testimoni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/testimoni/ Settimanale di informazione regionale Thu, 03 Jun 2021 17:26:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg testimoni Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/testimoni/ 32 32 Corpus Domini. Il primo ostensorio siamo noi https://www.lavoce.it/corpus-domini-il-primo-ostensorio-siamo-noi/ Thu, 03 Jun 2021 17:26:26 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60924 Corpus Domini 2020 cattedrale Terni

L’anno liturgico presenta dopo il tempo pasquale, in successione, tre solennità del Signore: la santissima Trinità, il santissimo Corpo e Sangue di Cristo e il sacratissimo Cuore di Gesù. Questo percorso liturgico sembra essere un approfondimento del mistero di Dio: dalla sua complessità della identità trinitaria, resa possibile dalla relazione d’amore, alla semplicità della devozione popolare.

Percorso liturgico sul ‘mistero’ di Dio

Un percorso che narra la storia di Dio con l’umanità attraverso le grandi teofanie dell’Antico Testamento, fino alla familiarità della cena pasquale, che il Corpus Domini amplifica. Un corpo donato e un sangue versato, che è esplicitato nella crocifissione, fino all’apertura del costato di Cristo con la lancia, che fa diventare il cuore di Gesù sorgente della Chiesa e dei sacramenti. La devozione eucaristica e al Sacro Cuore consentono a tutti di rielaborare il mistero dell’amore trinitario, nella concretezza della vita donata di Gesù. La celebrazione del Corpus Domini, in stretta relazione con il Giovedì santo, è un vero e proprio approfondimento del mistero eucaristico - infatti, prima dello spostamento delle feste religiose alla domenica, veniva celebrato il giovedì.

Il riferimento al sangue

I testi biblici della liturgia di quest’anno “grondano sangue”, quale mezzo per suggellare un’alleanza tra Dio e Uomo che non avrà fine. A questo fine ultimo rimandano le preghiere della celebrazione, in particolare quella del post Communio: “Donaci, o Signore, di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno, che ci hai fatto pregustare in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue”. Nel testo dell’Esodo, prima lettura, Mosè incarica alcuni giovani di offrire olocausti attraverso il sacrificio di giovenchi. Il sangue verrà raccolto in catini e una prima metà sparso sull’altare. Il popolo si impegnerà attraverso un giuramento a osservare le parole del Signore, e a suggellare questo impegno sarà ancora il sangue: l’altra metà verrà aspersa sul popolo (Es 24,5-8).

La Pasqua dell'Agnello

Il testo evangelico narra la cena di Pasqua avvenuta il primo giorno degli azzimi, sottolinea l’evangelista Marco; il quale ci ricorda che è il giorno in cui gli ebrei immolavano la Pasqua, attraverso l’uccisione degli agnelli (14,12). Ma in questa cena pasquale il vero agnello immolato è il Signore Gesù: “Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese un calice e disse loro: ‘Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti’” (vv. 22-24). Il brano della seconda lettura sembra essere un vero commento teologico ai testi precedenti. L’autore della Lettera agli Ebrei identifica Cristo come il vero sommo sacerdote (9,11). L’alleanza che stipula attraverso il suo sangue, e non con quello di capri e vitelli (v. 14), è un’alleanza nuova (v. 15), non più soggetta al tempo. Il Cristo infatti - ci ricorda il testo - è sacerdote dei beni futuri.

Un tempio fatto di carne

Il tempio non è più quello fatto di pietre, il luogo del sacrificio non è più l’altare. Ora la figura di sacerdote, vittima e altare è attualizzata contestualmente in Cristo. Ce lo ricorda la preghiera liturgica di dedicazione di un nuovo altare: “Infine Cristo nel mistero della sua Pasqua compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna” (dalla liturgia di dedicazione). La forza di questo mistero è comunicata a quanti si accostano al corpo e sangue di Cristo. A questa “sorgente di grazia” si attinge la virtù del martirio, come ricorda il prefazio della liturgia della stessa dedicazione dell’altare: “Alle sorgenti di Cristo, pietra spirituale, attingiamo il dono del tuo Spirito per essere anche noi altare santo e offerta viva a te gradita”. Questa preghiera trova la sua realizzazione in quell’Ite, missa est con il quale il sacerdote congeda il popolo celebrante, perché il vero culto gradito a Dio si realizzi in una vita degna di ciò che abbiamo celebrato. La celebrazione è per la vita, come la Chiesa è per il mondo.

Eucarestia … per la vita del mondo

La processione eucaristica, che abitualmente segue alla messa del Corpus Domini, acquista il suo vero significato quando la nostra vita diviene un “ostensorio” del Vangelo e realizza il testo delle Beatitudini. Il cammino per le vie dei nostri paesi, anche quest’anno, non sarà possibile: a esso si sostituisca il pellegrinaggio interiore nell’adorazione eucaristica, dove le fatiche della nostra vita, portate davanti al Signore, ci “distraggano” però da quella “riposante contemplazione” in cui rischia di non trovare spazio il volto del fratello.]]>
Corpus Domini 2020 cattedrale Terni

L’anno liturgico presenta dopo il tempo pasquale, in successione, tre solennità del Signore: la santissima Trinità, il santissimo Corpo e Sangue di Cristo e il sacratissimo Cuore di Gesù. Questo percorso liturgico sembra essere un approfondimento del mistero di Dio: dalla sua complessità della identità trinitaria, resa possibile dalla relazione d’amore, alla semplicità della devozione popolare.

Percorso liturgico sul ‘mistero’ di Dio

Un percorso che narra la storia di Dio con l’umanità attraverso le grandi teofanie dell’Antico Testamento, fino alla familiarità della cena pasquale, che il Corpus Domini amplifica. Un corpo donato e un sangue versato, che è esplicitato nella crocifissione, fino all’apertura del costato di Cristo con la lancia, che fa diventare il cuore di Gesù sorgente della Chiesa e dei sacramenti. La devozione eucaristica e al Sacro Cuore consentono a tutti di rielaborare il mistero dell’amore trinitario, nella concretezza della vita donata di Gesù. La celebrazione del Corpus Domini, in stretta relazione con il Giovedì santo, è un vero e proprio approfondimento del mistero eucaristico - infatti, prima dello spostamento delle feste religiose alla domenica, veniva celebrato il giovedì.

Il riferimento al sangue

I testi biblici della liturgia di quest’anno “grondano sangue”, quale mezzo per suggellare un’alleanza tra Dio e Uomo che non avrà fine. A questo fine ultimo rimandano le preghiere della celebrazione, in particolare quella del post Communio: “Donaci, o Signore, di godere pienamente della tua vita divina nel convito eterno, che ci hai fatto pregustare in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue”. Nel testo dell’Esodo, prima lettura, Mosè incarica alcuni giovani di offrire olocausti attraverso il sacrificio di giovenchi. Il sangue verrà raccolto in catini e una prima metà sparso sull’altare. Il popolo si impegnerà attraverso un giuramento a osservare le parole del Signore, e a suggellare questo impegno sarà ancora il sangue: l’altra metà verrà aspersa sul popolo (Es 24,5-8).

La Pasqua dell'Agnello

Il testo evangelico narra la cena di Pasqua avvenuta il primo giorno degli azzimi, sottolinea l’evangelista Marco; il quale ci ricorda che è il giorno in cui gli ebrei immolavano la Pasqua, attraverso l’uccisione degli agnelli (14,12). Ma in questa cena pasquale il vero agnello immolato è il Signore Gesù: “Prendete, questo è il mio corpo. Poi prese un calice e disse loro: ‘Questo è il mio sangue dell’alleanza che è versato per molti’” (vv. 22-24). Il brano della seconda lettura sembra essere un vero commento teologico ai testi precedenti. L’autore della Lettera agli Ebrei identifica Cristo come il vero sommo sacerdote (9,11). L’alleanza che stipula attraverso il suo sangue, e non con quello di capri e vitelli (v. 14), è un’alleanza nuova (v. 15), non più soggetta al tempo. Il Cristo infatti - ci ricorda il testo - è sacerdote dei beni futuri.

Un tempio fatto di carne

Il tempio non è più quello fatto di pietre, il luogo del sacrificio non è più l’altare. Ora la figura di sacerdote, vittima e altare è attualizzata contestualmente in Cristo. Ce lo ricorda la preghiera liturgica di dedicazione di un nuovo altare: “Infine Cristo nel mistero della sua Pasqua compì tutti i segni antichi; salendo sull’albero della croce, sacerdote e vittima, si offrì a te, o Padre, in oblazione pura per distruggere i peccati del mondo e stabilire con te l’alleanza nuova ed eterna” (dalla liturgia di dedicazione). La forza di questo mistero è comunicata a quanti si accostano al corpo e sangue di Cristo. A questa “sorgente di grazia” si attinge la virtù del martirio, come ricorda il prefazio della liturgia della stessa dedicazione dell’altare: “Alle sorgenti di Cristo, pietra spirituale, attingiamo il dono del tuo Spirito per essere anche noi altare santo e offerta viva a te gradita”. Questa preghiera trova la sua realizzazione in quell’Ite, missa est con il quale il sacerdote congeda il popolo celebrante, perché il vero culto gradito a Dio si realizzi in una vita degna di ciò che abbiamo celebrato. La celebrazione è per la vita, come la Chiesa è per il mondo.

Eucarestia … per la vita del mondo

La processione eucaristica, che abitualmente segue alla messa del Corpus Domini, acquista il suo vero significato quando la nostra vita diviene un “ostensorio” del Vangelo e realizza il testo delle Beatitudini. Il cammino per le vie dei nostri paesi, anche quest’anno, non sarà possibile: a esso si sostituisca il pellegrinaggio interiore nell’adorazione eucaristica, dove le fatiche della nostra vita, portate davanti al Signore, ci “distraggano” però da quella “riposante contemplazione” in cui rischia di non trovare spazio il volto del fratello.]]>
Pentecoste. Il Cenacolo, la nostra culla https://www.lavoce.it/pentecoste-il-cenacolo-la-nostra-culla/ Fri, 21 May 2021 10:23:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60742

La Pentecoste segna l’inizio della Chiesa. Essa aveva avuto la sua gestazione e il suo parto nel dolore sulla croce, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica: “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (CCC 1067, che cita Sacrosanctum Concilium 2). Dal costato di Cristo aperto dalla lancia del soldato (Gv 19,34) uscì sangue e acqua, e misteriosamente sono svelati i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. E come Eva, madre di tutti i viventi, emerge dal costato di Adamo, la Chiesa, madre dei cristiani, nasce dal costato di Cristo. Questo insegnamento, che ci viene dalla tradizione patristica e dal Magistero, è desunto proprio dalla Parola di questa domenica.

La Pentecoste ebraica

La prima lettura colloca l’irruzione dello Spirito santo “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At 2,1). È la pentecoste ebraica, che celebra i cinquanta giorni dopo la Pasqua, con il raccolto del frumento (Lv 23,15-17), e anticipa il grande raccolto dell’autunno con la festa delle Capanne. Nella festa ebraica ora irrompe la novità dello Spirito, che segna il tempo sacro dei cinquanta giorni in cui si celebra la Pasqua, come ricorda la colletta della messa vespertina della vigilia. La festa ebraica della pentecoste ricorda anche il dono della Legge, le dieci Parole incise con il fuoco sulle tavole consegnate a Mosè. È facile intravedere un percorso a due binari, con continui incroci, tra le feste ebraiche e le solennità che celebrano gli eventi di salvezza della fede cristiana. Il Signore Gesù porta a compimento quanto anticipato nella storia della salvezza tramite la rivelazione al popolo di Israele. La Pasqua con la sua cena, che Gesù celebra come istituzione della nuova Cena nel contesto della Pasqua. La Pentecoste: la festa ebraica del raccolto, che diviene il frutto maturo della Pasqua di risurrezione, adempiendo la profezia sulla legge pronunciata da Ezechiele e Geremia.

Nella Pentecoste la manifestazione dello Spirito

Lo Spirito santo renderà infatti la legge non più straniera al cuore dell’uomo, ma sarà iscritta nelle sue “viscere”, subordinandola alla legge dell’amore. Il profeta Geremia vedrà in lontananza il compiersi della nuova alleanza: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31,3). Il profeta Ezechiele, dopo aver parlato della dispersione di Israele, traccia un percorso di cammino comune verso Gerusalemme: “Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi, e vi farò osservare e mettere in pratiche le mie norme” (Ez 36,24-28).

Una nuova “legge” scritta nei cuori

Il vento e il fuoco descrivono, nel libro degli Atti, una una vera “teofania”: lo Spirito del Risorto raggiungerà gli apostoli, riuniti nel Cenacolo con Maria. La legge dell’amore sarà incisa ora nel cuore degli “amici di Gesù” e sarà parte costitutiva dell’uomo nuovo, rinato dalle “ceneri” della paura. Il coraggio e la forza di affrontare la missione sarà completata dai frutti che lo Spirito porta in dono: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, come ricorda la seconda lettura (Gal 5,27-28).

Dalla diaspora all’unità

La Pentecoste, celebrata nelle due liturgie, è un percorso che procede dalla diaspora all’unità. La prima lettura della celebrazione vigiliare presenta la dispersione dell’umanità in Genesi 11,1-9: “La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Il testo di Atti, nella celebrazione del giorno, mostra i popoli radunati a Gerusalemme per la festa, i quali faranno esperienza della nuova Pentecoste, frutto della nuova Pasqua. Pietro e gli apostoli annunciano la risurrezione di Cristo senza più timore; lo Spirito darà voce alla gioia, non più imprigionata dalla paura. Non avranno paura di annunciare la verità tutta intera, come dice il Vangelo della domenica (Gv 15,26; 16,13). Lo Spirito darà loro la forza della testimonianza (vv. 26-27), ricorderà loro ogni cosa e annuncerà le cose future (v. 13).

Doni dello Spirito alla comunità

Memoria, testimonianza e capacità di “vedere lontano” identificano la Chiesa e ogni credente immerso nell’acqua e nello Spirito, rinato dal “grembo” del fonte battesimale. La memoria viva ed efficace dei sacramenti ci rende presenti agli eventi di grazia di Cristo, che continuano nell’azione Chiesa: i sacramenti. Lo Spirito ricevuto ci dona la gioia del martirio nel presente e squarcia ai nostri occhi il velo della storia futura: la profezia. In questo tempo, facciamo fatica a riconoscere l’orizzonte profetico nelle nostre comunità e nella Chiesa in generale. Le paure sembrano aver sigillato la speranza nel “cenacolo” delle nostre tradizioni. Vieni, Santo Spirito, vieni a rinnovare la tua Chiesa!]]>

La Pentecoste segna l’inizio della Chiesa. Essa aveva avuto la sua gestazione e il suo parto nel dolore sulla croce, come ricorda il Catechismo della Chiesa cattolica: “Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (CCC 1067, che cita Sacrosanctum Concilium 2). Dal costato di Cristo aperto dalla lancia del soldato (Gv 19,34) uscì sangue e acqua, e misteriosamente sono svelati i sacramenti del battesimo e dell’eucarestia. E come Eva, madre di tutti i viventi, emerge dal costato di Adamo, la Chiesa, madre dei cristiani, nasce dal costato di Cristo. Questo insegnamento, che ci viene dalla tradizione patristica e dal Magistero, è desunto proprio dalla Parola di questa domenica.

La Pentecoste ebraica

La prima lettura colloca l’irruzione dello Spirito santo “mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste” (At 2,1). È la pentecoste ebraica, che celebra i cinquanta giorni dopo la Pasqua, con il raccolto del frumento (Lv 23,15-17), e anticipa il grande raccolto dell’autunno con la festa delle Capanne. Nella festa ebraica ora irrompe la novità dello Spirito, che segna il tempo sacro dei cinquanta giorni in cui si celebra la Pasqua, come ricorda la colletta della messa vespertina della vigilia. La festa ebraica della pentecoste ricorda anche il dono della Legge, le dieci Parole incise con il fuoco sulle tavole consegnate a Mosè. È facile intravedere un percorso a due binari, con continui incroci, tra le feste ebraiche e le solennità che celebrano gli eventi di salvezza della fede cristiana. Il Signore Gesù porta a compimento quanto anticipato nella storia della salvezza tramite la rivelazione al popolo di Israele. La Pasqua con la sua cena, che Gesù celebra come istituzione della nuova Cena nel contesto della Pasqua. La Pentecoste: la festa ebraica del raccolto, che diviene il frutto maturo della Pasqua di risurrezione, adempiendo la profezia sulla legge pronunciata da Ezechiele e Geremia.

Nella Pentecoste la manifestazione dello Spirito

Lo Spirito santo renderà infatti la legge non più straniera al cuore dell’uomo, ma sarà iscritta nelle sue “viscere”, subordinandola alla legge dell’amore. Il profeta Geremia vedrà in lontananza il compiersi della nuova alleanza: “Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa d’Israele: porrò la mia legge dentro di loro, la scriverò nel loro cuore” (Ger 31,3). Il profeta Ezechiele, dopo aver parlato della dispersione di Israele, traccia un percorso di cammino comune verso Gerusalemme: “Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. Porrò il mio Spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo le mie leggi, e vi farò osservare e mettere in pratiche le mie norme” (Ez 36,24-28).

Una nuova “legge” scritta nei cuori

Il vento e il fuoco descrivono, nel libro degli Atti, una una vera “teofania”: lo Spirito del Risorto raggiungerà gli apostoli, riuniti nel Cenacolo con Maria. La legge dell’amore sarà incisa ora nel cuore degli “amici di Gesù” e sarà parte costitutiva dell’uomo nuovo, rinato dalle “ceneri” della paura. Il coraggio e la forza di affrontare la missione sarà completata dai frutti che lo Spirito porta in dono: “amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, come ricorda la seconda lettura (Gal 5,27-28).

Dalla diaspora all’unità

La Pentecoste, celebrata nelle due liturgie, è un percorso che procede dalla diaspora all’unità. La prima lettura della celebrazione vigiliare presenta la dispersione dell’umanità in Genesi 11,1-9: “La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Il testo di Atti, nella celebrazione del giorno, mostra i popoli radunati a Gerusalemme per la festa, i quali faranno esperienza della nuova Pentecoste, frutto della nuova Pasqua. Pietro e gli apostoli annunciano la risurrezione di Cristo senza più timore; lo Spirito darà voce alla gioia, non più imprigionata dalla paura. Non avranno paura di annunciare la verità tutta intera, come dice il Vangelo della domenica (Gv 15,26; 16,13). Lo Spirito darà loro la forza della testimonianza (vv. 26-27), ricorderà loro ogni cosa e annuncerà le cose future (v. 13).

Doni dello Spirito alla comunità

Memoria, testimonianza e capacità di “vedere lontano” identificano la Chiesa e ogni credente immerso nell’acqua e nello Spirito, rinato dal “grembo” del fonte battesimale. La memoria viva ed efficace dei sacramenti ci rende presenti agli eventi di grazia di Cristo, che continuano nell’azione Chiesa: i sacramenti. Lo Spirito ricevuto ci dona la gioia del martirio nel presente e squarcia ai nostri occhi il velo della storia futura: la profezia. In questo tempo, facciamo fatica a riconoscere l’orizzonte profetico nelle nostre comunità e nella Chiesa in generale. Le paure sembrano aver sigillato la speranza nel “cenacolo” delle nostre tradizioni. Vieni, Santo Spirito, vieni a rinnovare la tua Chiesa!]]>
Cascia. Presentazione del libro “Sono rinata”: la storia di Mariangela, dal buio alla vita https://www.lavoce.it/cascia-mariangela-calcagno/ https://www.lavoce.it/cascia-mariangela-calcagno/#comments Thu, 17 Jan 2019 12:00:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53805 Mariangela

“Se è vero che Dio è amore, perché nel mondo esiste la sofferenza?”. È la domanda che tutti abbiamo dentro, e che Mariangela Calcagno esprime fin dalle prime righe del suo libro-testimonianza Sono rinata (Shalom editrice). Nata col nome “Angela” - diventerà Mariangela dopo il battesimo - e abbandonata dai genitori naturali, trascorre l’infanzia in un orfanotrofio ligure e viene poi adottata all’età di 6 anni.

Quello che sembra un epilogo positivo per un’orfana diventa in realtà la base di una grande sofferenza che Angela si porta dietro fino all’età adulta. Il pensiero “tu non vali niente!” la tormenta, insieme al fallimento per non essere riuscita a farsi amare dai genitori naturali, ad ambientarsi nella famiglia adottiva e a finire gli studi.

Si professa atea, ma il Signore la “corteggia”, pur essendone lei inconsapevole. Durante l’ultimo anno di scuola superiore sente il bisogno di andare via di casa e per allontanarsi dalla sua famiglia adottiva non sceglie una strada qualunque: conosce un sacerdote durante una missione popolare e lo segue nella comunità religiosa da lui fondata. In seguito comincia a lavorare come cuoca e arrivano il successo, il denaro e anche l’amore. Luca, il fidanzato, le fa sperimentare per la prima volta cosa significa amare gratuitamente.

Il giovane ha un unico “difetto”, scrive Mariangela nel libro: è un cattolico autentico. Luca non vuole convertirla, le sta accanto accettando anche il suo essere atea. Così, quando le chiede di sposarlo, organizza un matrimonio misto, civile per lei e religioso per lui. Non fanno però in tempo a sposarsi perché Luca muore quattro giorni prima delle nozze. Angela precipita in un dolore talmente forte da portarla all’autodistruzione. Nel buio delle tenebre cade nelle mani sbagliate e finisce in una setta satanica.

Ancora una volta però il Signore, proprio come un principe, la salva grazie all’aiuto di Chiara Amirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti. Da quel momento Angela rinasce, intraprende un nuovo cammino che la porterà a conoscere prima la madre celeste Maria e poi la santa dei casi impossibili, santa Rita.

È proprio a Cascia, nella basilica inferiore, che sarà presentato il suo libro, sabato 19 gennaio alle ore 16. Alla presentazione interverrà anche il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che ha scritto un invito alla lettura del libro: “La storia di Mariangela racconta un miracolo: Dio abita anche nel dolore... e con lui il dolore non è più dolore, perché la carezza dell’amore di Dio lo trasforma e lo vince”.

Valentina Russo

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Mariangela

“Se è vero che Dio è amore, perché nel mondo esiste la sofferenza?”. È la domanda che tutti abbiamo dentro, e che Mariangela Calcagno esprime fin dalle prime righe del suo libro-testimonianza Sono rinata (Shalom editrice). Nata col nome “Angela” - diventerà Mariangela dopo il battesimo - e abbandonata dai genitori naturali, trascorre l’infanzia in un orfanotrofio ligure e viene poi adottata all’età di 6 anni.

Quello che sembra un epilogo positivo per un’orfana diventa in realtà la base di una grande sofferenza che Angela si porta dietro fino all’età adulta. Il pensiero “tu non vali niente!” la tormenta, insieme al fallimento per non essere riuscita a farsi amare dai genitori naturali, ad ambientarsi nella famiglia adottiva e a finire gli studi.

Si professa atea, ma il Signore la “corteggia”, pur essendone lei inconsapevole. Durante l’ultimo anno di scuola superiore sente il bisogno di andare via di casa e per allontanarsi dalla sua famiglia adottiva non sceglie una strada qualunque: conosce un sacerdote durante una missione popolare e lo segue nella comunità religiosa da lui fondata. In seguito comincia a lavorare come cuoca e arrivano il successo, il denaro e anche l’amore. Luca, il fidanzato, le fa sperimentare per la prima volta cosa significa amare gratuitamente.

Il giovane ha un unico “difetto”, scrive Mariangela nel libro: è un cattolico autentico. Luca non vuole convertirla, le sta accanto accettando anche il suo essere atea. Così, quando le chiede di sposarlo, organizza un matrimonio misto, civile per lei e religioso per lui. Non fanno però in tempo a sposarsi perché Luca muore quattro giorni prima delle nozze. Angela precipita in un dolore talmente forte da portarla all’autodistruzione. Nel buio delle tenebre cade nelle mani sbagliate e finisce in una setta satanica.

Ancora una volta però il Signore, proprio come un principe, la salva grazie all’aiuto di Chiara Amirante, fondatrice della comunità Nuovi Orizzonti. Da quel momento Angela rinasce, intraprende un nuovo cammino che la porterà a conoscere prima la madre celeste Maria e poi la santa dei casi impossibili, santa Rita.

È proprio a Cascia, nella basilica inferiore, che sarà presentato il suo libro, sabato 19 gennaio alle ore 16. Alla presentazione interverrà anche il card. Angelo Comastri, vicario generale del Papa per la Città del Vaticano, che ha scritto un invito alla lettura del libro: “La storia di Mariangela racconta un miracolo: Dio abita anche nel dolore... e con lui il dolore non è più dolore, perché la carezza dell’amore di Dio lo trasforma e lo vince”.

Valentina Russo

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DEBORA VEZZANI. Ogni storia è “come un prodigio” https://www.lavoce.it/debora-vezzani-storia-un-prodigio/ Fri, 01 Jun 2018 11:00:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52012

“Renditi disponibile e vedrai meraviglie”. È questo il motto che ha guidato la conversione di Debora Vezzani, come da lei stessa raccontato nel corso della presentazione del suo libro tenutasi ad Orvieto nell’ambito del festival “Arte e fede”. Da quattro anni la cantautrice emiliana è costantemente in tour in tutta Italia, fra musica e testimonianze di fede: “È iniziato tutto quando mi sono resa conto che raccontare la mia storia portava frutti nelle vite degli altri. Inoltre è molto utile anche per me, mi aiuta a ricordare tutte le cose belle che Dio ha fatto nella mia vita”. Intervistata dalla giornalista Maria Rita Valli, direttrice de La Voce, Debora Vezzani è partita dal suo primo libro Come un prodigio. Storia di una conversione, per raccontare al pubblico del festival il suo percorso di vita e di fede. Il tutto intervallando la narrazione con alcuni dei suoi brani più famosi come “Inno all’amore”, “Inri (Io non ritorno indietro)” e “Come un prodigio” da cui il titolo del libro. [caption id="attachment_52010" align="aligncenter" width="600"] L'incontro con Debora Vezzani nell'ambito del festival "Arte e fede"[/caption] “Tutto è cominciato un 25 marzo, giorno della mia nascita, ma anche festa mariana dell’Annunciazione. Allora non sapevo che la presenza di Maria mi avrebbe accompagnata per tutta la vita” racconta, e nel corso dell’intervista in modo molto semplice e spontaneo non nasconde nulla di se stessa, neanche i momenti più dolorosi. “Mia madre naturale mi ha abbandonata ed io ho sempre saputo di essere stata adottata. Questo ha generato in me fin dalla più tenera età la sensazione che non avrei dovuto essere al mondo”. Poi i genitori adottivi si separano, la sua relazione sentimentale di quel periodo fallisce e il contratto che aveva con l’etichetta discografica di Ligabue scade. “Un giorno tornando a casa mi prese l’istinto di andare a schiantarmi con l’auto, per fortuna non l’ho fatto”. Le viene chiesto da un’amica in procinto di matrimonio di musicare il salmo 139 in occasione delle nozze. Debora accetta e per comporre la melodia passa giornate intere a rileggere quelle parole: “Sei Tu che mi hai tessuto nel grembo di mia madre e mi hai fatto come un prodigio”. Con grande spontaneità Debora legge gli eventi della sua vita, anche quelli dolorosi, alla luce di un disegno di amore che che si è rivelato nel tempo, pezzo per pezzo, come un mosaico, fino a condurla a trovare la vera felicità in Dio. Oggi Debora, dopo essersi sposata con Yuri, con il quale condivide la fede e la scelta di “fare la volontà di Dio”, vive di Provvidenza e della sua musica, anche grazie al successo di un brano scritto per la vincitrice del talent show “The Voice” suor Cristina. E sul bavaglino del loro piccolo Emmanuele Maria una frase che spesso ripete: “L’amore vincerà. È una certezza”.
FESTIVAL ARTE E FEDE
Il festival Arte e fede anima dal 2005 la città di Orvieto coinvolgendo religiosi e laici, studiosi e artisti, credenti e non, con l’intento di conciliare due mondi apparentemente lontani ma in realtà molto vicini. L’edizione 2018 terminerà il 3 guigno. Tra gli appuntamenti principali l’incontro con lo scrittore Davide Rondoni questa sera alle 18 presso Palazzo dei Sette. Alessandro Lardani, direttore artistico del festival, ha raccontato a La Voce l'essenza di Arte e fede. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=j7PxT7hLByg[/embed]    ]]>

“Renditi disponibile e vedrai meraviglie”. È questo il motto che ha guidato la conversione di Debora Vezzani, come da lei stessa raccontato nel corso della presentazione del suo libro tenutasi ad Orvieto nell’ambito del festival “Arte e fede”. Da quattro anni la cantautrice emiliana è costantemente in tour in tutta Italia, fra musica e testimonianze di fede: “È iniziato tutto quando mi sono resa conto che raccontare la mia storia portava frutti nelle vite degli altri. Inoltre è molto utile anche per me, mi aiuta a ricordare tutte le cose belle che Dio ha fatto nella mia vita”. Intervistata dalla giornalista Maria Rita Valli, direttrice de La Voce, Debora Vezzani è partita dal suo primo libro Come un prodigio. Storia di una conversione, per raccontare al pubblico del festival il suo percorso di vita e di fede. Il tutto intervallando la narrazione con alcuni dei suoi brani più famosi come “Inno all’amore”, “Inri (Io non ritorno indietro)” e “Come un prodigio” da cui il titolo del libro. [caption id="attachment_52010" align="aligncenter" width="600"] L'incontro con Debora Vezzani nell'ambito del festival "Arte e fede"[/caption] “Tutto è cominciato un 25 marzo, giorno della mia nascita, ma anche festa mariana dell’Annunciazione. Allora non sapevo che la presenza di Maria mi avrebbe accompagnata per tutta la vita” racconta, e nel corso dell’intervista in modo molto semplice e spontaneo non nasconde nulla di se stessa, neanche i momenti più dolorosi. “Mia madre naturale mi ha abbandonata ed io ho sempre saputo di essere stata adottata. Questo ha generato in me fin dalla più tenera età la sensazione che non avrei dovuto essere al mondo”. Poi i genitori adottivi si separano, la sua relazione sentimentale di quel periodo fallisce e il contratto che aveva con l’etichetta discografica di Ligabue scade. “Un giorno tornando a casa mi prese l’istinto di andare a schiantarmi con l’auto, per fortuna non l’ho fatto”. Le viene chiesto da un’amica in procinto di matrimonio di musicare il salmo 139 in occasione delle nozze. Debora accetta e per comporre la melodia passa giornate intere a rileggere quelle parole: “Sei Tu che mi hai tessuto nel grembo di mia madre e mi hai fatto come un prodigio”. Con grande spontaneità Debora legge gli eventi della sua vita, anche quelli dolorosi, alla luce di un disegno di amore che che si è rivelato nel tempo, pezzo per pezzo, come un mosaico, fino a condurla a trovare la vera felicità in Dio. Oggi Debora, dopo essersi sposata con Yuri, con il quale condivide la fede e la scelta di “fare la volontà di Dio”, vive di Provvidenza e della sua musica, anche grazie al successo di un brano scritto per la vincitrice del talent show “The Voice” suor Cristina. E sul bavaglino del loro piccolo Emmanuele Maria una frase che spesso ripete: “L’amore vincerà. È una certezza”.
FESTIVAL ARTE E FEDE
Il festival Arte e fede anima dal 2005 la città di Orvieto coinvolgendo religiosi e laici, studiosi e artisti, credenti e non, con l’intento di conciliare due mondi apparentemente lontani ma in realtà molto vicini. L’edizione 2018 terminerà il 3 guigno. Tra gli appuntamenti principali l’incontro con lo scrittore Davide Rondoni questa sera alle 18 presso Palazzo dei Sette. Alessandro Lardani, direttore artistico del festival, ha raccontato a La Voce l'essenza di Arte e fede. [embed]https://www.youtube.com/watch?v=j7PxT7hLByg[/embed]    ]]>
Incontro con Farhad Bitani, ex militare afgano emigrato in Italia https://www.lavoce.it/incontro-farhad-bitani-ex-militare-afgano-emigrato-italia/ Sun, 21 Jan 2018 16:16:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51055

Il 13 gennaio, nella sala del Trono del vescovado di Todi, in occasione della conclusione della mostra sui migranti – organizzata dalla Caritas diocesana e dell’associazione Matavitatau - e della Giornata mondiale dei migranti, si è tenuta un’affollata conferenza, moderata da Nicoletta Bernardini, con Farhad Bitani autore del libro L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan. Ex capitano dell’esercito afgano, figlio di un generale mujaheddin, la sua testimonianza, toccante e coinvolgente, ha inquadrato perfettamente la situazione politica, sociale ed economica del suo Paese. Cresciuto in un contesto di intolleranza, di violenza, che non permette di conoscere la verità trasmessa dal Corano, con la sola convinzione che il ‘diverso’ sia da eliminare. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico. Più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo lui stesso contro i talebani. La vita di Farhad subisce una svolta quando, nel 2005, il padre lo esorta ad andare in Italia. “Appena sono arrivato in aeroporto, ho visto soltanto una moltitudine di infedeli. Pregavo Dio per avere il potere di ucciderli” ha confessato Farhad. Le cose hanno iniziato a cambiare dal 2008, attraverso “piccoli gesti quotidiani”, come il rispetto della sua cultura o una mano sulla fronte che gli sentiva la febbre proprio come faceva sua madre quando era bambino. Farhad ha quindi deciso di leggere il Corano in lingua persiana – quella che conosce meglio – scoprendo così che non vi era traccia nel Libro sacro della maggior parte delle cose che gli erano state inculcate in giovane età. “Nel Corano ho trovato aiuto e rispetto per gli altri, ed è parola di Allah che nessuno può prendere la vita di un altro individuo. Il problema non è nella religione islamica, ma nei musulmani, poiché il 90% di loro non conosce cosa c’è realmente scritto nel testo sacro. Occorre andare in fondo all’umanità delle persone per conoscerle davvero”. Questo, e l’essere sopravvissuto a un attacco dei talebani nel 2011, ha portato Farhad verso il mutamento. “Sono cambiato attraverso la conoscenza del diverso, attraverso i piccoli gesti di bene. È quando questi vengono a mancare che aumenta la violenza”. Al termine dell’incontro, lancia un appello che tutti vogliamo raccogliere: “Tutti possono incontrare il Bene nella loro vita, anche la persona più crudele, in quanto ciascuno di noi ha un puntino bianco nel proprio cuore che attraverso l’incontro con l’altro può ingrandirsi”.  ]]>

Il 13 gennaio, nella sala del Trono del vescovado di Todi, in occasione della conclusione della mostra sui migranti – organizzata dalla Caritas diocesana e dell’associazione Matavitatau - e della Giornata mondiale dei migranti, si è tenuta un’affollata conferenza, moderata da Nicoletta Bernardini, con Farhad Bitani autore del libro L’ultimo lenzuolo bianco. L’inferno e il cuore dell’Afghanistan. Ex capitano dell’esercito afgano, figlio di un generale mujaheddin, la sua testimonianza, toccante e coinvolgente, ha inquadrato perfettamente la situazione politica, sociale ed economica del suo Paese. Cresciuto in un contesto di intolleranza, di violenza, che non permette di conoscere la verità trasmessa dal Corano, con la sola convinzione che il ‘diverso’ sia da eliminare. Durante la sua infanzia ha vissuto la guerra da vincitore, perché suo padre era uno dei generali mujaheddin che hanno sconfitto il potere sovietico. Più tardi l’ha vissuta da perseguitato, perché suo padre era nemico dei talebani, che in Afghanistan avevano preso il potere. In seguito l’ha vissuta da militare, combattendo lui stesso contro i talebani. La vita di Farhad subisce una svolta quando, nel 2005, il padre lo esorta ad andare in Italia. “Appena sono arrivato in aeroporto, ho visto soltanto una moltitudine di infedeli. Pregavo Dio per avere il potere di ucciderli” ha confessato Farhad. Le cose hanno iniziato a cambiare dal 2008, attraverso “piccoli gesti quotidiani”, come il rispetto della sua cultura o una mano sulla fronte che gli sentiva la febbre proprio come faceva sua madre quando era bambino. Farhad ha quindi deciso di leggere il Corano in lingua persiana – quella che conosce meglio – scoprendo così che non vi era traccia nel Libro sacro della maggior parte delle cose che gli erano state inculcate in giovane età. “Nel Corano ho trovato aiuto e rispetto per gli altri, ed è parola di Allah che nessuno può prendere la vita di un altro individuo. Il problema non è nella religione islamica, ma nei musulmani, poiché il 90% di loro non conosce cosa c’è realmente scritto nel testo sacro. Occorre andare in fondo all’umanità delle persone per conoscerle davvero”. Questo, e l’essere sopravvissuto a un attacco dei talebani nel 2011, ha portato Farhad verso il mutamento. “Sono cambiato attraverso la conoscenza del diverso, attraverso i piccoli gesti di bene. È quando questi vengono a mancare che aumenta la violenza”. Al termine dell’incontro, lancia un appello che tutti vogliamo raccogliere: “Tutti possono incontrare il Bene nella loro vita, anche la persona più crudele, in quanto ciascuno di noi ha un puntino bianco nel proprio cuore che attraverso l’incontro con l’altro può ingrandirsi”.  ]]>
Trancanelli “venerabile”. La Chiesa può sbagliarsi nel proclamare i santi? https://www.lavoce.it/trancanelli-venerabile-la-chiesa-puo-sbagliarsi-nel-proclamare-i-santi/ Mon, 10 Jul 2017 17:45:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49450 Vittorio Trancanelli in una pausa dal lavoro in ospedale
Vittorio Trancanelli in una pausa dal lavoro in ospedale

Una delle domande classiche della riflessione sull’infallibilità della Chiesa riguarda la possibilità di sbagliarsi nella canonizzazione dei santi. Può accadere che la Chiesa abbia proposto come santi persone che invece non lo erano? La domanda acquista senso soprattutto nel momento in cui i modelli di santità cambiano, e quindi alcuni santi – o le motivazioni per cui sono stati riconosciuti tali – non viene più condivisa.

Facciamo l’esempio della beata Antonia Mesina, la cui santità ovviamente si estende a tutta la vita, ma viene motivata perché ha difeso fino alla morte la propria castità (così il Martirologio romano ), che sarebbe come dire che le ragazze devono preferire morire che essere violentate. Oggi sappiamo bene che in caso di stupro l’unico a perdere la castità è il violentatore, non certo la donna costretta a un rapporto sessuale contro la sua volontà. Le motivazioni di questa canonizzazione non possono dunque essere più condivise, o perlomeno chiedono di essere attentamente valutate; eppure questo non significa che la persona non fosse santa, vuol dire piuttosto che il modello che essa rappresenta va inquadrato culturalmente e quindi tradotto adeguatamente in altro contesto.

Potremmo dichiarare “esemplare” un marito oggi, se – come il beato Raimondo Lullo – abbandonasse moglie e figli per fare un’altra vita, per quanto nobile? Ecco allora che l’infallibilità della Chiesa si comprende non come una mancanza di errore, ma come una crescita nella verità.

La Chiesa è infallibile perché, nonostante la necessaria incarnazione del suo annuncio e della sua vita, non perde l’autenticità del Vangelo. Questo viene detto in tutte le lingue, tradotto in tutte le culture, mescolato a non pochi elementi inautentici o erronei (dalla convinzione che gli indios non avessero l’anima alla scelta della guerra per giusta causa), ma questa commistione con l’errore non intacca l’infallibilità della Chiesa, che in mezzo a questo turbinio mantiene la giusta rotta, custodendo il Vangelo. Consapevole di questa dinamica che costituisce la tradizione stessa della Chiesa, chiamata a tramandare il Vangelo in contesti sempre nuovi, accrescendone la conoscenza ma anche rischiando di tradirlo, la Chiesa veglia sul proprio annuncio e sulle proprie decisioni, continuamente raffina la propria dottrina, la purifica, la rinnova, continuamente si riforma. L’infallibilità non è dunque un’asettica mancanza di errori, come un percorso netto in una corsa a ostacoli, ma piuttosto una dinamica vitale che, sostenuta dallo Spirito, rende la Chiesa capace di custodire il Vangelo, e rende il Vangelo fonte sempre rinnovata di verità dentro la Chiesa stessa.

L’infallibilità, per quanto detto, non è contraddetta dal riconoscimento e dalla correzione dell’errore; al contrario, riconoscere gli inevitabili elementi spuri che si sono insinuati nella testimonianza evangelica dimostra proprio l’infallibilità della Chiesa.

Perché si insinua l’errore però? Perché l’annuncio del Vangelo non consiste nella ripetizione pedissequa di contenuti fissi, ma in una testimonianza di vita che ripete un nucleo fondamentale (la vicenda di Gesù e ciò che la spiega) traducendolo in tutti i contesti culturali e in tutti i linguaggi possibili. Tale traduzione non solo è indispensabile perché l’annuncio venga accolto, ma permette anche di comprenderlo più a fondo, di arricchire la tradizione della Chiesa. D’altra parte, ogni “traduzione” è un “tradimento” perché passare un messaggio in un altro contesto è sempre una violazione. Così si innestano sull’annuncio elementi che magari erano efficaci e adeguati in un periodo o in luogo, ma non in altri momenti o altrove, oppure si mescolano alla testimonianza cristiana concetti e prassi non evangelici, perché non si era in condizione di percepirli come tali.

Tutto questo non intacca la capacità della Chiesa di crescere continuamente nella verità, abbandonando ogni inautenticità. Anzi l’infallibilità della Chiesa è ancora più evidente nel momento in cui essa è capace di correggersi, distinguendo fra la verità del Vangelo, mai smarrita, e gli errori che su questa si sono innestati.

Applicando quanto detto alla canonizzazione dei santi, possiamo riprendere l’esempio fatto in apertura.

Rimane autentica la testimonianza di vita evangelica di Antonia Mesina, ma le motivazioni apportate alla sua canonizzazione hanno fatto il loro tempo, perché espresse in un contesto sessuofo e sessista, che vedeva nel sesso una colpa tale da preferire la morte a uno stupro e, soprattutto, vedeva nell’essere stuprata una qualche forma di colpa da parte della vittima. Purificato da questi elementi, provvisori e non evangelici, appare evidente l’esempio di vita evangelica di una ragazza che ha vissuto per amore di Dio e dei fratelli, e che ha difeso la propria dignità personale fino alla morte. Allora la Chiesa è infallibile non solo nel riconoscere la testimonianza di vita evangelica di uno dei suoi membri, ma anche nel contemplarla continuamente in modo rinnovato, per poter distinguere ciò che è provvisorio da ciò che è opera dello Spirito che dà vita.

 

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Vittorio Trancanelli è stato dichiarato Venerabile da papa Francesco https://www.lavoce.it/vittorio-trancanelli-e-stato-dichiarato-venerabile-da-papa-francesco/ Mon, 27 Feb 2017 16:09:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48705 Vittorio Trancanelli con la moglie Lia Sabatini
Vittorio Trancanelli con la moglie Lia Sabatini

«E’ con immensa gioia che nella tarda mattinata di oggi (27 febbraio, n.d.r.) ho ricevuto la notizia ufficiale dell’autorizzazione del Santo Padre Francesco alla Promulgazione del Decreto riguardante le virtù eroiche del Servo di Dio Vittorio Trancanelli, da parte della Congregazione delle Cause dei Santi nella persona del cardinale Angelo Amato, Prefetto della stessa. Come Pastore di questa Archidiocesi ero in attesa dell’ufficializzazione della notizia, seguente il parere affermativo della Plenaria dei Cardinali e dei vescovi tenutasi presso la Congregazione delle Cause dei Santi lo scorso 21 febbraio. Da oggi il Servo di Dio Vittorio Trancanelli assurge agli altari con l’appellativo di Venerabile. A memoria storico-archivistica, la nostra Archidiocesi non ha avuto altri candidati».

Così il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti nel dare quest’annuncio a tutta la comunità diocesana, mettendo in risalto che Vittorio Trancanelli (1944-1998) da laico, padre di famiglia e medico chirurgo «ha testimoniato la sua fede in Cristo in sala operatoria e nel sociale accogliendo in casa i più piccoli, spesso malati e in gravi difficoltà».

«La celerità che Dio ha permesso al fine di giungere alla venerabilità – prosegue il cardinale Bassetti –, è passata per la volontà del Santo Padre Francesco il quale, a seguito dei due Sinodi sulla Famiglia, ha chiesto espressamente alla Congregazione delle Cause dei Santi di esaminare in via preferenziale cause riguardanti Servi o Serve di Dio laici, padri/madri di famiglia che avessero brillato particolarmente nelle virtù cristiane e questo è il caso del “nostro Vittorio”».

(Clicca qui per vedere tutti gli articoli su Vittorio e Lia Trancanelli)

«Sarà mia cura – conclude il porporato –, dare lettura ufficiale del Decreto della Congregazione delle Cause dei Santi durante l’Eucaristia di ringraziamento al Signore che verrà celebrata domenica 26 marzo (ore 18) in cattedrale, per questa grande Grazia concessa a tutta l’Archidiocesi perugino-pievese».

Da questo momento, comunica la Curia perugina, sarà attentamente vagliata da parte della Postulazione della Causa, nella persona del dott. Enrico Graziano Giovanni Solinas, ogni grazia che possa avere i connotati del miracolo, onde poi poter pervenire, una volta accertato, alla beatificazione del Venerabile Trancanelli.

Su questo «testimone di santità» nella professione e nella vita quotidiana, la Chiesa diocesana ha avviato, nel 2006, la causa di canonizzazione, che sta procedendo celermente, e il cardinale Bassetti lo ha menzionato lo scorso 29 gennaio, in una gremita cattedrale di San Lorenzo, in occasione della solennità del santo patrono della città e dell’Archidiocesi. «La memoria di san Costanzo e dei tanti testimoni della nostra Chiesa, non da ultimo il Servo di Dio Vittorio Trancanelli, che tra breve sarà proclamato dal Santo Padre Venerabile – ha sottolineato il porporato –, è per la nostra Chiesa un grande dono ed una grazia che ci carica tutti di responsabilità».

In non poche occasioni locali e nazionali dedicate a riflessioni-testimonianze su figure di santità del nostro tempo viene menzionata quella di Vittorio Trancanelli. A parlarne è anche la moglie, Rosalia Sabatini, ripercorrendo la storia del marito, ammalatosi gravemente nel 1976 un mese prima della nascita di Diego, il loro unico figlio naturale (Leggi l’intervista a Diego il giorno della conclusione della fase diocesana della causa di beatificazione).

Malattia e lavoro non impedirono ai coniugi Trancanelli di accogliere nella loro casa come figli altri sette ragazzi, alcuni dei quali disabili. Nel 1998 Vittorio si ammalò nuovamente e dopo tre mesi morì, il 24 giugno. «Poco prima della morte – racconta la signora Rosalia – Vittorio volle tutti i figli attorno a sé dicendo: “Per questo motivo valeva la pena di vivere, non per diventare qualcuno, fare carriera e soldi”».

L’esperienza di Vittorio e Rosalia Trancanelli portò alla nascita dell’associazione “Alle Querce di Mamre” (tutt’ora operativa), una delle opere segno diocesane di carità, con sede a Cenerente di Perugia. Per conoscere e approfondire la figura del Venerabile Vittorio Trancanelli è stato realizzato anche un sito Internet: www.vittoriotrancanelli.it e pubblicati due volumi. Il primo, a cura di mons. Elio Bromuri, dal titolo: Vittorio Trancanelli “un santo laico testimone di Cristo in sala operatoria e nella vita” (Edizioni La Voce, 2005, 2007, 2017), contiene diverse testimonianze di persone che conobbero il Venerabile. Il secondo volume, a cura del postulatore Enrico Graziano Giovanni Solinas, dal titolo: Servo di Dio Vittorio Trancanelli “L’amore di Dio in sala operatoria e nella vita” (Editore Velar LDC, 2013), contiene la biografia dettata dalla moglie del Venerabile al postulatore.

 

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La Parola della domenica. L’amore non muore mai https://www.lavoce.it/la-parola-della-domenica-lamore-non-muore-mai/ Thu, 03 Nov 2016 17:34:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=47848 MESSALE metti piccola in commento al vangeloLa liturgia di questa domenica ci parla della vita dopo la morte. Del resto l’anno liturgico volge al termine, e la Chiesa ci richiama a porre l’attenzione sulle verità ultime. La splendida testimonianza che ci offrono i fratelli Maccabei nella prima lettura è l’anticipazione della nostra idea di risurrezione dai morti. Il Vangelo si apre con la figura dei sadducei, rappresentanti del gruppo religioso e politico della casta sacerdotale; negavano la vita eterna e limitavano la Bibbia ai primi cinque libri di Mosè, la Torah.

Per mettere in ridicolo i farisei, loro avversari, chiedono a Gesù di pronunciarsi sulla risurrezione, evidenziandone l’incompatibilità con la legge mosaica e le contraddizioni che sgorgano da tale fede. Per questo si appellano alla legge del levirato (da levir, che significa cognato), per cui bisogna che il parente prossimo sposi la donna rimasta vedova se è senza figli, in modo da assicurare una discendenza al defunto (cfr. Dt 25,5). La legge del levirato prevede solo la discendenza come possibilità di sopravvivenza oltre la morte. Gesù ribalta le evidenze dei sadducei. In risposta alla domanda a trabocchetto dei sadducei sulla sorte della donna che ha avuto in terra sette mariti, Gesù riafferma anzitutto il fatto della risurrezione, correggendo nello stesso tempo la rappresentazione materialistica e caricaturale che ne fanno i sadducei. La beatitudine eterna non è semplicemente un potenziamento e prolungamento delle gioie terrene, con piaceri della carne e della tavola a sazietà. L’altra vita è davvero un’altra vita, una vita di qualità diversa. È, sì, il compimento di tutte le attese che l’uomo ha in terra, e anzi infinitamente di più, ma su un piano diverso. “Quelli che sono giudicati degni dell’altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli”.

Nella parte finale del Vangelo, Gesù spiega il motivo perché ci deve essere vita dopo la morte: Dio è “Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui”. Dove sta in ciò la prova che i morti risorgono? Se Egli stesso si definisce “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” ed è un Dio dei vivi, non dei morti, allora vuol dire che Abramo, Isacco e Giacobbe vivono da qualche parte, anche se, al momento in cui Dio parla a Mosè, sono già morti da secoli.

Interpretando in modo errato la risposta che Gesú dà ai sadducei, alcuni hanno sostenuto che il matrimonio non ha alcun seguito in cielo. Ma con quella frase Gesù rigetta l’idea caricaturale che i sadducei presentano dell’aldilà, come fosse un semplice proseguimento dei rapporti terreni tra coniugi; non esclude che essi possano ritrovare, in Dio, il vincolo li ha uniti sulla terra. “È possibile che due sposi, dopo una vita che li ha associati a Dio nel miracolo della creazione, nella vita eterna non abbiamo più niente in comune, come se tutto fosse dimenticato, perduto? Non sarebbe questo in contrasto con la parola di Cristo, che non si deve dividere ciò che Dio ha unito? Se Dio li ha uniti sulla terra, come potrebbe dividerli in cielo? Può tutta una vita insieme finire nel nulla senza che si smentisca il senso stesso della vita di quaggiù, che è di preparare l’avvento del Regno, i cieli nuovi e la terra nuova?” (padre Raniero Cantalamessa).

È la Scrittura stessa, non solo il naturale desiderio degli sposi, ad appoggiare questa speranza. Il matrimonio, dice la Scrittura, è “un grande sacramento” perché simboleggia l’unione tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,32). Possibile dunque che sia cancellato proprio nella Gerusalemme celeste, dove si celebra l’eterno banchetto nuziale tra Cristo e la Chiesa, di cui esso è immagine? Secondo questa visione, il matrimonio non finisce del tutto con la morte, ma viene trasfigurato, spiritualizzato, sottratto a tutti quei limiti che segnano la vita sulla terra, come, del resto, non sono dimenticati i vincoli esistenti tra genitori e figli o tra amici.

Nel prefazio della Messa dei defunti la liturgia dice che con la morte vita mutatur, non tollitur (la vita è mutata, non è tolta); lo stesso si deve dire del matrimonio che è parte integrante della vita.

Ma cosa dire a quelli che hanno avuto un’esperienza negativa, di incomprensione e di sofferenza, nel matrimonio terreno? Non sarebbe motivo di spavento, anziché di consolazione, l’idea che il legame non si rompa neppure con la morte? No, perché nel passaggio dal tempo all’eternità il bene resta, il male cade. L’amore che li ha uniti, fosse pure per breve tempo, rimane; i difetti, le incomprensioni, le sofferenze che si sono inflitte reciprocamente cadono. Moltissimi coniugi sperimenteranno solo quando saranno riuniti “in Dio” l’amore vero tra di loro e, con esso, la gioia e la pienezza dell’unione che non hanno goduto in terra. È anche la conclusione di Goethe sull’amore tra Faust e Margherita: “Solo in cielo l’irraggiungibile [cioè l’unione piena e pacifica tra due creature che si amano] diventerà realtà”. In Dio tutto si capirà, tutto si scuserà, tutto ci si perdonerà.

E che dire di quelli che sono stati legittimamente sposati a diverse persone, come i vedovi e le vedove risposati? (Fu il caso presentato a Gesù dei sette fratelli che avevano avuto, successivamente, in moglie la stessa donna). Anche per loro dobbiamo ripetere la stessa cosa: quello che c’è stato di amore e donazione veri con ognuno dei mariti o delle mogli avuti, essendo obiettivamente un “bene” e venendo da Dio, non sarà annullato. Lassù non ci sarà più rivalità in amore o gelosia. Queste cose non appartengono all’amore vero, ma al limite intrinseco della creatura.

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Daniela e Massimo commentano la Parola della Domenica https://www.lavoce.it/feriti-dalla-parola-di-dio/ Thu, 11 Feb 2016 17:15:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45354 FamigliaOK_CMYKUna nuova famiglia ci accompagna nella lettura della Parola domenicale in questo tempo di Quaresima. Nel ringraziare i coniugi Giovannini-Tomassoni che hanno curato la rubrica nelle settimane passate, andiamo a conoscere Daniela Saetta e Massimo Roscini.
“Siamo sposati da quasi trent’anni – si presentano. – Le nostre strade si sono incrociate quando, dopo la prima giovinezza vissuta da entrambi nell’assoluta assenza di Dio e nella ricerca della felicità attraverso una serie di esperienze che non hanno portato gioia ma solo ferite, abbiamo avuto la grazia di un incontro personale con Dio e di essere conquistati dal Suo amore. Avevamo rispettivamente 17 anni (Daniela) e 20 anni (Massimo)”.

“Sempre per grazia – proseguono -, la nostra esperienza di Cristo si è in breve radicata attraverso la Chiesa, grazie anche all’esempio e all’aiuto di fratelli della comunità Magnificat di Perugia, di cui siamo membri, dei Pastori della diocesi e di alcuni sacerdoti”. E l’inizio dell’avventura di coppia? “All’età rispettivamente di 21 e 22 anni ci siamo innamorati l’uno dell’altra, ci siamo fidanzati, e pochi anni dopo ci siamo sposati. La nostra è una famiglia come tante, certamente non migliore di altre, anzi spesso segnata da incomprensioni interne e in cui non sono mai mancate difficoltà. Eppure, come è vero che i problemi ci sono sempre stati, è altrettanto vero che nella nostra relazione di coppia e nella nostra famiglia la presenza di Dio non è mai venuta meno e che il Suo amore misericordioso ci ha sempre sostenuto, a volte rialzato, spesso incoraggiato”.

Com’è la vostra vita familiare oggi? “Abbiamo tre figli ormai grandi – rispondono -, con i quali ci vedete in questa foto di circa quattro anni fa, perché oggi due di essi hanno preso la loro strada. Gloria, la più grande, è novizia in un monastero di Clarisse, e Stefano si è sposato con Letizia e presto ci darà la gioia di diventare nonni. Francesca, invece, la simpatica di casa, ha 20 anni, frequenta l’Università e vive con noi. Assieme alle semplici riflessioni che faremo in queste settimane, vogliamo portare la testimonianza della bellezza della Parola di Dio che ha ferito e sempre continua a ferire il nostro cuore”.

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Bassetti: “Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future” https://www.lavoce.it/bassetti-come-fece-costanzo-nella-sua-epoca-cosi-oggi-tocca-noi-vivere-la-fede-e-trasmetterla-alle-generazioni-future/ Thu, 28 Jan 2016 19:25:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45252 Luminaria-san-Costanzo2016-Belfiore31 Al suono delle chiarine e dei tamburi dei figuranti in costume medievale di Assisi, Città della Pieve e Montefalco e con l’accensione delle torce nel fuoco davanti al Palazzo comunale dei Priori in Perugia, proprio come sette secoli fa, è iniziata la tradizionale e suggestiva processione della “Luminaria” della vigilia della solennità del santo patrono Costanzo, vescovo e martire. Una processione occasione di incontro tra rappresentanti delle Istituzioni civili e religiose per onorare il patrono Costanzo, fondatore della Chiesa perugina martirizzato intorno all’anno 175 d.C. per difendere l’idea di una società fondata sulla centralità dell’uomo. Un folto popolo di fedeli ha accompagnato il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti e il sindaco Andrea Romizi per le vie e le piazze principali della città fino alla basilica in cui sono custodite le reliquie del santo.

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In questo luogo di culto tanto caro ai perugini, il cardinale ha presieduto i Primi Vespri solenni, animati dalla Corale della Polizia municipale, ed è stato rinnovato l’“Omaggio votivo del cero e dei doni al santo patrono” da parte delle autorità civili e religiose. A mettere in risalto la concordia tra comunità civile e religiosa, che si rinnova nel nome di Costanzo, è stato lo stesso cardinale Bassetti nell’omelia. «Nel ricordo del patrono, la comunità civile e quella religiosa si ritrovano insieme per onorare un fedele servitore della causa del Vangelo e per ciò stesso della causa dell’uomo – ha esordito il porporato –. Ogni cristiano, in particolar modo se si tratta di un pastore, non potrà mai scindere la difesa della causa di Dio dalla difesa della causa della persona umana. Il progresso sociale ci ha fatto capire bene che non si devono mai confondere il piano civile e quello religioso, ma questo non vuole dire che essi, nella concordia e nella sincerità, non possano ricordare i valori, anche religiosi, che tengono unità una comunità, e possano collaborare per il bene comune dell’intera città».

«Per la comunità cristiana però è un momento non solo celebrativo ma anche di seria riflessione – ha commentato il cardinale –. Tutti siamo chiamati, nel giorno del patrono, ad interrogarci sulla vita di fede, personale e comunitaria. Nonostante la pervasiva secolarizzazione, grazie a Dio, non mancano nelle nostre comunità – che sto incontrando con un’intensa visita pastorale – segni, anche commoventi, di fede sincera e profondamente vissuta, sia negli anziani che nei giovani. Fede che è fonte di testimonianza concreta e di opere di carità. Ma questo non può lasciarci tranquilli di fronte al dilagare della mentalità relativista e dell’indifferenza. Come fece Costanzo nella sua epoca, così oggi tocca noi, vivere la fede e trasmetterla alle generazioni future».

«Ha osservato il Santo Padre Francesco, in una recente catechesi – ha ricordato il presule –, che “come di generazione in generazione si trasmette la vita”, così “di generazione in generazione, attraverso la rinascita dal fonte battesimale, si trasmette la grazia, e con questa grazia il Popolo cristiano cammina nel tempo”. Inviati da Gesù, i discepoli sono andati a battezzare in ogni parte del mondo; così ha fatto il primo vescovo Costanzo nella nostra terra, e da quel tempo a oggi c’è una catena nella trasmissione della fede mediante il Battesimo. E ognuno di noi è un anello di questa catena. Così, ha osservato poi papa Francesco, il popolo cristiano è “come un fiume che irriga la terra e diffonde nel mondo la benedizione di Dio”. Ecco perché è importante “trasmettere la nostra fede ai figli, trasmettere la fede ai bambini, perché essi, una volta adulti, possano trasmetterla ai loro figli”. Per il Santo Padre in questa ‘catena di trasmissione’ sta anche il senso dell’essere ‘comunità’, dell’essere Chiesa, perché nessuno si salva da solo. “Siamo comunità di credenti, siamo Popolo di Dio e in questa comunità sperimentiamo la bellezza di condividere l’esperienza di un amore che ci precede tutti, ma che nello stesso tempo ci chiede di essere ‘canali’ della grazia gli uni per gli altri, malgrado i nostri limiti e i nostri peccati. La dimensione comunitaria non è solo una ‘cornice’, un ‘contorno’, ma è parte integrante della vita cristiana, della testimonianza e dell’evangelizzazione”».

«È a Costanzo quindi, testimone di Cristo che confermò con il suo sangue l’annunzio del Vangelo – ha concluso il cardinale Bassetti –, che chiediamo stasera di ravvivare la nostra fede. Lui che fu pietra viva e preziosa, | scolpita dallo Spirito | con la croce e il martirio | per la città dei santi. Sia questo anno che si è aperto dinanzi a noi come tempo del Giubileo della misericordia un’occasione propizia per riconoscere i nostri limiti, personali e comunitari, e divenire così strumenti della misericordia del Signore per tutti gli uomini».

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Dalle stelle… alle missioni https://www.lavoce.it/dalle-stelle-alle-missioni/ Thu, 05 Nov 2015 11:49:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44202 Nadia Sannipoli con i vescovi Ceccobelli e Bottaccioli
Nadia Sannipoli con i vescovi Ceccobelli e Bottaccioli

Tra le missioni che si prefigge di aiutare “Pezzi di stelle” con il ricavato della mostra “ExpoArt 2015” allestita fino al 22 novembre alla Galleria della Porta di corso Garibaldi, c’è anche quella di Antsirabe (Madagascar) dove vive e opera suor Nadia Sannipoli delle Piccole Sorelle del Vangelo. Torna utile una sua testimonianza appena resa nota su Camminiamo, il foglio di collegamento della diocesi eugubina. “Siamo in un quartiere povero, in mezzo alla gente. Qui a Antsirabe – scrive la religiosa eugubina – siamo molto impegnate nella prigione centrale, cercando di aiutare i prigionieri a ritrovare la loro dignità e a preparare il loro reinserimento nella società. Nella prigione le condizioni di vita sono molto difficili: il cibo è insufficiente, lo spazio limitato, le condizioni d’igiene poche, la possibilità di comunicare all’esterno minima, ecc. Noi abbiamo creato una cooperativa di ricamo: abbiamo cominciato con le donne, ma poi anche gli uomini hanno chiesto di lavorare e ora sono circa 180 quelli che ricamano. I detenuti sono contenti di poter aiutare la famiglia in momenti duri come la malattia o la morte, al momento della semina del riso o quando la scuola incomincia per i figli. Sono ancora più fieri quando, alla loro uscita di prigione, possono avere un piccolo gruzzoletto per incominciare una vita nuova: per questo scopo siamo noi che custodiamo i loro preziosi risparmi! Anche le donne che ricamano sono numerose. Con quello che guadagnano possono comperare ciò di cui hanno bisogno: del sapone, degli abiti usati, del cibo… Da ottobre ho cominciato a frequentare il luogo dove si trovano i bambini che hanno commesso qualche piccolo reato. Tutti i mercoledì vado per fare un po’ di dopo-scuola a quelli che, avendo avuto il permesso del Tribunale, frequentano la scuola (purtroppo sono solo 4) e l’alfabetizzazione per tutti gli altri. Questi ultimi sono molto contenti di riprendere una penna in mano e di avere un quaderno. Tutti vengono da famiglie molto povere… Nella vita di ogni giorno le sollecitazioni non mancano e la nostra fraternità sembra un porto di mare… dei poveri, delle persone malate, degli ex-prigionieri, tante persone che domandano di essere aiutate… Per tutte queste ragioni il vostro aiuto è prezioso e vi ringrazio in modo particolare a nome dei bambini della prigione: non hanno abbastanza cibo e ogni mese portiamo 50 kg di riso. Hanno bisogno di abiti e materiale vario per la vita di ogni giorno… e in più li prendiamo in carico per i loro problemi di salute”.

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Bassetti: “Davanti a Gesù eucarestia, ci rendiamo conto dei tanti problemi e drammi dei nostri giorni” https://www.lavoce.it/bassetti-davanti-a-gesu-eucarestia-ci-rendiamo-conto-dei-tanti-problemi-e-drammi-dei-nostri-giorni/ Sun, 07 Jun 2015 13:02:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34777 Corpus Domini2015“Voglio ringraziare anche voi, che avete partecipato numerosi come non avevo visto finora, e voglio ringraziare in particolare i bambini della prima comunione che hanno fatto con noi tutta la processione con raccoglimento e partecipazione”. Sono le parole con cui il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha salutato i fedeli giunti nella grande Basilica di San Domenico nella quale si è conclusa la solenne processione del Corpus Domini. Il Cardinale aveva prima ringraziato il Signore per “essere stato veramente presente in mezzo a noi” e aver “attraversato con noi le strade della nostra città”.

Il lungo corteo, aperto da una Croce seguita dai membri delle confraternite, di associazioni laicali, degli ordini cavallereschi e ordini religiosi, dai bambini delle prima comunione, dai sacerdoti e quindi dal Cardinale e dal popolo dei fedeli, ha percorso corso Vannucci, piazza Italia, viale Indipendenza ed è stato accolto in Borgo XX Giugno dalla scalinata di Sant’Ercolano addobbata con fiori, dagli stendardi rossi appesi alle finestre e poi dalle infiorate stese in omaggio all’Eucarestia portata, e mostrata a tutto il popolo, per tutto il tragitto, dal Cardinale. Come da tradizione due le soste per una particolare preghiera e benedizione, quella davanti al palazzo comunale ove ad attendere la processione c’era il vice sindaco Urbano Barelli e quella in piazza Italia davanti al palazzo della Provincia.

Nell’unico giorno dell’anno in cui il Santissimo Sacramento viene solennemente offerto all’adorazione dei fedeli portandolo per le strade della città, l’omelia del Cardinale ha sottolineato la dimensione pubblica della fede fondata su una autentica “vita eucaristica”.

“Miei cari fratelli possiamo davvero dire che l’eucarestia riempie le nostre domeniche, riempie la nostra vita?. L’Eucarestia – ha detto Bassetti – non può essere soltanto la professione della nostra fede, ma anche testimonianza concreta del nostro amore, della nostra vita, del nostro impegno”. Dopo aver invitato i fedeli a “ritornare ad adorare l’Eucarestia” , il “sacramento d’amore lasciatoci da Gesù, ha sottolineato come, “mettendoci davanti a Gesù eucarestia, ci rendiamo conto dei tanti problemi e drammi che attanagliano la vita di tante persone e di tante nostre famiglie”. “Le famiglie sono il pilastro della società, non l’economia – ha aggiunto – ma le relazioni sociali degli affetti” sono il fondamento del tessuto della società. Ricordando anche “il dramma della gioventù depredata nei suoi valori” il Cardinale ha invitato a guardare all’Eucarestia nella quale “è offerta a tutti la possibilità di dare al proprio calvario quotidiano di sofferenza, di incomprensione, di malattia, di morte, la dimensione di una offerta redentrice che associa il dolore dei singoli alla passione di Cristo e si apre sul mistero pasquale della Risurrezione!”.

“Da una vita eucaristica intensa e consapevole deriva – ha concluso il cardinale – una testimonianza convinta, calda e trasparente!”.

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La tragica scomparsa di Elisa Lardani dopo le complicazioni del parto https://www.lavoce.it/la-tragica-scomparsa-di-elisa-lardani-dopo-le-complicazioni-del-parto/ Fri, 06 Mar 2015 19:26:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30793 Elisa Lardani
Elisa Lardani

La notizia delle gravi condizioni in cui versava Elisa Lardani dopo aver dato alla luce la sua quartogenita, e poi quella della sua morte, hanno raggiunto velocemente la nostra comunità diocesana, che da subito si è raccolta in preghiera, affidando a Dio la giovane donna e tutta la sua famiglia.

Elisa, 38 anni, è deceduta nel primo pomeriggio di sabato 28 febbraio al “Santa Maria della Stella” di Orvieto. Un evento del tutto improvviso e imprevedibile – come riferito dalla Direzione sanitaria dell’ospedale – a causa della coagulazione del sangue è comparso, con gravissime emorragie, in sala travaglio immediatamente prima del parto. Poi il tempestivo intervento dell’équipe sanitaria per far nascere in tempi rapidissimi la bambina (ricoverata in Terapia intensiva neonatale a Perugia; le sue condizioni sembrano migliorare). Successivi interventi presi d’urgenza da più specialisti hanno consentito nell’immediato il mantenimento in vita della donna.

A nulla sono valse, invece, tutte le ulteriori cure presso il reparto di Rianimazione che miravano al conseguimento di un grado di stabilizzazione dei parametri vitali tale da poter rendere ipotizzabile un tra- sferimento, con mezzo idoneo, in una struttura ospedaliera di alta specialità in grado di effettuare il trattamento di plasmaferesi, ultima opzione terapeutica da mettere in campo, anche se – riferiscono sempre i medici – con scarse possibilità di successo vista la tipologia e l’entità della patologia in atto. Elisa non ce l’ha fatta: le condizioni sono precipitate rapidamente, fino al fatale arresto cardiaco.

Sposa di Luca Marchi , infermiere che era con lei in sala parto, Elisa lascia in chiunque l’abbia conosciuta – come attestato da innumerevoli testimonianze – il ricordo del suo splendido sorriso e il profumo di una vita vissuta appieno e donata con profondo amore e generosità in ogni ambito, da quello familiare a quello lavorativo (brillante psicologa, sempre pronta con umiltà e discrezione a sostenere i più sofferenti e disagiati) ed ecclesiale (con il marito Luca, nella Comunità Maria di Orvieto, nell’associazione Servi familiae del progetto Mistero grande e nella Pastorale familiare diocesana).

Lunedì scorso, nel duomo di Orvieto gremito di fedeli, si è svolta la celebrazione delle esequie. Poi hanno parlato una religiosa, un sacerdote, il fratello e il marito. “Da quando è accaduto – ha detto Luca– mi ripeto: ‘A testa alta, fino in fondo’… Portando la bara di Elisa ho capito perché a testa alta, fino in fondo. Perché a testa alta ho visto Lui. È la mia forza, il mio coraggio… Siamo nati e non moriremo mai più. Noi abbiamo scelto di guardare in faccia la vita e scommetterci, senza paura. Abbiamo scelto di amare fino in fondo”.

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Un motivo per essere contenti https://www.lavoce.it/un-motivo-per-essere-contenti/ Fri, 06 Feb 2015 13:41:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30211 Rimbalzata con grande evidenza nei giorni scorsi, ha scosso le coscienze in tutto il mondo la terribile notizia del pilota giordano catturato dai terroristi dello Stato islamico (Is), Mual Kasasbeah, che il 31 gennaio è stato arso vivo, chiuso in una gabbia di ferro, secondo quanto documentato da un video degli stessi carnefici. A questo giovane non è bastato portarsi dietro il Corano. Questi fanatici, velleitari assertori del Califfato vogliono dimostrare di essere i più feroci, e quindi i migliori, un modello per i “veri” musulmani, ferventi difensori della vera fede. Si pongono al di sopra del bene e del male: capaci di tutto, dispregiatori di ogni regola internazionale, nemici dell’Occidente e dei suoi alleati.

Questa non è una notizia come le altre; si aggiunge al taglio delle teste, alle crocifissioni, a forme di esibizionismo retorico della crudeltà. È la negazione del valore umano della vittima, e segna la perdita di umanità del carnefice: la vera blasfemia, un sacrilegio. Allargando la scena, troviamo impiccagioni, fucilazioni, esecuzioni di massa.

Il nostro è diventato un pianeta insanguinato, e ora anche avvolto da fiamme minacciose. La guerra mondiale “a capitoli sparsi” di cui ha parlato Papa Francesco? Egli ha ricordato con drammatica intensità anche la tragedia che si sta consumando in Ucraina, tra filo-russi (con l’appoggio di Putin) e indipendentisti, che ha prodotto già migliaia di vittime. Il Papa ha detto in tono meravigliato e triste: “Una guerra tra cristiani!”, invitando tutti a cercare accordi per una convivenza pacifica.

In questo scenario, e con queste deprimenti notizie che ci perseguitano a ogni accensione della tv, è avvenuta l’elezione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Meno male, una buona notizia; una scena pacifica, serena, costruttiva, un capolavoro di serietà, di efficienza ed efficacia. Gli italiani, in grande maggioranza, si sono sentiti uniti e rispecchiati, possono stare contenti: non c’è guerra. Ma c’è stata. Mattarella ha ricordato le Fosse Ardeatine e il piccolo Stefano: “Voglio ricordare – ha detto – un solo nome, Stefano Taché, rimasto ucciso nel vile attacco terroristico alla sinagoga di Roma nell’ottobre del 1982. Aveva solo due anni. Era un nostro bambino. Un bambino italiano”. Oltre a questi due ricordi non ha mancato di elencare problemi, difficoltà, pericoli, corruzione, chiamando le cose per nome e indicando vie di speranza. Ha parlato ai concittadini come se avesse davanti i loro volti, destando in molti convinzione ed emozione: “Dopo questo discorso mi sento più italiana” mi ha confidato un’amica.

Lontani da questo sentimento si notano solo i seguaci della Lega e alcune frange del mondo cattolico tradizionalista che bollano come “catto-comunisti” anche i migliori tra i cattolici impegnati in politica, accusati di porre la Costituzione al di sopra del Vangelo. I Vescovi italiani e i nostri Vescovi umbri hanno manifestato la loro soddisfazione, motivata con convinta determinazione, come risulta dal messaggio del card. Gualtiero Bassetti, presidente della Ceu (vedi il suo intervento sopra).

Cosa hanno apprezzato i Vescovi e cosa apprezziamo noi? Molto è stato detto: la persona di Mattarella, la sua storia familiare, la sua formazione cattolica, la sua idea politica. Padre Spadaro, direttore della Civiltà cattolica, in un’intervista al Corriere della Sera (2 febbraio) ha ritenuto di trovare somiglianze di Mattarella con Papa Francesco, nello stile, nell’attenzione ai poveri, nel richiamo al “discernimento” prima di prendere decisioni, e in una fede convinta e praticata, ma non “muscolare”, non ideologica da imporre, ma da testimoniare. Forse si sta esagerando? Aspettiamo e stiamo a vedere. Intanto, siamo contenti.

Elio Bromuri

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Bassetti: “Mattarella mi fa pensare a La Pira” https://www.lavoce.it/bassetti-mattarella-mi-fa-pensare-a-la-pira/ https://www.lavoce.it/bassetti-mattarella-mi-fa-pensare-a-la-pira/#comments Fri, 06 Feb 2015 13:33:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30203 MattarellaMi associo a tutti coloro che hanno voluto esprimere un sincero augurio al nuovo Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In questo momento risuonano nella mia mente le parole di Giorgio La Pira, quando scriveva che la politica è sempre “un impegno di umanità e di santità”. Un impegno, cioè, che deve poter “convogliare verso di sé gli sforzi di una vita tutta tessuta di preghiera, di meditazione, di prudenza, di fortezza, di giustizia e di carità”.

A me sembra, in altre parole, che per l’Italia – e forse non solo per essa, ma anche per l’intera Europa – questo debba essere il tempo della responsabilità e delle opere. Il tempo in cui tutti gli uomini e le donne di buona volontà diano il loro contributo per il bene del Paese, e dove la classe dirigente sappia fornire risposte concrete alle domande di aiuto che sorgono dalla società. Penso, in particolare, a tutte quelle donne e a quegli uomini che stanno perdendo ogni speranza nel futuro.

Sono convinto che per la sua esperienza istituzionale, per la sua fede cristiana testimoniata con sobrietà e per la sua dolorosa esperienza personale, il presidente Mattarella saprà farsi carico con sapienza di queste attese e di queste speranze. Il primo presidente della Repubblica italiana, Luigi Einaudi, il 1° marzo 1954, pochi mesi prima del fallimento della Comunità europea di difesa, scriveva che “nella vita delle nazioni, di solito, l’errore di non saper cogliere l’attimo fuggente è irreparabile”.

Non sprechiamo questa grande occasione per il Paese! Torniamo a dare fiducia alle persone, alle istituzioni civili e religiose, alle imprese, alle associazioni, e soprattutto ai giovani! L’Italia è un Paese ricco di energie e di talenti. Valorizziamo questi talenti e costruiamo su di essi un’umanità nuova.

A nome dei Vescovi dell’Umbria, mentre gli assicuro il nostro particolare ricordo nella preghiera, formulo al Presidente della Repubblica l’augurio che l’alto ufficio che ora intraprende sia ricco di frutti per il vero bene del nostro amato Paese.

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ORATORI. Incontri di formazione per animatori https://www.lavoce.it/oratori-incontri-di-formazione-per-animatori/ Fri, 30 Jan 2015 15:09:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30100 animatori_oratorioSi è svolta lunedì 26 gennaio presso il centro Mater Gratiae la formazione per gli animatori d’oratorio organizzata dal Coordinamento oratori della diocesi di Perugia – Città della Pieve.

Negli ultimi anni, la formazione per gli animatori si configura come un appuntamento fondamentale nel percorso di crescita di quei ragazzi che scelgono di spendere il proprio tempo offrendo il loro servizio nell’animazione in oratorio.

La partecipazione a questo primo incontro ha superato ogni più rosea aspettativa, con la presenza di 250 ragazzi provenienti da tutto il territorio diocesano: dalle parrocchie caratterizzate da una forte tradizionale oratoriale alle parrocchie in cui l’oratorio è agli albori, ma dove gli animatori sono mossi da un forte entusiasmo.

L’incontro, promosso dall’ufficio diocesano di Pastorale giovanile e organizzato dal Coordinamento oratori diocesano in collaborazione con il comitato zonale Anspi di Perugia e l’Ufficio catechistico diocesano, prevedeva due tematiche centrali, strutturate per gli animatori “junior” (ovvero alla prime esperienze di animazione in oratorio) e per gli animatori “senior” (ovvero animatori ed educatori più esperti): “Stile e identità dell’animatore. Identikit dell’animatore” e “La comunicazione come strumento efficiente ed efficace in oratorio”.

L’inizio dei lavori è stato affidato a don Riccardo Pascolini, direttore della Pastorale giovanile, che ha voluto sottolineare la bellezza del vivere l’oratorio come esperienza sempre in moto, come vocazione al servizio che si tramanda di generazione in generazione, testimoniato dalla presenza di numerosi giovani animatori alla loro prima esperienza di formazione.

L’incontro, iniziato alle ore 18, si è concluso verso le 22, rinnovando l’appuntamento per il secondo incontro formativo che si terrà lunedì 2 febbraio sempre presso il centro Mater Gratiae. I temi scelti per questo appuntamento saranno la relazione educativa per gli animatori “junior” e gli stili comunicativi e le osservazioni costruttive per gli animatori “senior”.

 

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Dalla testimonianza di Mouaffak Dougmann, esule siriano un invito alla pace https://www.lavoce.it/dalla-testimonianza-di-mouaffak-dougmann-esule-siriano-un-invito-alla-pace/ Fri, 09 Jan 2015 17:39:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29703 incontro-bromuri-bassetti-cmykL’impegno per la pace è per tutti. Al Centro ecumenico San Martino di Perugia il pomeriggio del primo gennaio un nutrito gruppo di persone ha partecipato all’incontro di riflessione sul messaggio di Papa Francesco per la Giornata mondiale della pace. Imprevisto e gradito ospite l’arcivescovo cardinale Gualtiero Bassetti che si è trattenuto ad ascoltare la presentazione del messaggio, fatta dal direttore de La Voce mons. Elio Bromuri e la testimonianza dell’esule siriano l’architetto Mouaffak Dougmann. Aprendo l’incontro promosso da diverse associazioni cattoliche in collaborazione con l’Ufficio per la Pastorale sociale e il lavoro, la giustizia e la pace, il direttore dell’Ufficio mons. Fausto Sciurpa ha richiamato l’esigenza di riappropriarsi delle parole che costruiscono la pace (da incontro a dialogo) e ritrovare “in Dio la radice che ci fa fratelli e non utilizzare Dio per essere contro i fratelli”.

Ripercorrendo il testo del messaggio di Papa Francesco mons. Bromuri ha sottolineato l’esigenza di un impegno comune per sconfiggere la schiavitù (tema del Messaggio) per in quale il Messaggio offre indicazioni concrete, a cominciare dall’invito a “sconfiggere l’indifferenza”.

L’ospite siriano, l’architetto Mouaffak Dougmann, professore universitario nella Facoltà di Architettura di Damasco che è stato sindaco della stessa città, ha portato la sua testimonianza di cittadino siriano costretto a rifugiarsi in Marocco con sua moglie e la loro bimba di nove anni di nome Naya in seguito alla guerra. Ha parlato da credente musulmano che ha vissuto in un Paese che ha una storia di civiltà antichissima e in cui hanno convissuto “più di 18 credenze religiose” e nel quale oggi ci sono 3 milioni di bambini che hanno perso casa e identità”. “Sono orgoglioso – ha detto – di aver lavorato per Maalula, una città a nord di Damasco dove ancora si parla la lingua di Gesù, l’aramaico”. L’architetto Mouaffak era in Italia per incontrare il collega e amico Michele Bilancia fondatore dell’associazione “Radici di pietra”, con il quale avevano collaborato in Siria per la tutela delle città antiche.

Il Papa ci chiama a passare dalla “globalizzazione dell’indifferenza alla globalizzazione della solidarietà” ha detto il cardinale Bassetti, sottolineando come il racconto di un testimone consente di dare un volto e un nome alla massa di informazioni che quotidianamente riceviamo e che rischiano di lasciarci nell’indifferenza.

Stella Cerasa attingendo alla sua esperienza quotidiana al Centro di ascolto Caritas di Perugia, ha aggiunto volti e nomi che hanno fatto uscire dall’anonimato le vittime delle moderne schiavitù denunciate dal Papa nel suo messaggio. “Spesso le donne incinte che arrivano sui barconi portano i figli di chi le ha schiavizzate nei lunghi mesi del viaggio verso l’Italia” ha detto, raccontando di aver seguito telefonicamente per 18 mesi il viaggio infinito della sorella di una donna africana che vive in Italia.

Dopo l’incontro i presenti hanno partecipato alla messa per la pace celebrata dal cardinale Bassetti nella cattedrale di San Lorenzo.

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La lettera pastorale di mons. Ceccobelli https://www.lavoce.it/la-lettera-pastorale-di-mons-ceccobelli/ Fri, 09 Jan 2015 17:20:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29690 Mons. Mario Ceccobelli con il clero
Mons. Mario Ceccobelli con il clero

È stata pubblicata la lettera pastorale 2014-2015 Insieme per annunciare la gioia del Vangelo, con la quale il vescovo Ceccobelli stimola la riflessione di tutti “su alcuni eventi molto importanti per la vita della nostra Chiesa eugubina, con una precisa finalità: conservarne memoria viva per un rinnovato impegno nell’oggi, che ci interpella con urgenza a testimoniare la gioia e la bellezza della nostra fede in Gesù Cristo”.

Una lettera profonda e articolata che si richiama ai risultati della Visita pastorale realizzata nell’arco di quattro anni. Pone a fondamento quello che viene considerato l’evento più importante, l’Anno sacerdotale, la celebrazione cioè del novo centenario dell’ordinazione sacerdotale di sant’Ubaldo (1114), occasione per tutti per “riscoprire Ubaldo come testimone e modello nel cammino di fede”.

Prosegue con un’analisi della Visita pastorale, che ha consentito di delineare un quadro ricco di elementi validi, ma anche di legittime preoccupazioni. Sono tanti i fermenti positivi, ma “la coscienza ecclesiale appare scarsa, perché la vita di fede e l’appartenenza alla Chiesa rischiano di essere concepite come componenti della tradizione più che come realtà vive bisognose di nutrimento, relazione e apertura alla novità”.

“Non è raro constatare come l’attaccamento alla tradizione entri talvolta in contrasto con gli insegnamenti del Vangelo”, rischio che coinvolge a volte le stesse grandi celebrazioni del 15-16 maggio in onore del Patrono. Ancora: la messa domenicale frequentata in prevalenza da bambini e da anziani “anche se, nel tempo della preparazione dei figli ai sacramenti è notevole pure la presenza dei genitori”, seguita poi “da assenze prolungate”. Per crescere e migliorarsi è necessario camminare insieme, e all’insegna della fraternità presbiterale.

“Camminare insieme”, nelle singole parrocchie e nelle zone pastorali, sulla base di una “credibile programmazione finalizzata ad annunciare il Vangelo”, attraverso “un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati”.

La “fraternità presbiterale” poi è la “prima e più importante testimonianza da offrire al popolo di Dio”, perché “quanto più i cristiani vedranno uniti e concordi i loro sacerdoti, tanto più comprenderanno che la Chiesa è davvero una comunione, e impareranno anch’essi a costruirla all’interno della comunità cristiana”.

Un capitolo a parte è dedicato ad Accelerare l’ora dei laici, rilanciando l’impegno ecclesiale e secolare, cioè il servizio alla parrocchia, con uno sguardo aperto non solo ai problemi del proprio territorio, ma dell’intera società.

La lettera suggerisce anche, per sgravare i presbiteri, di “ lasciare ai laici, preparati e competenti, l’amministrazione dei beni delle parrocchie”, in stretto rapporto con i parroci. Si conclude elencando gli eventi più importanti che caratterizzeranno l’anno.

 

10 lettere pastorali

Sono finora 10 le lettere pastorali del vescovo Ceccobelli. Quella per il 2014-2015, emanata lo scorso 10 dicembre, Insieme per annunciare la gioia del Vangelo, è stata preceduta da La gioia di educare alla fede (2013-2014), Corresponsabili nell’educare nella fede (2012), Educhiamoci alle relazioni alla scuola di Gesù (2011), Riannodare e ravvivare le relazioni (2010), Oggi devo fermarmi a casa tua (2009), Famiglia, diventa ciò che sei (2008), Alla riscoperta della nostra vocazione (2007), Amatevi intensamente (2006), Insieme con Cristo, nostra speranza (2005).

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Giornata della Pace. L’iniziativa a Perugia https://www.lavoce.it/giornata-della-pace-liniziativa-a-perugia/ Wed, 31 Dec 2014 00:44:28 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29608 siria-guerraQuella che si celebra quest’anno è la 48a Giornata mondiale della pace, che è stata ricordata in forme diverse, con preghiere e riflessioni, in tutti questi anni affrontando i temi sviluppati nei messaggi che i Pontefici hanno inviato al mondo a partire dall’inventore di questa tradizione, Paolo VI, nel 1968.

Scorrendo gli argomenti trattati anno dopo anno si può scoprire la ricchezza di pensiero e lo slancio emotivo dei testi legati alle situazioni contingenti della attuale storia umana e illuminati dal pensiero sociale della Chiesa cattolica. In questo si può dire che essa fa da madre e maestra per l’intera umanità di cui ha cura costante: una Chiesa inserita nelle vicende del mondo e partecipe delle gioie e delle sofferenze delle persone a qualsiasi nazione e religione appartengano.

Su questa linea il messaggio di quest’anno 2015 di papa Francesco intitolato “Non più schiavi, ma fratelli”, nel quale descrive alcune situazioni di schiavitù quali “i lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti” in molte e varie situazioni, a “molti migranti”, a “persone costrette a prostituirsi”, persone oggetto di “traffico o mercimonio per espianto di organi”, persone “rapite da gruppi terroristici” e altro.

Dopo la denuncia Papa Francesco indica le cause e i rimedi possibili chiamando in causa i governi, le organizzazioni internazionale e la coscienza collettiva dei popoli, assegnando compiti specifici ai cristiani. Conclude il massaggio evocando la “globalizzazione della fraternità, non la schiavitù né l’indifferenza”.

In Umbria, per la sua storia e lo “spirito” che la caratterizza vi sono ragioni in più per lottare contro la schiavitù e fare della pace non solo una bandiera o una marcia, ma uno stile di vita.

(Leggi anche “L’impegno comune contro ogni schiavitù”)

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Il programma dell’iniziativa che si terrà a Perugia

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Archidiocesi di Perugia – Città della Pieve

Giornata mondiale della pace
«NON PIÚ SCHIAVI, MA FRATELLI»

 1 gennaio 2015
ore 16.00

Centro Ecumenico e Universitario San Martino
via del Verzaro 13, Perugia

 Riflessioni e testimonianze sul messaggio di Papa Francesco

Saluto di mons. Fausto Sciurpa,
direttore dell’Ufficio pastorale Problemi sociali e il lavoro, giustizia e pace

– Introduzione al Messaggio: mons. Elio Bromuri,
delegato episcopale per la cultura, direttore de “La Voce”

– È prevista la testimonianza di Mouaffak Dougmann, cittadino siriano,
presentato da Michele Bilancia e atre testimonianze.

Ore 18.00
Cattedrale di San Lorenzo

 Messa per la Pace
celebrata dall’Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve
Cardinale Gualtiero Bassetti

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INCONTRO PROMOSSO DA

Ufficio pastorale problemi sociali e il lavoro giustizia e pace
Ufficio per l’Ecumenismo
Caritas diocesana
Meic – Movimento ecclesiale di impegno culturale
Istituto Giancarlo Conestabile della Staffa
Movimento dei Focolari
Associazione “Amici de La Voce”

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Vincere nello sport accompagnati dalla fede https://www.lavoce.it/vincere-nello-sport-accompagnati-dalla-fede/ https://www.lavoce.it/vincere-nello-sport-accompagnati-dalla-fede/#comments Fri, 28 Nov 2014 12:11:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29190 Mara Santangelo
Mara Santangelo

Mara Santangelo: una tennista di fama internazionale, un esempio per tanti giovani sportivi, una testimone dell’amore materno della Vergine Maria per tutti. La giovane di Cavalese iniziò a collezionare successi sportivi fin da adolescente promettendo alla mamma di realizzare il loro sogno: raggiungere il campo di Wimbledon. L’improvvisa nascita al cielo della sua mamma non ha arrestato il suo desiderio di mantenere la promessa. Tanti allenamenti nella Val di Fiemme ma un rapporto quasi inesistente con Dio “Mi rivolgevo a Lui solo nel momento del bisogno e quando la mia mamma è mancata, ho avuto una forte ribellione verso la fede”.

La sua brillante carriera sportiva, 9 tornei vinti in singolo e 23 tornei vinti in doppio, è tuttavia accompagnata da anni di sopportazione per una rara malformazione del sesamoide che le provoca dolore tanto da non poter terminare l’ambitissimo torneo di Wimbledon nel 2007. Pur avendo raggiunto le vette del tennis e ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dal Presidente Napolitano, questa sconfitta pone Mara Santangelo di fronte ai suoi limiti. La sua cara mamma non è con lei a proteggerla dai giudizi dei media internazionali e si avvicina per lei la difficile scelta di lasciare il Tennis. Poco prima Mara intraprende un pellegrinaggio a Medjugorie dove, sorprendendo tanti, inizia un cammino spirituale. Ora la tennista, attraverso gli occhi della fede, vede il suo intervento al piede “con occhi diversi perché rientra nel grande disegno del Signore”. “Pensate che in quei giorni ero la numero 27 nella classifica mondiale – continua Mara – ma nulla avviene a caso ed io oggi riesco a ringraziare il mio dolore e le mie sofferenze: mi hanno permesso di essere quella che oggi sono, di arrivare al Signore con il cuore aperto”.

Nel suo libro Te lo prometto racconta che il viaggio a Medjugorie l’ha aiutata a conoscere meglio la Madonna. Le chiediamo con quali sentimenti oggi si rivolge a Maria. “Ho gratitudine verso la Madonna anche perché a Medjugorie c’è stato il ricongiungimento con la mia mamma che era devota all’apparizione di Fatima. A Medjugorie ho avuto il miracolo della conversione del mio cuore oltre ad aver conosciuto persone miracolate anche nel fisico. In quella terra chi va con umiltà e con il cuore aperto – ribadisce la campionessa – non può non avvertire qualcosa di straordinario poiché le apparizioni avvengono”. Proponendo la celebre frase di san Paolo che dice ai Filippesi “…corriamo verso la meta” la giovane atleta non esita a risponderci che la meta più importante è quella di fortificarsi nella fede e che intende continuare questo percorso senza darlo per scontato. Di conseguenza, nel chiederle qual è la vittoria più grande nella sua carriera, ci risponde sicura: “Avere incontrato il Signore che mi ha reso realmente felice nonostante le difficoltà”. Mara ha soli 33 anni, perciò le chiediamo un suggerimento per tutti quei giovani umbri che, molto impegnati a livello agonistico in diverse discipline, rischiano di disallenarsi nella formazione spirituale. “Consiglio di coltivare sia lo sport che il tempo per la preghiera; molti pensano a quale grande sforzo sia la preghiera, ma è importante anche solo una preghiera al giorno e vivere il Vangelo con serenità”.

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