Usa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/usa/ Settimanale di informazione regionale Fri, 24 May 2024 09:37:29 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Usa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/usa/ 32 32 Giustizia Usa migliore? https://www.lavoce.it/giustizia-usa-miglire/ https://www.lavoce.it/giustizia-usa-miglire/#respond Fri, 24 May 2024 09:37:29 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76300

Tutto serve ad alimentare polemiche fra la maggioranza di governo e la opposizione; questa settimana è stato il caso di Chico Forti. Chi è costui? Un italiano, che è emigrato in America, vi ha fatto affari, poi è stato accusato di avere commesso un omicidio per motivi loschi (in pratica per coprire un delitto di truffa). Lui si è sempre protestato innocente ma è stato condannato all’ergastolo.

Adesso, dopo avere scontato 24 anni di carcere, ha ottenuto di poter scontare il resto della pena nel suo paese, come previsto da un trattato fra l’Italia e gli Usa; ferma restando la condanna decisa dal tribunale americano, potrà avere gli sconti per buona condotta previsti dalla legge italiana, anche se non sono previsti dalla legge americana. Per ottenere questo risultato, quell’uomo aveva bisogno che il governo italiano si attivasse in suo favore; e così è stato. Fin qui, tutto regolare, anche se succede di rado. Di strano c’è stato che quando l’ergastolano, sotto buona scorta, è sbarcato in Italia, ha trovato che a dargli il benvenuto c’era la presidente del Consiglio in persona, tutta contenta. Il perché di tanto onore non è stato spiegato. Da qui le critiche della opposizione e le repliche che però non hanno aiutato a capire meglio.

Questo episodio mi offre l’occasione per dare ai lettori qualche informazione sulle differenze fra la giustizia italiana e quella americana. Il signor Forti è stato condannato al carcere perpetuo (che laggiù non è un modo di dire) dal verdetto di una giuria formata da persone scelte a caso, le quali non hanno dovuto spendere una riga per spiegare perché, in un caso obiettivamente dubbio, avessero giudicato colpevole l’imputato; e il processo è finito lì.

In Italia, per la condanna in primo grado di Amanda Knox e del suo coimputato i giudici scrissero ben 425 pagine di motivazione; ogni frase di quel testo così imponente fu vivisezionata dai giudici di seconda istanza, che ne scrissero altrettante per giungere all’esito opposto; e poi vi furono ancora tre gradi di giudizio (cinque in tutto) fino alla assoluzione conclusiva. Vi chiedo: se vogliamo parlare di “garantismo”, vi sembra più garantista il sistema italiano o quello statunitense? Vi chiedo ancora: avete capito perché in Italia i processi durano tanto? Eppure molti in Italia pensano che la giustizia negli Usa funzioni meglio. Di certo è più sbrigativa.

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Tutto serve ad alimentare polemiche fra la maggioranza di governo e la opposizione; questa settimana è stato il caso di Chico Forti. Chi è costui? Un italiano, che è emigrato in America, vi ha fatto affari, poi è stato accusato di avere commesso un omicidio per motivi loschi (in pratica per coprire un delitto di truffa). Lui si è sempre protestato innocente ma è stato condannato all’ergastolo.

Adesso, dopo avere scontato 24 anni di carcere, ha ottenuto di poter scontare il resto della pena nel suo paese, come previsto da un trattato fra l’Italia e gli Usa; ferma restando la condanna decisa dal tribunale americano, potrà avere gli sconti per buona condotta previsti dalla legge italiana, anche se non sono previsti dalla legge americana. Per ottenere questo risultato, quell’uomo aveva bisogno che il governo italiano si attivasse in suo favore; e così è stato. Fin qui, tutto regolare, anche se succede di rado. Di strano c’è stato che quando l’ergastolano, sotto buona scorta, è sbarcato in Italia, ha trovato che a dargli il benvenuto c’era la presidente del Consiglio in persona, tutta contenta. Il perché di tanto onore non è stato spiegato. Da qui le critiche della opposizione e le repliche che però non hanno aiutato a capire meglio.

Questo episodio mi offre l’occasione per dare ai lettori qualche informazione sulle differenze fra la giustizia italiana e quella americana. Il signor Forti è stato condannato al carcere perpetuo (che laggiù non è un modo di dire) dal verdetto di una giuria formata da persone scelte a caso, le quali non hanno dovuto spendere una riga per spiegare perché, in un caso obiettivamente dubbio, avessero giudicato colpevole l’imputato; e il processo è finito lì.

In Italia, per la condanna in primo grado di Amanda Knox e del suo coimputato i giudici scrissero ben 425 pagine di motivazione; ogni frase di quel testo così imponente fu vivisezionata dai giudici di seconda istanza, che ne scrissero altrettante per giungere all’esito opposto; e poi vi furono ancora tre gradi di giudizio (cinque in tutto) fino alla assoluzione conclusiva. Vi chiedo: se vogliamo parlare di “garantismo”, vi sembra più garantista il sistema italiano o quello statunitense? Vi chiedo ancora: avete capito perché in Italia i processi durano tanto? Eppure molti in Italia pensano che la giustizia negli Usa funzioni meglio. Di certo è più sbrigativa.

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Schiacciati tra Usa e Cina https://www.lavoce.it/schiacciati-russi-cina/ https://www.lavoce.it/schiacciati-russi-cina/#respond Thu, 09 May 2024 08:20:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76044 Xi Ginpin a mezzo busto alle spalle le bandiere dell'Europa e della Cina

“Dopo la vittoria dell’Urss, la cosa peggiore per gli Usa sarebbe la fine dell’Urss” disse Eisenhower. Oggi quel detto risuona tra gli analisti, che paventano l’assenza di un nemico speculare, utile a disciplinare le strategie statunitensi nello scacchiere pluriverso e segmentato che ha soffocato l’euforia con cui, una trentina d’anni fa, si celebrava la “fine della storia” come porta spalancata all’unipolarismo planetario marca Usa.

Il multipolarismo che avanza è più problematico della distinzione del mondo in bianco e nero, disperde gli sforzi contenitivi e affanna in un’iperestensione militare, orfana dei primati economici di un tempo. Se proprio non può essere unipolare, meglio l’opzione bipolare allo sfiancamento. Di qui l’urgenza di selezionare gli impegni diretti e delegare i restanti ad alleati ingaggiati con rapporti di fedeltà esclusiva e totalizzante.

La Cina non gradisce le vesti di nemico esistenziale cucitele addosso, come capofila dei nuovi “Stati canaglia” che attentano al mondo libero. Il Gigante asiatico sa di non guidare un blocco egemonico analogo a quello degli Usa, con le loro 850 basi sparse nel mondo sul territorio altrui. Sa di non poter esportare modelli di omologazione culturale atti a diffondere un “sogno cinese” concorrente al mito dell’American way of life. Perciò enfatizza la cooperazione senza cessioni di sovranità, coltivando l’interesse alle interdipendenze articolate in geometrie dai perimetri porosi. Che è esattamente ciò su cui la Casa Bianca tenta di intervenire, progettando sanzioni e dighe protezionistiche, in deroga al libero scambio laddove questo avvantaggi altri e disallinei la globalizzazione e il Washington consensus.

Nonostante le dissimulazioni, queste strette preoccupano le economie occidentali, già azzoppate dai contraccolpi energetici del divorzio con la Russia, per le quali l’inibizione delle forniture cinesi sarebbe il colpo letale. L’azzardo di Scholz, volato a Pechino per auspicare nuovi investimenti, sta a dimostrarlo. Altrettanto significativo il disagio di Bruxelles per la mossa del Cancelliere, accolto al suo rientro dalla notizia dell’arresto in Germania di cinque presunte spie collegate a Pechino, come nelle migliori spy stories ambientate nella Guerra fredda.

Pechino rivendica la sovranità delle sue scelte economiche, compresa la libertà di scambiare con chiunque, pur escludendo supporti all’industria bellica russa mentre Washington fornisce armi a Ucraina e Israele. La ritorsione Usa ha preso forma pochi giorni fa, con sanzioni a carico di 16 aziende cinesi, accusate di vendere sul mercato russo componentistiche a uso civile che potrebbero giovare anche al comparto militare. Ora è il momento della contromossa cinese intesa a sfatare la narrazione bipolare.

Il tour europeo di Xi Jinping, dopo cinque anni di assenza dal Continente, prevede tre tappe: Francia, Serbia e Ungheria, tutte a loro modo desiderose di autonomia strategica, probabilmente scelte anche per evidenziare che la varietà delle loro posizioni verso la Russia non pone problemi di incompatibilità per la Cina. Al solco separativo del bipolarismo, Xi contrappone la diversificazione dei rapporti richiesta dalla direzione che la storia ha già intrapreso.

Chiudere qualcuno fuori significa anche rinchiudersi dentro, finendo per restare a corto di provviste. Non sarà una metafora cinese, ma potrebbe sintetizzare il messaggio che Pechino rivolge all’Occidente per vanificare la grande muraglia a stelle e strisce.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense
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Xi Ginpin a mezzo busto alle spalle le bandiere dell'Europa e della Cina

“Dopo la vittoria dell’Urss, la cosa peggiore per gli Usa sarebbe la fine dell’Urss” disse Eisenhower. Oggi quel detto risuona tra gli analisti, che paventano l’assenza di un nemico speculare, utile a disciplinare le strategie statunitensi nello scacchiere pluriverso e segmentato che ha soffocato l’euforia con cui, una trentina d’anni fa, si celebrava la “fine della storia” come porta spalancata all’unipolarismo planetario marca Usa.

Il multipolarismo che avanza è più problematico della distinzione del mondo in bianco e nero, disperde gli sforzi contenitivi e affanna in un’iperestensione militare, orfana dei primati economici di un tempo. Se proprio non può essere unipolare, meglio l’opzione bipolare allo sfiancamento. Di qui l’urgenza di selezionare gli impegni diretti e delegare i restanti ad alleati ingaggiati con rapporti di fedeltà esclusiva e totalizzante.

La Cina non gradisce le vesti di nemico esistenziale cucitele addosso, come capofila dei nuovi “Stati canaglia” che attentano al mondo libero. Il Gigante asiatico sa di non guidare un blocco egemonico analogo a quello degli Usa, con le loro 850 basi sparse nel mondo sul territorio altrui. Sa di non poter esportare modelli di omologazione culturale atti a diffondere un “sogno cinese” concorrente al mito dell’American way of life. Perciò enfatizza la cooperazione senza cessioni di sovranità, coltivando l’interesse alle interdipendenze articolate in geometrie dai perimetri porosi. Che è esattamente ciò su cui la Casa Bianca tenta di intervenire, progettando sanzioni e dighe protezionistiche, in deroga al libero scambio laddove questo avvantaggi altri e disallinei la globalizzazione e il Washington consensus.

Nonostante le dissimulazioni, queste strette preoccupano le economie occidentali, già azzoppate dai contraccolpi energetici del divorzio con la Russia, per le quali l’inibizione delle forniture cinesi sarebbe il colpo letale. L’azzardo di Scholz, volato a Pechino per auspicare nuovi investimenti, sta a dimostrarlo. Altrettanto significativo il disagio di Bruxelles per la mossa del Cancelliere, accolto al suo rientro dalla notizia dell’arresto in Germania di cinque presunte spie collegate a Pechino, come nelle migliori spy stories ambientate nella Guerra fredda.

Pechino rivendica la sovranità delle sue scelte economiche, compresa la libertà di scambiare con chiunque, pur escludendo supporti all’industria bellica russa mentre Washington fornisce armi a Ucraina e Israele. La ritorsione Usa ha preso forma pochi giorni fa, con sanzioni a carico di 16 aziende cinesi, accusate di vendere sul mercato russo componentistiche a uso civile che potrebbero giovare anche al comparto militare. Ora è il momento della contromossa cinese intesa a sfatare la narrazione bipolare.

Il tour europeo di Xi Jinping, dopo cinque anni di assenza dal Continente, prevede tre tappe: Francia, Serbia e Ungheria, tutte a loro modo desiderose di autonomia strategica, probabilmente scelte anche per evidenziare che la varietà delle loro posizioni verso la Russia non pone problemi di incompatibilità per la Cina. Al solco separativo del bipolarismo, Xi contrappone la diversificazione dei rapporti richiesta dalla direzione che la storia ha già intrapreso.

Chiudere qualcuno fuori significa anche rinchiudersi dentro, finendo per restare a corto di provviste. Non sarà una metafora cinese, ma potrebbe sintetizzare il messaggio che Pechino rivolge all’Occidente per vanificare la grande muraglia a stelle e strisce.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense
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Il delirio delle armi negli Usa https://www.lavoce.it/il-delirio-delle-armi-negli-usa/ Sat, 04 Jun 2022 09:37:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67084 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

La libera circolazione delle armi negli Usa non è più difendibile nemmeno da parte dei rappresentanti delle lobbies delle aziende armiere. Dopo l’ennesima tragica strage di bambini innocenti, bisognerebbe innanzitutto sposare il silenzio rispettoso del dolore, e poi avvertire tutta l’amarezza delle lacrime della vergogna. Ascoltare invece ancora oggi dichiarazioni che invitano le maestre ad armarsi per difendere gli alunni, suona quantomeno come un delirio incomprensibile.

Possiamo anche essere disposti al rispetto delle diverse culture e delle ragioni storiche che portano a scelte legislative che a noi suonano come “legge della giungla”, ma di fronte alla garanzia del valore della vita umana non dovremmo esitare a far cadere ogni altro argomento. Mentre preghiamo per i bambini e gli insegnanti di Uvalde e per le loro famiglie, chiediamo al Dio della vita di rompere la diga delle ragioni difese da chi sostiene l’applicazione estensiva del secondo Emendamento; e di sostituire i sentimenti della pietà umana a quelli che sostengono meri interessi economici.

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colline e sole, logo rubrica oltre i confini

La libera circolazione delle armi negli Usa non è più difendibile nemmeno da parte dei rappresentanti delle lobbies delle aziende armiere. Dopo l’ennesima tragica strage di bambini innocenti, bisognerebbe innanzitutto sposare il silenzio rispettoso del dolore, e poi avvertire tutta l’amarezza delle lacrime della vergogna. Ascoltare invece ancora oggi dichiarazioni che invitano le maestre ad armarsi per difendere gli alunni, suona quantomeno come un delirio incomprensibile.

Possiamo anche essere disposti al rispetto delle diverse culture e delle ragioni storiche che portano a scelte legislative che a noi suonano come “legge della giungla”, ma di fronte alla garanzia del valore della vita umana non dovremmo esitare a far cadere ogni altro argomento. Mentre preghiamo per i bambini e gli insegnanti di Uvalde e per le loro famiglie, chiediamo al Dio della vita di rompere la diga delle ragioni difese da chi sostiene l’applicazione estensiva del secondo Emendamento; e di sostituire i sentimenti della pietà umana a quelli che sostengono meri interessi economici.

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Usa e Ue non c’entrano niente https://www.lavoce.it/usa-e-ue-non-centrano-niente/ Wed, 30 Mar 2022 17:27:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65909 Logo rubrica Il punto

Diversi commentatori continuano a sostenere che una parte di colpa dell’aggressione all’Ucraina spetta ai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Addebitano loro di avere isolato e “umiliato” la Russia, come nel 1919 le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano fatto con la Germania, e così avevano acceso la miccia che avrebbe fatto scoppiare, dopo venti anni, la seconda. Questa narrazione è puramente di fantasia. La Russia non è stata sconfitta in nessuna guerra (neppure quella fredda) e nessuno le ha imposto nulla. Il ferreo sistema di potere creato da Lenin e Stalin non è crollato per effetto di una guerra perduta o di una rivoluzione interna, ma perché lo hanno deciso i suoi ultimi titolari, in particolare l’allora capo supremo del Pcus, Gorbacev, con il consenso generale della popolazione. L’Unione Sovietica, questa enorme superpotenza, si è sciolta per una decisione collettiva dei capi delle 15 Repubbliche federate che la componevano: Russia, Ucraina, Bielorussia e le altre.

Nessuno da fuori lo aveva chiesto né tanto meno imposto. L’ispiratore era stato Boris Eltsin, in quel momento presidente della Repubblica federativa russa (quella di cui è ora presidente Putin); che in questo modo ha tolto di mezzo Gorbacev, rimasto per un giorno presidente nominale di un’Urss che non esisteva più. Se c’erano problemi di rettifiche di confini fra le ex Repubbliche sovietiche divenute Stati indipendenti come fra la Russia e l’Ucraina -, era quello il momento in cui se ne doveva discutere.

Ma tutti avevano fretta di far scomparire l’Urss e la bandiera rossa, e non ne parlarono. Non è stato l’Occidente a sobillare gli ucraini contro Mosca. A Eltsin stava a cuore solo una cosa: farsi riconoscere dal mondo come il nuovo occupante del seggio all’Ou - con incorporato diritto di veto - che era stato creato per Stalin e l’Urss. Più tardi, a Putin è venuta la voglia di rimettere insieme i pezzi dell’antico impero russo, ma quelli non hanno intenzione di starci. Almeno in questo caso, l’America e l’Europa non hanno colpe.

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Logo rubrica Il punto

Diversi commentatori continuano a sostenere che una parte di colpa dell’aggressione all’Ucraina spetta ai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Addebitano loro di avere isolato e “umiliato” la Russia, come nel 1919 le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano fatto con la Germania, e così avevano acceso la miccia che avrebbe fatto scoppiare, dopo venti anni, la seconda. Questa narrazione è puramente di fantasia. La Russia non è stata sconfitta in nessuna guerra (neppure quella fredda) e nessuno le ha imposto nulla. Il ferreo sistema di potere creato da Lenin e Stalin non è crollato per effetto di una guerra perduta o di una rivoluzione interna, ma perché lo hanno deciso i suoi ultimi titolari, in particolare l’allora capo supremo del Pcus, Gorbacev, con il consenso generale della popolazione. L’Unione Sovietica, questa enorme superpotenza, si è sciolta per una decisione collettiva dei capi delle 15 Repubbliche federate che la componevano: Russia, Ucraina, Bielorussia e le altre.

Nessuno da fuori lo aveva chiesto né tanto meno imposto. L’ispiratore era stato Boris Eltsin, in quel momento presidente della Repubblica federativa russa (quella di cui è ora presidente Putin); che in questo modo ha tolto di mezzo Gorbacev, rimasto per un giorno presidente nominale di un’Urss che non esisteva più. Se c’erano problemi di rettifiche di confini fra le ex Repubbliche sovietiche divenute Stati indipendenti come fra la Russia e l’Ucraina -, era quello il momento in cui se ne doveva discutere.

Ma tutti avevano fretta di far scomparire l’Urss e la bandiera rossa, e non ne parlarono. Non è stato l’Occidente a sobillare gli ucraini contro Mosca. A Eltsin stava a cuore solo una cosa: farsi riconoscere dal mondo come il nuovo occupante del seggio all’Ou - con incorporato diritto di veto - che era stato creato per Stalin e l’Urss. Più tardi, a Putin è venuta la voglia di rimettere insieme i pezzi dell’antico impero russo, ma quelli non hanno intenzione di starci. Almeno in questo caso, l’America e l’Europa non hanno colpe.

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