udienza del papa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/udienza-del-papa/ Settimanale di informazione regionale Mon, 13 Dec 2021 18:01:02 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg udienza del papa Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/udienza-del-papa/ 32 32 Il Serafico di Assisi ricevuto in udienza privata da Papa Francesco https://www.lavoce.it/serafico-assisi-ricevuto-udienza-papa-francesco/ Mon, 13 Dec 2021 17:02:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64055

Quanto vale un essere umano? L'Istituto Serafico di Assisi lo ha sempre avuto ben chiaro, sin dall'inizio del suo lungo percorso al fianco della vita più fragile e indifesa: ogni persona, in qualsiasi circostanza e nonostante il limite e la malattia, possiede una dignità piena, inalienabile e non graduabile. Ovvero quel valore che ogni uomo detiene, per il semplice fatto di esistere, e che lo qualifica come individuo unico e irripetibile, che non può prescindere dalla relazione con l'altro e con il mondo che lo circonda. È da questo presupposto che nasce l'impegno del Serafico, fondato il 17 settembre 1781 da San Ludovico da Casoria, che decise di istituire ad Assisi un'Opera dedicata a San Francesco che si prendesse cura di bambini e ragazzi ciechi e sordi, offrendo loro un'istruzione alla quale all'epoca non avevano accesso. Opera che è proseguita fino ad oggi per rispondere ai bisogni di salute delle persone con grave disabilità, che spesso non trovano risposte adeguate nei servizi sanitari pubblici e finiscono per essere dimenticate.   [gallery ids="64065,64066,64067,64068,64069,64070"]    Foto Vatican Media

La missione mai cambiata

Nonostante le innumerevoli sfide affrontate nel corso degli anni, la missione del Serafico non è mai cambiata: rendere piena la vita dei ragazzi con fragilità. Un sogno tangibile, che si è coronato nella giornata odierna con l'Udienza privata concessa da Papa Francesco in occasione del 150° anniversario dalla fondazione dell'Istituto. Una data importante anche per il Santo Padre, che proprio il 13 dicembre 2021 celebra 52 anni di ordinazione sacerdotale. Un incontro tanto atteso, che in un clima di duplice festa, ha suggellato il forte legame tra il Serafico e Papa Bergoglio, nato fin dall'inizio del suo pontificato, quando il 4 ottobre 2013 iniziò il suo pellegrinaggio ad Assisi proprio con la visita all'Istituto.

Il benvenuto di Papa Francesco

"Ricordo bene l'ora che trascorsi con voi ad Assisi. Ero venuto a mettermi sulle orme del Santo di cui ho preso il nome. L'incontro con i vostri ragazzi, che salutai uno per uno, mi fece rivivere, in qualche modo, quell'abbraccio agli ultimi che caratterizzò la vita di san Francesco”, con queste parole il Santo Padre ha dato il benvenuto alla grande famiglia del Serafico, ricevuto in Udienza privata nell'Aula Paolo VI.

Il discorso di Francesca Di Maolo

Ad aprire l'Udienza è stato il discorso di Francesca Di Maolo, presidente dell'Istituto Serafico di Assisi che, con grande commozione, ha dichiarato: "Questi 150 anni di vita sono stati un viaggio in mare aperto, spinti dall'amore sulla via della fraternità. In questi anni persone straordinarie che hanno scelto di lavorare al Serafico sono state le ali di tanti ragazzi. Sono silenziosi custodi della vita e inconsapevoli costruttori di giustizia e di democrazia. Prendersi cura delle persone più fragili, non è mera assistenza, non è solo un atto di carità, ma è prima di tutto una risposta di giustizia. È riconoscimento della dignità di una persona che ha diritto non solo di sopravvivere, ma di vivere. Amore e giustizia sono inseparabili. Abbiamo il privilegio, ogni giorno, di poter posare gli occhi sui volti dei nostri ragazzi, che ci spalancano la porta del cuore. È proprio questa compassione, che non significa provare pietà, ma sentire l'altro nel cuore, che ci muove in modo inarrestabile. Il Serafico non è un'officina dove si ripara una parte malfunzionante di una macchina. Certo, ci occupiamo della disabilità e del limite, ma il nostro impegno va oltre. Il prendersi cura inizia prima dell'atto medico e assistenziale, nasce nella relazione, cresce attraverso i nostri sguardi e la nostra capacità di tenerezza. La cura si esprime anche nell'attenzione per la bellezza, la musica, l'arte, la preghiera, gli affetti e nell'attenzione per chi lavora al servizio delle persone fragili”. Bussola, in questo lungo e non sempre facile cammino, "padri e madri straordinari che ci hanno insegnato a non arrenderci mai – ha ricordato la presidente Di Maolo - Genitori che hanno bisogno di qualcuno accanto, soprattutto quando la sofferenza umana non dà tregua e le giornate diventano lunghe e difficili”.

Il richiamo di Papa Francesco

Forte il richiamo del Papa: "lo Stato e la pubblica amministrazione devono fare la loro parte. Non si possono lasciare sole tante famiglie costrette a lottare per sostenere dei ragazzi in difficoltà, con la grande preoccupazione del futuro che li attende quando non potranno più seguirli. Tanti genitori trovano nella vostra struttura una nuova famiglia per i loro figli. Questo è bello!”. Ed è proprio dalla volontà di annullare ogni forma di emarginazione, a favore del consolidamento delle relazioni, che nasce l'impegno del Serafico per i più fragili, che invita tutte le strutture sanitarie di ispirazione cattolica, di cui fa parte, a battersi affinché si realizzi quell'umanizzazione delle cure, capace di favorire una "cultura della vita e della solidarietà, basata sull'inclusione, che affermi con determinazione la dignità di ogni persona”. "La logica del "Serafico” è l'amore, quello che si impara dal Vangelo alla scuola di san Francesco e di San Ludovico; l'amore che sa leggere negli occhi o nei gesti, anticipa i desideri, non si arrende di fronte alle fatiche, trova ogni giorno la forza di ricominciare, e gioisce di ogni pur minimo progresso della persona assistita. La vita è sempre bella, anche con poche risorse. Talvolta sa sorprendere. So che i vostri ragazzi sanno fare tante cose, diventando piccoli artisti di teatro, di radio o di pittura. Un loro sorriso ripaga di ogni fatica – ha concluso il Santo Padre - Ogni sorriso dei vostri ragazzi sarà per voi il sorriso di Dio”.

All'Udienza era presente tutta la famiglia del Serafico

All'Udienza privata era presente tutta la famiglia del Serafico - con una rappresentanza dei ragazzi e dei loro genitori, di tutte le persone che lavorano per loro, dei volontari, dei sostenitori, dei padri Rogazionisti e delle suore Elisabettine Bigie, rappresentanti della città di Assisi e della Regione Umbria, insieme al vescovo mons. Domenico Sorrentino e ai frati francescani del Sacro Convento – che con grande commozione ha omaggiato la vita più fragile e indifesa attraverso canti, letture, l'esecuzione di brani di musica religiosa e la proiezione del docufilm Nella vita c'è la Vita, che racconta il Serafico attraverso gli occhi di Giorgio, un ragazzo ospite dell'Istituto, ma anche attraverso le voci e le testimonianze toccanti di genitori, medici, operatori e di tutto il personale che compone questa Opera storica.

L'Ave Maria di Mogol

L'arrivo di Papa Francesco è stato accolto da un'Ave Maria molto speciale, scritta da Mogol - che era presente - per i 150 anni del Serafico e cantata da Savino, uno dei ragazzi dell'Istituto, insieme all'educatore Luigi Petroni. Un omaggio toccante, che ha fatto da apertura ai discorsi della Presidente Di Maolo e del Santo Padre.

Il dono del Serafico al Papa: un foulard

Infine, dopo i saluti conclusivi, i ragazzi del Serafico insieme alla Presidente Di Maolo hanno consegnato in dono al Papa il foulard celebrativo realizzato dal maestro Claudio Cutuli e ispirato a una delle immagini simbolo dell'Istituto: la Casa, disegnata da alcuni dei suoi ragazzi, in cui l'ortica utilizzata per il filato rappresenta l'erba calpestata e disprezzata che trova sempre la forza di vivere, emblema che racchiude in sé la forza dei ragazzi del Serafico. E il disegno della Casa, con i bambini festosi abbracciati dalle mani di Gesù, che possono essere le mani di tutti noi, rappresenta l'amore compassionevole che vive da sempre nell'opera del Serafico.]]>

Quanto vale un essere umano? L'Istituto Serafico di Assisi lo ha sempre avuto ben chiaro, sin dall'inizio del suo lungo percorso al fianco della vita più fragile e indifesa: ogni persona, in qualsiasi circostanza e nonostante il limite e la malattia, possiede una dignità piena, inalienabile e non graduabile. Ovvero quel valore che ogni uomo detiene, per il semplice fatto di esistere, e che lo qualifica come individuo unico e irripetibile, che non può prescindere dalla relazione con l'altro e con il mondo che lo circonda. È da questo presupposto che nasce l'impegno del Serafico, fondato il 17 settembre 1781 da San Ludovico da Casoria, che decise di istituire ad Assisi un'Opera dedicata a San Francesco che si prendesse cura di bambini e ragazzi ciechi e sordi, offrendo loro un'istruzione alla quale all'epoca non avevano accesso. Opera che è proseguita fino ad oggi per rispondere ai bisogni di salute delle persone con grave disabilità, che spesso non trovano risposte adeguate nei servizi sanitari pubblici e finiscono per essere dimenticate.   [gallery ids="64065,64066,64067,64068,64069,64070"]    Foto Vatican Media

La missione mai cambiata

Nonostante le innumerevoli sfide affrontate nel corso degli anni, la missione del Serafico non è mai cambiata: rendere piena la vita dei ragazzi con fragilità. Un sogno tangibile, che si è coronato nella giornata odierna con l'Udienza privata concessa da Papa Francesco in occasione del 150° anniversario dalla fondazione dell'Istituto. Una data importante anche per il Santo Padre, che proprio il 13 dicembre 2021 celebra 52 anni di ordinazione sacerdotale. Un incontro tanto atteso, che in un clima di duplice festa, ha suggellato il forte legame tra il Serafico e Papa Bergoglio, nato fin dall'inizio del suo pontificato, quando il 4 ottobre 2013 iniziò il suo pellegrinaggio ad Assisi proprio con la visita all'Istituto.

Il benvenuto di Papa Francesco

"Ricordo bene l'ora che trascorsi con voi ad Assisi. Ero venuto a mettermi sulle orme del Santo di cui ho preso il nome. L'incontro con i vostri ragazzi, che salutai uno per uno, mi fece rivivere, in qualche modo, quell'abbraccio agli ultimi che caratterizzò la vita di san Francesco”, con queste parole il Santo Padre ha dato il benvenuto alla grande famiglia del Serafico, ricevuto in Udienza privata nell'Aula Paolo VI.

Il discorso di Francesca Di Maolo

Ad aprire l'Udienza è stato il discorso di Francesca Di Maolo, presidente dell'Istituto Serafico di Assisi che, con grande commozione, ha dichiarato: "Questi 150 anni di vita sono stati un viaggio in mare aperto, spinti dall'amore sulla via della fraternità. In questi anni persone straordinarie che hanno scelto di lavorare al Serafico sono state le ali di tanti ragazzi. Sono silenziosi custodi della vita e inconsapevoli costruttori di giustizia e di democrazia. Prendersi cura delle persone più fragili, non è mera assistenza, non è solo un atto di carità, ma è prima di tutto una risposta di giustizia. È riconoscimento della dignità di una persona che ha diritto non solo di sopravvivere, ma di vivere. Amore e giustizia sono inseparabili. Abbiamo il privilegio, ogni giorno, di poter posare gli occhi sui volti dei nostri ragazzi, che ci spalancano la porta del cuore. È proprio questa compassione, che non significa provare pietà, ma sentire l'altro nel cuore, che ci muove in modo inarrestabile. Il Serafico non è un'officina dove si ripara una parte malfunzionante di una macchina. Certo, ci occupiamo della disabilità e del limite, ma il nostro impegno va oltre. Il prendersi cura inizia prima dell'atto medico e assistenziale, nasce nella relazione, cresce attraverso i nostri sguardi e la nostra capacità di tenerezza. La cura si esprime anche nell'attenzione per la bellezza, la musica, l'arte, la preghiera, gli affetti e nell'attenzione per chi lavora al servizio delle persone fragili”. Bussola, in questo lungo e non sempre facile cammino, "padri e madri straordinari che ci hanno insegnato a non arrenderci mai – ha ricordato la presidente Di Maolo - Genitori che hanno bisogno di qualcuno accanto, soprattutto quando la sofferenza umana non dà tregua e le giornate diventano lunghe e difficili”.

Il richiamo di Papa Francesco

Forte il richiamo del Papa: "lo Stato e la pubblica amministrazione devono fare la loro parte. Non si possono lasciare sole tante famiglie costrette a lottare per sostenere dei ragazzi in difficoltà, con la grande preoccupazione del futuro che li attende quando non potranno più seguirli. Tanti genitori trovano nella vostra struttura una nuova famiglia per i loro figli. Questo è bello!”. Ed è proprio dalla volontà di annullare ogni forma di emarginazione, a favore del consolidamento delle relazioni, che nasce l'impegno del Serafico per i più fragili, che invita tutte le strutture sanitarie di ispirazione cattolica, di cui fa parte, a battersi affinché si realizzi quell'umanizzazione delle cure, capace di favorire una "cultura della vita e della solidarietà, basata sull'inclusione, che affermi con determinazione la dignità di ogni persona”. "La logica del "Serafico” è l'amore, quello che si impara dal Vangelo alla scuola di san Francesco e di San Ludovico; l'amore che sa leggere negli occhi o nei gesti, anticipa i desideri, non si arrende di fronte alle fatiche, trova ogni giorno la forza di ricominciare, e gioisce di ogni pur minimo progresso della persona assistita. La vita è sempre bella, anche con poche risorse. Talvolta sa sorprendere. So che i vostri ragazzi sanno fare tante cose, diventando piccoli artisti di teatro, di radio o di pittura. Un loro sorriso ripaga di ogni fatica – ha concluso il Santo Padre - Ogni sorriso dei vostri ragazzi sarà per voi il sorriso di Dio”.

All'Udienza era presente tutta la famiglia del Serafico

All'Udienza privata era presente tutta la famiglia del Serafico - con una rappresentanza dei ragazzi e dei loro genitori, di tutte le persone che lavorano per loro, dei volontari, dei sostenitori, dei padri Rogazionisti e delle suore Elisabettine Bigie, rappresentanti della città di Assisi e della Regione Umbria, insieme al vescovo mons. Domenico Sorrentino e ai frati francescani del Sacro Convento – che con grande commozione ha omaggiato la vita più fragile e indifesa attraverso canti, letture, l'esecuzione di brani di musica religiosa e la proiezione del docufilm Nella vita c'è la Vita, che racconta il Serafico attraverso gli occhi di Giorgio, un ragazzo ospite dell'Istituto, ma anche attraverso le voci e le testimonianze toccanti di genitori, medici, operatori e di tutto il personale che compone questa Opera storica.

L'Ave Maria di Mogol

L'arrivo di Papa Francesco è stato accolto da un'Ave Maria molto speciale, scritta da Mogol - che era presente - per i 150 anni del Serafico e cantata da Savino, uno dei ragazzi dell'Istituto, insieme all'educatore Luigi Petroni. Un omaggio toccante, che ha fatto da apertura ai discorsi della Presidente Di Maolo e del Santo Padre.

Il dono del Serafico al Papa: un foulard

Infine, dopo i saluti conclusivi, i ragazzi del Serafico insieme alla Presidente Di Maolo hanno consegnato in dono al Papa il foulard celebrativo realizzato dal maestro Claudio Cutuli e ispirato a una delle immagini simbolo dell'Istituto: la Casa, disegnata da alcuni dei suoi ragazzi, in cui l'ortica utilizzata per il filato rappresenta l'erba calpestata e disprezzata che trova sempre la forza di vivere, emblema che racchiude in sé la forza dei ragazzi del Serafico. E il disegno della Casa, con i bambini festosi abbracciati dalle mani di Gesù, che possono essere le mani di tutti noi, rappresenta l'amore compassionevole che vive da sempre nell'opera del Serafico.]]>
La famiglia come rete https://www.lavoce.it/la-famiglia-come-rete/ Fri, 09 Oct 2015 11:26:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43771 Vocazione-PietroIl Sinodo dei vescovi è stato – evidentemente – al centro dell’udienza generale di Papa Francesco mercoledì 7. “La famiglia che cammina nella via del Signore – ha detto – è fondamentale nella testimonianza dell’amore di Dio, e merita perciò tutta la dedizione di cui la Chiesa è capace. Il Sinodo è chiamato a interpretare per l’oggi questa sollecitudine e questa cura della Chiesa”. In particolare – ha aggiunto – “uno sguardo attento alla vita quotidiana degli uomini e delle donne di oggi mostra immediatamente il bisogno che c’è ovunque di una robusta iniezione di spirito famigliare. Infatti, lo stile dei rapporti (civili, economici, giuridici, professionali, di cittadinanza) appare molto razionale, formale, organizzato, ma anche molto ‘disidratato’, arido, anonimo… Ecco perché la famiglia apre per l’intera società una prospettiva ben più umana: apre gli occhi dei figli sulla vita, rappresentando una visione del rapporto umano edificato sulla libera alleanza d’amore”.

Si potrà essere facilmente d’accordo, eppure, “pur sapendo tutto questo, non si dà alla famiglia il dovuto peso e riconoscimento e sostegno nell’organizzazione politica ed economica della società contemporanea. Vorrei dire di più: la famiglia non solo non ha riconoscimento adeguato, ma non genera più apprendimento! A volte verrebbe da dire che, con tutta la sua scienza e la sua tecnica, la società moderna non è ancora in grado di tradurre queste conoscenze in forme migliori di convivenza civile. Non solo l’organizzazione della vita comune si incaglia sempre più in una burocrazia del tutto estranea ai legami umani fondamentali, ma addirittura il costume sociale e politico mostra spesso segni di degrado (aggressività, volgarità, disprezzo…) che stanno ben al di sotto della soglia di un’educazione famigliare anche minima”.

Quanto alla Chiesa, allora, essa “individua oggi, in questo punto esatto, il senso storico della sua missione a riguardo della famiglia e dell’autentico spirito famigliare: incominciando da un’attenta revisione di vita che riguarda se stessa. Si potrebbe dire che lo ‘spirito familiare’ è una Carta costituzionale per la Chiesa: così il cristianesimo deve apparire e così deve essere… La Chiesa è e deve essere la famiglia di Dio”. E ancora: “Gesù, quando chiamò Pietro a seguirlo, gli disse che lo avrebbe fatto diventare pescatore di uomini. Per questo ci vuole un nuovo tipo di reti. Potremmo dire che oggi le famiglie sono una delle reti più importanti per la missione di Pietro e della Chiesa”. Una rete che – paradossalmente – non rende prigionieri ma “libera dalle acque cattive dell’abbandono e dell’indifferenza”. Per concludere: “Possa l’entusiasmo dei Padri sinodali, animati dallo Spirito santo, fomentare lo slancio di una Chiesa che abbandona le ‘vecchie reti’ e si rimette a pescare confidando nella parola del suo Signore!”.

D. R.

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Simboli del servizio https://www.lavoce.it/simboli-del-servizio/ Thu, 18 Jun 2015 09:54:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36188 Il vescovo mons. Paolo Giulietti davanti a papa Francesco
Il vescovo mons. Paolo Giulietti davanti a papa Francesco

Sabato 13 piazza San Pietro a Roma si è colorata di azzurro, gremita da circa 100 mila scout da tutta Italia per l’udienza generale del Papa con i giovani dell’Agesci (Associazione guide e scout cattolici italiani): erano presenti lupetti e coccinelle, esploratori e guide, rover e scolte, e capi di tutta la Penisola.

Gli scout provenienti erano così tanti che il colonnato del Bernini non riusciva a contenerli. C’erano gruppi che venivano da lontano, arrivati il giorno prima per poter ascoltare da vicino le parole del Papa. Ragazzi che da San Rossore, luogo della Route nazionale della scorsa estate, sono arrivati in bicicletta.

L’organizzazione ha lasciato un po’ a desiderare, e i ragazzi che non sono entrati in piazza San Pietro hanno dovuto seguire l’evento da via della Conciliazione davanti a un maxischermo.

Nell’attesa del Papa, tutta la piazza ha recitato una preghiera scritta per l’occasione, che termina con questa frase-emblema di ogni scout: “Vogliamo dire con Te: noi ci siamo! Non come quelli che si fanno servire, ma come quelli che sono pronti a servire”.

Il Papa nel suo breve discorso ha esortato i giovani a essere parte di una Chiesa unita, a svolgere un ruolo di educatori veri e sinceri, portatori della parola di Cristo nelle piccole cose, costruttori di unione e non di divisione: “Dovete costruire ponti, in questo mondo che non fa altro che costruire muri”.

Gli scout dell’Umbria hanno avuto, dopo l’udienza, l’opportunità di vivere un momento importante e significativo nella chiesa di San Gregorio VII, con l’assistente ecclesiastico regionale mons. Paolo Giulietti il quale aveva precedentemente incontrato il Papa con tutti i vescovi presenti all’udienza. Durante l’incontro riservato agli umbri, i ragazzi hanno riflettuto sull’importanza di essere pellegrini alla sequela di Dio e sui tre simboli del pellegrino: la conchiglia, la bisaccia e il bastone.

Ogni oggetto veniva affiancato a una “branca”: la conchiglia a lupetti e coccinelle (8-11 anni), simbolo dell’accoglienza; la bisaccia per gli esploratori e le guide (12-15 anni), capace di contenere l’essenziale: il pane da condividere, e il bastone per i rover e le scolte (16-19 anni), strumento per segnare il cammino ed essere, al contempo, sempre in cammino.

 

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La risposta di Dio al Male https://www.lavoce.it/la-risposta-di-dio-al-male/ Thu, 17 Apr 2014 11:06:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=24507 Il celebre Crocifisso dipinto da Diego Velazquez (1631), conservato al Prado di Madrid
Il celebre Crocifisso dipinto da Diego Velazquez (1631), conservato al Prado di Madrid

Mercoledì, “a metà della Settimana santa” – come ha evidenziato lui stesso – Papa Francesco ha interrotto le catechesi sui doni dello Spirito per meditare sul tempo liturgico in corso. “Oggi – ha detto – la liturgia ci presenta un episodio triste: il racconto del tradimento di Giuda, che si reca dai capi del Sinedrio per mercanteggiare e consegnare loro il suo Maestro. ‘Quanto mi date se io ve lo consegno?’. Gesù in quel momento ha un prezzo”.

“Questo atto drammatico – ha proseguito Bergoglio – segna l’inizio della Passione di Cristo, un percorso doloroso che Egli sceglie con assoluta libertà. Lo dice chiaramente Lui stesso: ‘Io do la mia vita… Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo’ (Gv 10,17-18). E così, con questo tradimento, incomincia quella via dell’umiliazione, della spogliazione di Gesù. Come se fosse nel mercato: questo costa trenta denari… Una volta intrapresa la via dell’umiliazione e della spogliazione, Gesù la percorre fino in fondo”.

“Gesù raggiunge la completa umiliazione con la morte di croce. Si tratta della morte peggiore, quella che era riservata agli schiavi e ai delinquenti. Gesù era considerato un profeta, ma muore come un delinquente. Guardando Gesù nella sua Passione, noi vediamo come in uno specchio le sofferenze dell’umanità e troviamo la risposta divina al mistero del male, del dolore, della morte. Tante volte avvertiamo orrore per il male e il dolore che ci circonda e ci chiediamo: ‘Perché Dio lo permette?’. È una profonda ferita per noi vedere la sofferenza e la morte, specialmente quella degli innocenti! Quando vediamo soffrire i bambini è una ferita al cuore: è il mistero del male. E Gesù prende tutto questo male, tutta questa sofferenza su di sé. Questa settimana farà bene a tutti noi guardare il Crocifisso, baciare le piaghe di Gesù, baciarle nel crocifisso. Lui ha preso su di sé tutta la sofferenza umana, si è rivestito di questa sofferenza”.

“Noi attendiamo – ha detto ancora il Papa – che Dio nella Sua onnipotenza sconfigga l’ingiustizia, il male, il peccato e la sofferenza con una vittoria divina trionfante. Dio ci mostra invece una vittoria umile che umanamente sembra un fallimento. Possiamo dire che Dio vince nel fallimento! Il Figlio di Dio, infatti, appare sulla croce come uomo sconfitto: patisce, è tradito, è vilipeso e infine muore. Ma Gesù permette che il male si accanisca su di Lui e lo prende su di sé per vincerlo. La sua passione non è un incidente; la sua morte, quella morte, era ‘scritta’. Davvero non troviamo tante spiegazioni. Si tratta di un mistero sconcertante, il mistero della grande umiltà di Dio: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16).Questa settimana pensiamo tanto al dolore di Gesù e diciamo a noi stessi: questo è per me. Anche se io fossi stato l’unica persona al mondo, Lui l’avrebbe fatto…

Quando tutto sembra perduto, quando non resta più nessuno perché percuoteranno ‘il pastore e saranno disperse le pecore del gregge’ (Mt 26,31), è allora che interviene Dio con la potenza della risurrezione. La risurrezione di Gesù non è il finale lieto di una bella favola, non è l’happy end di un film; ma è l’intervento di Dio Padre, e là si infrange la speranza umana. Nel momento nel quale tutto sembra perduto, nel momento del dolore, nel quale tante persone sentono come il bisogno di scendere dalla croce, è il momento più vicino alla risurrezione. La notte diventa più oscura proprio prima che incominci il mattino, prima che incominci la luce. Nel momento più oscuro, interviene Dio e risuscita.

Gesù, che ha scelto di passare per questa via, ci chiama a seguirlo nel suo stesso cammino di umiliazione. Quando in certi momenti della vita non troviamo alcuna via di uscita alle nostre difficoltà, quando sprofondiamo nel buio più fitto, è il momento della nostra umiliazione e spogliazione totale, l’ora in cui sperimentiamo che siamo fragili e peccatori. È proprio allora, in quel momento, che non dobbiamo mascherare il nostro fallimento, ma aprirci fiduciosi alla speranza in Dio, come ha fatto Gesù”.

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In ascolto reciproco. Catechesi di Papa Francesco sull’ecumenismo https://www.lavoce.it/in-ascolto-reciproco/ Thu, 23 Jan 2014 15:41:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=21702 Una celebrazione durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani nelle Filippine
Una celebrazione durante la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani nelle Filippine

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio) era il tema dell’udienza generale di Papa Francesco il giorno 22, ‘interrompendo’ momentaneamente le catechesi sui sacramenti. Ma il verbo “interrompere” è fuori luogo, dato che al centro resta il tema del battesimo.

“Questa iniziativa spirituale – ha detto Francesco riferendosi alla Settimana -, quanto mai preziosa, coinvolge le comunità cristiane da più di cento anni. Si tratta di un tempo dedicato alla preghiera per l’unità di tutti i battezzati, secondo la volontà di Cristo: ‘che tutti siano una sola cosa’ (Gv 17,21). Ogni anno – ha ricordato -, un gruppo ecumenico di una regione del mondo, sotto la guida del Consiglio ecumenico delle Chiese e del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, suggerisce il tema e prepara sussidi per la Settimana di preghiera. Quest’anno tali sussidi provengono dalle Chiese e comunità ecclesiali del Canada, e fanno riferimento alla domanda rivolta da san Paolo ai cristiani di Corinto: ‘È forse diviso il Cristo?’ (1Cor 1,13).

Certamente Cristo non è stato diviso. Ma dobbiamo riconoscere sinceramente e con dolore, che le nostre comunità continuano a vivere divisioni che sono di scandalo. Le divisioni fra noi cristiani sono uno scandalo. Non c’è un’altra parola: uno scandalo. Ciascuno di voi, scriveva l’Apostolo, dice: ‘Io sono di Paolo’, ‘Io invece sono di Apollo’, ‘E io di Cefa’, ‘E io di Cristo’ (1Cor 1,12). Anche quelli che professavano Cristo come loro Capo non sono applauditi da Paolo, perché usavano il nome di Cristo per separarsi dagli altri all’interno della comunità cristiana”.

“Ma il nome di Cristo – ha ribadito il Papa – crea comunione e unità, non divisione! Lui è venuto per fare comunione tra noi, non per dividerci. Il battesimo e la croce sono elementi centrali del discepolato cristiano che abbiamo in comune. Le divisioni invece indeboliscono la credibilità e l’efficacia del nostro impegno di evangelizzazione, e rischiano di svuotare la Croce della sua potenza.

Paolo rimprovera i Corinzi per le loro dispute, ma anche rende grazie al Signore ‘a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù, perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della conoscenza’ (1,4-5). Queste parole di Paolo non sono una semplice formalità, ma il segno che egli vede prima di tutto, e di questo si rallegra sinceramente, i doni fatti da Dio alla comunità. Questo atteggiamento dell’Apostolo è un incoraggiamento per noi e per ogni comunità cristiana a riconoscere con gioia i doni di Dio presenti in altre comunità. Malgrado la sofferenza delle divisioni, che purtroppo ancora permangono, accogliamo le parole di Paolo come un invito a rallegrarci sinceramente delle grazie concesse da Dio ad altri cristiani. Abbiamo lo stesso battesimo, lo stesso Spirito santo che ci ha dato la grazia: riconosciamolo e rallegriamoci”.

“È bello – ha aggiunto – riconoscere la grazia con cui Dio ci benedice e, ancora di più, trovare in altri cristiani qualcosa di cui abbiamo bisogno, qualcosa che potremmo ricevere come un dono dai nostri fratelli e dalle nostre sorelle. Il gruppo canadese che ha preparato i sussidi di questa Settimana di preghiera non ha invitato le comunità a pensare a quello che potrebbero dare ai loro vicini cristiani, ma le ha esortate ad incontrarsi per capire ciò che tutte possono ricevere di volta in volta dalle altre. Questo richiede qualcosa di più. Richiede molta preghiera, richiede umiltà, richiede riflessione e continua conversione. Andiamo avanti su questa strada, pregando per l’unità dei cristiani, perché questo scandalo venga meno e non sia più tra noi”.

(Clicca qui per il testo integrale dell’udienza del Papa)

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Il soffio dello Spirito in piazza San Pietro https://www.lavoce.it/il-soffio-dello-spirito-in-piazza-san-pietro/ Thu, 13 Jun 2013 11:05:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=17326 A distanza di 8 anni dalla morte di Giovanni Paolo II (2 IV 2005), chi non ricorda quella Bibbia aperta, posata sulla bara in Piazza S.Pietro sfogliata e come strapazzata dal vento? Questo la faceva da da protagonista attirando l’attenzione di tutti. Ebbene. Mercoledì mattina, assistendo per televisione all’udienza del Papa trasmessa in diretta da TV2000, ho avuto la sensazione che sia avvenuto qualcosa di simile. Non un funerale, né la Bibbia, ma la testa del Papa, dalla quale una decisa e rapidissima folata di vento ha fatto volare via lo zucchetto, e non si sa dove sia finito. Qualcuno lo avrà raccolto con un sorriso. Ma non è questo che interessa. Interessa invece segnalare che il vento, quando soffia forte, non si può nascondere e trascurare, quasi non esistesse. Riesce a essere insistente, talvolta gradevole, altre volte troppo freddo e perfino minaccioso, e annunciare tempesta. Non dico che il vento, nonostante la parola identica in ebraico e greco (ruach, pneuma), sia la stessa cosa dello Spirito. Ma che sia un segno di riferimento è plausibile, e perfino suggerito da Gesù quando al saggio maestro ebreo Nicodemo nei colloqui notturni disse proprio così: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito” (Gv 3,8).

A parte gli zucchetti del Papa che vanno e vengono in uno scambio frequente con gente curiosa e desiderosa del contatto almeno indiretto con il Papa, da quando Francesco parla in quella piazza lo Spirito aleggia sulla folla in modo inusitato. Non sono solo le parole, ma il tono; non solo i concetti ma i messaggi, diretti come frecce; non la dottrina, sempre in linea con quella più tradizionale, ma la libertà dell’espressione e dell’accento; non la voce, che non ha alcun particolare timbro – non riesce neppure a cantare – ma il gesto. Il discorso sul “popolo di Dio” ha fatto pensare alla Chiesa universale sparsa ovunque sulla terra, dai grandi orizzonti senza barriere, come unico popolo mescolato tra popoli e nazioni, compatto e legato da vincoli di amore che non consentono conflitti e guerre. “Come è possibile che vi siano guerre tra cristiani?”, si è domandato più volte. Un sogno? Un’utopia? No, un impegno cristiano e umano di pace, nel quale è coinvolto l’amore di Dio che ama come una Madre tutti i suoi figli. Una realtà possibile da costruire incominciando dall’impegno di riconciliazione di ognuno con il suo fratello. Abbiamo tutti qualcuno con cui siamo arrabbiati. Ebbene cominciamo da qui, dice il Papa, dalla preghiera: “Pregate per le persone con le quali siete più arrabbiati, fatelo, subito oggi, oggi”, con il dito che indica insistenza pressante.

A quell’udienza hanno partecipato fedeli della diocesi di Assisi guidati dal loro vescovo Sorrentino, ed è stato spontaneo e ovvio pensare al vento, “spirito di Assisi”. Le parole di Papa Francesco molto spesso – essendo noi abituati e anche predisposti ad ascoltare discorsi elaborati, complessi e profondi -, molto spesso, per il modo di esprimerle, sembrano più di Francesco che del Papa. Ora però che il Papa si chiama Francesco, non dobbiamo più sdoppiare le due figure e le due maniere di annunciare il Vangelo, che è uno e tale rimane; ma fare armonia e sintesi, seguendo il soffio dello Spirito.

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Sono una risorsa https://www.lavoce.it/sono-una-risorsa/ Thu, 06 May 2010 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=8427 Un momento di grazia è quello che vivono gli operatori cattolici che hanno avuto la gioia di sentirsi spinti e indirizzati da Benedetto XVI ad usare le nuove tecnologie della comunicazione, senza abbandonare quelle già sperimentate. Questa spinta si è avuta nell’udienza del Papa sabato 24 aprile nell’ambito del convegno sui “Testimoni digitali”, di cui abbiamo un servizio nel n. 15 de La Voce e in questo numero una bella testimonianza a p. 12. Chi opera nella comunicazione, da questa data in poi, si sente ancor più motivato nel difficile e delicato impegno nell’ambito del mondo dei media, stampa, radio, televisione, cellulare, computer. C’è purtroppo ancora gente che non è sensibile a tale dimensione della vita della Chiesa, non l’ha ancora compresa, come l’avvocato fedele laico cristiano che disdice l’abbonamento al settimanale cattolico perché non ha tempo per leggere. Se un avvocato non ha quel minimo tempo neppure per sfogliarlo o per leggere i titoli e neppure per sentirsi legato alla comunità ecclesiale e sostenerlo a poco prezzo, c’è da essere preoccupati. Questo però è un ulteriore motivo per celebrare e preparare bene la Giornata delle comunicazion sociali che cade domenica 16 maggio, festa dell’Ascensione. Una giornata dedicata alla sensibilizzazione del popolo di Dio, perché diventi capace di ascoltare e annunciare il messaggio della salvezza e seminare nel mondo gioia e speranza. Ogni anno il Papa invia un messaggio per questa giornata. Quello del 2010, rivolto al clero, nell’ anno sacerdotale, invita a non aver paura dei nuovi strumenti, ma ad usarli al servizio della Parola di Dio. Il clero però, soprattutto quello meno giovane come farà ad imparare le varie tecniche per poter usare agevolmente il computer in tutte le sue risorse? Le parrocchie avranno bisogno di laici preparati che si pongano a servizio della comunità. A tale scopo i vescovi italiani, nel Direttorio del 2004, hanno proposto la figura dell’“Animatore della cultura e della comunicazione” in ogni parrocchia, oggi più che mai necessaria. Sarà bene ricordare che nella storia, quando è comparsa una nuova tecnica di comunicazione, come l’invenzione della stampa, la Chiesa, dopo aver preso le distanze per il pericolo della diffusione di errori religiosi ed eresie, l’ha usata in maniera abbondante per diffondere le proprie idee. Lo ha fatto anche con gli altri strumenti, quali la radio e la televisione. Non è stato abbastanza per la mancanza di risorse economiche e di personale preparato. Oggi è impegnata a reperire tali risorse da impiegare nei nuovi e vecchi media. Le comunità ecclesiali, in primo luogo i laici cristiani, sono invitati da Benedetto XVI ad impegnarsi. Lo capiranno? C’è da sperarlo per il futuro del vangelo e il bene della società intera. Di tale speranza si è fatta carico la Chiesa dei nostri tempi nel Concilio, che ha emanato il 4 dicembre 1963 il decreto sui “Gli strumenti di comunicazione sociale”, “Inter mirifica”, che inizia con la famosa affermazione, di stretta attualità, che dovrebbe essere scritta, a grandi caratteri, nelle aule dove avviene la formazione cattolica: “Tra le meravigliose invezioni tecniche che, soprattutto nel nostro tempo, l’ingegno umano è riuscito, con l’aiuto di Dio, a trarre dalle forze della natura creata, la Chiesa accoglie e segue con particolare cura materna quelle che più direttamente riguardano lo spirito dell’uomo e che offrono nuove e rapidissime maniere di comunicare notizie, idee e insegnamenti”. I padri del Concilio ben sapevano che tali strumenti hanno un pesante costo di produzione e diffusione, per questo, oltre alla giornata, avevano indicato la colletta per raccogliere i fondi necessari. Questa esigenza costituisce oggi una priorità. Chi lavora da anni, con un servizio del tutto volontario e gratuito, lo può testimoniare.

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Tutto bianco https://www.lavoce.it/tutto-bianco/ Thu, 09 Mar 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5024 Sabato 4 marzo. Roma, udienza del Papa all’Ucid. Invito del card. Antonelli, che dell’Ucid è il Consulente ecclesiastico nazionale. Ucid: Unione cristiana imprenditori e dirigenti.”Ma come!? Proprio tu, ex comunistello di sagrestia che non sei altro!, tu che identificavi gli ‘imprenditori’ con i ‘padroni’!?”. Tu quoque Brute. Sì, ego quoque. Comunista di sagrestia, io? Balle. “È stata la storia che ci si è buttata contro”, diceva don Milani.

Il mercato ha vinto sul nostro ingenuo desiderio di giustizia. Le economie socialiste socializzavano solo le toppe sul sedere, mentre il mercato produceva ricchezza. Ma nel contempo s’imbestialiva. Sfornare la torta bella e grossa, ma poi dividerla equamente: due compiti inscindibili.

Nel pomeriggio, con Antonelli in mezzo a noi, ci abbiamo ragionato su, nell’auditorium dell'”Augustinianum”, con gente del calibro di Bazoli, Abete, Averna, Ferro, Gabotto. Poi, sempre con loro, ci abbiamo pregato su in San Pietro, insieme, all’altare della Confessione. La prospettiva che attingendo alla nostra fede, possiamo contribuire a umanizzare il mercato, iniettando nelle sue logiche, dall’interno, la linfa vitale che occorre, questa è la nuova frontiera della speranza cristiana. Ero gasato il giusto, quando il card. Antonelli, uscendo dall’auditorium dell'”Augustinianum”, mi ha preso a braccetto ed è partito verso la sagrestia della basilica di San Pietro, dove era previsto che, due vescovi e una ventina di noi preti, concelebrassimo con lui. Eravamo in ritardo, e lui pedalava come un ventenne, e io arrancavo senza il coraggio di chiedere misericordia.

Per qualche centinaio di metri. Io che di metri ne faccio qualche centinaio in tutto l’anno. Trascinato, a rimorchio. “Don Ennio” ha presieduto la concelebrazione e ha tenuto un’omelia splendida. E all’improvviso io l’ho visto tutto bianco. All’altare. Tutto bianco: lo zucchetto, le maniche e il bordo inferiore della talare. In sagrestia ha deposto casula e camice, e il bianco ha sfolgorato. “Vuoi ancora fare il profeta?! Non t’è bastata la figuraccia dell’altra volta?!”. No, niente profezie. Mai più.

Ma io l’ho visto davvero tutto bianco, lui, l’antico straordinario compagno di seminario, l’antico eccellente collega docente al liceo, l’antico vescovo amatissimo della mia Gubbio. Tutto bianco. No, niente profezie. Si tratta di tutt’altra cosa. Si tratta che, come m’ha spiegato un oculista fatto in casa, a mano a mano che ci si invecchia, nella nostra retina senile si crea un doppio fondo. Su quello inferiore s’imprimono le immagini forgiate dal nostro desiderio. S’imprimono lentamente, e ancora più lentamente svaniscono.

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L’Azienda ospedaliera di Perugia all’udienza del Papa https://www.lavoce.it/lazienda-ospedaliera-di-perugia-alludienza-del-papa/ Thu, 13 Nov 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3479 ‘Come incenso salga a Te la mia preghiera …’. Mi risuona ancora questo versetto del salmo 140, proclamato da Giovanni Paolo II nella catechesi di mercoledì 5 novembre. Piazza San Pietro, piena di fedeli provenienti da varie diocesi italiane e straniere e piena di sole, come a voler regalare a tanti fedeli una giornata indimenticabile. E in piazza S. Pietro c’eravamo anche noi, circa 300 persone dell’Azienda Ospedaliera di Perugia. Dieci volte di più dei componenti del Consiglio pastorale ospedaliero, il cui intento iniziale era quello di una giornata personale di riflessione. Ma come succede spesso, le notizie volano, tanti altri dipendenti dell’Ospedale chiedono di partecipare e dal numero ristretto del Consiglio pastorale e dei loro familiari si arriva a riempire oltre cinque autobus. ‘Come incenso salga a Te la mia preghiera …’ Con noi c’era la preghiera dei malati e dei loro familiari, che nell’ospedale percorrono con trepidazione un iter diagnostico e/o terapeutico ed il ricordo di coloro che non ci sono più. C’era la preghiera di ognuno, perché l’ospedale e la sua cappellania possa essere il luogo dove, attraverso persone, operatività e gesti, compresi quelli sacramentali, Dio riveli la sua tenerezza e accompagni l’uomo nella prova. Preghiera corale, della Chiesa di Perugia, perché in piazza S. Pietro siamo stati raggiunti dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti, già a Roma per impegni pastorali, che è stato presente per tutto il tempo della catechesi e dell’udienza. Ed infine, il Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera al termine della catechesi ha consegnato nelle mani del Papa il libro ‘Lo spedale grande di Perugia’, la storia dell’Ospedale e della Facoltà di Medicina, mirabilmente scritto dal compianto prof. Mario Pitzurra, già docente e preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia di Perugia. Dopo il pranzo ed un breve periodo di spazio libero, che ha permesso la visita alla basilica di S. Pietro e dintorni, la giornata di spiritualità è continuata con la visita al santuario mariano del Divin Amore, dove è stata celebrata l’Eucaristia. Quale ricordo portare a casa? Tre in particolare:la testimonianza di Giovanni Paolo II, anziano e malato, lui stesso incenso e preghiera, che dà risposta al significato della sofferenza e del valore della vita; il gesto del Direttore Generale, presente accanto a tanti operatori dell’Azienda Ospedaliera: la sanità ‘buona’ si costruisce insieme; l’Eucaristia nel maggiore santuario mariano: alla Madonna, invocata come ‘Salus infirmorum’, è dedicata la cappella del Policlinico di Perugia.

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Dall’Umbria in 50 per prendere lo slancio necessario per continuare la testimonianza https://www.lavoce.it/dallumbria-in-50-per-prendere-lo-slancio-necessario-per-continuare-la-testimonianza/ Thu, 14 Nov 2002 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=2786 Anche dall’Umbria si è avuta una notevole partecipazione al convegno nazionale organizzato dalla Cei su Parabole mediatiche. Fare cultura nel tempo della comunicazione. Particolarmente nutrita la delegazione della nostra regione ai lavori dell’ultimo giorno, sabato 9 novembre. Eravamo cinquanta persone di Perugia, Terni, Spoleto, Todi, persone impegnate nel campo della comunicazione, della cultura e dello studio universitario. Non potendo elencare tutti i presenti in autobus possiamo almeno segnalare mons. Agostino Rossi di Spoleto e altri corrispondenti e collaboratori de La Voce, una buona rappresentanza del Centro ecumenico San Martino con la presidente M.Teresa Di Stefano, il Meic, con il vice presidente nazionale e presidente diocesano Carlo Cirotto, studenti di Scienze della formazione con i docenti Floriana Falcinelli e Marco Moschini. C’erano anche altri che hanno partecipato a tutto il convegno, tra cui Daniele Morini, padre Modesto Paris, Nicola Molè, Riccardo Liguori. Ci siamo uniti alla folla di più di otto-novemila partecipanti, nell’aula Paolo VI del Vaticano, denominata anche aula Nervi, nella quale si è pregato, si è cantato, e si sono ascoltati gli interventi di mons. Giuseppe Betori, del card. Joseph Ratzinger, del prof. Giorgio Rumi e del direttore di Avvenire Dino Boffo. Da ultimo si è avuta l’udienza del Papa che ha suggellato con il suo discorso e la sua benedizione l’incontro romano. Nel pomeriggio abbiamo voluto visitare le catacombe di San Callisto, per fare un tuffo millenario nelle origini della cristianità per pregare sulla tomba dei martiri e di tanti antichi testimoni della fede e per prendere lo slancio necessario per continuare l’annuncio e la testimonianza cristiana nel nostro tempo. Per noi questa esperienza ha voluto significare un segnale di svolta nell’impegno delle nostre Chiese locali a sviluppare una maggiore presenza nel campo delle comunicazioni sociali dal quale dipende in gran parte la diffusione del messaggio cristiano e il sostegno dei valori umani nella società contemporanea.

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