito ogni uomo a imparare da Dio la strada del rispetto, della parità e dell’amore, così da amare ma per davvero. Vediamo un’estrema necessità di portare nelle famiglie e nelle scuole un’educazione all’amore perché la sua radice si innesti, cresca e venga diffusa. L’amore vero, che ascolta, comprende, dialoga, dà gioia, mette prima l’altro e perciò ci eleva. Si smetta di vedere come debolezza o limite l’amore, soprattutto se associato alla sfera maschile. L’amore è essenziale per avere consapevolezza di sé e degli altri e rompere l’onda dilagante di violenza e femminicidi. L’amore è ciò che Santa Rita da sempre ci insegna e proprio con l’amore ci auguriamo che ogni essere umano possa rivoluzionare il suo cammino".   --        ]]>
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Messaggio della Priora del Monastero Santa Rita da Cascia sulla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne https://www.lavoce.it/messaggio-della-priora-del-monastero-santa-rita-da-cascia-sulla-giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-contro-le-donne/ Wed, 24 Nov 2021 10:04:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=63318 violenza contro le donne

Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, scrive un messaggio in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, del 25 novembre. "Vorrei che ogni donna vittima di violenze -dice la religiosa- denunci senza paure chi abusa di lei, sapendo che potrà riprendere in mano la sua vita e che non sarà sola nel farlo. Diciamo basta anche alla violenza pubblica, quella a cui una donna si espone quando alza la testa ma non è riconosciuta come vittima, anzi si trova giudicata e doppiamente emarginata. Mi auguro che oggi si rifletta anche su questo aspetto e che le donne trovino sempre mani pronte ad una carezza e tese all’aiuto concreto. Guardando i numeri, mi sconvolge che la violenza di genere sia ancora una ferita così tanto aperta, che pesa su tutti noi. A turbarmi, inoltre, è che sono molte le donne che vivono la violenza in silenzio sentendosi quasi loro le responsabili e nel terrore di non essere ascoltate, credute e tutelate. Quando una donna vittima di violenza apre il suo cuore a qualcuno -conclude la claustrale- fa un atto di grande fiducia che non è scontata e richiede una risposta certa, condivisa ed efficace".]]>
violenza contro le donne

Suor Maria Rosa Bernardinis, Madre Priora del Monastero Santa Rita da Cascia, scrive un messaggio in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, del 25 novembre. "Vorrei che ogni donna vittima di violenze -dice la religiosa- denunci senza paure chi abusa di lei, sapendo che potrà riprendere in mano la sua vita e che non sarà sola nel farlo. Diciamo basta anche alla violenza pubblica, quella a cui una donna si espone quando alza la testa ma non è riconosciuta come vittima, anzi si trova giudicata e doppiamente emarginata. Mi auguro che oggi si rifletta anche su questo aspetto e che le donne trovino sempre mani pronte ad una carezza e tese all’aiuto concreto. Guardando i numeri, mi sconvolge che la violenza di genere sia ancora una ferita così tanto aperta, che pesa su tutti noi. A turbarmi, inoltre, è che sono molte le donne che vivono la violenza in silenzio sentendosi quasi loro le responsabili e nel terrore di non essere ascoltate, credute e tutelate. Quando una donna vittima di violenza apre il suo cuore a qualcuno -conclude la claustrale- fa un atto di grande fiducia che non è scontata e richiede una risposta certa, condivisa ed efficace".]]>
Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne https://www.lavoce.it/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-contro-le-donne/ Tue, 24 Nov 2020 09:52:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=58291 Il parlatorio del monastero di Santa Rita di Cascia

Messaggio della Priora del monastero di Santa Rita di Cascia

“Bisogna educare al rispetto, all'amore e non all'odio, partendo dai giovani”. Questa è la prima riflessione della madre Priora del monastero Santa Rita da Cascia, suor Maria Rosa Bernardinis  per la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre. “La lotta alla violenza verso le donne – prosegue l’agostiniana – è un’emergenza mondiale. Lo è a maggior ragione oggi, che il Covid-19 costringe le donne vittime di maltrattamenti, fisici o psicologici, a stare chiuse in casa con i loro aguzzini. Il fenomeno è così diffuso da sembrare normale, ma la violenza non può e non dev'essere normalità. È una piaga, una strage giornaliera che riguarda il futuro di tutti”.

“Santa Rita interceda per rendere le donne libere, mai più schiave di paura e violenza”

Alle donne, dico che non sono sole e che non devono restare in silenzio davanti alla violenza, bensì parlarne già alle prime avvisaglie: chiedere aiuto è il primo passo per tornare a vivere davvero, per amare ed essere amate come meritate. Alle istituzioni, dico di essere determinate, irremovibili e vigili nella lotta contro la violenza sulle donne e allo stesso tempo sensibili ed efficaci nel prendere per mano la donna che loro si rivolge, perché quella donna sta mettendo la sua vita nelle loro mani. Agli uomini che uccidono le donne, dico che l'amore non si possiede, non si ottiene con la forza, bensì si conquista giorno per giorno. L'amore è ricevere e donare, l'amore è vita e mai morte”. “Noi monache – conclude suor Maria Rosa – siamo custodi del messaggio di una grande donna esempio di pace, perdono, ma anche di amore e forza. Per questa giornata simbolica, ci affidiamo a santa Rita perché interceda presso il Signore e renda le donne libere, mai più schiave di paura e violenza”.]]>
Il parlatorio del monastero di Santa Rita di Cascia

Messaggio della Priora del monastero di Santa Rita di Cascia

“Bisogna educare al rispetto, all'amore e non all'odio, partendo dai giovani”. Questa è la prima riflessione della madre Priora del monastero Santa Rita da Cascia, suor Maria Rosa Bernardinis  per la Giornata Internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre. “La lotta alla violenza verso le donne – prosegue l’agostiniana – è un’emergenza mondiale. Lo è a maggior ragione oggi, che il Covid-19 costringe le donne vittime di maltrattamenti, fisici o psicologici, a stare chiuse in casa con i loro aguzzini. Il fenomeno è così diffuso da sembrare normale, ma la violenza non può e non dev'essere normalità. È una piaga, una strage giornaliera che riguarda il futuro di tutti”.

“Santa Rita interceda per rendere le donne libere, mai più schiave di paura e violenza”

Alle donne, dico che non sono sole e che non devono restare in silenzio davanti alla violenza, bensì parlarne già alle prime avvisaglie: chiedere aiuto è il primo passo per tornare a vivere davvero, per amare ed essere amate come meritate. Alle istituzioni, dico di essere determinate, irremovibili e vigili nella lotta contro la violenza sulle donne e allo stesso tempo sensibili ed efficaci nel prendere per mano la donna che loro si rivolge, perché quella donna sta mettendo la sua vita nelle loro mani. Agli uomini che uccidono le donne, dico che l'amore non si possiede, non si ottiene con la forza, bensì si conquista giorno per giorno. L'amore è ricevere e donare, l'amore è vita e mai morte”. “Noi monache – conclude suor Maria Rosa – siamo custodi del messaggio di una grande donna esempio di pace, perdono, ma anche di amore e forza. Per questa giornata simbolica, ci affidiamo a santa Rita perché interceda presso il Signore e renda le donne libere, mai più schiave di paura e violenza”.]]>
Il Vaticano dalla parte delle donne sfruttate https://www.lavoce.it/vaticano-donne-sfruttate/ Tue, 16 Apr 2019 08:28:18 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54398 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di Tonio Dell’Olio

Un gruppo di persone che arrivano dai cinque Continenti e lavorano in organizzazioni e organismi ecclesiali per la prevenzione della tratta di esseri umani, per la protezione delle vittime, e perché sia più efficace la repressione contro coloro che si arricchiscono sulla pelle delle donne sfruttate e private della dignità, sono state convocate a Roma dal Dicastero per lo sviluppo umano integrale.

Non conferenze dotte, ma esperienze sul campo e proposte concrete. Qui i Paesi di origine incontrano quelli di destinazione. Si incontrano per rendere operativi e concreti gli “Orientamenti pastorali sulla tratta di persone” che il Dicastero vaticano ha varato di recente, e che è tutt’altro che un mosaico di dichiarazioni di principio. Giovedì 11 aprile Papa Francesco ha ascoltato le proposte che sono emerse, per rilanciarle autorevolmente a tutta la Chiesa universale.

Una Chiesa “con il grembiule” del servizio, che sa ascoltare il dolore di donne che non hanno voce. Donne costrette a portare avanti una gravidanza clandestina appaltata da una ricca coppia sterile a un’organizzazione mafiosa. Corpi mercificati. Per queste ragioni, Papa Francesco ha scelto suor Eugenia Bonetti, che ha consacrato tutta la vita a dare voce e protezione alle donne sfruttate, per proporre i testi della Via crucis del Venerdì santo al Colosseo.

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di Tonio Dell’Olio

Un gruppo di persone che arrivano dai cinque Continenti e lavorano in organizzazioni e organismi ecclesiali per la prevenzione della tratta di esseri umani, per la protezione delle vittime, e perché sia più efficace la repressione contro coloro che si arricchiscono sulla pelle delle donne sfruttate e private della dignità, sono state convocate a Roma dal Dicastero per lo sviluppo umano integrale.

Non conferenze dotte, ma esperienze sul campo e proposte concrete. Qui i Paesi di origine incontrano quelli di destinazione. Si incontrano per rendere operativi e concreti gli “Orientamenti pastorali sulla tratta di persone” che il Dicastero vaticano ha varato di recente, e che è tutt’altro che un mosaico di dichiarazioni di principio. Giovedì 11 aprile Papa Francesco ha ascoltato le proposte che sono emerse, per rilanciarle autorevolmente a tutta la Chiesa universale.

Una Chiesa “con il grembiule” del servizio, che sa ascoltare il dolore di donne che non hanno voce. Donne costrette a portare avanti una gravidanza clandestina appaltata da una ricca coppia sterile a un’organizzazione mafiosa. Corpi mercificati. Per queste ragioni, Papa Francesco ha scelto suor Eugenia Bonetti, che ha consacrato tutta la vita a dare voce e protezione alle donne sfruttate, per proporre i testi della Via crucis del Venerdì santo al Colosseo.

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Donne: nuova cultura e relazioni https://www.lavoce.it/donne-nuova-cultura/ Fri, 08 Mar 2019 12:14:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54148 donne

La Voce di questa settimana esce con la data dell’8 marzo, la Giornata delle Nazioni Unite “per i diritti delle donne e per la pace mondiale”. Intorno a questa data numerose sono le iniziative promosse: dagli incontri culturali ai dibattiti, ai concerti.

Con otto femminicidi registrati in Italia in questi primi due mesi del 2019 la violenza sulle donne resta un tema di tragica attualità al quale l’Onu ha dedicato una giornata, il 25 novembre. Possiamo dire che è la manifestazione più grave ed evidente di come le donne siano la parte debole anche nella nostra società.

Secondo recenti studi, le donne costituiscono il 71 per cento dei 40 milioni di persone che oggi nel mondo vivono le moderne schiavitù. C’è ancora molto da fare per far crescere una cultura e delle relazioni fondate sul rispetto e il riconoscimento della dignità delle donne.

Anche tra i cattolici occorre una presa di coscienza e di iniziativa superando l’indifferenza, se non la diffidenza, verso le iniziative delle donne sulle donne, alle quali gli uomini di solito pensano di non dover partecipare perché non li riguarda, ma così non è.

Questo Papa sta lavorando per una nuova prospettiva sulla donna nella Chiesa e in Vaticano, proprio in vista dell’8 marzo, si è tenuto un incontro dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche per fare il punto sulla condizione della donna. Un segnale, anche questo, di attenzione, un invito ad un impegno che fa bene a tutta la società e alla Chiesa.

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donne

La Voce di questa settimana esce con la data dell’8 marzo, la Giornata delle Nazioni Unite “per i diritti delle donne e per la pace mondiale”. Intorno a questa data numerose sono le iniziative promosse: dagli incontri culturali ai dibattiti, ai concerti.

Con otto femminicidi registrati in Italia in questi primi due mesi del 2019 la violenza sulle donne resta un tema di tragica attualità al quale l’Onu ha dedicato una giornata, il 25 novembre. Possiamo dire che è la manifestazione più grave ed evidente di come le donne siano la parte debole anche nella nostra società.

Secondo recenti studi, le donne costituiscono il 71 per cento dei 40 milioni di persone che oggi nel mondo vivono le moderne schiavitù. C’è ancora molto da fare per far crescere una cultura e delle relazioni fondate sul rispetto e il riconoscimento della dignità delle donne.

Anche tra i cattolici occorre una presa di coscienza e di iniziativa superando l’indifferenza, se non la diffidenza, verso le iniziative delle donne sulle donne, alle quali gli uomini di solito pensano di non dover partecipare perché non li riguarda, ma così non è.

Questo Papa sta lavorando per una nuova prospettiva sulla donna nella Chiesa e in Vaticano, proprio in vista dell’8 marzo, si è tenuto un incontro dell’Unione mondiale delle organizzazioni femminili cattoliche per fare il punto sulla condizione della donna. Un segnale, anche questo, di attenzione, un invito ad un impegno che fa bene a tutta la società e alla Chiesa.

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Violenza contro le donne. “Non è lecito guardare da un’altra parte” https://www.lavoce.it/violenza-contro-donne/ Fri, 23 Nov 2018 10:00:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53436 violenza

di Maria Rita Valli

“Fa male constatare come in questa terra, che sta sotto la protezione della Madre di Dio, tante donne sono così svalutate, disprezzate ed esposte a violenze senza fine. Non si può ‘normalizzare’ la violenza verso le donne, prenderla come una cosa naturale, sostenendo una cultura maschilista che non accetta il ruolo di protagonista della donna nelle nostre comunità. Non ci è lecito guardare dall’altra parte, e lasciare che tante donne, specialmente adolescenti, siano ‘calpestate’ nella loro dignità”.

Parole chiare di condanna della violenza sulle donne, che aveva pronunciato Papa Francesco il 19 gennaio scorso parlando a Puerto Maldonado, una delle tappe del viaggio in Cile e Perù. Non sono una novità, perché questo Papa non perde occasione per parare della donna e del suo valore, invitando anzitutto la Chiesa, tutti i fedeli, a fare passi in avanti in questa direzione - che, per Papa Francesco, non è un cedere alla “moda” femminista, ma è semplicemente fare un passo in avanti nel vivere il Vangelo.

I dati della violenza

Quelle parole di Papa Francesco sono vere anche per il nostro Continente, per il nostro Paese. Secondo i dati del Viminale, tra il 2017 e il 2018 oltre 130 donne sono state uccise da un familiare.

I dati Istat contenuti nel rapporto “La dimensione del fenomeno della violenza di genere”  e relativi al 2016, mostrano come, su 109 omicidi in cui sono vittime le donne, quasi tre su quattro sono commessi in ambito familiare.

Cinquantanove donne sono state uccise dal partner; 17 donne da un ex partner; 33 da un parente. Un altro indice di una cultura in cui l’offesa alla donna è molto diffusa, è il fatto che 2 milioni 800 mila donne fra i 16 e i 70 anni dichiarano di aver subito violenza da partner attuali o ex.

Partner o ex partner sono gli autori di quasi il 63 per cento degli stupri (62,7%) e, più in generale, di oltre il 90 per cento (90,6%) di rapporti sessuali indesiderati, vissuti dalla donna come violenza.

Il video

Dati tragici, che ormai circolano sempre più spesso, eppure persiste una mentalità che - in modo più o meno implicito tende a considerare la donna ‘almeno parzialmente’ colpevole. Anche la satira prova a smascherare questo atteggiamento, mostrando quanto sarebbe assurdo se lo si applicasse agli uomini (e allora, perché alle donne sì?).

Su web c’è un video sul temaPensateci due volte, la prossima volta che giustificate uno stupro” . La clip mostra un uomo che denuncia una rapina, ma ogni dettaglio che espone viene ritorto contro di lui, perché alla fine “se l’è andata a cercare”…. E quante volte, anche nelle nostre assemblee, tra battute e sorrisi ironici si preferisce girare la testa da un’altra parte?

Domenica si celebra la Giornata contro la violenza sulle donne. Se ne è parlato all’Ue in una riflessione più ampia sulla parità di genere
   

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di Maria Rita Valli

“Fa male constatare come in questa terra, che sta sotto la protezione della Madre di Dio, tante donne sono così svalutate, disprezzate ed esposte a violenze senza fine. Non si può ‘normalizzare’ la violenza verso le donne, prenderla come una cosa naturale, sostenendo una cultura maschilista che non accetta il ruolo di protagonista della donna nelle nostre comunità. Non ci è lecito guardare dall’altra parte, e lasciare che tante donne, specialmente adolescenti, siano ‘calpestate’ nella loro dignità”.

Parole chiare di condanna della violenza sulle donne, che aveva pronunciato Papa Francesco il 19 gennaio scorso parlando a Puerto Maldonado, una delle tappe del viaggio in Cile e Perù. Non sono una novità, perché questo Papa non perde occasione per parare della donna e del suo valore, invitando anzitutto la Chiesa, tutti i fedeli, a fare passi in avanti in questa direzione - che, per Papa Francesco, non è un cedere alla “moda” femminista, ma è semplicemente fare un passo in avanti nel vivere il Vangelo.

I dati della violenza

Quelle parole di Papa Francesco sono vere anche per il nostro Continente, per il nostro Paese. Secondo i dati del Viminale, tra il 2017 e il 2018 oltre 130 donne sono state uccise da un familiare.

I dati Istat contenuti nel rapporto “La dimensione del fenomeno della violenza di genere”  e relativi al 2016, mostrano come, su 109 omicidi in cui sono vittime le donne, quasi tre su quattro sono commessi in ambito familiare.

Cinquantanove donne sono state uccise dal partner; 17 donne da un ex partner; 33 da un parente. Un altro indice di una cultura in cui l’offesa alla donna è molto diffusa, è il fatto che 2 milioni 800 mila donne fra i 16 e i 70 anni dichiarano di aver subito violenza da partner attuali o ex.

Partner o ex partner sono gli autori di quasi il 63 per cento degli stupri (62,7%) e, più in generale, di oltre il 90 per cento (90,6%) di rapporti sessuali indesiderati, vissuti dalla donna come violenza.

Il video

Dati tragici, che ormai circolano sempre più spesso, eppure persiste una mentalità che - in modo più o meno implicito tende a considerare la donna ‘almeno parzialmente’ colpevole. Anche la satira prova a smascherare questo atteggiamento, mostrando quanto sarebbe assurdo se lo si applicasse agli uomini (e allora, perché alle donne sì?).

Su web c’è un video sul temaPensateci due volte, la prossima volta che giustificate uno stupro” . La clip mostra un uomo che denuncia una rapina, ma ogni dettaglio che espone viene ritorto contro di lui, perché alla fine “se l’è andata a cercare”…. E quante volte, anche nelle nostre assemblee, tra battute e sorrisi ironici si preferisce girare la testa da un’altra parte?

Domenica si celebra la Giornata contro la violenza sulle donne. Se ne è parlato all’Ue in una riflessione più ampia sulla parità di genere
   

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In India si fa ancora poco per la dignità delle donne https://www.lavoce.it/india-dignita-donne/ Sun, 30 Sep 2018 08:00:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52990 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di don Tonio Dell’Olio*

Si dice che l’India sia il peggior luogo al mondo in cui essere donna. Si calcola che vi avvenga una violenza a sfondo sessuale ogni due minuti. Ed è sicuramente risultato di una mentalità maturata col tempo, retaggio culturale; sicuramente i Governi che si sono succeduti senza aver determinato politiche efficaci per eliminare o quanto meno ridurre il fenomeno, ci hanno messo del loro; sicuramente non vi è nemmeno una pressione internazionale tale da sollecitare la messa in atto di provvedimenti e azioni deterrenti.

L’ultima realizzazione del Governo federale di New Delhi è un registro nazionale online (National Database on Sexual Offenders) per raccogliere dati sugli autori dei reati di questo genere. Sono già 440.000 i soggetti registrati nel database che hanno ricevuto condanne per stupro o molestie o atti di pedofilia. Servirà alle forze dell’ordine per le loro indagini, ed è già qualcosa. Ma quanto sarebbe utile e importante che ci fossero agenzie, associazioni e organismi internazionali specializzati che aiutassero gli abitanti maschi dell’India a crescere con migliore consapevolezza nel rapporto con l’altro sesso.

*presidente della Pro Civitate Christiana - Assisi

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di don Tonio Dell’Olio*

Si dice che l’India sia il peggior luogo al mondo in cui essere donna. Si calcola che vi avvenga una violenza a sfondo sessuale ogni due minuti. Ed è sicuramente risultato di una mentalità maturata col tempo, retaggio culturale; sicuramente i Governi che si sono succeduti senza aver determinato politiche efficaci per eliminare o quanto meno ridurre il fenomeno, ci hanno messo del loro; sicuramente non vi è nemmeno una pressione internazionale tale da sollecitare la messa in atto di provvedimenti e azioni deterrenti.

L’ultima realizzazione del Governo federale di New Delhi è un registro nazionale online (National Database on Sexual Offenders) per raccogliere dati sugli autori dei reati di questo genere. Sono già 440.000 i soggetti registrati nel database che hanno ricevuto condanne per stupro o molestie o atti di pedofilia. Servirà alle forze dell’ordine per le loro indagini, ed è già qualcosa. Ma quanto sarebbe utile e importante che ci fossero agenzie, associazioni e organismi internazionali specializzati che aiutassero gli abitanti maschi dell’India a crescere con migliore consapevolezza nel rapporto con l’altro sesso.

*presidente della Pro Civitate Christiana - Assisi

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Terzo Rapporto Caritas. I diversi volti della povertà https://www.lavoce.it/rapportocaritas/ Wed, 26 Sep 2018 16:43:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52957 povertà

Povertà assoluta non è solo non avere soldi. È anche non avere né lavoro né casa per sostenere la propria famiglia, significa non avere un titolo di studio, significa anche essere malati e non avere familiari o amici su cui contare. Si può essere poveri in modi diversi. E se si è italiani è più facile che la povertà ci colpisca quando siamo anziani e soli anche se abbiamo la casa di proprietà, mentre se siamo stranieri è più facile che la povertà colpisca tutta la nostra famiglia perché non troviamo lavoro né casa.

La descrizione emerge dalle 56 pagine con 31 tabelle e grafici del Terzo Rapporto sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve dal titolo:Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”, presentato venerdì scorso a Perugia dall’economista Pierluigi Maria Grasselli, direttore dell’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale della Caritas diocesana. Numeri, dunque, che dicono di situazioni reali del nostro territorio perché si tratta di dati raccolti al Centro d’ascolto diocesano Caritas sulle persone che si sono rivolte al Centro stesso nell’anno 2017. Un dato su tutti: in Umbria la povertà assoluta è tre volte più alta rispetto alle altre regioni del Centro Italia e la “povertà emergente”, la solitudine, è sempre più diffusa tra gli italiani.

Stranieri in regola

Una sottolineatura è stata fatta sugli stranieri che si rivolgono al centro d’ascolto: per la gran parte sono in Italia da più anni con regolare permesso di soggiorno e spesso sono sposati ed hanno figli e la loro necessità più pressante è quella di poter lavorare e di poter avere una casa. Capita che si presentino al Centro anche degli irregolari (con i documenti scaduti o senza documenti) ma queste situazioni, ha sottolineato il direttore della Caritas diocesana, il diacono Giancarlo Pecetti, “sono destinate ad aumentare perché il Governo non ha fatto e non fa una politica che non sia quella di mandarli via. Ma questo riuscirà solo per una piccola parte. Tutti gli altri saranno condannati all’illegalità?”.

Violenza sulle donne

E seppure ampio, il Rapporto non esaurisce la descrizione delle necessità e delle richieste di aiuto che si presentano alla Caritas. Lo ha detto il diacono Pecetti, evidenziando la novità rappresentata dal crescente numero di donne che si presentano denunciando di subire violenze in famiglia o di essere minacciate di morte. Almeno 5 casi da inizio anno, quando prima accadeva di rado. Sono soprattutto italiane e i compagni o mariti hanno quasi sempre a che fare con droga, alcol o gioco d’azzardo. È la povertà di famiglie disgregate, ha sottolineato Pecetti.

Chiesa povera

Mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale, ogni mattina in parrocchia offre la colazione a dei “barboni” con i prodotti offerti da bar e negozi della zona. Ha ricordato la “scelta preferenziale” dei poveri fatta dai Padri del Concilio Vaticano II e riproposta da Papa Bergoglio come linea del suo pontificato espressa nella stessa scelta del nome del “Poverello di Assisi” san Francesco. (Scarica il testo completo dell’intervento di Grasselli a questo link: PresentazioneTerzoRapportoPovertàGiugno18).

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povertà

Povertà assoluta non è solo non avere soldi. È anche non avere né lavoro né casa per sostenere la propria famiglia, significa non avere un titolo di studio, significa anche essere malati e non avere familiari o amici su cui contare. Si può essere poveri in modi diversi. E se si è italiani è più facile che la povertà ci colpisca quando siamo anziani e soli anche se abbiamo la casa di proprietà, mentre se siamo stranieri è più facile che la povertà colpisca tutta la nostra famiglia perché non troviamo lavoro né casa.

La descrizione emerge dalle 56 pagine con 31 tabelle e grafici del Terzo Rapporto sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve dal titolo:Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”, presentato venerdì scorso a Perugia dall’economista Pierluigi Maria Grasselli, direttore dell’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale della Caritas diocesana. Numeri, dunque, che dicono di situazioni reali del nostro territorio perché si tratta di dati raccolti al Centro d’ascolto diocesano Caritas sulle persone che si sono rivolte al Centro stesso nell’anno 2017. Un dato su tutti: in Umbria la povertà assoluta è tre volte più alta rispetto alle altre regioni del Centro Italia e la “povertà emergente”, la solitudine, è sempre più diffusa tra gli italiani.

Stranieri in regola

Una sottolineatura è stata fatta sugli stranieri che si rivolgono al centro d’ascolto: per la gran parte sono in Italia da più anni con regolare permesso di soggiorno e spesso sono sposati ed hanno figli e la loro necessità più pressante è quella di poter lavorare e di poter avere una casa. Capita che si presentino al Centro anche degli irregolari (con i documenti scaduti o senza documenti) ma queste situazioni, ha sottolineato il direttore della Caritas diocesana, il diacono Giancarlo Pecetti, “sono destinate ad aumentare perché il Governo non ha fatto e non fa una politica che non sia quella di mandarli via. Ma questo riuscirà solo per una piccola parte. Tutti gli altri saranno condannati all’illegalità?”.

Violenza sulle donne

E seppure ampio, il Rapporto non esaurisce la descrizione delle necessità e delle richieste di aiuto che si presentano alla Caritas. Lo ha detto il diacono Pecetti, evidenziando la novità rappresentata dal crescente numero di donne che si presentano denunciando di subire violenze in famiglia o di essere minacciate di morte. Almeno 5 casi da inizio anno, quando prima accadeva di rado. Sono soprattutto italiane e i compagni o mariti hanno quasi sempre a che fare con droga, alcol o gioco d’azzardo. È la povertà di famiglie disgregate, ha sottolineato Pecetti.

Chiesa povera

Mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale, ogni mattina in parrocchia offre la colazione a dei “barboni” con i prodotti offerti da bar e negozi della zona. Ha ricordato la “scelta preferenziale” dei poveri fatta dai Padri del Concilio Vaticano II e riproposta da Papa Bergoglio come linea del suo pontificato espressa nella stessa scelta del nome del “Poverello di Assisi” san Francesco. (Scarica il testo completo dell’intervento di Grasselli a questo link: PresentazioneTerzoRapportoPovertàGiugno18).

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Chi va alla Caritas cerca aiuto perché solo, senza lavoro o casa. E le donne denunciano violenza https://www.lavoce.it/chi-va-alla-caritas-cerca-aiuto-perche-solo-senza-lavoro-o-casa-e-le-donne-denunciano-violenza/ Fri, 21 Sep 2018 15:43:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52924

Povertà assoluta non significa solo non avere soldi. Lo si è detto oggi alla presentazione del Terzo rapporto sulle povertà. Significa anche non avere lavoro né casa per sostenere la propria famiglia, significa non avere un titolo di studio, signifca anche essere malati e non avere familiari o amici su cui contare. Si può essere poveri in modi diversi. E se si è italiani è più facile che la povertà ci colpisca quando siamo anziani e soli anche abbiamo la casa di proprietà, mentre se siamo stranieri è più facile che la povertà colpisca tutta la nostra famiglia perché non troviamo lavoro nè casa. La descrizione, articolata, emerge dalle 56 pagine, 31 tabelle e grafici del Terzo Rapporto sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve dal titolo: “Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”. Numeri, dunque, che dicono di situazioni reali del nostro territorio perché si tratta di dati raccolti nelle schede compilate al Centro d'ascolto diocesano Caritas (il progetto è raccogliere anche i dati dei Centri d'ascolto parrocchiali) con le persone che si sono rivolte al Centro stesso nell'anno 2017. Un dato su tutti: in Umbria la povertà assoluta è tre volte più alta rispetto alle altre regioni del Centro Italia e la “povertà emergente”, la solitudine, è sempre più diffusa tra gli italiani. Violenza sulle donne. E seppure ampio, il Rapporto, curato dall’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale della Caritas diocesana, presentato a Perugia oggi venerdì 21 settembre, dall’economista Pierluigi Maria Grasselli, direttore dell’Osservatorio, non esaurisce la descrizione delle necessità e delle richieste di aiuto che si presentano alla Caritas. Lo racconta il direttore della Caritas diocesana, il diacono Giancarlo Pecetti, che evidenzia come sia una novità il crescente numero di donne che si presentano denunciando di subire violenze in famiglia o di essere minacciate di morte. Almeno 5 casi da inizio anno, quando prima accadeva di rado. Sono soprattutto italiane e i compagni o mariti hanno quasi sempre a che fare con droga, alcol o gioco d'azzardo. È la povertà di famiglie disgregate. Stranieri in regola. Una sottolineatura è stata fatta sugli stranieri che si rivolgono al centro d'ascolto: per la gran parte sono in Italia da più anni con regolare permeso di soggiorno e spesso sono sposati ed hanno figli e la loro necessità più pressante è quella di poter lavorare e di poter avere una casa. Capita che si presentino al Centro anche degli irregolari (con i documenti scaduti o senza documenti) ma queste situazioni, ha sottolineato Pecetti, “sono destinate ad aumentare perché il Governo non ha fatto e non fa una politica che non sia quella di mandarli via. Ma questo riuscirà solo per una piccola parte. Tutti gli altri saranno condannati all'illegalità?”. Chiesa povera. Mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale, ogni mattina in parrocchia offre la colazione a dei "barboni" con i prodotti offerti da bar e negozi della zona. Ha ricordato la "scelta preferenziale" dei poveri fatta dai Padri del Concilio Vaticano II e riproposta da Papa Bergoglio come linea del suo pontificato espressa nella stessa scelta del nome del "Poverello di Assisi" san Francesco.

I dati del Rapporto sulle povertà

La prima parte del rapporto è dedicata a “La povertà incontrata nel Centro di ascolto diocesano”; mentre la seconda tratta “Un orizzonte più ampio” con una “Prima analisi dei dati di una molteplicità di Centri di ascolto parrocchiali”, comprendente delle storie di vita di persone che si sono recate in Caritas per ricevere aiuto. Il Rapporto riguarda i dati 2017 del Centro ascolto diocesano, offrendo un’analisi delle “caratteristiche personali e familiari” delle persone che si sono rivolte al Centro: cittadinanza, classi di età, stato civile, nucleo di convivenza, tipo di abitazione, livello di istruzione e condizione occupazionale. Il Rapporto si sofferma sulla “domanda” dovuta a “una molteplicità di bisogni” e sulla relativa “risposta-azione della Caritas”. Dallo studio emerge l’“importanza economica e sociale del contrasto alla disuguaglianza e alla povertà” e l’“inefficacia delle politiche assistenziali in Italia e l’istituzione del REI”. Riguardo al Reddito di Inclusione (REI), nel Rapporto, attraverso le “indicazioni sulla prima attuazione del REI”, vengono evidenziate le “condizioni per un suo potenziamento”, oltre a suggerire quale “impegno del Governo locale e di Caritas contro disuguaglianza e povertà”. Qui la sintesi del Terzo Rapporto curata dal direttore dell'Osservatorio il prof. Pierluigi Grasselli.    ]]>

Povertà assoluta non significa solo non avere soldi. Lo si è detto oggi alla presentazione del Terzo rapporto sulle povertà. Significa anche non avere lavoro né casa per sostenere la propria famiglia, significa non avere un titolo di studio, signifca anche essere malati e non avere familiari o amici su cui contare. Si può essere poveri in modi diversi. E se si è italiani è più facile che la povertà ci colpisca quando siamo anziani e soli anche abbiamo la casa di proprietà, mentre se siamo stranieri è più facile che la povertà colpisca tutta la nostra famiglia perché non troviamo lavoro nè casa. La descrizione, articolata, emerge dalle 56 pagine, 31 tabelle e grafici del Terzo Rapporto sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve dal titolo: “Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”. Numeri, dunque, che dicono di situazioni reali del nostro territorio perché si tratta di dati raccolti nelle schede compilate al Centro d'ascolto diocesano Caritas (il progetto è raccogliere anche i dati dei Centri d'ascolto parrocchiali) con le persone che si sono rivolte al Centro stesso nell'anno 2017. Un dato su tutti: in Umbria la povertà assoluta è tre volte più alta rispetto alle altre regioni del Centro Italia e la “povertà emergente”, la solitudine, è sempre più diffusa tra gli italiani. Violenza sulle donne. E seppure ampio, il Rapporto, curato dall’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale della Caritas diocesana, presentato a Perugia oggi venerdì 21 settembre, dall’economista Pierluigi Maria Grasselli, direttore dell’Osservatorio, non esaurisce la descrizione delle necessità e delle richieste di aiuto che si presentano alla Caritas. Lo racconta il direttore della Caritas diocesana, il diacono Giancarlo Pecetti, che evidenzia come sia una novità il crescente numero di donne che si presentano denunciando di subire violenze in famiglia o di essere minacciate di morte. Almeno 5 casi da inizio anno, quando prima accadeva di rado. Sono soprattutto italiane e i compagni o mariti hanno quasi sempre a che fare con droga, alcol o gioco d'azzardo. È la povertà di famiglie disgregate. Stranieri in regola. Una sottolineatura è stata fatta sugli stranieri che si rivolgono al centro d'ascolto: per la gran parte sono in Italia da più anni con regolare permeso di soggiorno e spesso sono sposati ed hanno figli e la loro necessità più pressante è quella di poter lavorare e di poter avere una casa. Capita che si presentino al Centro anche degli irregolari (con i documenti scaduti o senza documenti) ma queste situazioni, ha sottolineato Pecetti, “sono destinate ad aumentare perché il Governo non ha fatto e non fa una politica che non sia quella di mandarli via. Ma questo riuscirà solo per una piccola parte. Tutti gli altri saranno condannati all'illegalità?”. Chiesa povera. Mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale, ogni mattina in parrocchia offre la colazione a dei "barboni" con i prodotti offerti da bar e negozi della zona. Ha ricordato la "scelta preferenziale" dei poveri fatta dai Padri del Concilio Vaticano II e riproposta da Papa Bergoglio come linea del suo pontificato espressa nella stessa scelta del nome del "Poverello di Assisi" san Francesco.

I dati del Rapporto sulle povertà

La prima parte del rapporto è dedicata a “La povertà incontrata nel Centro di ascolto diocesano”; mentre la seconda tratta “Un orizzonte più ampio” con una “Prima analisi dei dati di una molteplicità di Centri di ascolto parrocchiali”, comprendente delle storie di vita di persone che si sono recate in Caritas per ricevere aiuto. Il Rapporto riguarda i dati 2017 del Centro ascolto diocesano, offrendo un’analisi delle “caratteristiche personali e familiari” delle persone che si sono rivolte al Centro: cittadinanza, classi di età, stato civile, nucleo di convivenza, tipo di abitazione, livello di istruzione e condizione occupazionale. Il Rapporto si sofferma sulla “domanda” dovuta a “una molteplicità di bisogni” e sulla relativa “risposta-azione della Caritas”. Dallo studio emerge l’“importanza economica e sociale del contrasto alla disuguaglianza e alla povertà” e l’“inefficacia delle politiche assistenziali in Italia e l’istituzione del REI”. Riguardo al Reddito di Inclusione (REI), nel Rapporto, attraverso le “indicazioni sulla prima attuazione del REI”, vengono evidenziate le “condizioni per un suo potenziamento”, oltre a suggerire quale “impegno del Governo locale e di Caritas contro disuguaglianza e povertà”. Qui la sintesi del Terzo Rapporto curata dal direttore dell'Osservatorio il prof. Pierluigi Grasselli.    ]]>
Cei. Bassetti ai politici: pacificare, ricostruire, ricucire. Noi ci saremo https://www.lavoce.it/cei-bassetti-ai-politici-pacificare-ricostruire-ricucire-noi-ci-saremo/ Wed, 21 Mar 2018 17:39:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51490 forum

“Il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società. Per questo il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà”. Nella parte finale delle conclusioni del Consiglio permanente dei vescovi italiani, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha lanciato un messaggio chiaro alle forze politiche.
“C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”
“Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori”, l’auspicio sulla scorta delle parole pronunciate da Alcide De Gasperi un anno prima di morire, chiudendo la campagna elettorale, il 5 giugno 1953 a Roma. “C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”, ha ribadito il cardinale utilizzando i verbi della sua prima prolusione da presidente della Cei: “Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”.
“Siamo tutti preoccupati”
Non si è sottratto ai temi politici neanche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che durante la conferenza stampa di chiusura del Cep, subito dopo le parole di Bassetti, ha affermato: “Credo che non ci sia nessuno in Italia che non sia preoccupato. Non perché abbia vinto il Movimento 5 Stelle o la Lega: siamo preoccupati tutti, perché tutti vogliamo che si trovino soluzioni che vadano veramente a favore del disagio grosso che ha espresso questo voto. È importante che chi governa, a qualunque formazione appartenga, abbia il cuore e la testa rivolti ai bisogni di coloro che hanno dato loro il consenso”. ---- Il video della diretta --- https://youtu.be/oKeWxViPET4
“Il vento gelido della “violenza intollerabile sulle donne”
La primavera che stenta ad arrivare, cedendo il passo ad una coda d’inverno. È questo lo scenario, non solo meteorologico, del discorso pronunciato da Bassetti al termine del Cep, il primo senza una prolusione per sua espressa volontà. La paura del futuro, quella legata al tasso di disoccupazione dei giovani e all’impoverimento delle famiglie. La paura del diverso, che troppo spesso trova negli immigrati un capro espiatorio. Sono tutte sindromi di quella “notte invernale” che impedisce lo sbocciare della primavera e che in politica assume la forma di una “disaffezione profonda e diffusa che investe l’inadeguatezza della politica tradizionale”. Il disagio, alla lunga, diventa “risentimento, litigiosità, rabbia sociale”, senza contare il vento gelido della “violenza intollerabile che si scatena sistematicamente sulle donne, vento di ignoranza, immaturità e presunzione di possesso”.
Fede relegata  a fatto privato
“Per ripartire dobbiamo ritrovare una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale”. È la ricetta della Cei per uscire dalla “notte invernale” che caratterizza oggi la politica. Non ci sono facili soluzioni, tantomeno scorciatoie all’insegna di false promesse o di accordi di piccolo cabotaggio. Peraltro, il Presidente Cei ha ammesso come nel contesto attuale la fede sia sempre più relegata a fatto privato e fatichi ad incidere come dovrebbe sulla realtà sociale attraverso scelte ad esse consonanti. “Una fede che latita dove invece dovremmo trovarla impegnata a tradurre il Vangelo in segni di vita. Se questo può accadere, come Chiesa abbiamo una ragione in più per rinnovare la nostra disponibilità a continuare a fare la nostra parte. Crediamo che la storia – anche la storia di oggi, la nostra storia – sia guidata dallo Spirito Santo, che suscita uomini liberi e forti”.
Invito al dialogo sociale. E una lettera alle comunità per una riflessione sull'immigrazione
Alla vigilia dell’avvio ufficiale della nuova legislatura, i vescovi rilanciano con forza l’invito al dialogo sociale. “Su questo fronte come Chiesa ci siamo”, assicura Bassetti: “Ci impegniamo ad ascoltare questa stagione, a ragionare insieme e in maniera organizzata sul cambiamento d’epoca in atto e a portare avanti con concretezza un lavoro educativo e formativo appassionato”. “Non partiamo da zero”, la Magna Charta sono i valori sanciti dalla nostra Costituzione in nome dei quali “alte cariche dello Stato, come umili servitori, hanno saputo dare la vita”, dice il cardinale citando gli anniversari dell’uccisione di Marco Biagi, del rapimento di Aldo Moro e del barbaro omicidio dei cinque uomini della scorta. Lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito, i valori fondanti della nostra “bella” Costituzione, insieme al “valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto: in casa nostra come in Europa”. Una lettera alle comunità “per una riflessione sul tema dell’immigrazione che aiuti a passare dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione all’integrazione”. È uno dei temi su cui si sono confrontati i vescovi e che ora deve essere approvata dal Cep, prima della pubblicazione.
“Investire molto di più sulla formazione, anche all’impegno politico”
Tra gli impegni, ha riferito Galantino, “investire molto di più” sul tema della formazione, anche riguardo all’impegno politico. Ad una domanda sull’esito di questa tornata elettorale, che ha visto vincere formazioni politiche di stampo populistico e di opzione opposta alla cultura dell’accoglienza verso gli immigrati, Galantino ha risposto assicurando che la Chiesa, con il Papa, è in prima linea – “lo è stato, lo è e lo sarà” – sul fronte dell’accoglienza, che non è un programma politico ma un imperativo evangelico. “Non un evento e basta: un punto di arrivo ma anche di partenza per impegni molto concreti”. Così Galantino ha definito l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, proposto nel Consiglio episcopale permanente di gennaio ed esaminato con molta attenzione dai vescovi nel Cep. Molte le sedi proposte per l’iniziativa, che però “non è a breve”. C’è chi, tra i vescovi, ha lanciato addirittura la proposta di dedicare un decennio alla riflessione corale su questo tema, coinvolgendo anche i giovani. Saranno loro i protagonisti dell’appuntamento in programma il 12 e 13 agosto in vista del Sinodo di ottobre: un pellegrinaggio durante i quali i protagonisti potranno incontrare confluendo a Roma per rispondere alla chiamata del Papa “le parti più fragili della società”, visitando i luoghi dove vivono persone alle prese con la sofferenza, come le carceri, le comunità di tossicodipendenti, le case di accoglienza per gli anziani.]]>
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“Il 4 marzo gli italiani hanno votato. I partiti oggi hanno non solo il diritto, ma anche il dovere di governare e orientare la società. Per questo il Parlamento deve esprimere una maggioranza che interpreti non soltanto le ambizioni delle forze politiche, ma i bisogni fondamentali della gente, a partire da quanti sono più in difficoltà”. Nella parte finale delle conclusioni del Consiglio permanente dei vescovi italiani, il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha lanciato un messaggio chiaro alle forze politiche.
“C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”
“Si governi, fino a dove si può, con la pazienza ostinata e sagace del contadino, nell’interesse del bene comune e dei territori”, l’auspicio sulla scorta delle parole pronunciate da Alcide De Gasperi un anno prima di morire, chiudendo la campagna elettorale, il 5 giugno 1953 a Roma. “C’è una società da pacificare. C’è una speranza da ricostruire. C’è un Paese da ricucire”, ha ribadito il cardinale utilizzando i verbi della sua prima prolusione da presidente della Cei: “Chi è disponibile a misurarsi su questi orizzonti ci troverà a camminare al suo fianco”.
“Siamo tutti preoccupati”
Non si è sottratto ai temi politici neanche mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, che durante la conferenza stampa di chiusura del Cep, subito dopo le parole di Bassetti, ha affermato: “Credo che non ci sia nessuno in Italia che non sia preoccupato. Non perché abbia vinto il Movimento 5 Stelle o la Lega: siamo preoccupati tutti, perché tutti vogliamo che si trovino soluzioni che vadano veramente a favore del disagio grosso che ha espresso questo voto. È importante che chi governa, a qualunque formazione appartenga, abbia il cuore e la testa rivolti ai bisogni di coloro che hanno dato loro il consenso”. ---- Il video della diretta --- https://youtu.be/oKeWxViPET4
“Il vento gelido della “violenza intollerabile sulle donne”
La primavera che stenta ad arrivare, cedendo il passo ad una coda d’inverno. È questo lo scenario, non solo meteorologico, del discorso pronunciato da Bassetti al termine del Cep, il primo senza una prolusione per sua espressa volontà. La paura del futuro, quella legata al tasso di disoccupazione dei giovani e all’impoverimento delle famiglie. La paura del diverso, che troppo spesso trova negli immigrati un capro espiatorio. Sono tutte sindromi di quella “notte invernale” che impedisce lo sbocciare della primavera e che in politica assume la forma di una “disaffezione profonda e diffusa che investe l’inadeguatezza della politica tradizionale”. Il disagio, alla lunga, diventa “risentimento, litigiosità, rabbia sociale”, senza contare il vento gelido della “violenza intollerabile che si scatena sistematicamente sulle donne, vento di ignoranza, immaturità e presunzione di possesso”.
Fede relegata  a fatto privato
“Per ripartire dobbiamo ritrovare una visione ampia, grande, condivisa; un progetto-Paese che, dalla risposta al bisogno immediato, consenta di elevarsi al piano di una cultura solidale”. È la ricetta della Cei per uscire dalla “notte invernale” che caratterizza oggi la politica. Non ci sono facili soluzioni, tantomeno scorciatoie all’insegna di false promesse o di accordi di piccolo cabotaggio. Peraltro, il Presidente Cei ha ammesso come nel contesto attuale la fede sia sempre più relegata a fatto privato e fatichi ad incidere come dovrebbe sulla realtà sociale attraverso scelte ad esse consonanti. “Una fede che latita dove invece dovremmo trovarla impegnata a tradurre il Vangelo in segni di vita. Se questo può accadere, come Chiesa abbiamo una ragione in più per rinnovare la nostra disponibilità a continuare a fare la nostra parte. Crediamo che la storia – anche la storia di oggi, la nostra storia – sia guidata dallo Spirito Santo, che suscita uomini liberi e forti”.
Invito al dialogo sociale. E una lettera alle comunità per una riflessione sull'immigrazione
Alla vigilia dell’avvio ufficiale della nuova legislatura, i vescovi rilanciano con forza l’invito al dialogo sociale. “Su questo fronte come Chiesa ci siamo”, assicura Bassetti: “Ci impegniamo ad ascoltare questa stagione, a ragionare insieme e in maniera organizzata sul cambiamento d’epoca in atto e a portare avanti con concretezza un lavoro educativo e formativo appassionato”. “Non partiamo da zero”, la Magna Charta sono i valori sanciti dalla nostra Costituzione in nome dei quali “alte cariche dello Stato, come umili servitori, hanno saputo dare la vita”, dice il cardinale citando gli anniversari dell’uccisione di Marco Biagi, del rapimento di Aldo Moro e del barbaro omicidio dei cinque uomini della scorta. Lavoro, famiglia, giustizia, solidarietà, rispetto, educazione, merito, i valori fondanti della nostra “bella” Costituzione, insieme al “valore essenziale della pace, senza la quale tutto è perduto: in casa nostra come in Europa”. Una lettera alle comunità “per una riflessione sul tema dell’immigrazione che aiuti a passare dalla paura all’incontro, dall’incontro alla relazione, dalla relazione all’integrazione”. È uno dei temi su cui si sono confrontati i vescovi e che ora deve essere approvata dal Cep, prima della pubblicazione.
“Investire molto di più sulla formazione, anche all’impegno politico”
Tra gli impegni, ha riferito Galantino, “investire molto di più” sul tema della formazione, anche riguardo all’impegno politico. Ad una domanda sull’esito di questa tornata elettorale, che ha visto vincere formazioni politiche di stampo populistico e di opzione opposta alla cultura dell’accoglienza verso gli immigrati, Galantino ha risposto assicurando che la Chiesa, con il Papa, è in prima linea – “lo è stato, lo è e lo sarà” – sul fronte dell’accoglienza, che non è un programma politico ma un imperativo evangelico. “Non un evento e basta: un punto di arrivo ma anche di partenza per impegni molto concreti”. Così Galantino ha definito l’incontro di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo, proposto nel Consiglio episcopale permanente di gennaio ed esaminato con molta attenzione dai vescovi nel Cep. Molte le sedi proposte per l’iniziativa, che però “non è a breve”. C’è chi, tra i vescovi, ha lanciato addirittura la proposta di dedicare un decennio alla riflessione corale su questo tema, coinvolgendo anche i giovani. Saranno loro i protagonisti dell’appuntamento in programma il 12 e 13 agosto in vista del Sinodo di ottobre: un pellegrinaggio durante i quali i protagonisti potranno incontrare confluendo a Roma per rispondere alla chiamata del Papa “le parti più fragili della società”, visitando i luoghi dove vivono persone alle prese con la sofferenza, come le carceri, le comunità di tossicodipendenti, le case di accoglienza per gli anziani.]]>
La forza delle donne https://www.lavoce.it/la-forza-delle-donne/ Fri, 24 Nov 2017 11:00:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50646 di Maria Rita Valli

“Le rivendicazioni dei legittimi diritti delle donne, a partire dalla ferma convinzione che uomini e donne hanno la medesima dignità, pongono alla Chiesa domande profonde che la sfidano e che non si possono superficialmente eludere”.

Non è la citazione di una femminista cattolica ma un passaggio della Evangelii gaudium (il n.104), uno dei tanti testi in cui Papa Francesco chiede alla Chiesa di farsi carico di una piena accoglienza e valorizzazione della donna.

Quando si tocca questo tema c’è chi sorride, o alza le spalle, o reagisce con insofferenza, anche tra i cristiani che si impegnano a vivere il Vangelo. E questo è un segnale di quanto la cultura, anche occidentale, sia ben lontana dal riconoscere tale pari dignità.

Sabato 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e quanta strada ci sia ancora da fare ce lo ricordano continuamente le cronache dei femminicidi, delle violenze sulle donne nei luoghi di guerra, dei matrimoni forzati anche di bambine, le lotte e le conquiste di libertà civili da parte delle donne di Paesi islamici.

Martedì scorso su Avvenire suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata e presidente dell’Associazione Slavers no more-Mai più schiave, commentando i funerali delle 26 giovani donne nigeriane che hanno perso la vita in mare nel tentativo di raggiungere l’Italia (due di loro erano incinte e della maggior parte non si conosce neppure il nome) si chiede “fino a quando la nostra società del consumo, del benessere e del piacere, tollererà la tratta degli esseri umani e lo sfruttamento della prostituzione?”, “Fino a quando i 9 milioni di ‘clienti’ in Italia, al 90% cristiani, continueranno impuniti a sostenere questo mercato di vite umane?”. L’ipocrisia della nostra società si può sintetizzare nella frase tipica: “in fondo se l’è cercata”, “in fondo è il mestiere che si è scelto”.

In fondo quando diciamo così allontaniamo da noi la responsabilità di dire con chiarezza che è sempre sbagliato approfittare di chi è in una situazione di debolezza e non fa differenza se il debole è un bambino, un disabile, un anziano, un povero, un immigrato. La lingua italiana conosce solo il maschile e il femminile, e la declinazione al maschile di questo elenco ci suggerisce una sottolineatura: quando a queste condizioni si aggiunge il fatto di essere donna la debolezza è ancora maggiore.

L’invito di Papa Francesco a comprendere sempre più e a difendere sempre più la (pari) dignità della donna è un invito a porsi alle “frontiere” dell’umanità.

Restituire piena dignità alle donne vuol dire restituire piena dignità all’uomo, vuol dire lavorare per un mondo più giusto, per un mondo di pace, per un mondo fondato sull’amore, il rispetto, l’accoglienza, la solidarietà.

La citazione della Evangelii Guadium con cui abbiamo iniziato prosegue sottolineando che “Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone indiscussione, ma può diventare motivo di particolare conflitto se si identifica troppo la potestà sacramentale con il potere”.

Papa Francesco ricorda alla sua Chiesa che il potere è dato per il servizio. Se questo non è nella politica, nella società, nelle istituzioni, nella Chiesa, il risultato è lo sfruttamento del debole da parte del più forte.

Ma il Vangelo ci dice che un altro mondo è possibile, e la storia ci mostra che i semi del Vangelo germogliano anche dove non te lo aspetti illuminando i passi incerti dell’umanità segnata da violenze inaudite cui si oppone la forza debole dell’amore.

Ce lo ricorda la storia della Rivoluzione russa sconfitta da un popolo che pure oppresso non ha rinunciato alla sua fede, ce lo ricordano le donne tunisine che hanno conquistato la libertà di sposare chi vogliono anche fuori dall’islam, ce lo ricordano le donne che trovano il coraggio di denunciare l’uomo da cui subiscono violenza, ce lo ricordano le donne ridotte in schiavitù sulle nostre strade che trovano l’occasione e il coraggio di sfuggire ai loro aguzzini.

 

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Se ad abusare è un carabiniere https://www.lavoce.it/ad-abusare-un-carabiniere/ Wed, 13 Sep 2017 00:11:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50029

Dopo ore di discoteca, stordite dalla musica, dall’alcol e forse anche da un po’ di droga, a notte fonda due ragazze straniere incerte sulle gambe chiedono aiuto a due carabinieri. E quelli, gentili, le fanno salire sulla macchina di servizio e le portano fino a casa loro. Le ragazze poi raccontano che i due hanno abusato gravemente di loro. Sarà vero? Ci sono vari riscontri materiali che sembrano confermare gran parte del racconto. In pratica i militari si difendono solo dicendo che non c’è stata violenza perché le ragazze erano consenzienti, ma questo pare poco credibile per un insieme di dettagli che ora ci vogliamo risparmiare. Ci soffermiamo invece su qualche riflessione. La prima è che ci sentiamo a dir poco avviliti nel vedere al centro di un episodio così brutto due carabinieri, due appartenenti a una delle pochissime istituzioni che ancora hanno la fiducia degli italiani. La seconda è lo sconforto nel constatare che ci sono ancora in giro tanti uomini - carabinieri o no - che pensano di avere il diritto di usare e di abusare di qualunque donna abbia la sfortuna di attirare il loro desiderio, anche momentaneo. La terza è la pena per tanti giovani, maschi e femmine, che pensano che il divertimento consista nello stordirsi ogni notte in quei locali rumorosi dove circolano sostanze legali e illegali di tutti i tipi. La quarta è che quando i violentatori (veri o presunti) sono carabinieri, a nessuno viene in mente di criminalizzare tutta l’Arma, di chiederne la soppressione o di reclamare la galera per tutti quelli che vestono una divisa. Mentre, quando sono immigrati (o peggio ancora, rifugiati), l’indignazione collettiva si rivolge verso l’intera categoria e invoca espulsioni di massa e la chiusura delle frontiere. Questa quarta riflessione si ricollega al tema del pregiudizio che ho trattato nelle ultime due settimane. È pregiudizio colpevolizzare ogni singolo individuo solo perché appartiene a un gruppo sociale, etnico o religioso, estendendo automaticamente all’intero gruppo la riprovazione che qualcuno di loro si merita; e questo va contro la giustizia e contro la verità. Ma è ancora peggio quando il pregiudizio scatta per qualcuno sì (gli immigrati) e per qualcuno no (i carabinieri). Se questo succede, non è più pregiudizio, ma razzismo.  ]]>

Dopo ore di discoteca, stordite dalla musica, dall’alcol e forse anche da un po’ di droga, a notte fonda due ragazze straniere incerte sulle gambe chiedono aiuto a due carabinieri. E quelli, gentili, le fanno salire sulla macchina di servizio e le portano fino a casa loro. Le ragazze poi raccontano che i due hanno abusato gravemente di loro. Sarà vero? Ci sono vari riscontri materiali che sembrano confermare gran parte del racconto. In pratica i militari si difendono solo dicendo che non c’è stata violenza perché le ragazze erano consenzienti, ma questo pare poco credibile per un insieme di dettagli che ora ci vogliamo risparmiare. Ci soffermiamo invece su qualche riflessione. La prima è che ci sentiamo a dir poco avviliti nel vedere al centro di un episodio così brutto due carabinieri, due appartenenti a una delle pochissime istituzioni che ancora hanno la fiducia degli italiani. La seconda è lo sconforto nel constatare che ci sono ancora in giro tanti uomini - carabinieri o no - che pensano di avere il diritto di usare e di abusare di qualunque donna abbia la sfortuna di attirare il loro desiderio, anche momentaneo. La terza è la pena per tanti giovani, maschi e femmine, che pensano che il divertimento consista nello stordirsi ogni notte in quei locali rumorosi dove circolano sostanze legali e illegali di tutti i tipi. La quarta è che quando i violentatori (veri o presunti) sono carabinieri, a nessuno viene in mente di criminalizzare tutta l’Arma, di chiederne la soppressione o di reclamare la galera per tutti quelli che vestono una divisa. Mentre, quando sono immigrati (o peggio ancora, rifugiati), l’indignazione collettiva si rivolge verso l’intera categoria e invoca espulsioni di massa e la chiusura delle frontiere. Questa quarta riflessione si ricollega al tema del pregiudizio che ho trattato nelle ultime due settimane. È pregiudizio colpevolizzare ogni singolo individuo solo perché appartiene a un gruppo sociale, etnico o religioso, estendendo automaticamente all’intero gruppo la riprovazione che qualcuno di loro si merita; e questo va contro la giustizia e contro la verità. Ma è ancora peggio quando il pregiudizio scatta per qualcuno sì (gli immigrati) e per qualcuno no (i carabinieri). Se questo succede, non è più pregiudizio, ma razzismo.  ]]>
Per aiutare le donne servono più risorse https://www.lavoce.it/per-aiutare-le-donne-servono-piu-risorse/ Thu, 11 Jun 2015 09:10:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35373 Manifestazione di protesta contro la violenza sulle donne
Manifestazione di protesta contro la violenza sulle donne

L’Istat ha diffuso il 5 giugno il Rapporto nazionale sulla violenza contro le donne. Abbiamo contattato gli Sportelli antiviolenza di Perugia e Terni, che dal marzo 2014 si occupano di prevenire e curare gli episodi di violenza che si verificano sul territorio regionale.

I Centri antiviolenza “Catia Doriana Bellini” di Perugia (Ponte Pattoli) e “Liberetutte” di Terni dipendono dal progetto “Umbria network antiviolenza” finanziato alla Regione dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.

Allo Sportello di Ponte Pattoli la responsabile Sara Pasquino ha ricevuto in 15 mesi 160 donne, sia italiane che straniere, dando ospitalità nei 10 posti letto del centro, per un periodo di circa cento giorni, a 21 donne con 28 bambini, poi accompagnate anche nel periodo successivo alla permanenza.

“I nostri locali a Ponte Pattoli – spiega Sara – non bastano più a far fronte alle richieste. Per questo stiamo definendo un accordo con il Comune di Perugia per l’apertura di due alloggi a indirizzo segreto”.

Da chi vi arrivano le segnalazioni? 

“La maggior parte dai Servizi sociali dei Comuni di residenza e dalle forze dell’ordine, ma anche dal Numero nazionale antiviolenza 1522, dall’ospedale e dalla Caritas. Le straniere chiedono più spesso ospitalità perché non hanno una rete familiare. Tutte le donne in carico svolgono almeno uno-due colloqui settimanali per ripercorrere il vissuto emotivo”.

Capita che qualcuna torni sui suoi passi, interrompendo le azioni legali contro i partner violenti?

“Purtroppo è un fenomeno molto frequente, che cerchiamo di accompagnare invitando i partner a fare percorsi specifici in strutture a loro dedicate, solitamente fuori regione”.

Quali sono le principali tipologie di violenza?

“Dallo stalking agli stupri, purtroppo la casistica – che stiamo definendo dal punto di vista statistico – è molto varia e non risparmia nessuna tipologia. Ultimamente ci sono capitati alcuni casi di mobbing sul lavoro, situazioni nelle quali il datore di lavoro ricatta la dipendente chiedendo prestazioni sessuali”.

Con i figli come lavorate?

“Innanzitutto abbiamo studiato soluzioni logistiche per far sì che le donne con figli a carico possano continuare a vivere insieme. Da parte nostra, facilitiamo l’inserimento scolastico e, per le donne, la ricerca di un nuovo lavoro. Dal punto di vista psicologico, abbiamo personale specializzato nella cura di bambini vittime di traumi, così come abbiamo due legali che hanno svolto corsi di formazione appositi per trattare le violenze di genere”.

Allo Sportello di Terni sono state ricevute 156 donne in 15 mesi, e ne sono state ospitate 15 con 16 minori. “Il tempo minimo di permanenza è stato di sei mesi, che è piuttosto breve in questo periodo così critico dal punto di vista economico”, dice Silvia Menecali dello Sportello ternano.

 Chi sono le donne che ospitate?

“Offriamo ospitalità alle donne che non hanno reti familiari o hanno difficoltà economiche, in sinergia con il centro di Perugia”.

Quanti posti letto avete?

“Al momento ne abbiamo 20 diversamente dislocati: 8 al centro di Terni più 4 in emergenza, inoltre 4 nella casa di semi-autonomia (per donne che hanno possibilità di sostentamento economico) e altri 4 nella struttura protetta a indirizzo segreto, per donne che rischiano la propria incolumità. Per quanto riguarda Terni, ci servirebbero più posti”.

 

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Custodire l’umanità. I temi trattati al convegno https://www.lavoce.it/custodire-lumanita-i-temi-trattati-al-convegno/ Mon, 02 Dec 2013 20:11:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20895 Immagini dal convegno “Custodire l'umanità”
Immagini dal convegno “Custodire l’umanità”

«Papa Francesco ricorda con molta insistenza che il Vangelo è seme di umanesimo nella storia. Bisogna che riemerga questa potenza umanizzante del Vangelo per il mondo di oggi e il Convegno di Assisi, con i suoi numerosi e autorevoli relatori, offre questa forza umanizzante del Vangelo in preparazione del V Convegno nazionale della Chiesa italiana dedicato al tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” , che si terrà a Firenze nel novembre 2015». A dirlo, a margine della sua “lezione inaugurale” (il testo integrale della relazione), è stato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, intervenendo all’apertura del Convegno “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”, che si è tenuto il 29 e 30 novembre a Santa Maria degli Angeli in Assisi (Teatro Lyrick). Il convegno era poromosso da Conferenza episcopale umbra (Ceu), Progetto Culturale della Cei, Università degli Studi e per Stranieri di Perugia.
Il tema scelto per questo importante evento culturale, ha evidenziato il cardinale, «riprende quanto il Santo Padre Francesco ha annunciato all’inizio del suo Pontificato, e che richiama alla Chiesa universale con parole e azioni».
«Come discepoli per grazia, ma anche in quanto persone, siamo chiamati a prenderci cura dell’umanità là dove vive – ha proseguito il presidente della Cei –. Ci si addentra n

elle periferie – termine riccamente evocativo – non con una strategia di assalto, ma con la temperatura del cuore. Siamo qui per questo: ogni altra ottica sarebbe offensiva. Ma che cosa sono le “periferie”? Da un punto di vista sociologico sono i luoghi fuori dal “centro” della città; in senso più ampio, lontani dal potere, dagli apparati delle decisioni. Ma, intermini  più radicali e universali, le periferie sono i luoghi e le situazioni di lontananza dal centro più profondo dell’umano che è la verità, l’amore, la giustizia. Quando si vive vicini a questo centro allora si è centrati, e le altre distanze sociologiche diventano secondarie. Viceversa, quando siamo decentrati rispetto al bene e alla verità, all’amore a alla giustizia, allora vivere nel centro del potere, del successo, della salute, non cancella il nostro essere dolorosamente periferici rispetto a ciò che vale».

Alla sessione di apertura del Convegno sono intervenuti, oltre al cardinale Angelo Bagnasco, l’arcivescovo di Assisi e vice presidente della Ceu mons. Domenico Sorrentino, il vescovo di Città di Castello mons. Domenico Cancian, delegato Ceu per la Commissione regionale dei Problemi sociali e il Lavoro, la Giustizia e la Pace e la Salvaguardia del Creato, e Vittorio Sozzi, del Progetto Culturale della Cei.
Mons. Sorrentino ha evidenziato che «custodire l’umanità tocca il nostro vissuto, ha a che fare con le nostre preoccupazioni più radicali e le nostre speranze più vive, e ci spinge a misurarci senza paura con il rischio che forse per la prima volta l’umanità corre in modo così vasto e globale: quello di smarrire la sua identità». Interessante il riferimento del presule al  Cantico delle Creature di san Francesco da cui si sviluppa anche quell’orizzonte attuale sul creato. «Un cantico che è una preghiera di grande profilo umanistico – ha detto mons. Sorrentino – è posto nell’inclusione tra due prospettive umanistiche, che inseriscono la contemplazione della creazione dentro una cultura del dono e una cultura della speranza di cui abbiamo assolutamente bisogno per custodire la nostra umanità».
E’ stato quindi mons. Cancian a sottolineare nel suo saluto il senso plurimo  del verbo custodire che «evoca chiaramente la dimensione contemplativa dell’uomo che trova la sua massima espressione in Maria».

«Custodire è anche accogliere con attenzione e rispetto – ha aggiunto mons. Cancian –, meditare e cercare di comprendere, essere consapevoli di avere in dono qualcosa di Santo e di sacro che non può essere perduto, trascurato, usato a piacimento, consumato secondo il principio narcisistico dell’usa e getta. Tale atteggiamento del custodire è riferito al Creatore, all’umanità specie dei più deboli e fragili, quelli che papa Francesco chiama le periferie esistenziali».

Sozzi ha ricordato come «l’impegno culturale della comunità cristiana non può mai limitarsi ad una semplice analisi sociologica o all’applicazione di categorie ideologiche, ma si caratterizza come vero e proprio servizio all’uomo: un servizio che rianima la speranza e apre prospettive impensate».

Facendo riferimento all’attuale momento di crisi che, come ha ricordato papa Francesco, sembra generare rassegnazione e pessimismo,  Sozzi ha sottolineato che «se la crisi è affrontata con un giusto discernimento può diventare momento di purificazione e di ripensamento dei modelli economico-sociali per recuperare l’umanità in tutte le sue dimensioni».

Nella seconda sessione della mattinata sul tema “Quale modernità 
post-secolare?” sono intervenuti  Andrea Riccardi, Salvatore Natoli e mons. Bruno Forte.

Andrea Riccardi docente di Storia Contemporanea all’Università di Roma Tre e già ministro della Repubblica,  ha proposto interessanti spunti di riflessione sul tema “I cristiani e la globalizzazione”.Il lungo processo  della modernità ha messo in campo le molte opportunità legate alla globalizzazione ma con esse le tante problematiche socio-economiche e culturali. «Un effetto della globalizzazione – ha detto Riccardi – è la crescita del senso individuale della vita, che ha allentato legami sociali e ha sradicato movimenti di massa. E’ la crisi di tante forme comunitarie e la forma normale di vita diventa individuale. Di contro si sviluppa l’insicurezza, il mondo appare multipolare».

Andrea Riccardi ha anche parlato di scontro di civiltà, dei rapporti con l’Islam, di altre globalizzazione che si sono verificate nel passato: «a sua maniera il cristianesimo nasce come globalizzazione al di là delle frontiere etnico-linguistiche-culturali». La globalizzazione è un avvenimento che non ha trovato i cristiani impreparati «nella globalità del Concilio ed extra  Concilio si comincia  a vivere con gli altri in un mondo complesso in cui matura una teologia positiva dell’altro – ha aggiunto Riccardi –. Nel Concilio c’è il ripensamento di quello che vuol dire missione per un cristianesimo in un mondo globale e diverso: estroversione oltre le frontiere tradizionali, il contrario di un arroccamento. La Chiesa è una globalizzazione fondata sulla comunione di fede. E’ connaturato al cristianesimo la prossimità umana fondata sulla gratuità, prossimità ai poveri, comunione tra le persone sono valori irrinunciabili.

Politiche della felicità: giustizia e beni comuni” è stato il tema trattato dal prof. Salvatore Natoli, docente di Filosofia teoretica all’Università di Milano Bicocca. «Il processo di secolarizzazione ha portato nella modernità europea ad una progressiva perdita di riferimento alla trascendenza. Oggi ci troviamo in un passaggio d’epoca che definirei secolarizzazione della secolarizzazione, dall’attesa della fine dei tempi si è passati al tempo senza fine cercando di rendere migliore il dimorare degli uomini sulla terra e verso il raggiungimento della felicità massima. Ma sono necessarie politiche finalizzate alla giustizia e beni comuni nel distribuire equamente la ricchezza e salvaguardare la terra. In questo contesto il cristianesimo è ancora attuale con il suo messaggio d’amore e di carità ed in questo riesce ad essere influente e su questa strada è il suo futuro possibile».

A chiudere la sessione è stato l’intervento di mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto e apprezzato teologo, sul tema “Custodire l’umanità oltre l’utopia e il disincanto. L’umanesimo cristiano alla prova del post-moderno”.  Dal totalitarismo della ragione moderna alle ideologie nichiliste, il trionfo del soggetto e della ragione nel disconoscimento della trascendenza portano alla ricerca di vie altre per l’uomo nel rapporto con l’Assoluto, nella sua condizione filiale «la proposta dell’umanesimo cristiano – ha detto mons. Forte – s’incontra oggi con modelli diversi di umanesimo che ispirano tante opzioni speculative e stili di vita. Un primo modello è quello dell’umanesimo religioso aperto alla trascendenza  come condizione che rende autentica ogni esperienza religiosa e che va rispettata in ogni forma di ricerca del divino. Un secondo modello potrebbe essere quello aperto alle questioni ultime, ma non coniugate ad un’esplicita opzione di fede anche se aperte al dialogo e alla ricerca comune. Un terzo modello di umanesimo è costituito dal cosiddetto pensiero debole, cioè che si chiude pregiudizialmente alla possibilità del trascendente e alle domande che lo riguardano. Certamente la proposta cristiana si pone come critica nei confronti di questo pensiero».

«In questo la proposta cristiana si offre come un nuovo umanesimo – ha concluso mons. Forte – proprio per la sua forza di suscitare novità di vita nell’accoglienza del dono “dell’altro”. Ai cristiani è richiesta una perenne novità di vita, e con essi ai credenti di altre fedi, ai non credenti in ricerca, agli indifferenti. Nei loro confronti è richiesto uno stile di annuncio fatto di presenza irradiante nella fede e nella carità, tale da suscitare l’amore più grande senza violentare il cuore dell’uomo».

Alla prima sessione pomeridiana dedicata a “Economia e società”, sono intervenuti gli accademici Mauro Magatti, docente di Sociologia all’Università Cattolica di Milano, di Luigino Bruni, docente di Politica economica alla Lumsa di Roma, e Adriano Fabris, docente di Filosofia morale all’Università di Pisa.
Magatti ha aperto il suo intervento facendo un excursus sulla crescita economica dal secondo dopoguerra ad oggi, che «il processo di accumulazione, coinvolgendo nuovi strati sociali, ha virato verso una progressiva socializzazione». La corsa all’accumulazione, ha ricordato il docente, ha avuto già negli anni ’70 il suo culmine rispetto a un termine più lungo che era stato programmato. Da qui la crisi mondiale che oggi si vive. Oggi «la mera espansione finanziaria non può costituire la via principale dell’accumulazione capitalistica, ma è necessario un ampliamento della base produttiva, o meglio di creazione del valore. Un contributo importante dovrà avvenire da nuove forme di accumulazione sociale e culturale, ossia la cura dei luoghi e delle persone patrimonio di intelligenza e creatività da cui si può sprigionare quel nuovo valore di cui le società sono alla ricerca».

Bruni si è soffermato sul concetto della «custodia dell’umanità» che «oggi passa anche per certi versi soprattutto dalla custodia dei beni comuni». La sua relazione ha trattato, da una prospettiva economica, in particolare, «le peculiarità della custodia dei beni comuni, dove il rapporto più cruciale non è tanto né soprattutto quello tra le persone e i beni, ma i rapporti interpersonali per i quali è richiesta una razionalità più sociale e meno strumentale rispetto a quella oggi nelle scienze economiche».

Fabris ha incentrato il suo intervento sul denaro «come forma di relazione degli esseri umani fra loro» e come questo rapporto abbia modificato rapporti socio-economici. «Il denaro oggi – ha detto il docente – si è fatto virtuale, autoreferenziale: è uno dei modi in cui si attua l’autoaffermazione delle nuove tecnologie provocando conseguenze sbagliate e ingiuste». L’evoluzione in positivo dell’attuale crisi economica è nella critica dell’attuale modo di agire e «nel promuovere, attraverso il giusto uso del denaro, relazioni buone».

Nell’ultima sessione della prima giornata sono intervenuti Philip Jenkins, docente di Storia alla Baylor University (Usa), mons. Giuseppe Nazzaro, vicario apostolico emerito di Aleppo, Franco Vaccari, docente e fondatore di “Rondine-Cittadella della Pace” (Arezzo) e l’ambasciatore palestinese a Londra Manuel Hassassian, docente di Scienza politica all’Università di Betlemme.

Il professor Jenkins ha sostenuto che, «per quanto riguarda le situazioni di conflitto e violenza del mondo contemporaneo, prevalentemente situate nel Medio Oriente islamico, ma anche nell’Asia orientale, si prospetti un possibile futuro di pace e di parallela diminuzione dell’estremismo. Ciò attraverso l’europeizzazione dell’Islam in corso, visibile anche nel mutamento della concezione della donna che, combinata con un processo di secolarizzazione, condurrà nel breve termine alla riduzione di violenza e conflitti. Questa secolarizzazione incrementerà però, nel lungo periodo, individualismo e atomizzazione della società».
«Nei conflitti in cui lo scontro sarà tra le ambizioni degli Stati, da una parte e la difesa dei diritti dell’ individuo e delle comunità dall’altra – ha evidenziato il docente statunitense –, i gruppi e le istituzioni religiose giocheranno un ruolo fondamentale affrontando il bisogno urgente di definire e difendere questi diritti. In ciò i cristiani  troveranno una causa comune con le altre fedi, inclusa l’Islam. Il conflitto si trasformerà dunque in una sfida culturale non violenta tra valori religiosi e valori secolari».

Mons. Nazzaro ha ripercorso le tappe della storia siriana riportando l’esperienza vissuta in prima persona a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Egli ha messo in luce come le varie culture religiose avevano imparato a convivere come «figli della stessa patria con tradizioni diverse» fino al marzo 2011. Mons. Nazzaro ha sostenuto che «i conflitti scoppiati in seguito alla Primavera Araba non siano da considerarsi una guerra civile tra musulmani e cristiani, come risulta il più delle volte dall’informazione dei media, ma piuttosto una guerra tra l’esercito e le frange di al-Qaeda».
L’ambasciatore Hassassian, ricollegandosi all’intervento del professor Jenkins, ha manifestato il proprio ottimismo per quanto riguarda la risoluzione del conflitto arabo-israeliano, «a condizione che la pace non venga imposta come “diktat” da parte di Israele come avvenuto in passato, ma come effettiva trattativa mediata dall’intervento dell’Unione Europea».

Il professor Vaccari ha portato l’esperienza costruttiva di pace di “Rondine”  intervenendo sul tema “Guarire le relazioni per giungere alla pace”, in particolare soffermandosi sulle tante “periferie del mondo”. «Non solo nei territori di guerra – ha evidenziato Vaccari –, ma in ogni società succedono crescenti disarticolazioni ad ogni livello sociale cultuale, politico, umano, della relazione e quindi la disarticolazione del tessuto sociale crea milioni, miliardi di periferie e il cuore e la mente diventano deserto piano piano, si desertifica l’umanità. Dobbiamo costruire una cultura nuova della relazione con l’altro e dentro questa relazione forte, la persona si può ritrovare, esprimere il dolore, superare il conflitto e ricostruirsi».
Soffermandosi poi sul concetto che «la relazione ha un aggettivo forte, che è la custodia», Vaccari ha detto: «noi a “Rondine”, infatti, viviamo un laboratorio di custodia reciproca quotidiana: i giovani che vengono qui dai luoghi di guerra accettano la sfida per vedere se lontano dalla propaganda che avvelena il cuore e la mente possono custodirsi reciprocamente, da nemici diventare amici. L’israeliano accoglie alla stazione il palestinese e lo porta a Rondine come suo custode e viceversa. Questa è l’esperienza che dice che la strada di una relazione ricompresa ed educata è la via per la risoluzione di ogni tipo di conflitto».

Alla relazione di Vaccari è seguito un breve ma significativo intervento di un giovane israeliano ospite di “Rondine”, che ha affermato: l’esperienza di convivenza é riuscita ad abbattere il «muro non solo fisico ma anche mentale» che divide gli israeliani dai palestinesi, portandoli entrambi e considerarsi semplicemente come amici.

SECONDA GIORNATA
La prima sessione era dedicata ai destini delle utopie del Novecento e alla famiglia con i contributi di Lucetta  Scaraffia, docente di Storia Contemporanea all’Università La Sapienza di Roma,  Roberto Volpi, statistico e saggista, e  Adriano Pessina, docente di Filosofia morale all’Università Cattolica di Milano.

Scaraffia ha affrontato il tema della rivoluzione sessuale come crisi di un’utopia e uno degli effetti della secolarizzazione e dei cambiamenti della morale legata alla sessualità:  “E’ stata una delle trasformazione più grandi in Occidente, un cambiamento che ha inciso sulla morale sessuale, abbandonando  quella cristiana verso altre vie. Sono cambiati molti da allora i rapporti tra i sessi, le modalità del concepimento separando la procreazione dalla libertà della vita sessuale”. Una delle conseguenze maggiori di questa rivoluzione è stata a scapito della famiglia: “ Liberi da ogni morale sessuale, la famiglia orienta le sue scelte in modo diverso specie in riferimento ai figli, che sono voluti e si sceglie quando farli nascere ritenendo che i figli voluti crescono meglio, guardando  quindi alla qualità rispetto alla quantità.

Cresce una propaganda armonistica a favore dalla coppia e della famiglia, che considera il cattolicesimo contro la felicità umana.  Oggi possiamo dire che erano ideologie infondate e troppo sbandierate e gli effetti propagandati non si sono verificati per la famiglia e le difficoltà hanno colpito le famiglie disagiate”. In conclusione gli aspetti positivi di questi grandi cambiamenti: “Oggi si possono affrontare i problemi sessuali con maggiore serenità – ha detto Scaraffia – si ha un maggiore rispetto delle ragazze madri, il rispetto per il corpo femminile e la condanna di ogni forma di violenza sulle donne.  La Chiesa ha chiarito meglio la sua posizione su questi temi e operato per il bene dell’essere umano”.

Della questione antropologica familiare si è occupato Volpi tracciando un quadro storico sociale della famiglia tradizionale che ha espresso il massimo della sua forza nel periodo dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta. “Tutti si sposavano in giovane età – ha detto Volpi – e in chiesa. La famiglia era lo strumento per farsi strada, era fatta di grandi progetti, per aspirare a un futuro migliore. Era biglietto d’ingresso nella società adulta,  uno strumento con cui aggredire la realtà. Non si aspettavano traguardi per costruire la famiglia, ma semplicemente si andava”. La situazione attuale sembra invece portare ad una rivoluzione fallimentare della famiglia, passata da un atteggiamento sociale di tipo aggressivo a difensivo. E i numeri parlano chiaro con la decrescita demografica, con l’invecchiamento della popolazione dove 1 persona su 6 s trova nella fascia tra gli 0 e i 17 anni mentre  12 milioni sono gli over 65 su un totale di 60 milioni. “Una famiglia stanca e decrepita dove mancano i ragazzi che sono il collante delle famiglie con la società – ha detto Volpi -. Si è scavato un fossato nella concezione della famiglia sulla quale pesano quattro elementi: il divorzio sulle trasformazioni della famiglia, l’università di massa, la forte terziarizzazione dell’economia e il bassissimo grado di mobilità sociale  specie in Italia. Sono cresciute le famigli uni personale al 30 per cento  e calano le coppie con figli il cui modello è quello prevalente del figlio unico”.

Una riflessione sull’uomo come capitale umano posto al centro del mercato biotecnologico che permette nuove forme di benessere personale è stato il tema dell’intervento di Adriano Pessina. “E’ impensabile conservare l’uomo così, perché il dibattito sul potenziamento dell’uomo si salda ormai con il superamento della condizione e della natura umana – ha detto Pessina -. In questo s’inserisce la possibilità per l’uomo di progettare la propria vita, il desiderio di un benessere che porti alla felicità ma che stride con l’insoddisfazione della condizione umana di oggi. Le  modifiche  genetiche, le migliori intelligenze aiutate dalla scienza che dipendono dal mercato portano sempre più ad un soggettivismo solipsistico. L’uomo deve fare i conti però con la propria finitezza. Del resto il finito e l’infinito si sono riconciliati nella persona di Cristo e questa è la sola strada del nuovo umanesimo”.

Alla seconda sessione dedicata a “L’uomo, l’arte e il sacro” hanno relazionato mons. Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore (Firenze), e  Sergio Givone, docente di Estetica all’Università degli Studi di Firenze.

Mons. Verdon ha proposto una riflessione sulla «funzione dell’arte sacra cristiana» a partire dagli affreschi di Giotto nella Basilica Superiore di Assisi. Giotto, che rappresenta l’epoca in cui l’espressione artistica era indissolubilmente legata alla sfera cristiana, ci propone l’uomo Francesco come colui che «pregando percepisce nel cuore la forza del linguaggio divino». Linguaggio divino che si fa pane e si confonde nel «puzzo dei bassi fondi dell’Urbe» nella famosa Vocazione di San Matteo del Caravaggio: il linguaggio dell’artista è «efficace come indagine religiosa» per quanto sconcertante per il pubblico cristiano dell’epoca. L’arte va quindi verso la visione di Cristo «come l’anti-eroe» per eccellenza (Rembrandt), Colui che va a cercare l’uomo nella sua «periferia esistenziale». Ma, col passare dei secoli fino alla società odierna, «il genere umano, reso insensibile dal benessere, immobilizzato dai piaceri», reputa «politicamente scorretto e addirittura offensivo» realizzare opere che facciano chiara allusione a Cristo (Wallinger) o alla fede in genere. Ma ciò che di fatto emerge dalle opere degli artisti di oggi è una «ricerca spirituale focalizzata sull’uomo ma paradossalmente priva di Dio» (Viola), in cui «traspare tuttavia, anche se in maniera confusa, la sete di salvezza, la fame di senso e di vita vera». «La Chiesa – ha concluso mons. Verdon – con la sua millenaria tradizione di bellezza, deve andare incontro all’uomo» e noi cristiani siamo chiamati a «rispondere a quanti sperano da noi qualcosa dell’arte del vivere evangelico».

Givone ha ricordato come «a partire dai secoli  XV-XVI il processo di secolarizzazione sembra allontanare l’arte dal sacro. Se in passato “la penna dei profeti riusciva ad intingersi nell’essenza del divino”, successivamente l’uomo ha dovuto confrontarsi con la natura, come dimostra la teoria di Galileo Galilei riguarda alla «secolarizzazione della Natura». Nel contempo, ha sostenuto il docente, «emergono teorie e tecniche che ripropongono un’ idea dell’arte in cui il sacro ricopre un ruolo preponderante: la tecnica della prospettiva lineare, a partire da Masaccio, la teoria vichiana del singolo, la poetica di Bach del contrappunto ( l’arte della fuga), ma anche in epoca contemporanea nella visione del sociologo Adorno, nello scrittore Joyce e nell’artista Kandinskij».

La prima sessione del pomeriggio “Per un bilancio del cattolicesimo politico in Italia”, ha visto intervenire due docenti universitari di Storia contemporanea, Ernesto Galli della Loggia e Agostino Giovagnoli.

Galli della Loggia ha fatto un excursus storico dell’impegno dei cattolici italiani nella vita politica e istituzionale del Paese dal Risorgimento ad oggi, evidenziando il loro fondamentale contributo nei momenti più difficili della storia d’Italia. Inoltre, non ha tralasciato anche i momenti molto forti di tensione tra la Chiesa e gli stessi cattolici impegnati ad iniziare, come l’ha definito lo stesso docente, dal «padre unico della Repubblica italiana, Alcide De Gasperi».
Galli della Loggia ha ricordato l’impegno, universalmente riconosciuto, dei cattolici e della stessa Chiesa italiana nella Resistenza al nazifascismo, definendo la Chiesa «socio fondatore della Repubblica». Soffermandosi sull’odierna società italiana «corrotta fino al marciume», lo storico ha sostenuto che «per rimuovere questo marciume occorre mettere insieme uomini di buona volontà, piuttosto che riorganizzare un partito cattolico».
A margine del suo intervento, Galli della Loggia ha sostenuto che: «non si costruisce la politica sulla fede, ma la fede può produrre l’entusiasmo necessario per animare la politica che si costruisce intorno a delle ideologie e a dei valori».

Giovagnoli ha centrato il suo intervento sul bene comune alla luce del magistero di papa Francesco che «ha sviluppato un originale riflessione sul tema dell’amicizia politica, quale via privilegiata per realizzare una dinamica di sviluppo al servizio di tutti per contrastare la conflittualità esasperata favorita dall’individualismo consumista».
«Nell’ottica del bene comune – ha evidenziato Giovagnoli –, il contributo dei cattolici si è sviluppato in forme diverse nelle varie fasi della storia italiana, contribuendo alla formazione di una comune coscienza nazionale nel periodo risorgimentale. Nel secondo dopoguerra, i cattolici hanno assunto in modo prioritario l’impegno per il bene comune con una politica inclusiva sotto il profilo economico, sociale e culturale. Negli ultimi decenni tale azione si è progressivamente indebolita all’interno di una più generale crisi della politica nel contesto della crescente conflittualità».
«Oggi i cattolici – ha concluso il docente – sono chiamati ad impegnarsi non nell’ottica di una crescente esasperazione dei conflitti, ma al servizio di una vasta visione strategica per un’azione condivisa nel perseguimento del bene comune nazionale ed internazionale».

Alla Sessione conclusivaL’Occidente e il mondo contemporaneo. Analisi e prospettive”, coordinata da Giovanni Maria Vian, direttore de «L’Osservatore Romano», sono intervenuti il professor Fabrice Hadjadj, scrittore e filosofo, che ha relazionato sul “potere tecnologico e povertà evangelica”, offrendo ampi spunti di riflessione sull’odierna «crisi radicale dell’umanesimo», e l’arcivescovo mons. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu e vice presidente della Cei.
Mons. Bassetti, nel «tirare le fila» del Convegno, non ha esitato a definirlo straordinario e sorprendente: sia per la qualità degli interventi, che per la grande risonanza di pubblico che ha avuto questo convegno. Per questo motivo non posso che iniziare ringraziando calorosamente tutti i relatori e il pubblico numerosissimo che è venuto qui ad Assisi anche da fuori regione e che ha dimostrato, in questa due giorni, un’attenzione costante: ho notato che moltissimi scrivevano prendendo appunti e sono tantissimi coloro che ci hanno già richiesto gli atti».
«Voglio ringraziare anche tutte le associazioni e le realtà ecclesiali della regione che hanno aderito con entusiasmo a questa iniziativa – ha proseguito il suo intervento mons. Bassetti il cui testo integrale è consultabile sul sito www.chiesainumbria.it –. Un’iniziativa complessa e molto impegnativa che è stata realizzata grazie allo sforzo progettuale di alcuni giovani intellettuali supportati, con grandissima partecipazione e competenza, da un gruppo di giovanissimi volontari, per lo più studenti, che hanno dato tutto se stessi per il successo di questa iniziativa. E ringrazio, infine, non certo ultimo per importanza, il Signore che ha permesso tutto questo. Che ha fatto sì che, attraverso percorsi inattesi e inesplorati, per due giorni, qui ad Assisi, alcuni tra i più importanti intellettuali laici e cattolici del nostro Paese, e non solo, si incontrassero e dialogassero intorno alle parole di papa Francesco: “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali”».

«Questo incontro – ha evidenziato il presule – è il frutto di un’assunzione di responsabilità da parte di quanti hanno la piena consapevolezza di vivere all’interno di un eccezionale e delicatissimo periodo di transizione storica. Oggi, stiamo vivendo un momento di passaggio epocale, caratterizzato da profondi mutamenti culturali, geopolitici ed economici che, velocemente e bruscamente, stanno ridisegnando la geografia morale e culturale del mondo in cui viviamo. Molti degli interventi di questi giorni sono partiti proprio da questo assunto di fondo».
«La grande narrazione del tempo presente – ha detto mons. Bassetti – è caratterizzata dal paradigma della “crisi economica” a cui si aggiunge quello dell’agonia e del “declino” del mondo occidentale. Un declino, secondo alcuni ineluttabile, i cui effetti sarebbero sotto gli occhi di tutti: il rallentamento della crescita economica e l’aumento dei debiti pubblici degli Stati si legano, inesorabilmente, con l’invecchiamento progressivo della popolazione e con l’aumento di comportamenti antisociali. Il magistero della Chiesa cattolica ormai da anni insiste, giustamente, nel ritenere che alla base di questa lancinante crisi economica si colloca una profonda crisi morale dell’uomo moderno…, che vive in un indefinito e opprimente presente, con sempre meno consapevolezza del proprio passato e della propria storia e, di conseguenza, con sempre meno capacità di proiettarsi nel futuro.
«Uno dei fattori più inquietanti, preoccupanti e più drammatici di questa difficilissima crisi morale-economica – ha proseguito mons. Bassetti – è proprio questa rottura del patto tra le generazioni, tra i vecchi e i giovani, che di fatto sta scaricando dolorosamente il peso maggiore della crisi sui nostri figli e sui nostri nipoti. Nessuno di noi è immune da responsabilità. Ognuno di noi ha il dovere di domandarsi il perché di questa situazione».

«I dati pubblicati ieri dall’Istat sul tasso di disoccupazione giovanile in Italia – sottolineato il presule – lasciano sgomenti: il 41% dei giovani non ha un lavoro. È il dato peggiore dal 1977 ad oggi. Come non capire che dietro queste statistiche terribili si celano, non tanto e non solo dei dati economici, ma un drammatico vuoto esistenziale, una funesta rottura antropologica nel rapporto di scambio tra genitori e figli? Questa consapevolezza della crisi morale-economica della nostra società non deve, però, in alcun modo, farci perdere la speranza e farci distogliere lo sguardo dalla bussola della nostra vita, che è sempre indubitabilmente Cristo».
Poi mons. Bassetti si è soffermato sul «gesto che ha smosso la storia» nel 2013, le dimissioni di Papa Benedetto XVI, definendole «un gesto di cui non si può non sottolineare l’umiltà, la libertà e la fede profondissima. Un gesto a cui noi oggi guardiamo con ammirazione, devozione e gratitudine. Un gesto, dicevo, che ha mosso la storia, che ha aperto strade nuove e inaspettate, come l’arrivo di un nuovo pontefice “preso dalla fine del mondo” e che, tra le moltissime novità che si potrebbero sottolineare, ha preso, per primo, il nome del poverello d’Assisi, San Francesco. Questo tempo, dunque, non è soltanto un tempo segnato dalla crisi economica, ma è indubbiamente un tempo favorevole, è un kairòs, un tempo nel quale accogliere la grazia di Dio e i segni dei tempi di cui ci ha parlato il Concilio. Un tempo che va compreso e che non va demonizzato. Sia per i credenti che per i non credenti. Per la Chiesa questo tempo è, indiscutibilmente, il tempo dell’annuncio. Un annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ad ogni persona, ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Una Chiesa che non annuncia il Vangelo è, infatti, una Chiesa ritirata nelle stanze vuote di una mondanità spirituale che non produce frutto. Una Chiesa che evangelizza è, invece, prima di tutto una chiesa di popolo. E in questi due giorni, forse, abbiamo visto e toccato con mano questo popolo».

«Una chiesa che per sua natura, dunque – ha evidenziato ancora l’arcivescovo –, non può che essere missionaria e che, soprattutto, deve avere “le porte aperte” per “uscire verso gli altri” e “giungere alle periferie umane”. Verso quelle periferie dell’esistenza, in cui le povertà materiali si assommano alle povertà relazionali, e “verso quei luoghi dell’anima” – come abbiamo scritto nel messaggio iniziale di questo convegno – “dove ogni persona sperimenta la gioia e la sofferenza del vivere, nella speranza che l’umano, di fronte all’ascesa quasi inarrestabile della tecnica, ritorni al centro della riflessione e della convivenza sociale”».
«La Chiesa altro non è che il piccolo gregge – ha sottolineato mons. Bassetti avviandosi alla conclusione –, il popolo viandante lungo i sentieri del tempo, nella compagnia con gli uomini e le donne fratelli e sorelle, votato non al proprio tornaconto, non all’acquisizione di qualsivoglia posto di prestigio, di rendita, di potere: ma al servizio della promozione di tutto l’uomo e di ogni uomo, con sguardo di amore preferenziale rivolto a chi abita le “periferie esistenziali” del mondo moderno».
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Circa un migliaio sono stati i partecipanti (provenienti da undici regioni italiane) a questo evento culturale umbro di respiro internazionale per i relatori esteri che interverranno. Molto coinvolto anche il mondo dei media con più di cinquanta giornalisti provenienti da tutt’Italia e l’iniziativa del “Salotto delle interviste” a cura di alcuni direttori di testate giornalistiche in dialogo con i relatori.

Inoltre, la segreteria organizzativa del Convegno, evidenzia anche il grande interesse che ha suscitato il tema “Custodire l’umanità. Verso le periferie esistenziali” nelle Scuole superiori dell’Umbria (vi hanno partecipano circa 200 studenti di una decina di Istituti) e nelle Facoltà di Lettere e Filosofia e di Scienze Politiche dell’Università di Perugia.

Al termine della sessione sull’arte, sabato mattina  è stata presentata l’importante Mostra fotografica “Aure”, come contributo-testimonianza artistico al Convegno, dalla sua stessa autrice, la giornalista e documentarista polacca Monika Bulaj. Sono scatti dedicati ad importanti temi di ricerca quali: i confini delle fedi (mistica, archetipi, divinazione, possessione, pellegrinaggi, corpo, culto dei morti), minoranze, popoli nomadi, migranti, intoccabili, diseredati, in Asia, Europa e Africa.

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Resoconto tratto da www.chiesainumbria.it

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Il sito web del convegno: www.custodireumanita.it/

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La prolusione del card. Bagnasco al Consiglio permanente Cei https://www.lavoce.it/la-prolusione-del-card-bagnasco-al-consiglio-permanente-cei/ Thu, 26 Sep 2013 13:10:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=19323 prolusioneUna Chiesa italiana che è in profonda sintonia, spirituale e pastorale, con il Papa Francesco venuto “quasi dalla fine del mondo”. E non solo perché è il Vescovo di Roma e Primate d’Italia, ma soprattutto perché il suo stile pastorale nuovo sta visibilmente facendo breccia tra “vicini” e “lontani”: questo il filo conduttore che si può cogliere nella prolusione del card. Angelo Bagnasco ai lavori del Consiglio permanente della Cei apertisi il 23 settembre a Roma.

Incontro che è stato segnato sin dalle prime battute dalle “tre precise direttive” che Papa Francesco aveva consegnato alla Cei riunita in assemblea nel maggio scorso, quando abbracciò tutti i vescovi, a uno a uno, nella basilica di San Pietro i confratelli delle 226 diocesi italiane.

Ma il card. Bagnasco si è anche occupato degli aspetti culturali e spirituali di questo momento storico. Ha parlato di un “virus” che si è diffuso nel “suolo umano”, che lo sta impoverendo e svuotando di relazioni: questo virus è l’individualismo, “una radice avvelenata che non sempre è presa nella debita considerazione”. La condizione umana appare segnata da “una prospettiva autoreferenziale, insofferente ai legami”, che “porta con sé un carico di violenza che anche i drammatici fatti di cronaca, sempre più numerosi, testimoniano, a partire dalla violenza sulle donne”. Dentro questa realtà serve uno sforzo speciale per tornare a una “civile e serena convivenza”, recuperando “la cultura dell’incontro e dei legami” che un tempo “era il tessuto della vita e rendeva solida ed affidabile la società intera”.

Il Presidente della Cei ha collegato questa solidità al ruolo svolto dal “microcosmo della famiglia”, senza il quale “è impossibile vivere il macrocosmo della società e del mondo”. Del resto, la gravità della situazione è sotto gli occhi di tutti: “Non ci si può illudere che tutto sia nuovamente a portata di mano come prima. Grande impegno viene profuso dai responsabili della cosa pubblica, ma i proclamati segnali di ripresa non sembrano dare, finora, frutti concreti sul piano dell’occupazione, che è il primo, urgentissimo obiettivo. Ogni passo è benvenuto, ma l’ora esige una sempre più intensa e stabile concentrazione di energie, di collaborazioni, di sforzi congiunti senza distrazioni. Ogni atto irresponsabile, da qualunque parte provenga, passerà al giudizio della storia”, ha poi ribadito, alludendo alla delicata situazione politica e ai rischi di instabilità degli ultimi tempi.

Di fronte al dramma della disoccupazione, con il 37,3% dei giovani in cerca di lavoro e spesso costretti a emigrare, ha richiamato l’esigenza di sostenere in ogni modo la famiglia, a partire dallo strumento fiscale del “fattore famiglia” che permetterebbe la “restituzione di quanto la famiglia stessa produce in termini di benessere generale”. Il Cardinale ha poi ribadito l’insegnamento della Chiesa, riproposto anche dal Papa, sull’unione uomo-donna come struttura di base. “Il matrimonio non è la stessa cosa dell’unione di due persone dello stesso sesso” ma “distinguere non vuol dire discriminare. In ogni caso – ha continuato – nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno incriminare in alcun modo, chi sostenga ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura”.

Sui giovani e l’annuncio del Vangelo, ha parlato in toni calorosi e commossi della Giornata mondiale della gioventù di Rio, che ha mostrato come “i giovani nella Chiesa ci sono, che Dio è presente nel mondo, che l’umanità ne sente il bisogno”, che “la Chiesa accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente”. Ha sottolineato la richiesta formulata dai giovani alla Chiesa di “stare con loro” e ha rimarcato la necessità di fare spazio ai giovani, che “non vogliono essere esclusi dall’avventura né della vita né della Chiesa” e che “vogliono imparare a vivere ‘decentrati’ su Cristo, sine glossa, sul Vangelo senza letture ideologiche né di tipo pelagiano, né di tipo gnostico, di vivere la Chiesa senza storture funzionaliste e clericalismi”.

Si è infine soffermato sui gravi e diffusi episodi di intolleranza e violenza verso i cristiani in tante parti del mondo, e ha richiamato il grave e persistente fenomeno dell’immigrazione, con la recente visita del Papa a Lampedusa, “meta di disperazione e di speranza per molti”.

Le richieste del Papa alla Cei

Le “indicazioni” che la Chiesa italiana ha avuto da Papa Francesco all’assemblea nel maggio scorso, riguardano – ha detto il card. Bagnasco – in particolare il “dialogo con le istituzioni culturali, sociali e politiche, che il Papa ha confermato essere compito di noi Vescovi; poi, come rendere forti le Conferenze episcopali regionali perché siano voci delle diverse realtà; e infine il numero delle diocesi italiane, tema sul quale ha lavorato un’apposita Commissione episcopale, su richiesta della competente Congregazione per i vescovi”. Sembrano tre punti “piccoli”, ma in realtà significano un impegno di notevole revisione della vita interna della Cei, del suo stile pastorale, del modo stesso di fare pronunciamenti ufficiali.

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La Regione difende le donne https://www.lavoce.it/la-regione-difende-le-donne/ Thu, 27 Jun 2013 13:51:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17705 protesta-violenza-donne-FEMMINICIDIOIn Umbria la violenza sulle donne – amplificata dai due delitti nell’ultima settimana tra Foligno e Spello – è un fenomeno diffuso, soprattutto domestico e ancora, in grande parte, sommerso. È quanto emerge dall’osservazione dei dati raccolti attraverso il servizio Telefono donna. Secondo i dati raccolti sulle utenti dal 2007 al 2012, gli abusi sono prevalentemente subiti in famiglia. Soltanto l’8,9% avviene fuori dall’ambito familiare. Quasi l’80% delle donne denuncia violenze e maltrattamenti, il restante 20% si rivolge al Centro per problemi connessi alla separazione. Il tipo di violenza riferita è al 45,2% fisica e psicologica, mentre un 21,2% è di carattere economico. Le violenze sessuali sono il 6,3%, le molestie il 2,4%, con il tormento dello stalking deve fare i conti l’8,8%. Se si considera che il periodo preso in esame è di dieci anni, la media è di quasi un caso al giorno, senza contare gli episodi che restano tra le mura domestiche e che sono la stragrande maggioranza. E chi maltratta, sulla base dei dati regionali del Telefono donna, risulta essere quasi al 65% un insospettabile. La metà sono coniugi, in maggioranza comunque i partner, in carica o passati, con livello di scolarità medio-alto. Nel frattempo la Giunta regionale dell’Umbria ha approvato il disegno di legge “Norme per le politiche di genere e per una nuova civiltà delle relazioni tra donne e uomini”. La presidente della Regione, Catiuscia Marini, ha commentato che “questo provvedimento ha l’ambizione di presentarsi come un sistema organico di interventi per superare quegli impedimenti, anche di carattere culturale, che ancora oggi sono causa di discriminazione. Il provvedimento propone una visione innovativa delle politiche di genere, non più intese settorialmente, ma come elemento imprescindibile e trasversale a tutte le altre politiche pubbliche, nel campo della salute, dell’organizzazione del lavoro, dell’economia, della formazione, del welfare, della diffusione della cultura e delle politiche di genere, mettendo al centro la vita nella complessità dei suoi bisogni. L’obiettivo è coinvolgere l’intera società civile, nelle sue diverse articolazioni, in un comune impegno sociale e politico. È per questo che ogni azione, ogni decisione dovrà essere valutata e assunta anche tenendo conto dell’impatto differenziato sulla vita delle donne e degli uomini. Voglio sottolineare – ha proseguito la Presidente – che un intero capo (il V) della normativa è dedicato ai servizi di contrasto alla violenza degli uomini contro le donne, che la Regione riconosce come violazione dei diritti umani fondamentali in qualsiasi forma essa si manifesti, fisica o psicologica”.

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Violenza sulle donne, vanno ‘seguiti’ gli uomini https://www.lavoce.it/violenza-sulle-donne-vanno-seguiti-gli-uomini/ Thu, 06 Jun 2013 13:01:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17215 violenza-donne-2La violenza contro le donne è un problema sempre più diffuso. La cronaca parla di donne uccise, stuprate e maltrattate, ma per ogni donna che subisce violenza c’è un uomo che la fa. Del lato maschile della violenza sulle donne si è parlato il 31 maggio a Perugia al convegno “Uomini violenti: prevenzione e recupero” promosso dal Centro per le pari opportunità (Cpo) della Regione, dalla Camera minorile di Perugia e dall’Unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo, con il patrocinio della Regione e della Scuola superiore di avvocatura.

“La violenza sulle donne è questione che riguarda innanzitutto gli uomini, ed è quindi necessario che nel ‘maschile’ cominci ad aprirsi una riflessione” ha detto Daniela Albanesi, presidente del Cpo regionale. “Occuparci solo delle donne non basta – ha aggiunto Lucia Magionami, psicoterapeuta del Telefono donna del Cpo –, c’è bisogno di più formazione per leggere la violenza e saperla riconoscere. È importante mettersi insieme, avere un linguaggio comune tra operatori dei vari servizi per creare una sinergia che forse è più funzionale”.

Al convegno sono stati ricordati i dati raccolti in dieci anni di attività da Telefono donna, istituito nel 1989 dal Cpo della Regione. I dati mostrano che la violenza si verifica quasi sempre all’interno di una relazione poiché il maltrattante è il marito (47% dei casi), il convivente (14,6%), l’ex marito (11,3%).

Le donne che subiscono la violenza appartengono a ogni classe sociale e ogni fascia di età. Circa l’80% delle donne che hanno contattato il ‘telefono rosa’ denuncia di subire violenza e maltrattamenti, il restante 20% problemi legati alla separazione.

Negli ultimi dieci anni, 3.336 donne si sono rivolte al numero unico regionale di Telefono donna (800 861126): dal 2003 al 2012 sono quasi raddoppiate. Molte di loro chiedono che la violenza finisca, ma hanno difficoltà a sporgere denuncia per vergogna, per il timore del giudizio sociale. Il 68% sono di origine italiana, l’8% straniere.

Il maltrattante, in base sempre ai dati di Telefono donna, è quasi sempre insospettabile (65%). Alcolismo, tossicodipendenza, problemi psicologici-psichiatrici costituiscono aggravanti ma non sono le vere cause della violenza, che è comunque trasversale, riguarda cioè uomini di ogni età, etnia, nazionalità, classe sociale e livello culturale.

Telefono Donna

Il servizio Telefono donna, che si attiva con il numero verde 800 861126, realizza azioni e interventi di prevenzione e contrasto al maltrattamento e alla violenza nei confronti della donna. Opera presso le due sedi di Perugia e Terni. Non eroga prestazioni terapeutiche, ma è un luogo specializzato nell’ascolto e nell’accoglienza. Dà informazioni e accoglienza telefonica, presa in carico e trattamento dell’utente, e percorsi di uscita dalla violenza, consulenza legale e psicologica (ambedue gratuite).

C’è il Centro di ascolto per uomini maltrattanti

Ne ha parlato la psicologa Alessandra Pauncz. Un’esperienza nata a Firenze

Alessandra Pauncz, psicologa, operatrice del primo Centro di ascolto uomini maltrattanti (nato a Firenze nel 2009) ha presentato il Centro al convegno di Perugia: “Si rivolge a uomini che hanno usato violenza nelle relazioni affettive”. In questi anni, 165 uomini si sono rivolti al Centro fiorentino che per i primi due anni è stato l’unico punto di riferimento in Italia per uomini con questo problema. Oggi ve ne sono otto. “In genere, chi viene da noi è una persona con relazioni affettive stabili e di lungo periodo, ed ha tra i 30 e i 50 anni. Si rivolgono a noi spontaneamente, spesso spinti dalle proprie compagne, anche se abbiamo uomini che vengono con obblighi giudiziari. Nei primi due anni, circa la metà venivano dal Centro-Nord e Centro-Sud, ora sono in diminuzione, anche perché la richiesta dal territorio è sensibilmente aumentata e poi perché il percorso di recupero è molto lungo: dopo cinque colloqui di valutazione iniziale, segue un periodo di un anno all’interno di un gruppo, e per chi viene da fuori è difficile proseguire, allora lo indirizziamo a psicologi e psichiatri. Il percorso di assunzione di responsabilità fa sì che la violenza si interrompa abbastanza velocemente, nel giro di due mesi, mentre il periodo successivo serve a consolidare i risultati, e soprattutto estendere la percezione dei maltrattamenti anche a livello psicologico”. Il problema comunque, sottolinea, è la difficoltà ad assumersi le proprie responsabilità. “Questi uomini si ritengono vittime e tendono a dare la colpa alle compagne, che spesso si fanno carico di ciò che non funziona nella relazione. Il problema è che, se non c’è un lavoro specifico sulla violenza, questa non si interrompe. Dobbiamo cioè imparare a parlarne in modo diverso, come un qualcosa che ci riguarda più da vicino”. Parlarne è necessario, aggiunge Pauncz, ma più che raccontare dei ‘femminicidi’ occorrerebbe affrontare il problema sul piano sociale e culturale. L’esperta ha raccolto la sua esperienza nel libro Trasformare il potere (Romano editore). Una guida pensata per aiutare le donne.

 

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Femminicidio. L’arcivescovo Bassetti esprime “dolore, amarezza, sdegno”. “Ogni persona è dono, in modo particolare la donna” https://www.lavoce.it/femminicidio-larcivescovo-bassetti-esprime-dolore-amarezza-sdegno-ogni-persona-e-dono-in-modo-particolare-la-donna/ Mon, 06 May 2013 12:19:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=16616 bassettiDall’inizio del 2013 sono 36 le donne uccise dai propri partner (mariti o fidanzati) a motivo di una relazione finita e non accettata. Ogni 4 giorni una donna subisce una morte violenta. Come Pastore e Vescovo sento interiormente dolore, amarezza, sdegno. Non voglio e non posso rassegnarmi. Non vogliamo, non dobbiamo e non possiamo rassegnarci, rimanendo testimoni passivi di una violenza che riguarda tutti noi. Quando vediamo emergere dalla cronaca episodi di violenza sulle donne, sono convinto che a perderci sia tutta la società. I media ci raccontano storie finite tragicamente, ma tante altre storie di donne rimangono soffocate nel loro privato dolore per vergogna e per la paura di denunciare. Nel dolore di queste donne sentiamo anche la nostra fragilità e la nostra mancanza di coraggio.

Ogni persona è dono, in modo particolare la donna: essa è un interrogativo bello che ci interpella, chiama in causa la nostra persona, la donna è – ed ha – quell’unicità apportatrice di bene per l’umanità. La capacità di amare, di donare, di servire della donna è unica e singolare. Non è amore alzare le mani contro la propria moglie, fidanzata e contro qualsiasi donna. L’amore genuino e bello è un’altra cosa. È il riconoscere l’altra persona come un “tu” dove si completa e si integra l’”io”. L’amore non bastona, non soffoca, non reprime, non umilia, non disprezza, non uccide. L’amore femminile, in particolare, è un dono dato dal Creatore all’umanità per la sua piena realizzazione. Nella violenza vi è solo regressione, imbarbarimento, insensatezza. I veri uomini non alzano le mani su nessuno, ma le tendono per accogliere, proteggere, donare vita e non morte.

Ogni forma di violenza rompe la comunione con Dio e i fratelli. A maggior ragione quando si tratta di una relazione interpersonale tra uomo e donna. Come comunità cristiana sentiamo la responsabilità di rafforzare stili di comunione dove la donna sia artefice di tale comunione, nella sua unicità di generare la vita. Penso alle tante donne esaltate dalla Bibbia, agli incontri di Gesù con le donne nei Vangeli: ciò che emerge è la capacità che esse hanno di amare, di donarsi, di farsi sorelle e madri. Gesù entra nella storia di queste donne amandole nella loro esistenza concreta, senza mai umiliare neppure quelle che sono cadute. Per Cristo esse sono le custodi e le messaggere della buona notizia. La società sta mostrando le sue molteplici piaghe: una di queste è la crisi delle relazioni. È però importante riscoprire anche all’interno delle nostre famiglie le relazioni feriali, piccole, semplici.

Faccio un appello alle comunità educative di ogni ordine e grado, scuole e università, perché si sappia rifondare la cultura della difesa della vita in ogni sua fase, dove nessuna adolescente, ragazza e giovane deve sentire la paura di crescere per il timore di subire, prima o poi, un trauma personale causato dalla violenza fisica. Insegnare una prevenzione che educhi al dialogo, al saper condividere anche le ferite più profonde. L’amicizia fra gli adolescenti sia un volano per la maturazione reciproca come potenza che racchiude e si dischiude al bene, e non come pre-potenza sugli altri. Mai e su nessuno. Non dobbiamo permettere di coniare nuovi termini, come femminicidio, a partire da escalation tragiche sulle donne, ma insieme dobbiamo impegnarci a riscrivere storie di bene, di bontà, di risurrezione.

Faccio un appello alle parrocchie, alle comunità cristiane, gruppi, associazioni e movimenti perché nella fase educativo-pedagogica dei bambini e ragazzi si offrano cammini di conoscenza reciproca, valorizzazione delle diversità come bene unico e formativo. Occorre riscoprire la “bellezza” di tante donne additate dalla Chiesa come modelli, esempi da seguire e imitare: ci sono tante mamme che nel quotidiano vivono la loro missione nel silenzio e senza riconoscimento pubblico alcuno, se non quello di Dio e delle loro famiglie con le quali camminano e crescono.

Uccidere una donna significa spegnere tutto il dono di profezia che essa porta in sé, il suo Dna di femminilità che armonizza e smorza dissidi che a volte si creano nelle relazioni. La donna, come ogni persona, ritrova se stessa nel donarsi all’altro. Perciò occorre favorire sempre più vie e percorsi di dono, di bene, di vita buona educata nel senso evangelico come ci sta testimoniando Papa Francesco.

Affido a Maria Santissima tutte le donne vittime di violenza e le loro famiglie. Lei che è stata presente ai piedi della croce, mentre veniva crocefisso il figlio suo Gesù, possa essere sentita come materna presenza, che lenisce le pene del cuore e dell’anima, aprendo lo sguardo alla speranza che non delude perché fondata in Cristo. La Chiesa rende grazie a Dio per tutte le donne: fidanzate, madri, consacrate e chiede per esse venerazione e rispetto.

 

 

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La famiglia, risorsa per la società https://www.lavoce.it/la-famiglia-risorsa-per-la-societa/ Fri, 18 May 2012 17:15:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10745 La famiglia è una risorsa per la società? È la domanda da cui sono partite sei ricerche sociologiche proposte dal Pontificio consiglio per la famiglia, che ha chiesto alle conferenze episcopali di diversi Paesi di organizzare gruppi di lavoro scientifici, costituiti da docenti universitari, sociologi, studiosi, sia laici sia cattolici, che si mettessero al lavoro sulla questione, ponendo domande a campioni di popolazione significativi, di età compresa tra i 30 e i 55 anni. Hanno risposto positivamente alla sollecitazione Messico, Italia, Spagna, Stati Uniti, Polonia e Brasile e un primo risultato, sorprendente da un certo punto di vista, è che la famiglia “normo-costituita”, ovvero padre e madre e almeno due figli, è in effetti la “migliore” risorsa della società: il valore di queste ricerche è che si è arrivati a questo risultato con una verifica dei dati empirici. Scopo dell’iniziativa, al di là dei dati, pur importanti, è quello di proporre un metodo, specialmente alle associazioni familiari, per poter dialogare con politici, legislatori e operatori della comunicazione più sulla base dei fatti che delle idee astratte.

Chi sono le famiglie.

Vediamo questi numeri. In Italia sono state individuate quattro tipologie di famiglie: gli adulti senza coppia, single e genitori soli con figli, che sono al 18,8%, le coppie senza figli (sposate o conviventi), al 21,9%, i coniugi con un solo figlio, al 28,4%, e i coniugi con due o più figli, al 30,9 %. In pratica le famiglie “normo-costituite” sono ormai meno della metà delle famiglie italiane, hanno livelli d’istruzione generalmente più bassi, hanno meno soldi, ma sono tendenzialmente più religiose. In Messico, invece, dove il 94,9% della popolazione considera la famiglia la “cosa più importante della vita”, l’inchiesta fa un’analisi più storica: la popolazione sposata è passata dal 46% del 1960 al 40,7 % del 2010, le convivenze sono passate dal’8,7 al 14,4%, mentre i separati e divorziati sono saliti dallo 0,6% al 5,3%; ma negli ultimi dieci anni, dal 2000 al 2010, gli sposati nella fascia d’età 20–29 anni sono passati dal 40 al 27,9% e i conviventi dal 15,2 al 23%, mentre i divorzi sono raddoppiati dal 7,4 al 15,1%. Nella ricerca spagnola il 59% degli intervistati considera la famiglia oltre che una scelta privata un “bene pubblico”, mentre il 41% la considera solo una “realtà attinente alla sfera privata”; il 68% delle persone considera famiglia anche la coppia formata da due persone dello stesso sesso. In Brasile sono stati individuati tre tipi di famiglia: la coppia con figli (sposati, in seconda unione, unioni stabili) che rappresenta il 48% degli intervistati; si dichiarano religiosi, cattolici e considerano la famiglia quella composta da persone eterosessuali. C’è poi la coppia senza figli (16%), che considera una coppia anche quella composta da omosessuali; infine ci sono le famiglie monoparentali, al 17%, costituite soprattutto da donne con figli: in quest’ultima tipologia di famiglia si evidenzia “la crisi della figura maschile e il peso eccessivo portato dalla donna madre/lavoratrice”.

Un bene sociale.

In tutte le ricerche emerge che la famiglia è importante non solo per il benessere personale, ma anche per quello sociale della popolazione. In quella messicana si vede che la famiglia è considerata la principale fonte delle relazioni di fiducia e di solidarietà per risolvere i problemi quotidiani e straordinari che possono capitare nella vita, ma anche erogatrice del necessario appoggio emotivo, oltre che, naturalmente, il punto principale di riferimento per la cura e l’educazione dei figli; il 50,8% degli intervistati la considera anche il principale spazio di socializzazione politica e, infine, la più importante fonte di soccorso dei giovani per tutti i problemi della vita, dalla scuola al lavoro, alla casa, alle malattie, alle questioni sentimentali. Gli spagnoli, invece, rispetto al mondo anglosassone, sembrano meno versati nelle attività associative organizzate, ma in realtà questa sembra una conseguenza della crisi, perché lo spirito di sacrificio e di solidarietà è spesso espresso dall’aiuto dato dai nonni nella cura dei bambini o in forme di collaborazione familiare; in ogni caso gli intervistati hanno dato punteggi molto alti alla famiglia come luogo della stabilità dell’unione (9,4), di soddisfazione personale della coppia (9,3), di nascita, crescita ed educazione dei figli (9,2).

Nella ricerca italiana si vede che il clima in famiglia passa da quello “pessimistico e triste” dei single o genitori soli al “molto ottimistico e sereno” delle famiglie con due o più figli e l’aiuto alle persone esterne varia dal “poco” del primo tipo al “molto” della coppia senza figli, al “poco” della famiglia con un solo figlio all'”abbastanza” di quella con due o più figli; quest’ultima è quella che esprime un valore più alto (30,9%), nel considerare la famiglia come un’istituzione sociale con un valore pubblico. Anche per i polacchi intervistati nella famiglia si respira un clima “calmo e molto ottimistico” (76,5%) e il più importante obiettivo per la coppia sposata è la “nascita ed educazione dei figli” (80%), che supera il benessere individuale di entrambi i partner. Per i brasiliani generare ed educare i figli è considerato un “bene” per il rapporto di coppia e l’educazione dei figli è vista come “un’azione prioritaria della famiglia” (71%), più che della società nel suo insieme. Trovare un giusto equilibrio tra famiglia e lavoro sembra essere un problema tanto per i brasiliani quanto per i polacchi: questi ultimi, soprattutto se appartenenti alla middle-class, dichiarano di preferire il lavoro alla famiglia, forse anche per sfuggire a quelle condizioni di povertà in cui si trovano 5 milioni di connazionali che hanno tre o più figli. La ricerca americana più concretamente si concentra sul benessere fisico e mentale, oltre che economico: i dati, sintetizzati da varie statistiche già fatte, dimostrano che gli adulti sposati cadono in depressione molto meno degli altri, evitano comportamenti a rischio come la promiscuità sessuale o l’abuso di alcol e anche i figli con famiglie stabili soffrono significativamente meno di ansia, depressione, abuso di droghe e alcol e pensieri suicidi rispetto alla prole di genitori divorziati.

Poca considerazione. Nella ricerca italiana si nota che la famiglia con due o più figli gode di un miglior clima relazionale, ma ha meno risorse economiche dei single o delle famiglie senza figli e, di fatto, non è considerata dalla società una “risorsa sociale”. Questo nonostante le risposte degli intervistati dimostrino come le capacità di ascolto, di cura, di accudimento, ma anche di trasmissione dei valori di onestà, fiducia e spirito di sacrificio siano più spiccate negli adulti con figli che hanno avuto alle spalle genitori sposati. Il matrimonio si conferma punto di forza nella capacità di prendersi cura degli altri e trasmettere valori: i coniugati hanno per esempio il punteggio più alto, 6,97 (in una scala da 0 a 10), nell’aiutare gli estranei a risolvere i loro problemi e in tutte le altre forme di cura che riguardino bambini e anziani; da aggiungere poi che le famiglie che si dichiarano religiose hanno valori positivi sopra la media relativi alle virtù prosociali. In sintesi la ricerca sostiene che la “famiglia normo-costituita è ancora la forza del Paese ma sta andando in minoranza”, cosicché “una minoranza di famiglie solide deve sostenere il peso di una coesione sociale messa in crisi da tendenze all’individualismo e al privatismo sostenute dal sistema politico-amministrativo, oltreché, s’intende, dal mercato”.

Gli spagnoli considerano la famiglia una risorsa “base” della società perché “trasmette ai suoi componenti attitudini, comportamenti e aspirazioni che rendono possibile la coesistenza sociale e politica”. Per la maggior parte degli intervistati la famiglia di origine ha trasmesso valori come onestà e rispetto, fiducia e spirito di sacrificio, ma metà di loro pensa che la famiglia di oggi sia meno capace d’ispirare ai propri membri questi valori; per il 78% degli spagnoli, comunque, la famiglia contribuisce allo sviluppo della società, dato che potrebbe essere determinato dalla capacità unica che ha la famiglia in questo momento di crisi di assorbire i problemi. In Brasile, ugualmente, sono altissime le percentuali relative alle capacità attribuite alla famiglia di trasmettere valori come onestà, rispetto della legge, fiducia e accoglienza, capacità d’aiuto e spirito di sacrificio: sempre il 78% degli intervistati vede la famiglia come l’istituzione che più di tutte contribuisce allo sviluppo del Paese, seguita da scuola, università, Chiesa, imprese e potere giudiziario. Nel commento dei dati i brasiliani scrivono che “la famiglia è una risorsa perché costituisce il luogo della gratuità e del dono” e “senza le azioni di protezione, promozione e cure realizzate nella famiglia nei confronti di malati, anziani, disoccupati, la società entrerebbe in collasso”.

Problema abusi. In Messico si nota che la famiglia è una risorsa per la società soprattutto grazie ai figli: il 73,5% di quelli che vivono con entrambi i genitori ha valori altissimi, che vanno dal 70 al 90% riguardo aspetti come educazione, sicurezza fisica, ingresso al lavoro, salute mentale, fisica, sessuale e riproduttiva e altro ancora. L’abbandono scolastico da parte degli adolescenti che vivono con entrambi i genitori è del 9%, mentre per quelli che stanno con la madre separata o divorziata è del 17,4%; le adolescenti che vivono con la madre sola hanno il 38% in più delle possibilità delle coetanee di subire abusi fisici, quelle che vivono con la madre e il patrigno il 298% in più. Preoccupanti i dati relativi alla violenza sulle donne: le sposate civilmente e religiosamente hanno sofferto nell’ultimo anno (dati 2006) violenze fisiche nel 7,9% dei casi, quelle che convivono liberamente nel 14,5%. Questi numeri fanno concludere che in Messico bisogna, oltre che risolvere i problemi, assumere una “prospettiva familiare”, ovvero fare opera educativa e di prevenzione e capire che attraverso matrimoni stabili e convivenze dei figli con i propri genitori le “nuove generazioni hanno la possibilità di fare una migliore esperienza di coppia e di famiglia, avere meno problemi di violenza e prosperare fisicamente, mentalmente e avere, in generale, più benessere, disponibilità economica e altro ancora”.

(Per approfondire clicca qui  Dossier SIR sull’Incontro mondiale delle famiglie 2012)

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Figli di genitori emotivamente e sessualmente immaturi https://www.lavoce.it/figli-di-genitori-emotivamente-e-sessualmente-immaturi/ Fri, 11 May 2012 10:28:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=10520 I due adolescenti di Spoleto con le loro “effusioni” hanno avuto il loro quarto d’ora di celebrità, loro malgrado. Tutti ne hanno scritto, unanime lo sgomento, fra pochi giorni tutto sarà dimenticato. In questa vicenda io sto con i due ragazzi. E ci sto non perché condivida quello che hanno fatto, non perché voglia scusarli né definire “ragazzata” il “consumare” un rapporto sessuale entro le mura di un’aula scolastica mentre si svolge regolare lezione e sotto gli occhi dei compagni. Ritengo che questo sia un fatto gravissimo ma, al contempo, so bene che non è per niente isolato: prodezze di questo tipo vengono sovente “consumate” nei bagni delle scuole o negli anfratti dell’edificio scolastico. La novità di Spoleto è che i due ragazzi sono stati scoperti e denunciati dagli stessi compagni, ma il resto è storia banalmente, tragicamente, usata. Non conosco i due adolescenti, non conosco le famiglie che, al solito, vengono definite “normali” dal preside dell’istituto. La mia riflessione inizia da questo fatto, ma non vuole giudicare nello specifico gli attori del dramma: voglio invece spiegare perché, quando accadono queste cose, io mi pongo dalla parte dei ragazzi e non mi straccio le vesti davanti alle loro intemperanze. Gli adolescenti sono incontinenti, lo sono sessualmente, perché prima di tutto lo sono emotivamente; non hanno dimestichezza con il desiderare, che in sé contiene l’idea di un progetto che si sviluppa nel tempo e che può costare fatica, sudore, perché avendo tutto e subito, sono abituati a parlare in termini di voglia che, di per sé, preme e chiede subito di essere soddisfatta. Non vengono educati a saper accogliere un rifiuto e ottengono, anche con la forza, quello che vogliono, come dimostra il fenomeno crescente degli stupri compiuti da adolescenti. Questi ragazzi non sono alieni, sono figli nostri. Nostri perché sono lo specchio di una generazione di adulti emotivamente, sentimentalmente, sessualmente incontinenti, che fa di ogni capriccio un diritto, che grida alla violenza sulle donne, mentre vive – anche commercialmente parlando – sullo sfruttamento del corpo della donna. Una donna consenziente a questo, in ultimo, nella misura in cui declama il corpo come strumento. Una generazione di adulti sconci e immaturi, che irride al pudore e alla castità: mi si spieghi allora perché questi ragazzi non dovrebbero sperimentare qualunque approccio sessuale negli stessi ambienti dove si insegna loro, invece che il linguaggio degli affetti, quello del “sesso sicuro”, ovvero come infilare “correttamente” un condom. Date certe premesse, bisogna avere il coraggio e l’onestà di accettarne le conseguenze, anche quando sono scomode.

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