teologia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/teologia/ Settimanale di informazione regionale Tue, 09 Oct 2018 10:19:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg teologia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/teologia/ 32 32 La teologia di Papa Francesco https://www.lavoce.it/teologia-papa-francesco/ https://www.lavoce.it/teologia-papa-francesco/#comments Tue, 09 Oct 2018 08:00:25 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53087 logo abat jour, rubrica settimanale

Oggi occorre essere stupidi o maligni per negare che Papa Francesco abbia una sua teologia, originale, robusta, coinvolgente.

Ragioniamo: noi siamo abituati a parlare di Dio su un certo orizzonte concettuale, che è quello, splendido, elaborato da Tommaso d’Aquino, l’orizzonte concettuale dell’Essere. Sull’orizzonte dell’essere Dio ci si rivela come l’Essere per eccellenza. E così lo presenta il catechismo di Pio X, La dottrina cristiana.

Domanda n. 1. Chi ci ha creato? Risposta n. 1: Ci ha creato Dio. Domanda n. 2: Chi è Dio? Risposta n. 2: Dio è l’Essere perfettissimo, creatore del cielo e della terra.

Ma quello dell’Essere non può candidarsi a unico orizzonte concettuale sul quale si parla di Dio. Per capire il discorso che Papa Francesco propone su Dio dobbiamo rivolgerci ad un altro orizzonte concettuale: così scrive Jürgen Werbick, il primo degli 11 teologi incaricati dalla Lev di delineare la teologia di Bergoglio.

Werbick ha scritto in tedesco, in italiano l’ha tradotto uno che il tedesco lo conosce poco e l’italiano ancora di meno, ma dall’italiano paleolitico del primo degli 11 libretti della Lev emerge, luminosissima, la scelta metodologica di Papa Francesco: egli parla di Dio sull’orizzonte della creazione continua, intesa come disponibilità e capacità di creare relazioni.

Dio nei confronti dell’uomo è innanzitutto creatore, cioè perfettamente disponibile e capace di creare relazioni. Per questo vuole e crea ciò che è altro da sé, lascia che è l’altro sia quello che è, raggiunge l’altro quando l’altro si trova nella sua perdutezza estrema (che è l’indisponibilità alla relazione con Lui), gli fa scoprire, sperimentandola, come la vita autentica sia essenzialmente vita di relazione.

Quello che consente a Dio di entrare in intimità con l’uomo è la sua disponibilità senza limiti alla relazione, una disponibilità che lo definisce come Dio, e annulla l’immensa distanza dall’uomo da Dio sul piano dell’essere. Così Papa Francesco ri/definisce Dio e imposta la sua formidabile teologia. Sottolineo: ri/definisceimposta.

Si diano pace, quell’esagitato cronico che risponde al nome di Antonio Socci, e quel fine analizzatore di bolle di sapone che risponde al nome di Roberto De Mattei: con Papa Francesco la Chiesa, a onta dei loro risibili tentativi di mettergli i bastoni fra le ruote, avanza da molti punti di vista, e prima di tutto nella sua esplorazione coraggiosa e tremebonda del mistero del suo Dio.

Angelo M. Fanucci]]>
logo abat jour, rubrica settimanale

Oggi occorre essere stupidi o maligni per negare che Papa Francesco abbia una sua teologia, originale, robusta, coinvolgente.

Ragioniamo: noi siamo abituati a parlare di Dio su un certo orizzonte concettuale, che è quello, splendido, elaborato da Tommaso d’Aquino, l’orizzonte concettuale dell’Essere. Sull’orizzonte dell’essere Dio ci si rivela come l’Essere per eccellenza. E così lo presenta il catechismo di Pio X, La dottrina cristiana.

Domanda n. 1. Chi ci ha creato? Risposta n. 1: Ci ha creato Dio. Domanda n. 2: Chi è Dio? Risposta n. 2: Dio è l’Essere perfettissimo, creatore del cielo e della terra.

Ma quello dell’Essere non può candidarsi a unico orizzonte concettuale sul quale si parla di Dio. Per capire il discorso che Papa Francesco propone su Dio dobbiamo rivolgerci ad un altro orizzonte concettuale: così scrive Jürgen Werbick, il primo degli 11 teologi incaricati dalla Lev di delineare la teologia di Bergoglio.

Werbick ha scritto in tedesco, in italiano l’ha tradotto uno che il tedesco lo conosce poco e l’italiano ancora di meno, ma dall’italiano paleolitico del primo degli 11 libretti della Lev emerge, luminosissima, la scelta metodologica di Papa Francesco: egli parla di Dio sull’orizzonte della creazione continua, intesa come disponibilità e capacità di creare relazioni.

Dio nei confronti dell’uomo è innanzitutto creatore, cioè perfettamente disponibile e capace di creare relazioni. Per questo vuole e crea ciò che è altro da sé, lascia che è l’altro sia quello che è, raggiunge l’altro quando l’altro si trova nella sua perdutezza estrema (che è l’indisponibilità alla relazione con Lui), gli fa scoprire, sperimentandola, come la vita autentica sia essenzialmente vita di relazione.

Quello che consente a Dio di entrare in intimità con l’uomo è la sua disponibilità senza limiti alla relazione, una disponibilità che lo definisce come Dio, e annulla l’immensa distanza dall’uomo da Dio sul piano dell’essere. Così Papa Francesco ri/definisce Dio e imposta la sua formidabile teologia. Sottolineo: ri/definisceimposta.

Si diano pace, quell’esagitato cronico che risponde al nome di Antonio Socci, e quel fine analizzatore di bolle di sapone che risponde al nome di Roberto De Mattei: con Papa Francesco la Chiesa, a onta dei loro risibili tentativi di mettergli i bastoni fra le ruote, avanza da molti punti di vista, e prima di tutto nella sua esplorazione coraggiosa e tremebonda del mistero del suo Dio.

Angelo M. Fanucci]]>
https://www.lavoce.it/teologia-papa-francesco/feed/ 3
Mi tufava. Ci provo https://www.lavoce.it/mi-tufava-ci-provo/ Tue, 02 Oct 2018 08:00:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53007 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

Mi tufava. Un dispiacere sordo, quasi un rancore. Mi tufava sentire i critici di Papa Francesco affermare che Bergoglio in teologia è un parvenu, un praticone, che, invece che sdottorare, farebbe meglio a dedicarsi a predicare gli esercizi spirituali alle suore del Santissimo Sacramento Esposto, o (in alternativa) alle suore del Santo Cero Pasquale Acceso. Mi tufava. Poi però, nel 2017, la Libreria editrice vaticana ha dedicato una collana di 11 volumetti proprio alla teologia di Papa Francesco. Ne parlano 11 teologi di vaglia.

“Di vaglia”, devo confessarlo: che lo siano (“di vaglia”), lo dico a lume di naso, perché, quand’era il momento, nessuno m’ha fornito il vaglio giusto per dirlo a ragion veduta.

Bah! Avevo vent’anni e una gran voglia di amare Dio “con tutta la mente”; ma in quel covo della più becera reazione ecclesiastica che era l’università Lateranense, mi vennero iniettate dosi letali di becera avversione verso la teologia nuova che soffiava dal Nord. Oggi quell’avversione acre la mantengo, ma in senso contrario, contro quelli che allora mi ingannarono. Piolanti che il peccato originale lo spiega… mimandolo.

Con le mani arrovesciate sui fianchi, come Perpetua quando rimprovera don Abbondio, grida: Eramus in lumbis Adae, “eravamo nei lombi di Adamo” quando il capostipite, ingannato (era solo la prima volta) dalla moglie e dal serpente, ciancicava sdentato la mela proibita. Bah! In Teologia dogmatica hanno preteso di nutrirmi con il pancotto indigesto dell’ultima Scolastica, in Sacra Scrittura con le bambinesche letture bibliche di Spadafora. E la “Santa Liturgia”era ancora il soprannome del galateo ecclesiastico ingessato da secoli.

Oggi strepito, mi agito, forse mi rendo anche ridicolo per acquisire non solo il succo della teologia post-conciliare, ma le nuove categorie che presiedono al suo travaglio. E ogni settimana, da 11 anni, come presbitero della minuscola associazione cattolica di volontariato informatico denominata “Il Gibbo”, pubblico la lettera settimanale di don Angelo (se la volete, chiedetene copia per e mail ad antoniolanuti@tiscali.it).

Nella sua prima parte cerco di individuare, accanto ai tanti loro meriti, le cause che, da Pio IX in poi, hanno indotto i Papi a disattendere le sacrosante richieste che il mondo - che è poi il regno di Dio avanzava loro. Nella seconda ci provo, a parlare della teologia di Papa Francesco: espressa a fatica, ma c’è. La terza parte: c’è, e si vede. Qui mi preme dire che, cercandola dove andava cercata, la teologia di Papa Francesco viene fuori, e nuova. E in presa diretta col Concilio. A presto.

]]>
logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci

Mi tufava. Un dispiacere sordo, quasi un rancore. Mi tufava sentire i critici di Papa Francesco affermare che Bergoglio in teologia è un parvenu, un praticone, che, invece che sdottorare, farebbe meglio a dedicarsi a predicare gli esercizi spirituali alle suore del Santissimo Sacramento Esposto, o (in alternativa) alle suore del Santo Cero Pasquale Acceso. Mi tufava. Poi però, nel 2017, la Libreria editrice vaticana ha dedicato una collana di 11 volumetti proprio alla teologia di Papa Francesco. Ne parlano 11 teologi di vaglia.

“Di vaglia”, devo confessarlo: che lo siano (“di vaglia”), lo dico a lume di naso, perché, quand’era il momento, nessuno m’ha fornito il vaglio giusto per dirlo a ragion veduta.

Bah! Avevo vent’anni e una gran voglia di amare Dio “con tutta la mente”; ma in quel covo della più becera reazione ecclesiastica che era l’università Lateranense, mi vennero iniettate dosi letali di becera avversione verso la teologia nuova che soffiava dal Nord. Oggi quell’avversione acre la mantengo, ma in senso contrario, contro quelli che allora mi ingannarono. Piolanti che il peccato originale lo spiega… mimandolo.

Con le mani arrovesciate sui fianchi, come Perpetua quando rimprovera don Abbondio, grida: Eramus in lumbis Adae, “eravamo nei lombi di Adamo” quando il capostipite, ingannato (era solo la prima volta) dalla moglie e dal serpente, ciancicava sdentato la mela proibita. Bah! In Teologia dogmatica hanno preteso di nutrirmi con il pancotto indigesto dell’ultima Scolastica, in Sacra Scrittura con le bambinesche letture bibliche di Spadafora. E la “Santa Liturgia”era ancora il soprannome del galateo ecclesiastico ingessato da secoli.

Oggi strepito, mi agito, forse mi rendo anche ridicolo per acquisire non solo il succo della teologia post-conciliare, ma le nuove categorie che presiedono al suo travaglio. E ogni settimana, da 11 anni, come presbitero della minuscola associazione cattolica di volontariato informatico denominata “Il Gibbo”, pubblico la lettera settimanale di don Angelo (se la volete, chiedetene copia per e mail ad antoniolanuti@tiscali.it).

Nella sua prima parte cerco di individuare, accanto ai tanti loro meriti, le cause che, da Pio IX in poi, hanno indotto i Papi a disattendere le sacrosante richieste che il mondo - che è poi il regno di Dio avanzava loro. Nella seconda ci provo, a parlare della teologia di Papa Francesco: espressa a fatica, ma c’è. La terza parte: c’è, e si vede. Qui mi preme dire che, cercandola dove andava cercata, la teologia di Papa Francesco viene fuori, e nuova. E in presa diretta col Concilio. A presto.

]]>
Michelini nuovo preside dell’Istituto teologico di Assisi https://www.lavoce.it/michelini-nuovo-preside-dellistituto-teologico-di-assisi/ Thu, 02 Nov 2017 11:01:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50384 issra

Padre Giulio Michelini dopo essere stato per tanti anni uno dei docenti dell’Istituto teologico di Assisi dal luglio scorso ne è il Preside. In questa nuova veste il 9 ottobre, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, ha accolto il cardinale Jean Luis Tauran che ha tenuto la prolusione su uno dei temi, il dialogo interreligioso, che caratterizzano l’Istituto e che sarà al centro del convegno di venerdì 27 ottobre, anniversario della Giornata di Preghiera voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Michelini arriva alla guida dell’Ita in un momento di passaggio istituzionale segnato dalla costituzione della Fondazione “Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi” che riorganizza la teologia in Umbria. Un processo seguito dal moderatore dell’Ita, il vescovo mons. Domenico Sorrentino, e dal preside che lo ha preceduto, mons. Romano Piccinelli. Passaggio che non è solo una questione di forma. “Il cambiamento c’è e - spiega padre Michelini - viene prima di tutto dalla realtà che ci porta a pensarci come un istituto che non provveda più solamente alla formazione dei futuri sacerdoti ma anche alla formazione dei laici e degli insegnanti di religione”. Diminuzione di vocazioni ... e di studenti La realtà di cui parla è la diminuzione delle vocazioni al sacerdozio come alla vita religiosa, che si traduce in un calo di iscritti all’Ita dove, allo stesso tempo, si registra un incremento di interesse dei laici che al termine degli studi hanno comunque un diploma equipollente alla laurea. “Ormai dobbiamo pensarci non solo come istituti statici ma come istituti che vadano incontro alla formazione dei laici nella Chiesa” e questo significa anche ripensare le modalità di fruizione dei corsi. “Se è vero che dobbiamo dare la maggiore cura nella formazione dei futuri sacerdoti è anche vero che non potremmo sopravvivere semplicemente con una offerta formativa limitata a loro. L’Istituto teologico - aggiunge il Preside - non è mai stato una realtà di nicchia ma ha voluto aprirsi e adesso più che mai è necessario che ‘usciamo’”. Nuove modalità per i corsi All’orizzonte non ci sono solo i tradizionali fruitori della teologia: preti, frati, suore e laici impegnati nella pastorale. “Dobbiamo essere propositivi per rispondere alle richieste di alta formazione che pure ci sono e non sono solo confessionali ma sono anche richiesta di competenze in discipline che possono riguardare altre esigenze di formazione professionale” spiega p. Michelini, facendo l’esempio, tra gli altri, dei mediatori culturali, e su questo fronte potrebbe esserci una collaborazione con l’Università per la formazione di “persone che a più livelli intervengono nell’ambito religioso non soltanto quello cattolico”. Nella valutazione delle opzioni future, delle necessità, c’è anche “il desiderio di intercettare i diaconi e coloro che si preparano al diaconato, e i catechisti e altri operatori della pastorale” offrendo loro un livello superiore di formazione rispetto ai corsi istituiti nelle diocesi, che potrebbe essere integrata con “corsi di formazione a distanza, giornate di studio, convegni, apertura e lezioni in orari e in giorni che siano più fruibili dai laici”. C’è anche chi pur lavorando trova il tempo per frequentare, e le lezioni sono tutti i pomeriggi, ma indubbiamente sono scelte molto impegnative per chi lavora.]]>
issra

Padre Giulio Michelini dopo essere stato per tanti anni uno dei docenti dell’Istituto teologico di Assisi dal luglio scorso ne è il Preside. In questa nuova veste il 9 ottobre, all’inaugurazione dell’Anno Accademico, ha accolto il cardinale Jean Luis Tauran che ha tenuto la prolusione su uno dei temi, il dialogo interreligioso, che caratterizzano l’Istituto e che sarà al centro del convegno di venerdì 27 ottobre, anniversario della Giornata di Preghiera voluta da Giovanni Paolo II nel 1986. Michelini arriva alla guida dell’Ita in un momento di passaggio istituzionale segnato dalla costituzione della Fondazione “Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi” che riorganizza la teologia in Umbria. Un processo seguito dal moderatore dell’Ita, il vescovo mons. Domenico Sorrentino, e dal preside che lo ha preceduto, mons. Romano Piccinelli. Passaggio che non è solo una questione di forma. “Il cambiamento c’è e - spiega padre Michelini - viene prima di tutto dalla realtà che ci porta a pensarci come un istituto che non provveda più solamente alla formazione dei futuri sacerdoti ma anche alla formazione dei laici e degli insegnanti di religione”. Diminuzione di vocazioni ... e di studenti La realtà di cui parla è la diminuzione delle vocazioni al sacerdozio come alla vita religiosa, che si traduce in un calo di iscritti all’Ita dove, allo stesso tempo, si registra un incremento di interesse dei laici che al termine degli studi hanno comunque un diploma equipollente alla laurea. “Ormai dobbiamo pensarci non solo come istituti statici ma come istituti che vadano incontro alla formazione dei laici nella Chiesa” e questo significa anche ripensare le modalità di fruizione dei corsi. “Se è vero che dobbiamo dare la maggiore cura nella formazione dei futuri sacerdoti è anche vero che non potremmo sopravvivere semplicemente con una offerta formativa limitata a loro. L’Istituto teologico - aggiunge il Preside - non è mai stato una realtà di nicchia ma ha voluto aprirsi e adesso più che mai è necessario che ‘usciamo’”. Nuove modalità per i corsi All’orizzonte non ci sono solo i tradizionali fruitori della teologia: preti, frati, suore e laici impegnati nella pastorale. “Dobbiamo essere propositivi per rispondere alle richieste di alta formazione che pure ci sono e non sono solo confessionali ma sono anche richiesta di competenze in discipline che possono riguardare altre esigenze di formazione professionale” spiega p. Michelini, facendo l’esempio, tra gli altri, dei mediatori culturali, e su questo fronte potrebbe esserci una collaborazione con l’Università per la formazione di “persone che a più livelli intervengono nell’ambito religioso non soltanto quello cattolico”. Nella valutazione delle opzioni future, delle necessità, c’è anche “il desiderio di intercettare i diaconi e coloro che si preparano al diaconato, e i catechisti e altri operatori della pastorale” offrendo loro un livello superiore di formazione rispetto ai corsi istituiti nelle diocesi, che potrebbe essere integrata con “corsi di formazione a distanza, giornate di studio, convegni, apertura e lezioni in orari e in giorni che siano più fruibili dai laici”. C’è anche chi pur lavorando trova il tempo per frequentare, e le lezioni sono tutti i pomeriggi, ma indubbiamente sono scelte molto impegnative per chi lavora.]]>
Quattro suore https://www.lavoce.it/quattro-suore/ Thu, 12 Oct 2017 11:00:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50161

Quello su cui hanno sparso la loro fioca luce le mie ultime, pallenti abats jours (o abat jours?) si lega a due ricordi personali precisi di quegli anni conciliari. *** 1960. Il rammarico per non aver conosciuto quand’era tempo, cioè nel cuore della mia formazione teologica, i vari Chenu, Congar, De Lubac, Danielou e soprattutto Rahner motivò un mio tentativo di andare anch’io “aux sources”; acquistai in una libreria del centro “Le drame de l’humanisme athée”, di De Lubac; lo feci di soppiatto, più volte guardandomi sospecciosamente tutt’intorno, quasi stessi per chiedere Les Onze Mille Verges ou les Amours d’un hospodar di Guillaume Apollinaire. L’acquistai con la presunzione di digerirlo poi, pian piano, nel testo francese, lingua che credevo di conoscere bene: alla scuola media del seminario di Gubbio per cinque anni ci avevano insegnato proprio il francese, e quindi… Mi tuffai nella lettura del testo di De Lubac, impiegai mezz’ora a leggere la prima pagina, col dizionario vicino; dovetti abbandonare l’impresa alla terza pagina. Il francese che ci avevano insegnato era il francese delle eccezioni, quello sulla base del quale (“tutto gufi e ciottoli”, dice la “Lettera a una professoressa”) alla Scuola media di Vicchio bocciavano i ragazzi di Barbiana agli esami di terza media: della lingua francese sapevamo tutte le curiosità  (Mettere l’articolo davanti al pronome possessivo era come bestemmiare in chiesa; il numero 80 poteva anche essere detto come un “quattro volte venti”;…), ma non saremmo stati capaci di acquistare alla stazione di Lione un biglietto del treno per Parigi. *** Più tardi la dimostrazione di quanto fosse ormai superata e inutile la mia formazione teologica, anche se solidamente centrata sul solidissimo san Tommaso, l’ebbi quando, giovane prete, l’Ufficio catechistico diocesano m’incaricò di tenere un corso di teologia per giovani motivati ad approfondire il messaggio cristiano; intorno a don Graziano Reginelli e a me, ambedue preti freschi di sacro crisma, s’era formato un bel gruppo di giovani; molti di loro erano anche “cristianamente motivati”, ma non esitarono a sganasciarsi dalle risa quando lessero l’incipit dell’invito col quale il Direttore della Catechesi diocesana li sollecitava a partecipare al Corso di Teologia: “Dio da tutta l’eternità ha fatto il suo Cristo, e dunque…”; qualche anno prima Serse, il fratello di Fausto Coppi, durante il Giro d’Italia l’aveva fatto anche lui, il suo cristo, e c’era rimasto secco, poverino. Prima lezione del Corso (“L’Essere e l’Essenza”): dieci dei “miei” ragazzi e quattro suore. Alla seconda lezione erano presenti solo le quattro suore. Ma dopo un quarto d’ora dormivano tutte. La più sfacciata russava, pure! Erano le prime emule della Signorina Scolastica, ormai a riposo.]]>

Quello su cui hanno sparso la loro fioca luce le mie ultime, pallenti abats jours (o abat jours?) si lega a due ricordi personali precisi di quegli anni conciliari. *** 1960. Il rammarico per non aver conosciuto quand’era tempo, cioè nel cuore della mia formazione teologica, i vari Chenu, Congar, De Lubac, Danielou e soprattutto Rahner motivò un mio tentativo di andare anch’io “aux sources”; acquistai in una libreria del centro “Le drame de l’humanisme athée”, di De Lubac; lo feci di soppiatto, più volte guardandomi sospecciosamente tutt’intorno, quasi stessi per chiedere Les Onze Mille Verges ou les Amours d’un hospodar di Guillaume Apollinaire. L’acquistai con la presunzione di digerirlo poi, pian piano, nel testo francese, lingua che credevo di conoscere bene: alla scuola media del seminario di Gubbio per cinque anni ci avevano insegnato proprio il francese, e quindi… Mi tuffai nella lettura del testo di De Lubac, impiegai mezz’ora a leggere la prima pagina, col dizionario vicino; dovetti abbandonare l’impresa alla terza pagina. Il francese che ci avevano insegnato era il francese delle eccezioni, quello sulla base del quale (“tutto gufi e ciottoli”, dice la “Lettera a una professoressa”) alla Scuola media di Vicchio bocciavano i ragazzi di Barbiana agli esami di terza media: della lingua francese sapevamo tutte le curiosità  (Mettere l’articolo davanti al pronome possessivo era come bestemmiare in chiesa; il numero 80 poteva anche essere detto come un “quattro volte venti”;…), ma non saremmo stati capaci di acquistare alla stazione di Lione un biglietto del treno per Parigi. *** Più tardi la dimostrazione di quanto fosse ormai superata e inutile la mia formazione teologica, anche se solidamente centrata sul solidissimo san Tommaso, l’ebbi quando, giovane prete, l’Ufficio catechistico diocesano m’incaricò di tenere un corso di teologia per giovani motivati ad approfondire il messaggio cristiano; intorno a don Graziano Reginelli e a me, ambedue preti freschi di sacro crisma, s’era formato un bel gruppo di giovani; molti di loro erano anche “cristianamente motivati”, ma non esitarono a sganasciarsi dalle risa quando lessero l’incipit dell’invito col quale il Direttore della Catechesi diocesana li sollecitava a partecipare al Corso di Teologia: “Dio da tutta l’eternità ha fatto il suo Cristo, e dunque…”; qualche anno prima Serse, il fratello di Fausto Coppi, durante il Giro d’Italia l’aveva fatto anche lui, il suo cristo, e c’era rimasto secco, poverino. Prima lezione del Corso (“L’Essere e l’Essenza”): dieci dei “miei” ragazzi e quattro suore. Alla seconda lezione erano presenti solo le quattro suore. Ma dopo un quarto d’ora dormivano tutte. La più sfacciata russava, pure! Erano le prime emule della Signorina Scolastica, ormai a riposo.]]>
Quando la signorina Scolastica rifiutò la pensione https://www.lavoce.it/la-signorina-scolastica-rifiuto-la-pensione/ Wed, 04 Oct 2017 15:22:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50089

Sì, alla completezza della nostra formazione di preti imminenti fu un danno enorme quello di averci impedito, tra il 1958 e il 1961, a noi che studiavamo teologia alla Lateranense, implumi pulcini dell’almo efebeo del Seminario romano maggiore, di conoscere Chénu, Congar, De Lubac, Daniélou e soprattutto Rahner. La signora Teologia, lontano dall’aria pesante di Roma, aveva maturato una convinzione: il fedele servizio che le aveva reso la sua domestica, la signorina Scolastica Filosofia, non le era più sufficiente a rendere al mondo il servizio che il mondo chiedeva a lei. “Signorina Scolastica, lei ha maturato i diritti alla pensione e quella bellissima casetta che io possiedo ai piedi dell’Appennino centrale gliela metto a disposizione per sempre: lì godrà tutto il riposo e la pace che merita”. Apriti cielo! La reazione della signorina Scolastica alla proposta della signora Teologia fu quanto meno isterica: urlava, strepitava, batteva i pugni sulla porta (quella di cuoio imbottito), vomitava sulla Signora insulti assortiti: vero mostro d’ingratitudine nei suoi confronti, secondo lei la Signora stava per rinunciare alla bella virtù per concedersi al primo lanzichenecco che dalle brume del Nord Europa si fosse presentato alla porta della sua camera da letto. “Ingrata! Ma non si ricorda di quando mio padre saliva da Sant’Arpino di Caserta per offrirle, tutte per lei, scamorze profumate e i fiori delle zucche, belli e sorridenti fino a un attimo prima di finire in padella?!”. Eravamo in settembre, e le rimostranze della signorina Scolastica coglievano tra i ricordi simbolici, quelli più giusti. “Ma… vede, Signorina, i tempi sono cambiati, e a me oggi viene richiesto un servizio diverso da quello richiesto ieri, o meglio l’altro ieri”. Niente da fare. Le reazioni della signorina Scolastica si facevano sempre più violente, e il linguaggio evocava quello dei carrettieri d’un tempo. Fuor di metafora, è andata proprio così. Da secoli la cultura occidentale ci chiedeva di prendere atto sia delle sue conquiste sia della nuova angolazione dalla quale essa prendeva in considerazione il mondo. Con Cartesio aveva iniziato il suo cammino la filosofia del soggetto; anche chi, come lo scrivente, conservava fiducia piena nella filosofia dell’oggetto elaborata dalla cultura greca e fatta propria della teologia scolastica, non poteva e non può ignorare quello che hanno insegnato Kant, Fichte, Hegel. No, non si tratta di dover leggere da capo a fondo La fenomenologia dello Spirito di Hegel, a meno che uno abbia da scontare dei delitti gravissimi, ma è necessario prendere atto che la cultura del soggetto può rendere un grande servizio alla teologia e alla fede cattolica. E il Concilio ne ha preso atto, legittimando prima questa operazione nella Gaudium et spes, e attuandola poi nella Sacrosanctum Concilium, nella Lumen gentium e soprattutto nella Dei Verbum.]]>

Sì, alla completezza della nostra formazione di preti imminenti fu un danno enorme quello di averci impedito, tra il 1958 e il 1961, a noi che studiavamo teologia alla Lateranense, implumi pulcini dell’almo efebeo del Seminario romano maggiore, di conoscere Chénu, Congar, De Lubac, Daniélou e soprattutto Rahner. La signora Teologia, lontano dall’aria pesante di Roma, aveva maturato una convinzione: il fedele servizio che le aveva reso la sua domestica, la signorina Scolastica Filosofia, non le era più sufficiente a rendere al mondo il servizio che il mondo chiedeva a lei. “Signorina Scolastica, lei ha maturato i diritti alla pensione e quella bellissima casetta che io possiedo ai piedi dell’Appennino centrale gliela metto a disposizione per sempre: lì godrà tutto il riposo e la pace che merita”. Apriti cielo! La reazione della signorina Scolastica alla proposta della signora Teologia fu quanto meno isterica: urlava, strepitava, batteva i pugni sulla porta (quella di cuoio imbottito), vomitava sulla Signora insulti assortiti: vero mostro d’ingratitudine nei suoi confronti, secondo lei la Signora stava per rinunciare alla bella virtù per concedersi al primo lanzichenecco che dalle brume del Nord Europa si fosse presentato alla porta della sua camera da letto. “Ingrata! Ma non si ricorda di quando mio padre saliva da Sant’Arpino di Caserta per offrirle, tutte per lei, scamorze profumate e i fiori delle zucche, belli e sorridenti fino a un attimo prima di finire in padella?!”. Eravamo in settembre, e le rimostranze della signorina Scolastica coglievano tra i ricordi simbolici, quelli più giusti. “Ma… vede, Signorina, i tempi sono cambiati, e a me oggi viene richiesto un servizio diverso da quello richiesto ieri, o meglio l’altro ieri”. Niente da fare. Le reazioni della signorina Scolastica si facevano sempre più violente, e il linguaggio evocava quello dei carrettieri d’un tempo. Fuor di metafora, è andata proprio così. Da secoli la cultura occidentale ci chiedeva di prendere atto sia delle sue conquiste sia della nuova angolazione dalla quale essa prendeva in considerazione il mondo. Con Cartesio aveva iniziato il suo cammino la filosofia del soggetto; anche chi, come lo scrivente, conservava fiducia piena nella filosofia dell’oggetto elaborata dalla cultura greca e fatta propria della teologia scolastica, non poteva e non può ignorare quello che hanno insegnato Kant, Fichte, Hegel. No, non si tratta di dover leggere da capo a fondo La fenomenologia dello Spirito di Hegel, a meno che uno abbia da scontare dei delitti gravissimi, ma è necessario prendere atto che la cultura del soggetto può rendere un grande servizio alla teologia e alla fede cattolica. E il Concilio ne ha preso atto, legittimando prima questa operazione nella Gaudium et spes, e attuandola poi nella Sacrosanctum Concilium, nella Lumen gentium e soprattutto nella Dei Verbum.]]>
Vicino al Generale https://www.lavoce.it/vicino-al-generale/ Thu, 28 Jan 2016 15:46:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45213 DON ANGELO fanucciSul finire degli anni ’50 del XX secolo la pontificia università Lateranense aprì dunque il fuoco contro il Pontificio istituto biblico: demonizzò le splendide aperture di quei teologi che, emarginati da Pio XII (1939-1958), prima Papa Giovanni (1958-1963), poi Paolo VI (1963-1978) avrebbero chiamato a Roma come esperti al Concilio. Le palle fischiavano anche sulla mia testa semivuota; di me che, implume ventenne, alla Lateranense fungevo, se non proprio da attendente, almeno da portagalosce del ‘Generale in capo’ Piolanti, impantanato fin dal primo momento in una sanguinosa battaglia ideale perduta in partenza.

Rettore magnifico dell’Università e ordinario di Teologia, la materia più importante – più della Sacra Scrittura! – , nei tre anni dei Corsi riuniti (II, III e IV anno di facoltà) ci ammannì, sempre e soltanto lui, la lettura tradizionale dei capisaldi della fede cristiana: I. Dio Uno e Trino, II. Gesù Cristo, III. la Chiesa, e lo fece così come li aveva illuminati il genio di san Tommaso d’Aquino, ma negò sempre, fino ad arrochirsi la voce, che altre luci potessero accendersi sul Grande Mistero e riconsiderarlo da altre angolazioni. Le lezioni di Piolanti non seguivano nessun testo: occorreva prendere appunti. E per un paio d’anni dovetti farlo io. Lui parlava in latino, visto che ad ascoltarlo eravamo alunni di molte lingue diverse, e io, a casa, cioè nel Seminario Romano che dall’Università era ad un passo, li riordinavo (in latino!), li battevo a macchina con la mia Olivetti lettera 22 e li passavo a una copisteria di via Machiavelli, una traversa di via Merulana.
Alla prossima lezione Piolanti, che pure professava sempre di non leggerli, puntualmente li squalificava, i miei appunti; mendacia illa, così li chiamava: celebri pinzallàcchere. In realtà il focoso monsignore romagnolo cantava spesso sopra le righe. Come quando, per spiegare il peccato originale, prendeva a battersi i fianchi con ambedue le mani, gridando Omnes eramus in lumbis Adae! (“Eravamo tutti nei lombi di Adamo”). A quel punto, di fronte a quella contaminazione fra anatomia patologica e teologia dogmatica, tutti avremmo dovuto alzarci e guadagnare la porta. No, mai nessuno si alzò. E, senza nominarlo, non perdeva occasione per attaccare Papa Giovanni.
Implicitamente, con battutine allusive, poco più che punture di spillo, sui danni del buonismo e la fragile tenuta mentale dei vecchi: Papa Giovanni aveva 80 anni. Ma anche esplicitamente: quando, ad esempio, Roncalli proclamò dottore della Chiesa san Lorenzo da Brindisi, “paglia, paglia!” gridò Piolanti in aula, alludendo alla produzione scritta del santo. “Se lui è stato nominato dottore, io per lo meno voglio essere nominato veterinario!”. Una battuta? No, perché ci fu di molto peggio.

]]>
Linda https://www.lavoce.it/linda/ Sat, 05 Dec 2015 08:44:37 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44566 Don Angelo Fanucci
Don Angelo Fanucci

“Linda”: non saprei con quale altro aggettivo qualificarla. Linda. Parlo dell’omelia pronunciata nella chiesa di San Francesco, a Gubbio, il 30 novembre scorso, secondo giorno della novena dell’Immacolata. Pronunciata da chi? Esito a dirtelo, benevolo lettore, perché so di rischiare che l’immagine che ho di lui prenda a fuoco. Sai, lui ha i capelli rossi, i paramenti che indossava (si celebrava la festa di sant’Andrea) erano rossi, se rivelo il suo nome anche la sua faccia diventa rossa, e… l’immagine che ho di lui prende a fuoco.

Ma va’ là che te lo dico! È don Matteo Monfrinotti, giovane e aulente fiore all’occhiello del clero eugubino. No, non scherzo affatto: è stato un piacere ascoltarlo; nelle prossime sere della novena tornerò a lasciarmi sorprendere da lui ogni volta che potrò. Dio mio, dopo tante predicucce improntate all’ultimo momento! Quelle che per tanto tempo anch’io ho avuto l’infame coraggio di pronunciare, fidando in quella buona padronanza della lingua italiana che mi permette di rimediare al vuoto dei contenuti con qualche gioco pirotecnico verbale.

Don Matteo è laureato in Lettere classiche e dottore in Teologia e Scienze patristiche. Lippis tonsoribusque notum est che la Patristica è la produzione teologica del I millennio dell’era cristiana, a partire dal III secolo; ma non tutti i guerci e i barbieri sanno con quanto appeal, con quanta precisione e sobrietà il nostro giovane confratello parla della Madonna, usando quasi soltanto parole attinte a Ireneo o ad Agostino.

Evidentemente oggi a Roma le Università pontificie fanno le cose sul serio. Ne ho avuto coscienza diretta assistendo qualche tempo fa alla discussione della tesi di laurea di don Luca Lepri su De Lubac. Quattrocento pagine dense e lucide, recentemente pubblicate da Cittadella. L’hanno torchiato, il prete mingherlino, ben benino, a lungo, l’hanno strizzato, i suoi relatori, come facevano una volta con i panni che lavavano, ai bordi della Saonda o dell’Assino, le nostre antiche, robuste lavandare.

Non era così ai miei tempi. Alla Lateranense insegnava patristica un agostiniano dottissimo, padre Daniel Stiernon, ma la Patristica non contava nulla; contava solo san Tommaso, trasformato e umiliato (da teologo potente a teologo prepotente) a opera di un certo tomismo d’accatto.

Due preti giovani e modernissimi che sono tali perché hanno recuperato parti davvero notevoli del nostro passato. E io, francamente, sono stufo delle continue “scoperte” in fatto di Padri e soprattutto di Bibbia. Quel biblista tedesco ha “dimostrano” che l’asina di Balaam parlava tre lingue. Quell’altro, tedesco anche lui, si dice sicuro che il buon ladrone ci aveva i calli alle ginocchia.

Aux sources! – “Alle fonti!” fu il motto con il quale cristiani veri e disposti a pagare di persona invocarono a metà del secolo XX il rinnovamento della Chiesa. Sources, sorgenti, non rigagnoli.

]]>
Incontrare Gesù https://www.lavoce.it/incontrare-gesu/ Thu, 15 Oct 2015 14:06:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43900 Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)
Don Romano Piccinelli e mons. Cancian (immagine di repertorio)

Giovedì 8 ottobre sono iniziati gli incontri della Scuola di formazione teologica “Cesare Pagani” presso il seminario diocesano. Il direttore don Romano Piccinelli nella relazione introduttiva ha citato il biblista Romano Penna e il suo riferimento ai valori cristiani che rappresentano le radici cristiane dell’Europa, valori imprescindibili e fondanti comuni anche alla società civile. Ricorda inoltre l’invito di Papa Francesco a fare attenzione a non essere “cristiani senza Cristo”, a tenere quindi presenti i valori cristiani nella vita quotidiana. “La Scuola è un’ottima occasione formativa – continua il direttore -, che ci offre l’opportunità di prendere consapevolezza di essere cristiani per ‘rendere ragione della speranza che è in noi’ a noi stessi, nella misura in cui la formazione ricevuta abbia bisogno di supporti, ma anche a chi incontriamo nel nostro cammino, secondo dinamiche di attenzione all’altro e di condivisione, testimoniando ciò che per grazia abbiamo ricevuto. Non solo quindi pensiero e teoretica, ma testimonianza attiva: su questa strada delineata dal Pontefice è necessario camminare con consapevolezza e adeguata formazione come religiosi, laici e persone attive a vario livello in parrocchia e diocesi, ma anche come semplici credenti”.

Rimodulato varie volte nel corso del tempo, il cosiddetto quarto anno, ovvero l’occasione in più rivolta a chi ha già frequentato il triennio di base, è strutturato per questo 2015-2016 come un programma unitario su temi di attualità ritenuti meritevoli di approfondimento e di riflessione, in collaborazione con i vari Uffici diocesani. Il programma, in linea con gli orientamenti pastorali Cei Educare alla vita buona del Vangelo, si articola su otto incontri con cadenza mensile tenuti da relatori di eccellenza e ritmati da tre elementi guida: il Giubileo straordinario della Misericordia, l’esortazione apostolica Evangelii gaudium e l’enciclica Laudato si’. Saranno affrontati nello specifico il tema della misericordia, dell’ecologia integrale e dell’“ideologia gender” con evidente interesse del mondo religioso e laico. Prossimo appuntamento della Scuola di formazione teologica è previsto per giovedì 22 ottobre alle ore 21 presso la stessa sede. Il prof. Romano Piccinelli terrà la lezione di teologia dogmatica “Incontrare Gesù Cristo nella Chiesa” per il triennio di base. Il prof. Francesco Testaferri guiderà una riflessione su “Misericordia: la via da un umanesimo fallito a un umanesimo ‘nuovo’ e oltre” per coloro che frequentano il quarto anno.

]]>
Teologie e teologhe https://www.lavoce.it/teologie-e-teologhe/ Wed, 23 Sep 2015 13:20:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43437 donna-chiesaCristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane e docente di Teologia patristica alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, non si scompone di fronte alle parole pronunciate il 16 settembre all’udienza generale da Papa Francesco: “Esistono molti luoghi comuni, a volte persino offensivi, sulla donna tentatrice che ispira al male. Invece c’è spazio per una teologia della donna che sia all’altezza” della benedizione di Dio “per lei e per la generazione!”, ha esclamato il Pontefice richiamando il racconto della Genesi sul peccato originale.

Che effetto le fanno le parole del Papa?

“Come altre volte, un effetto duplice: un po’ di soddisfazione per l’intenzione, e non poco disappunto per la formulazione. È come se nella Chiesa ci si stesse risvegliando da un grande sonno: non è ormai possibile pensare l’orizzonte cristiano senza le donne e senza nominarle, e questa è un’ottima cosa. Ma durante il lungo sonno sono successe tante cose… È tutta la teologia, nelle sue molteplici forme, che va affrontata da tanti punti di vista e da tanti soggetti. In questa espressione sembra invece che ne vada solo aggiunta una parte, ‘della donna’. Come se ci fosse ‘tutta’ la teologia e poi un’altra, vista al femminile”.

Quindi, non ha senso parlare di teologia “al femminile”?

“Oggi occorre piuttosto attraversare le teologie, che sono ormai anche ‘plurali’, con la domanda della differenza che può essere anche, ma non solo, di genere. Ma superata è soprattutto l’idea di una filosofia/teologia ‘perenne’, al di sopra della storia, delle differenze, delle culture e dei soggetti. Le prospettive che incrociano la vita delle donne si potrebbero piuttosto dire definitivamente provvisorie: nel senso che stanno tra l’affermazione delle parzialità e il loro convergere verso la comunione. Le formulazioni ‘femminile/femminista, differenza e genere’ del resto non sono identiche e ognuna richiederebbe una spiegazione: si possono tuttavia raccogliere proprio con questo denominatore comune”.

Molte donne si dedicano oggi allo studio e all’insegnamento della teologia: un ruolo adeguatamente riconosciuto?

“Il Coordinamento teologhe italiane raccoglie circa 130 socie ma non è un albo professionale, bensì una rete di solidarietà e ricerca, catalizzatore di un contesto più largo. Se si osserva la situazione dal punto di vista dei numeri, quella femminile è ancora decisamente una minoranza, su cui pesa sia la difficoltà pratica di accesso all’intero lunghissimo iter di formazione, sia l’assoluta precarietà economica della docenza. Tuttavia c’è molto fermento e in diversi contesti, sia accademici che formativi, sono tangibili la stima reciproca e l’amicizia fra colleghi, uomini e donne”.

Più in generale, quale spazio viene oggi riconosciuto alla donna all’interno della comunità ecclesiale?

“Ogni tanto si parla ironicamente di uno sciopero delle donne nella Chiesa: si capisce immediatamente che il sistema si bloccherebbe, con liturgie disertate, catechesi abbandonata, vari servizi non espletati, per limitarsi a quello che avviene fuori dalle mura domestiche. Non si può però non evidenziare che, pur maggioranza assoluta nella comunità, raramente ricoprono ruoli decisionali. E non potrebbe essere altrimenti, dato lo stato ancora decisamente clericale della Chiesa”.

Che cosa chiedono oggi le teologhe italiane?

“Tutto! Cura della ‘casa comune’ [ecologia, ndr ] e disarmo, una Chiesa all’altezza delle sfide di un mondo globalizzato, senza recinti. Una comunità ecclesiale che vegli sui processi sinodali, curando la trasparenza e la franchezza, apprezzando la ricerca critica e la passione poetica. All’interno di queste coordinate si potrà meglio collocare anche un’antropologia capace di integrare le differenza, senza esclusioni di sorta, e una ecclesiologia pronta a rivedere molte cose, compresi i pesi ministeriali”.

 

]]>
Fucina di cultura e di futuro https://www.lavoce.it/giorno-che-non-voleva-finire/ Thu, 03 Sep 2015 10:09:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43008 Benedetto XVI a Assisi il 27 ottobre 2011
Benedetto XVI a Assisi il 27 ottobre 2011

Dopo la pausa estiva, riprendono le attività dell’Istituto teologico di Assisi (Ita). Il calendario ecclesiale particolarmente ricco di eventi, come Firenze 2015 e lo straordinario Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco, offre stimoli ulteriori perché, presso questa istituzione pregevole della nostra regione ecclesiastica, siano prodotte una riflessione e una mediazione culturale utili alla Chiesa e a quanti sono inseriti nel mondo della cultura.

Come sempre, anche nel prossimo anno accademico vi saranno corsi introduttivi e specifici sulla Sacra Scrittura, la Teologia fondamentale e la dogmatica, la morale, il Diritto, la Storia della Chiesa e le scienze umane.

Una novità particolare, fra le altre, merita di essere evidenziata. Dopo essere stata per molti anni materia di insegnamento nella specializzazione in Teologia fondamentale, riservata solo a coloro che procedevano nel percorso accademico, ora la Teologia delle religioni diviene disciplina curricolare per tutti gli iscritti all’istituto.

È questo il segno di una sensibilità al tema attualissimo delle religioni e alle problematiche connesse del dialogo, della convivenza e della multiculturalità, alle quali la chiesa non si sottrae.

Nello scenario di Assisi, cittadina sempre suggestiva, ma particolarmente importante per la naturale associazione al tema delle religioni dopo i tre grandi eventi inaugurati con la memorabile preghiera del 1986 voluta da Giovanni Paolo II, questa sensibilità non può mancare.

La Chiesa sa quanto importante sia la cultura per far fronte allo scollamento della “società liquida” attuale, e sa altrettanto bene che servono riflessioni speciali per dipanare alcuni nodi dell’attuale situazione mondiale. Pare strano, ma proprio dentro le aule, più che nei Parlamenti; proprio dentro i centri culturali e di studio, più che nella diplomazia o attraverso il mercato, si sedimenta il futuro della convivenza umana.

In un tempo in cui tutto sembra rientrare nell’ottica della tecnologia e del suo progresso, stagione in cui l’uomo, forte delle strumentazioni che apparentemente agevolano la sua vita, inconsapevolmente ne è addirittura schiavo, la Chiesa ha chiara la sfida culturale e di nuovo umanesimo, e tiene alta l’attenzione sulla necessità della preparazione e dell’aggiornamento permanente.

Proprio per rispondere organicamente a questa che è la vera sfida dell’oggi, l’Istituto teologico dà vita a partire da quest’anno a un’iniziativa nuova: su richiesta della Commissione presbiteriale regionale, approvata dalla Conferenza episcopale, viene proposto un corso di aggiornamento indirizzato particolarmente a presbiteri e diaconi umbri, ma aperto a tutti coloro che desiderano partecipare.

Le lezioni costituiscono un approccio multidisciplinare al tema della misericordia, vista la sua attualità ecclesiale. Appannaggio biblico antico e neotestamentario saranno preparati da una riflessione d’apertura e faranno seguire solide valutazioni teologiche. È un modo interessante di stare al passo con l’agenda della Chiesa, ma anche di promuovere e produrre cultura nella forma propria dell’istituzione accademica.

Come in tutti gli anni, coloro che avvertono il bisogno di approfondire le proprie conoscenze di fede o sentono lo stimolo di ampliare le proprie conoscenze, ricevendo aggiornamenti interessanti, possono trovare nella varietà delle proposte di corsi una risposta senz’altro adeguata. Fra tante altre possibilità esiste anche quella di iscriversi come liberi uditori a singoli corsi per un “assaggio” che non si rivelerà infruttuoso.

A chiusura di questa riflessione nella quale si è tornati più volte a ripetere l’importanza della formazione e della cultura per vivere nell’attuale e problematica stagione post-moderna, solo un richiamo alle due specializzazioni offerte dall’Ita.

La prima concerne la Teologia fondamentale. Nata dopo Assisi ’86, questa specializzazione ha maturato un’identità propria e propone – in parallelo a riflessioni sulle religioni, il dialogo, l’ecumenismo, la post-modernità – corsi strutturati per approfondire la conoscenza dei fondamenti del cristianesimo. Infatti chi desidera aprirsi al “diverso” e alle nuove sfide può farlo a partire da una chiara autocoscienza e avendo precisi punti fermi. Lo studio di Fede, Rivelazione, Tradizione, Scrittura e Magistero sono così un punto di forza di questa area accademica.

La seconda specializzazione che trova in Assisi il suo luogo naturale riguarda gli studi francescani. Fonti, strumenti, storia, teologia francescana sono fatti materia di approfondimento e studio soprattutto per coloro che intendono approfondire la conoscenza di questo specialissimo carisma.

L’augurio è che sempre più persone, conoscendo l’Istituto teologico e l’alto profilo culturale delle attività che vi si svolgono, possano avvalersi con profitto di corsi, aggiornamenti e fruire di altri eventi culturali.

 

]]>
Il card. Antonelli pubblica un libro per rendere più visibile l’Invisibile https://www.lavoce.it/il-card-antonelli-pubblica-un-libro-per-rendere-piu-visibile-linvisibile/ Thu, 09 Jul 2015 09:01:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38049 Il cardinale Ennio Antonelli
Il cardinale Ennio Antonelli

“Evangelizzare è più che istruire; è vivere una storia di relazioni con Dio e con gli uomini, una storia di azioni e parole, di gioie e sofferenze”. Parola del card. Ennio Antonelli , di cui è appena uscito il libro Visibilità dell’Invisibile. Dio con noi nella storia (ed. Ares). Lo abbiamo intervistato.

Tra Dio e l’uomo – come emerge dal libro – c’è un’infinita differenza. Allora come possono incontrarsi?

“L’infinita differenza non esclude la somiglianza. Le creature, specialmente l’uomo e il suo linguaggio, possono veicolare un riflesso di Dio, anche se debole e imperfetto.

Noi comunichiamo reciprocamente i nostri mondi interiori attraverso segni sensibili in un processo di auto-testimonianza, interpretazione e fiduciosa adesione.

Anche Dio si esprime mediante una storia di eventi e parole, complementari tra loro, che ha al centro Gesù di Nazareth, uomo concreto, ma straordinario, incomparabile.

Nella sua personalità singolarissima si compongono armoniosamente qualità antinomiche, che di solito non si trovano insieme in una sola persona. La singolarità paradossale di quest’uomo lascia trasparire la presenza e l’amore di Dio”.

Quali paradossi della figura di Gesù considera più significativi per costruire un nuovo umanesimo?

“Gesù vive, muore e risorge per una sola causa: la causa del regno di Dio, che è anche la causa dell’Uomo e della sua salvezza integrale. Cristo è santo, perfettamente unito al Padre nella preghiera e nell’obbedienza alla Sua volontà; nello stesso tempo è amico dei peccatori, pieno di misericordia verso di loro, fino a prendere su di sé il peso tremendo di tutti i peccati.

È libero e distaccato nei confronti delle realtà terrene e, nello stesso tempo, è impegnato a purificarle e valorizzarle, specie il matrimonio e la famiglia, il lavoro e l’economia.

Lotta contro la sofferenza e, nello stesso tempo, l’assume in prima persona, per renderla preziosa. Parla e agisce con autorità assoluta e, nello stesso tempo, si pone a servizio con totale dedizione.

Muore sulla croce come abbandonato da Dio e rifiutato dagli uomini, ma risorge il terzo giorno come Signore e Salvatore, che apre a tutti un futuro pieno di speranza nella storia e nell’eternità”.

Da Piero della Francesca a Raffaello a Caravaggio, da Van Gogh a Cézanne: qual è il messaggio delle immagini scelte a corredo dell’opera?

“Con una varietà di linguaggi si espone la stessa visione teologica. Nel corso della trattazione, segnalo a più riprese la complementarietà – per l’esperienza religiosa – dei due linguaggi fondamentali, quello simbolico e quello concettuale.

Il primo, intuitivo e affettivo, prevale nella preghiera e nella testimonianza, come del resto nelle relazioni interpersonali, nella poesia e nell’arte. Il secondo, preciso e riflesso, prevale nella teologia scientifica, come del resto nel sapere critico in genere”.

 

]]>
In principio era il Logos https://www.lavoce.it/in-principio-era-il-logos/ Thu, 02 Jul 2015 10:29:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37156 Il san Tommaso di Caravaggio
Il san Tommaso di Caravaggio

Il volume Il logos della fede: tra ragione, rivelazione e linguaggio di padre Maksym Adam Kopiec (ed. Antonianum, 2014) è scritto per far riflettere sulle ragioni del credere e, laddove c’è bisogno, per far riscoprire queste ragioni, nella sequela dell’apostolo Pietro che, rivolgendosi a un gruppo cristiano minoritario in un ambiente pagano, ostile, esortava a essere “sempre pronti a rendere ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,14-17).

A partire da Tommaso nel Cenacolo, gli uomini si sono sempre interrogati sul rapporto tra fede e ragione, e padre Kopiec ha voluto offrire un suo contributo a questa riflessione.

Non a caso la copertina del libro riporta il dipinto del Caravaggio in cui si evidenzia come l’atto di fede di Tommaso abbia avuto bisogno del supporto del “toccare con mano” e come Gesù abbia soddisfatto e colmato questa sua “esigenza”.

Riflettere e riscoprire le ragioni che sottostanno all’atto di fede è quindi un passaggio essenziale.

Il testo è un libro di studio scientifico, di Teologia fondamentale, quella teologia che sottende a tutte le altre teologie, avendo come principale argomento di studio la divina rivelazione e la sua credibilità.

Mentre in tanta parte del sentire comune la fede viene identificata con una forma di sentimentalismo, identificata come “emozione” soggettiva, l’autore di questo testo mette in risalto come la “ragione”, oggi sempre più identificata come “ragione scientifica”, cioè matematica, non copra tutto lo spettro della “ragione”.

L’atto di fede pertanto non è un atto “irrazionale”. Ma qual è il tipo di ragione che sta dietro l’atto di fede? È una ragione di tipo simbolico. Laddove per simbolo si deve intendere ciò che attraverso la sua presenza rende presente l’invisibile. Mentre la ragione scientifica attraverso una equazione matematica: A = B, fa sì che B indichi come è A (basta pensare all’equazione: acqua = H2O) la ragione simbolica non fa vedere ciò di cui è rappresentanza ma vi rimanda come il significante richiama il suo significato.

E non è che questo tipo di conoscenza non abbia la sua validità. Lo sperimentiamo nel vivere quotidiano: un esempio lo abbiamo nel mazzo di fiori o nel regalo con cui diciamo il nostro amore a qualcuno; l’amore invisibile è reso presente dal segno (mazzo di fiori o regalo). Si tratta allora di imparare a leggere i segni del Dio invisibile, di imparare a riconoscere il linguaggio di Dio.

Va precisato che Dio non è l’oggetto di studio della teologia, bensì ne è il soggetto stesso. È Lui il protagonista; è grazie alla Sua rivelazione che possiamo parlare di Lui. Egli infatti in primo luogo è Parola, come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “In principio era il Logos” e questa definizione ci aiuta anche a percepire meglio il mistero trinitario: Dio Padre è il “Parlante”; Gesù il Figlio rivelato è la Parola detta in persona, e lo Spirito santo è lo stesso “Atto del parlare”, la comunicazione.

Dio pertanto lo incontriamo nella sua Parola, nei segni che Lui ci dà e Lo rendono visibile. A partire dalla creazione, prima manifestazione – anch’essa parola – di Dio, possiamo dire che l’atto di fede si compie dentro la storia, in tempi e situazioni precise, concrete. La Rivelazione si compie, poi, in maniera piena nell’evento dell’Incarnazione nella quale viene offerta all’uomo la Verità in persona.

Essa può essere accolta con la fede, che implica la ragione nella sua capacità di cogliere nella parola-evento il riferimento che la sottende. Tutto ciò che ci avvolge è linguaggio. Veniamo dal linguaggio, siamo immersi nel linguaggio, esso è come un orizzonte che ci avvolge. E il linguaggio è un significante che rimanda a un significato. Questa è la ragionevolezza della fede.

Il testo è formato da sei capitoli. Il primo capitolo è un excursus attraverso la cultura contemporanea. Offre una ricognizione di aspetti fondamentali della stessa: il fenomeno dell’ateismo e i diversi modi del non credere; il nichilismo, forma estrema del non credere, negazione della verità universale e trascendente; il neo-fideismo e la questione etica.

Il secondo entra dentro la natura razionale dell’atto di fede.

Il terzo, cuore del testo, è una penetrazione della ragione del credere fondata sulla auto-comunicazione di Dio. È in questa parte del testo che si parla dell’impossibilità dell’uomo di avere una visione immediata di Dio, e quindi di come la Sua manifestazione avvenga attraverso simboli.

“Questa “immediatezza mediata” della Rivelazione è offerta sia attraverso la creazione, sia attraverso la storia particolare in eventi, parole, gesti, scritti, riti, e persone. Essi “alludono a un senso salvifico, svelato e insieme nascosto, in essi presenti, che non è il frutto di una produzione della mente” (pag. 142).

Il capitolo quarto è una ricognizione della rivelazione del Logos nelle religioni e nell’esperienza religiosa.

Il quinto capitolo è un approfondimento del tema del linguaggio fino alle moderne teorie linguistiche. E qui si mostra come il linguaggio non si esaurisca nella funzione descrittiva ma si completi nella funzione simbolica.

Il sesto e ultimo capitolo passa in rassegna le seguenti tematiche: la Rivelazione come fondamento del linguaggio teologico; la ripresa dell’analogia e la sua attualità; il linguaggio teologico e l’ermeneutica; il linguaggio teologico e la testimonianza.

È un testo solo per iniziati? Credo proprio di no. È scritto in modo facile, con una possibilità di comprensione alta e, starei per dire, alla portata di tutti. Denota un possesso eccezionale della lingua italiana da parte di uno straniero (ma è nota la facilità degli orientali con le lingue). Un’opera pregevole per un serio approfondimento delle ragioni per credere.

 

Dalla Polonia a Terni

Padre Maksym Adam Kopiec, ofm, nato in Polonia, a Cieszyn, nel 1971, è l’autore volume Il logos della fede: tra ragione, rivelazione e linguaggio, edizioni Antonianum, 2014. Dal 2005 è docente aggiunto presso la pontificia università Antonianum di Roma. Nel 2006 ha insegnato per un semestre presso l’Istituto biblico francescano di Gerusalemme, e nel 2008 ha condotto un semestre di ricerca scientifica presso l’Università di Oxford. Ricopre attualmente l’incarico di vice direttore della rivista Antonianum. Da alcuni anni presta servizio, nei giorni festivi, nella parrocchia di Santa Maria Regina a Terni.

 

]]>
La famiglia tra le righe dei libri https://www.lavoce.it/la-famiglia-tra-le-righe-dei-libri/ Fri, 15 May 2015 10:03:17 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33467 La presentazione del libro di Roberto Contu (al centro)
La presentazione del libro di Roberto Contu (al centro)

Nella famiglia si impara a comunicare e non lo si fa solo con le parole ma anche con i sentimenti, e con una particolare modalità: il dono, la gratuità. Lo ha ricordato Ernesto Rossi, presidente del Forum delle Famiglie dell’Umbria, aprendo gli “Incontri in libreria” che hanno ritmato la Settimana della comunicazione promosa dall’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali con la preziosa collaborazione delle suore Paoline, che hanno nel loro “carisma” proprio il servizio nel vasto campo della comunicazione, e nella cui libreria si sono tenuti gli incontri. Tre i libri presentati: Tutta colpa del Vangelo se i cristiani si scoprono femministi (Ed. Cittadella) di Simona Segoloni, Caro prete questa sera ascolti tu (Ed. EDB) di Roberto Contu, Stravolti da Cristo (Ed. Paoline) di Emanuele Lombardini.

Tre titoli e tre temi che a prima vista non sembrano trattare il tema della famiglia ma così non è. A cominciare dal primo libro presentato, quello di Simona Segoloni, teologa, sposata e madre di 4 figli. Un testo problematico nel senso che parte dai problemi del nostro tempo che nascono da un modo di pensare la donna non evangelico. E lo dice, in molti modi e in ogni occasione (non ultimo la catechesi che sta facendo proprio sulla famiglia), lo stesso Papa Francesco. L’autrice ha sottolineato la tentazione di pensare che la situazione della donna sia un problema in quei paesi dai quali arrivano notizie di violenze indicibili su donne inermi, ma non si riflette su quanto anche nella nostra società le donne siano oggetto di discriminazioni, emarginazione, o risospinte in un ambito privatistico e in un ruolo solo materno. E non si riflette su quanto questo atteggiamento allontani le giovani donne dalla Chiesa. Parte da qui il libro, ma prosegue dedicando 70 delle 188 pagine a rileggere alla luce degli studi esegetici i testi biblici più spesso citati in riferimento alla donna, e non evita di affrontare temi caldi come il ruolo della donna e dell’uomo nella famiglia, la questione del gender e il ruolo che la Chiesa riconosce alle donne. Dal dialogo in libreria è emerso quanto il ripensare al ruolo e all’identità e dignità della donna secondo il Vangelo sia occasione preziosa per ricomprendere il messaggio di liberazione che Gesù porta nel mondo a ciascun essere umano. E quanto questo passaggio porti a ripensare la famiglia in termini di reciprocità tra marito e moglie in una relazione che nulla toglie di dignità e di completezza all’uomo e alla donna.

Il libro di Roberto Contu è un testo narrativo immaginando un giovane sposo che parla ad un giovane sacerdote e in questo dialogo le “parole” della vita quotidiana attraversano i due “mondi”. Libertà e responsabilità, affettività, maschile e femminile, sessualità, fecondità, fedeltà, lavoro e denaro, dolore, preghiera, tenerezza, ironia, sono altrettanti capitoli nei quali, ha detto mons. Carlo Rocchetta, fondatore della Casa della Tenerezza di cui fa parte anche Roberto con la moglie Flavia, si dipana una “teologia narrativa” in cui la vita quotidiana di una famiglia viene spiegata ad un giovane prete che prima ancora di essere tale è semplicemente uomo. Parliamo spesso su La Voce delle attività di personaggi come suor Roberta Vinerba e fra’ Alessandro Brustenghi, ma quale è la loro storia? Da dove “vengono”, quando e come è cominciata la loro avventura con Dio? Sorpresa: da giovani non erano affatto “casa e chiesa”. Anzi! La loro vocazione religiosa, insieme a quella di altre 16 persone, è raccontata da Emanuele Lombardini, giornalista che ha anche lavorato per Radio Tna e per le Acli di Terni. Storie dalle quali emerge un vissuto familiare che accompagna anche la scelta vocazionale.

Messa in Cattedrale

Domenica 17 maggio, alle ore 18, nella cattedrale di San Lorenzo a Perugia, mons. Elio Bromuri, direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali celebrerà la messa per la Giornata delle Comunicazioni sociali alla quale sono invitati a partecipare gli operatori della comunicazione e le famiglie, alle quali è dedicato il tema della giornata. In tutte le messe si prega per le intenzioni della giornata.

]]>
Dalla teologia della famiglia alla pastorale della famiglia https://www.lavoce.it/dalla-teologia-della-famiglia-alla-pastorale-della-famiglia/ Mon, 04 May 2015 16:14:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32581 Mons-Carlo-RocchettaFormare seminaristi e presbiteri all’accompagnamento di coppie consapevoli del sacramento delle nozze: è l’obiettivo che il centro familiare Casa della Tenerezza (con sede a Perugia nel complesso di Montemorcino) si è dato con l’appuntamento dell’1-3 maggio sul tema “Dalla teologia della famiglia alla pastorale della famiglia”, riservato a seminaristi e giovani preti intenzionati a porre una positiva attenzione alle problematiche dell’evangelizzazione della famiglia.

Mons. Carlo Rocchetta, teologo e moderatore del Centro, che gestisce assieme a una comunità di nove famiglie e due consacrate laiche, sta girando da mesi i seminari d’Italia proponendo questa iniziativa. “Sensibilizzando i presbiteri alle tematiche della coppia – spiega Rocchetta – gettiamo le basi per la Chiesa di domani, nella quale la famiglia avrà un ruolo fondamentale, e operiamo un’azione preventiva rispetto alle problematiche con cui la famiglia di oggi si trova a fare i conti”.

Il 1° maggio l’impronta sarà prettamente teologica, con la relazione introduttiva tenuta da don Rocchetta su “La famiglia: icona di Dio trinità di amore”. A seguire la relazione di una delle famiglie fondatrici del Centro, Roberto e Flavia Contu, su “La famiglia: piccola Chiesa nella grande Chiesa”. Il 2 maggio l’impronta sarà più marcatamente pastorale, con la partecipazione di mons. Renzo Bonetti, presidente della Fondazione “Famiglia dono grande”, che parlerà su “La pastorale familiare: dimensione irrinunciabile della missione della Chiesa”, seguita da una serie di testimonianze dei membri e collaboratori del Centro.

La giornata si concluderà con i gruppi di lavoro sugli ambiti di impegno del Centro, ovvero le coppie in difficoltà, i fidanzati, le giovani coppie, le famiglie, i separati e divorziati, con la relazione dei consulenti familiari Maria e Gigi Avanti su “La famiglia: prima comunità educante”. Il 3 maggio il card. Gualtiero Bassetti celebrerà la messa. Prima, la biblista Rosalba Manes parlerà de “La tenerezza di Dio nella Bibbia” e don Rocchetta su “La famiglia: comunità della tenerezza di Dio nella storia”, e in conclusione mons. Paolo Gentili, direttore della Ufficio Cei di pastorale familiare tratterà, con Giulia e Tommaso Cioncolini, le tematiche inerenti la famiglia attraverso il documento Educare alla vita buona del Vangelo.

Di seguito una video-intervista riassuntiva del convegno a don Carlo Rocchetta

]]>
Teologia e poesia https://www.lavoce.it/teologia-e-poesia/ Fri, 21 Nov 2014 13:20:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29116 Il poeta Mario Luzi
Il poeta Mario Luzi

Nel 2011 un coordinamento di amici e letterati, pieni di buona volontà e di passione letteraria e religiosa, con la presenza e l’appoggio del cardinale Giuseppe Betori di Firenze, avviò e organizzò il primo dei convegni nazionali sugli scrittori di ispirazione cristiana a Firenze e sulla scia dei convegni di scrittori cattolici che si tennero dagli anni Trenta fino agli anni Quaranta e Cinquanta, pensarono di dar loro continuità – sebbene con formule diverse e modalità letterarie diverse. Si pensò di guardare la realtà attuale e le sue inquiete esigenze, personali e generali, con l’occhio della letteratura, della poesia, dell’arte e fu scelto come tema: “Quando la letteratura entra nelle pieghe della vita e della storia dell’uomo” quando i criteri cioè della letteratura si evolvono e sono capaci di leggere i sentimenti più profondi del nostro tempo, tra apocalissi e utopie; e quando la letteratura interpella l’attesa di Dio oggi, tra spinte in avanti e tradizionalismi marcati. Negli anni successivi seguirono altri convegni con temi diversi. Nel 2012 nel cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II il tema fu: “Sfide culturali e letterarie in Italia a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II”. Nel 2013, tenendo presente in modo particolare la poesia, si è proposto il tema “Sulle tracce del Dio nascosto, quando i poeti si mettono in gioco”. Quest’anno, continuando sulla tematica della poesia e volendo in modo del tutto particolare ricordare il centenario della nascita di Mario Luzi, Alessandro Parronchi, don Divo Barsotti e Piero Bigongiari, si è proposto il titolo “La teologia della poesia”. Tema quanto mai affascinante, vasto se vogliamo anche generico, ma dentro il quale si vorrebbero leggere i versi dei suddetti poeti e di altri, come la poesia si accosta alla teologia, al Discorso su Dio, al Dialogo con Dio, nella evoluzione della vita e della storia dell’uomo. Pur nella varietà dei costumi e delle culture può suscitare particolare interesse quanto già scriveva Boccaccio nella sua Vita di Dante: “Dico che la teologia e la poesia quasi una cosa si possono dire, dove uno medesimo sia il suggetto; anzi dico di più: che la teologia niuna altra cosa è che una poesia di Dio”. Boccaccio scriveva intorno al 1350 e allora la cultura, la teologia, la filosofia avevano una struttura ben definita dentro le Summe, in arte o in filosofia, proprio di Dante e di San Tommaso d’Aquino.

Oggi – e non da ora cioè dal secolo Ventunesimo o Ventesimo, ma già dal Settecento e via via negli anni più vicini a noi – tale equazione è divenuta più problematica, più impegnativa, più drammatica, non perché l’uomo sia cambiato, bensì perché la storia nei ritmi del tempo, prende coscienza man mano di altri problemi e li sente propri o li vive in maniera più forte, più personale e meno distaccata. Un rapporto insomma – quello tra teologia e poesia – divenuto più inquieto in sede critica o creativa, tra saggisti e narratori e poeti. Se vogliamo esemplificare – brevissimamente – già negli anni successivi al Vaticano II, alla metà degli anni Settanta, una rivista prestigiosa come Concilium dedicava un numero speciale a Teologia e letteratura (5/ 1976) con nomi di grande autorità intellettuale come padre Dominique Chenu, Jean Claude Renard, Jean Pierre Jossua e puntualizzando il rapporto tra poesia, fede e teologia in un intreccio tra mistero, sacro e fede. Ed è proprio dagli anni Sessanta che il rapporto diviene ancora più altalenante nella poesia delle cose e dei fatti e dell’ermetismo di un poeta come Luzi che rincorre man mano il simbolismo e una librazione morale che è come assenza sfuggente e meta-fisica fino alla contemplazione e un canto dell’anima in Frasi e incisi di un canto salutare o in Via Crucis.

Il convegno di Perugia intende entrare nelle parole, nei versi e nel cuore di diversi poeti che vogliono e intendono dialogare con Dio e in un certo senso, calare nel movimento della vita di questo uomo di oggi la staticità della teologia nella sua infinita ed eterna onnipotenza, dalle cui mani è scaturito tutto ciò che esiste.

 

Il programma

Il convegno, aperto a tutti, si tiene dal 21 al 23 novembre nella sala del Dottorato della Curia arcivescovile di Perugia (il 21, a partire dalle ore 15) e alla sala dei Notari (il 22 novembre a partire dalle ore 10). Il 23 novembre alle ore 9 messa celebrata dall’arcivescovo ausiliario mons. Paolo Giulietti. Venerdì 21 alle ore 15 dopo i saluti di mons. Paolo Giulietti, dell’assessore Teresa Severini, di Mario Tosti, Maurizio Tarantino, Giorgio Tabanelli e di don Vincenzo Arnone, relazioni di Salvatore Ritrovato, Giorgio Tabanelli, Gianni Mussini, Gianfranco Lauretano, Paolo Iacuzzi, Floriana Calippi. Proiezione documenti audiovisivi: i poeti Luzi, Parronchi e Bigongiari. Interventi.

Il 22 alle ore 10 alla sala dei Notari, saluto del card. Gualtiero Bassetti “La teologia della poesia nel secondo Novecento”, seguiranno interventi di Daniele Piccini, Silvia Chessa, Donatella Bisutti, don Vincenzo Arnone, Carlo De Blase. Proiezione documenti audiovisivi: don Divo Barsotti. Interventi. Ore 15, sala Dottorato curia arcivescovile, tavola rotonda coordina don Arnone. Melo Freni, Paola Severini Melograni, Francesco Diego Tosto, Luca Nannipieri. Interventi. Ore 17.30 tavola rotonda. Seguirà conversazione tra M. Tarantino e Giorgio Tabanelli. Interventi di Donatella Bisutti, Daniele Piccini e Salvatore Ritrovato. Ore 19.30 cena. Ore 21 Concerto “Parole e musica”.

]]>
A Perugia il Convegno nazionale degli scrittori cristiani: “La teologia della poesia” https://www.lavoce.it/a-perugia-il-convegno-nazionale-degli-scrittori-cristiani-la-teologia-della-poesia/ Fri, 07 Nov 2014 12:37:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28883 Il poeta Clemente Rebora
Il poeta Clemente Rebora

Dal 21 al 23 novembre si svolgerà a Perugia il Convegno nazionale di scrittori di ispirazione cristiana.

Questo di Perugia è il quarto convegno dopo i primi tre svoltisi a Firenze che hanno visto dal 2011 al 2013 vari scrittori riflettere, discutere e analizzare tematiche relative al rapporto tra letteratura e fede cristiana.

Il tema dell’assise è “La teologia della poesia”, come la poesia cioè si accosta alla teo-logia, al Discorso su Dio nella evoluzione della vita e della storia dell’uomo. Pur nella varietà dei costumi e delle culture, può suscitare particolare interesse quanto già diceva Boccaccio nella sua Vita di Dante “Dico che la teologia e la poesia quasi una cosa si possono dire, dove uno medesimo sia il suggetto; anzi dico più: che la teologia niuna altra cosa è che una poesia di Dio”: uno stretto rapporto e intreccio tra il Divino e l’umano nelle sue espressione più rette e originali.

Il convegno prevede una relazione introduttiva e generale sulla poesia del secondo Novecento: un periodo storico di grande evoluzione, innovazione, inquietudine; il poeta come si colloca? come si fa portavoce? Nei due giorni successivi si aprono relazioni su singoli poeti di ispirazione cristiana del secondo Novecento come Mario Luzi, Alessandro Parronchi, Clemente Rebora, Carlo Betocchi, Divo Barsotti, Giovanni Testori e una Tavola rotonda su “I diritti della poesia, la poesia di Bartolo Cattafi, la poesia in Bufalino, Pirandello e la ricaduta poetica e artistica nella vita pastorale di un prete-poeta”. È previsto anche un concerto durante il quale verranno declamate poesie dei suddetti poeti.

Si tratta di una tre giorni in cui, in generale, non prevale la spettacolarità, ma la riflessione e l’analisi che sono all’origine della “con-versione poetica ed esistenziale”. Tra i vari relatori (che provengono dalle università di Milano, Urbino, Perugia, Pavia, Bologna) segnaliamo Davide Rondoni, Salvatore Ritrovato, Daniele Piccini, Melo Freni, Paolo Iacuzzi, Paola Severini Melograni, Donatella Bisutti, Gianni Mussini, Luca Nannipieri e altri. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con il Progetto culturale della Cei, l’arcidiocesi di Perugia, il Comune di Perugia. La segreteria del convegno è composta da Letizia La Monica, Giorgio Tabanelli, Maurizio Tarantino e don Vincenzo Arnone.

]]>
Chi è davvero figlio di Abramo, e perché? https://www.lavoce.it/chi-e-davvero-figlio-di-abramo-e-perche/ Thu, 30 Oct 2014 14:06:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28767 “Il viaggio di Abramo” di Jozsef Molnar
“Il viaggio di Abramo” di Jozsef Molnar

“La paternità di Abramo come presupposto del dialogo tra monoteismi”: con questo intervento intendiamo partire dall’espressione “figlio/figli di Abramo” per trattare della speciale paternità del Patriarca. In quale senso tale espressione e tale concetto viene usato nei testi delle Scritture ebraiche e cristiane, e cosa ne discende per la Cristologia e il dialogo con la religione ebraica?

Paternità umana

La paternità di Abramo può essere vista anzitutto sul piano dell’esperienza umana. In questo modo, si sottolineano immediatamente le caratteristiche che fanno di lui un modello di vita piena, “icona e testimone di profonda umanità”.

Abramo poi è anche il primo essere umano – nel racconto di Genesi – a dialogare con la propria moglie. Nella tradizione giudaica, si mette in rilievo proprio quell’apprezzamento di Abram a Sarài [o Sara, ndr], che ogni donna vorrebbe sentirsi dire dal proprio coniuge: “Tu sei una donna di aspetto avvenente” (Gen 12,11). Sarài, tra l’altro, secondo il racconto genesiaco, doveva avere ormai 65 anni (cfr. 17,17), eppure Abram la trova bellissima

Paternità spirituale

Abramo è il primo esempio di fede in Colui che sarà poi chiamato “il Dio di Abramo”, e infatti egli per primo nella Bibbia, è soggetto del verbo “credere”, nel senso di “affidarsi” a YHWH: “E Abramo credette YHWH” (Gen 15,6). Da Terach, un padre politeista iconoclasta – secondo l’interpretazione giudaica – nasce un figlio credente.

Ecco perché si può parlare di una speciale paternità di Abramo, che è tale proprio in rapporto alla fede. Abramo è modello, dunque “tipo” o, appunto, “padre” di ogni persona che abbia fede in Dio.

Paternità secondo la carne

Se Paolo ha particolarmente insistito sulla paternità spirituale, non si deve dimenticare che esiste un’altra dimensione della paternità di Abramo, relativa alla sua generatività fisica, ovvero, come scrive sempre Paolo “secondo la carne” (Rm 4,1).

Negli inni del Magnificat e del Benedictus, Gesù è presentato come “figlio di Abramo”. Essere figlia o figlio di Abramo (Lc 13,16; 19,9) costituisce una grande dignità. Dobbiamo aggiungere quanto Gesù dice ai suoi interlocutori di Gerusalemme, nel capitolo 8 del Vangelo secondo Giovanni: “So che siete discendenza di Abramo” (v. 37).

Gesù, dunque, usa l’espressione “figlio/a/i di Abramo” come la userà a suo riguardo l’evangelista Matteo. È a questo tipo di discendenza secondo la carne che Matteo si riferisce all’inizio del suo Vangelo, quando parla di Gesù, “il Messia, figlio di Davide, figlio di Abramo” (Mt 1,1).

I due piani, quello della paternità secondo la carne e quello della fede, però, non devono essere confusi, e non solo nel caso di Gesù. Pur non accettando tutto il ragionamento di J. L. Ska (“Abramo nel Nuovo Testamento”, su La Civiltà cattolica 3613), riteniamo che la sua conclusione possa essere accolta: “Abramo ha una doppia paternità: anzitutto è padre per la fede – dei circoncisi e dei non circoncisi – ed è padre del popolo ebreo secondo la carne. Le due paternità non si escludono, ma la paternità secondo la fede precede quella secondo la carne, quindi è più importante”.

Naturalmente, questa è l’impostazione cristiana, ma si ritrova anche nelle parole profetiche del Battista, che relativizza l’importanza del legame familiare con Abramo. Discendere da lui secondo la carne non è sufficiente, né perfino necessario (Mt 3,9; Lc 3,8).

Implicazioni per il dialogo

Essere “figli di Abramo secondo la fede” è ciò che permette il dialogo tra le tre religioni monoteistiche. Ma essere “figli di Abramo secondo la carne” – categoria che pertiene all’ebraismo – è un punto di differenza, di distinzione, che non può essere assimilato ad altri o svalutato.

Solo l’Israele di Dio – quello da cui viene anche Gesù secondo la carne –, solo il popolo ebraico di oggi, quello che si autocomprende a partire dalle sue Scritture sacre, può legittimamente rivendicare una speciale discendenza. Non dovrà vantarsene, ma si dovrà partire sempre da questo punto per riconoscere che questo popolo – secondo le Scritture che accomunano ebrei (la Bibbia ebraica) e cristiani (Nuovo Testamento) – è il popolo che Dio ha scelto.

Su questa appartenenza secondo la carne può far leva ogni rivendicazione della cosiddetta “terza ricerca” su Gesù. Una delle più evidenti accentuazioni di tale ricerca è proprio quella riguardante la sua ebraicità, ovvero la sottolineatura di questo aspetto, l’appartenenza etnica al popolo di Israele, tramite la discendenza da Abramo.

“Nessuna generazione cristiana – afferma Paolo Sacchi – può alterare il dato irrinunciabile della sua ebraicità, e Gesù, nel suo percorso storico, non ha mai inteso superare l’ambito religioso del suo ebraismo: non ha mai postulato qualche cosa che lo portasse al di là di esso”.

Tale discendenza di Gesù da Abramo secondo la carne però deve essere ulteriormente specificata. Nel Nuovo Testamento, infatti, si trova un’ulteriore precisazione, quando Paolo distingue tra “i figli della carne” e non più semplicemente quelli a cui abbiamo accennato sopra, i figli secondo la fede, bensì “i figli della promessa” (Rm 9,8). Su questo punto dobbiamo essere precisi.

Anzitutto, sappiamo dall’esperienza umana che essere genitori o figli solo in senso naturale, secondo il diritto naturale, non è mai sufficiente. Una madre può dimenticarsi dei propri figli (cfr. Is 49,15), e addirittura Abramo può dimenticarsi del suo popolo (Is 63,16). Allo stesso modo, i figli possono dimenticare di essere tali: è quanto accade se ci si allontana dal Padre (cfr. parabola del “figlio prodigo”).

In secondo luogo, riprendendo l’opposizione di Paolo (Rm 9,7-8) tra figli “della carne” e “della promessa”, si deve dire che alcune spiegazioni di questo testo non sono convincenti. Dire ad esempio, come scrive Sandro Penna, che “non basta discendere fisicamente da Abramo per essere considerati suoi veri figli”, ripropone semplicemente una opposizione vero/falso (qual è l’opposto di “vero”? “Meno” vero?) che non sembra essere presente nel pensiero di Paolo. Quando l’Apostolo parla di figli della carne o della promessa, presume che essi siano comunque davvero figli.

Non basta nemmeno dire – sempre con Penna – che “Ismaele, l’altro figlio di Abramo (il primo!), fu escluso dall’eredità delle benedizioni spirituali”. Il bravo esegeta, giustamente, deve ritoccare in seguito questa affermazione specificando che “ciò non significa che Ismaele sia totalmente escluso da ogni benedizione divina, poiché al contrario egli è destinatario di alcune di esse (cfr. Gen 17,20; 21,13.18) tanto che anche a lui viene assegnata una discendenza di 12 tribù (Gen 25,13-16)”. A leggere bene la storia di Abramo, tra l’altro, si vede che il problema non riguarda solo Ismaele: Abramo ebbe, oltre al primogenito Ismaele da Agar, e Isacco da Sara, anche Zimran, Ioksan, Medan, Madian, Isbak e Suach dalla seconda moglie Keturà (Gen 21,1-2). In totale, dunque, otto figli, dei quali uno solo, però, secondo Genesi 18,10, è il figlio della promessa: “Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio”.

Il paradosso

Quale teologia si potrà estrarre da una frase paolina o da testi simili che riguardano, come nella Lettera ai Galati 4,21-31, la contrapposizione tra i figli della donna libera, Agar, e quelli della schiava, nati, appunto, secondo la carne (il primo) e secondo la promessa (il secondo)?

Figli di Abramo lo si può essere al modo di coloro che vedono in lui un “padre dell’esperienza umana”; oppure come “figli nello spirito”, riconoscendo Abramo come padre nella fede, come lo sono i cristiani (e lo erano per Paolo i cristiani provenienti dai pagani); oppure “figli secondo la carne”, come lo è l’Israele popolo di Dio; oppure, ancora, “figli secondo la carne”, ma non nel senso della promessa, come lo sono i figli di Ismaele.

Davanti all’imperscrutabile volontà di un Dio che predilige i secondogeniti rispetto ai primogeniti e agli altri sei figli di Abramo, non si può stare che con una logica “paradossale”. Quella che porta, in ultima analisi, ad accettare che ogni figlio sia amato in modo differente, ma pur sempre amato, e che l’amore che il padre ha per l’altro fratello non possa essere rivendicato per sé, e nemmeno negato.

I figli della promessa, allora, quelli prediletti, non devono essere perseguitati perché sono tali, “prediletti” da Dio. È Paolo a dirlo, quando allude a un midrash relativo a Ismaele che, per il testo di Genesi 21,9, “scherzava” con Isacco; in realtà, nell’interpretazione rabbinica, gli lanciava frecce, o lo molestava (sessualmente). Non ci si può appropriare dell’amore che viene dato liberamente ad altri, ed è questo il presupposto di ogni dialogo tra fratelli.

]]>
La riforma “nella” Chiesa https://www.lavoce.it/la-riforma-nella-chiesa/ Fri, 10 Oct 2014 11:20:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28370 ita-assisi-sigismondiL’attività accademica dell’Istituto teologico di Assisi è stata inaugurata il 6 ottobre dalla lectio tenuta da mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno, già docente stabile di Teologia dogmatica presso il medesimo istituto, intitolata: “Linee emergenti dell’azione pastorale di Papa Francesco nel contesto della ‘riforma’ nella Chiesa”.

La prolusione, da un lato, ha richiamato l’attenzione verso alcune novità in atto nelle scelte pastorali della Chiesa contemporanea; dall’altra, ha inteso riflettere in modo calibrato e con ricchi spunti su un tema delicato e di costante interesse come per l’appunto quello della riforma nella Chiesa, prendendo le distanze da eccessi e sensazionalismi.

Pretendere di riassumere in poche battute le numerose idee espresse nella lectio o comunque rielaborare gli spunti in essa proposti è non solo difficile ma probabilmente anche improponibile, sia per la bellezza di quanto detto, sia per rispetto alla cristallina e pacata nettezza con cui i concetti si sono susseguiti l’un l’altro, creando un clima di viva attenzione e partecipazione appassionata. Preferiamo pertanto affidarci a poche suggestioni che, da una parte, desiderano fare tesoro di quanto i numerosi uditori hanno potuto ascoltare diffusamente, mentre dall’altra si intende offrire almeno in sintesi l’idea dell’orientamento generale della relazione.

La proposta del vescovo Sigismondi è stata sapientemente costruita articolando tre aspetti.

Il primo di questi, quello che potremmo dire corrisponde più da vicino alle “linee emergenti” accennate nella prima parte del titolo della conferenza, è stato calibrato riecheggiando, come una litania, l’espressione “serve una Chiesa che…”. Grazie a essa, mons. Sigismondi ha scandito nei suoi caratteri essenziali la prospettiva cara all’attuale Papa, Francesco, di una Chiesa in uscita, in assetto di missione, aperta, misericordiosa, pellegrina, configurata come un ospedale da campo. La ricca spigolatura di frasi ed espressioni citati sia dalle encicliche che dai discorsi papali ha intonato l’accordo di una proposta che vede la Chiesa sottrarsi alla tentazione del comodo e del conservatorismo, per riscoprirsi nella sua identità autentica di comunità invitata ad “esplorare le frontiere”, più che impegnata ossessivamente a crogiolarsi nei suoi “esperimenti di laboratorio”.

La seconda idea si è sviluppata naturalmente dalla prima. Infatti, dopo aver visto l’esigenza di una riforma intima nella Chiesa, mons. Sigismondi ha saputo magistralmente tracciare il confine che distanzia la vera dalla falsa riforma, citando e valorizzando particolarmente quattro linee-guida emergenti dall’opera del grande teologo francese Yves Congar, per il quale la vera riforma rispetta: 1) il primato della carità pastorale, 2) il dovere della comunione, 3) la pazienza dell’attesa, 4) il ritorno al principio di tradizione.

Dopo aver operato il fondamentale discernimento circa il modo autentico di attuare la perenne riforma nella Chiesa, la terza e ultima parte dell’intervento è stata arricchita di vari rimandi al magistero di Paolo VI, come anche ad alcune intuizioni di don Primo Mazzolari e alla recente Evangelii gaudium.

Grazie alla rete di questi riferimenti è stato possibile cogliere nella figura del profeta il vero riformatore. Il profeta che “sente con la Chiesa” è rapito dalla bellezza che intende testimoniare, vive un cammino autentico di santità e non si lascia irretire da tentazioni di comodo né limitare dall’imperativo del consenso, trovando nel nutrimento della Parola di Dio il vero respiro per il suo operare e predicare.

In conclusione, si può dire che l’attuale e viva necessità di cogliere la traiettoria per una riforma nella Chiesa – anziché parlare equivocamente di una riforma della Chiesa – è stata sapientemente profilata trovando solido ancoraggio nelle intuizioni di alcuni teologi del XX secolo, per arrivare infine a focalizzare nella sintesi della figura del profeta impegnato nella ricerca della santità l’identikit meglio confacente per inquadrare correttamente quale sia la direzione nella quale Papa Francesco intravede il giusto orientamento per la vita della Chiesa oggi, della quale egli cerca di farsi generoso e umile interprete.

]]>
Chiesa inclusiva, una questione di metodo https://www.lavoce.it/chiesa-inclusiva-una-questione-di-metodo/ Fri, 10 Oct 2014 11:17:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28368 einstein-lavagnaLa Evangelii gaudium di Papa Francesco continua a suscitare ricchezza e a stimolare ampie prospettive nella Chiesa italiana. Stavolta tocca da vicino il nostro territorio, ispirando la lettera pastorale che il card. Bassetti ha voluto rivolgere ai fedeli della diocesi di Perugia – Città della Pieve. La lettera, lucida e agile, sottolinea molti aspetti dell’enciclica, ognuno meritevole di approfondimento. Ma alcune pagine ci colpiscono in particolar modo, poiché sono un esempio emblematico della dimensione epistemologica e metodologica della teologia, al punto da renderla una disciplina profondamente duttile e creativa. Si tratta delle pagine dedicate a “Una pastorale inclusiva” (pp. 19-25), che riflettono sulla priorità dell’accoglienza come segno reale di conversione: vi è vera accoglienza dell’altro solo se non lo si giudica e se lo si avvicina con tenerezza. Questo permette alla Chiesa di essere una realtà non esclusiva bensì inclusiva, capace di fare spazio reale anche ai lontani. Ma per facilitare questo, Bassetti indica tre criteri pratici: 1) solo una reale e schietta accoglienza sostiene l’amore per la disciplina e per l’obbedienza, che fanno procedere nel cammino di conversione; 2) la premessa dell’appartenenza alla Chiesa è l’amore di Dio per noi, non l’osservazione di regole morali, 3) precetti e regole morali che nel passato funzionavano efficacemente, potrebbero oggi non essere troppo adatti, e dunque andare compresi sotto una diversa prospettiva. Su questo ultimo punto sono richiamate le parole di san Tommaso d’Aquino, quando sottolineava che i precetti dati da Cristo e dagli apostoli sono pochissimi, e di sant’Agostino, quando ricordava che i precetti aggiunti dopo vanno esigiti con moderazione.

Proprio questo terzo punto illumina un modo di concepire la teologia, di cui nel XX secolo fu maestro Lonergan e di cui oggi si discute nei centri di ricerca internazionali in cui si indaga il rapporto tra logica e teologia. Molto spesso infatti si pensa che la teologia sia una specie di mappa di verità già date, che spiegano definitivamente e indiscutibilmente ogni aspetto di Dio, dell’essere umano, della Chiesa e, così facendo, di fatto si esclude che si dia un’autentica ricerca e un’autentica innovazione in ambito teologico. La teologia sarebbe una specie di stantio manuale di istruzione, al quale andare a guardare solo quando qualcosa nell’apparato di fede non funziona, ma che tutto sommato si può lasciare tranquillamente da parte quando la pratica e l’esperienza ci hanno insegnato come ottenere il risultato anche senza tante speculazioni intellettuali.

La ricerca teologica è decisamente altro. Non solo è aperta continuamente verso nuovi e migliori risultati, come ogni disciplina, ma è costantemente in dialogo con il contesto culturale in cui si trova, ponendo e rispondendo a domande nuove e imparando nuovi linguaggi per esprimere ciò che i credenti hanno ricevuto e tramandato per venti secoli. Come è possibile che la teologia produca risultati nuovi se l’oggetto che studia è Dio, immutabile ed eterno? Questo è il dubbio che arrovella coloro che pretendono dalla Chiesa sempre le medesime espressioni e le medesime posizioni, altrimenti essa cederebbe alla modernità e all’errore (basti vedere tutte le difficoltà che si hanno nel recepire l’ultimo Concilio e le tante risacche di nostalgia che abitano il sentire ecclesiale). L’errore è di metodo. La teologia non “studia” Dio, perché non si può attingere a Dio in modo diretto. La teologia studia piuttosto gli eventi e le parole in cui Dio si è comunicato in persona (cfr. Dei Verbum, 2), analizza questi dati a partire dalle fonti tramite le quali ci sono pervenuti – Scrittura e Tradizione -, quindi li interpreta e cerca di discernere, fra le diverse possibili interpretazioni che si sono date lungo la storia della Chiesa, quali siano le posizioni autenticamente cristiane e quali invece siano da considerarsi superate (nel momento in cui cambia il contesto, anche il contenuto può necessitare di una riscrittura per non venire frainteso) o erronee (perché nell’interpretare il dato della fede il soggetto umano è coinvolto con le proprie risorse e le proprie miserie; può quindi produrre interpretazioni non autenticamente cristiane, che vanno abbandonate). Solo un teologo che sia immerso nell’esperienza cristiana può fare questa opera di discernimento, perché proprio l’esperienza cristiana vissuta è il luogo cui attingere per elaborare categorie significative, in base alle quali valutare la tradizione ricevuta e discernere in essa ciò che è da credere e ciò che è da abbandonare. A questo punto si può riscrivere e risistemare quanto ricevuto, sulla base di una quanto più possibile corretta interpretazione dei dati, e proporre ai credenti ciò che si deve credere. Si sarà elaborata così una dottrina capace di rendere ragione della propria tradizione, purificata in maniera sempre maggiore dalle inautenticità, ma anche innestata nell’oggi, perché il teologo che elabora categorie utili a discernere e a ridire la dottrina vive oggi e ragiona dentro il contesto culturale contemporaneo.

Colpisce la plausibilità di questa procedura dal punto di vista formale e metodologico, soprattutto se si pensa che – con le dovute e profonde differenze – la storia della logica e della scienza è arrivata a conclusioni analoghe. Per produrre dimostrazioni deduttive la scienza ha avuto per secoli come modello la matematica di Euclide, basata su cinque postulati. Uno di questi, quello delle rette parallele, venne negato, permettendo di inventare le geometrie non euclidee, che a loro volta fornirono gli strumenti alla teoria della relatività di Einstein. Da qui in poi la logica ha riflettuto ampiamente sui limiti intrinseci di un sistema, resi celebri da Gödel, e quindi anche sulle proprietà di un sistema di scienza, mostrando come con molte premesse (meglio, assiomi) si ottengono dimostrazioni forti ma molto restrittive, mentre, con poche premesse, il sistema è molto più duttile e capace di adattarsi. Da qui ancora i sistemi induttivi e le mille forme di logica che ormai pullulano il panorama filosofico attuale, insieme all’idea di potersi concentrare su pochi assunti fondamentali per modellare il sistema più efficace per il problema studiato. In particolare, il Novecento della scienza insegna quella grande lezione di umiltà e creatività che, dopo la rivoluzione relativistica e quantistica, ha portato a intraprendere nuove vie speculative e sperimentali e a dialogare in maniera più stretta con il sapere filosofico. È fondata allora la speranza di poter sempre trovare il modo che la Rivelazione sia un dono per tutti, e non per pochi, e che alla ragione spetti il compito di aprire le strade che coniughino misericordia e conversione: laddove si stenta a intravedere queste strade, vi è di certo una carenza di pensiero, come spesso lamentava Benedetto XVI. Ancora una volta, viene da pensare quanto il cristianesimo esalti la ragione, ritenendo che una fede capace di motivarsi e fondarsi sia una fede umanizzante, e soprattutto in grado di parlare cattolicamente, come l’etimo katholikos (universale) suggerisce chiaramente.

Flavia Marcacci – Simona Segoloni, docenti Ita

 

Perché questa nuova rubrica su La Voce

Con questo intervento di Flavia Marcacci e Simona Segoloni iniziamo una rubrica intitolata “Approfondimenti” che offriamo ai nostri lettori, quelli in particolare che desiderano andare a fondo su alcuni aspetti della vita di fede, tenendo conto della condizione del pluralismo culturale e religioso in cui oggi ci troviamo. Offriamo pertanto uno spazio a quei teologi, filosofi, storici, specialisti e cultori di discipline che abbiano attinenza in maniera diretta o indiretta con il pensare cristiano.

Coloro che lo riterranno utile, e forse anche necessario per arricchire l’esperienza religiosa della nostra comunità di credenti, e considerano opportuno il loro intervento per suscitare domande e reazioni da parte di non credenti, potranno avere uno spazio, sia pure entro i limiti di un settimanale. Flavia Marcacci e Simona Segoloni, a loro insaputa, si trovano a fare da apripista e in qualche modo anche da “cavia”, prestandosi a ulteriori commenti e riflessioni sul tema da loro trattato a partire da un’indicazione contenuta nella lettera pastorale del card. Gualtiero Bassetti Missione e conversione pastorale – Alla luce della Evangelii gaudium per l’avvio del processo di discernimento, purificazione e riforma.

I nostri lettori sanno bene che un pensiero forte e autorevole è presente già da molti anni, in ogni numero del nostro settimanale, scritto dai nostri Vescovi, non solo nelle pagine gestite dalle singole diocesi secondo le occasioni legate alla vita delle loro comunità, ma in una rubrica fissa nella quale a turno hanno l’opportunità di inviare un messaggio al popolo di Dio e a tutta la comunità regionale. Questo spazio dona a La Voce un supplemento di autorevolezza e una carica di incisività, come spesso ci chiedono i lettori.

L’aggiunta in una pagina di riflessioni offerte da teologi, maestri e dottori, soprattutto coloro che insegnano nelle nostre scuole di formazione teologica, si pone su un livello diverso, in qualche modo complementare e con caratteristiche proprie, che consentono anche una problematizzazione delle questioni, in un dialogo aperto con Pastori, fedeli e mondo esterno, compresi i cosiddetti “lontani”, seguendo quell’invito di Papa Francesco ai Padri riuniti in questi giorni per il Sinodo sulla famiglia, ai quali ha rivolto un chiaro e coraggioso invito a “dire tutto con parresìa e ad ascoltare tutti con umiltà”.

Naturalmente una rubrica come questa non può non prevedere lettere di chiarimento e di critica, e un dialogo aperto secondo la regola di sant’Agostino: “Cerchiamo come chi sa di trovare, troviamo come chi sa di cercare”, che ci spinge a cercare sempre senza posa il volto di Dio.

Elio Bromuri

]]>
L’Istituto Teologico di Assisi: un servizio prezioso e costante alla Chiesa umbra https://www.lavoce.it/listituto-teologico-di-assisi-un-servizio-prezioso-e-costante-alla-chiesa-umbra/ Thu, 02 Oct 2014 17:15:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=28257 Assisi-chiostro
Il Sacro convento di Assisi, sede dell’Istituto teologico (Chiostro di Sisto IV)

Particolarmente in questi anni, la Chiesa italiana invita sapientemente a una programmazione pastorale che abbia al proprio centro l’educazione alla vita buona del vangelo. Oggi più che mai, di fronte ai continui e rapidi cambiamenti del tempo, è necessario compiere sforzi mirati per sapere rendere ragione della speranza cristiana di fronte a una cultura che sembra aver rinunciato all’idea di Dio e di fronte a una sperimentazione esistenziale spesso invischiata nel relativismo e nella complessità. Le vie del dialogo, dell’ascolto, della prudenza sono particolarmente adatte in un tempo convulso che esige una sempre più sensibile capacità di discernimento.

Ebbene, parlare di pastorale, di impegno nelle vita non è altra cosa rispetto allo specifico servizio che l’Istituto Teologico compie a servizio della Chiesa in questa nostra regione Umbria, ormai da molti anni. Proprio per le mutate condizioni culturali, proprio a causa delle sempre più forti esigenze che oggi si impongono di fronte a crisi continue e ad alcune lancinanti delusioni, tenendo conto delle complesse problematiche in atto nel mondo che cambia, non ci si può affidare a una pastorale dell’improvvisazione. Sarebbe altrettanto sbagliato moltiplicare casualmente le iniziative, andando a tentoni alla ricerca di una quadratura pastorale mai soddisfacente. Per bene operare, è necessario bene riflettere, progettare sapientemente.

Teologia e pastorale – ce lo insegna il Concilio Vaticano II che nella sua espressione dottrinale si è caratterizzato proprio per il desiderio di manifestare la sua specifica indole pastorale – non sono disgiunte, ma operano in intima sinergia, al punto di non poter esistere l’una senza l’altra. Presso l’Istituto Teologico di Assisi la programmazione accademica è pensata proprio per offrire, a diversi livelli di approfondimento, sia le solide basi necessarie ad alimentare l’intelligenza ecclesiale per il tempo presente, sia una continua riflessione per l’approfondimento e lo studio della scrittura e della tradizione della Chiesa, combinando fedeltà e rinnovamento in una sintesi di rara bellezza.

L’offerta accademica e formativa sono così plasmate in modo da tener conto e delle esigenze specifiche di un sapere ben strutturato in una spiccata prospettiva culturale, e della necessaria fatica di tradurre la dottrina in scelte concrete per la vita della Chiesa contemporanea. Chi studia teologia beneficia di questo duplice sforzo che l’Istituto profonde, avendo idealmente due riferimenti: da un lato l’insegnamento del Concilio dal quale a cinquant’anni di distanza si ha ancora molto da imparare, dall’altro avendo presente l’invito a Firenze e cioè a sviluppare una riflessione su Gesù Cristo quale fonte del nuovo umanesimo.

Inaugurazione dell’anno accademico e Prolusione di S.E. Mons. Gualtiero Sigismondi

Durante lo svolgimento dell’anno accademico vi sono momenti di particolare intensità in cui meglio traspare l’orientamento che le varie attività stanno seguendo. Riveste particolare importanza nella vita accademica la prolusione inaugurale pensando alla quale le autorità dell’Istituto abitualmente cercano di evidenziare uno specifico valore programmatico. È un po’ come la chiave di violino dell’intera programmazione annuale e diventa eloquente momento di autocoscienza.

Quest’anno lunedì 6 ottobre, proprio al cuore dell’inaugurazione dell’anno accademico, a seguito della solenne Concelabrazione Eucaristica di apertura (Basilica inferiore di San Francesco ore 9.00) presieduta da S.E. Mons. Giuseppe Piemontese, Vescovo di Terni-Narni-Amelia, S.E. mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno, già docente stabile di teologia dogmatica presso l’Istituto Teologico di Assisi, alle ore  10.30 terrà una lectio sul tema: Linee emergenti dell’azione pastorale di Papa Francesco nel contesto della “riforma nella Chiesa”.

Non è difficile cogliere nel riferimento a Papa Francesco il bisogno di illuminare il grande cammino che la Chiesa sta intraprendendo nell’oggi. Non è neppure difficile intuire nella sapiente espressione “riforma nella Chiesa” il senso di una riflessione che, mentre prende le distanze dalla frettolosa idea di una improbabile “riforma della Chiesa” nella quale si annidano spesso insoddisfazioni e squilibri, incoraggia senz’altro a non sottacere il vivo bisogno di una riforma nella quale la Chiesa stessa riconosce il sentiero diritto del suo costante cammino di conversione verso Dio.

27 ottobre 2014: lo “Spirito di Assisi”

A qualche tempo di distanza dalla solenne inaugurazione e dalla prolusione, si avrà un’altra iniziativa importante nella quale l’Istituto collabora con molti altri enti e organismi, nel desiderio di ricordare, celebrare e rinnovare l’eredità che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno lasciato celebrando in Assisi momenti indimenticabili per la storia della Chiesa contemporanea. Per contribuire a far crescere ulteriormente lo “Spirito di Assisi” che invita all’incontro e al dialogo e che intravede nella preghiera la via maestra per una spiritualità delle religioni a sostegno della pace, viene proposta un’iniziativa di largo respiro all’interno della quale l’Istituto coglie l’opportunità di porgere nel modo che più gli è proprio una riflessione sulla maestosa figura di Abramo, “Padre nella fede”. In un accordo polifonico saranno fatte risuonare voci diverse. Quella cristiana sarà accompagnata da quelle ebraica ed islamica, tutti uniti sotto l’esemplarità della figura del patriarca Abramo nella cui fede le diverse tradizioni religiose comunemente si riconoscono. Sarà l’occasione per comporre senza uniformarli diversi punti di vista, per mettere bene in evidenza la centralità di una fede che con Papa Benedetto e Papa Francesco abbiamo imparato a conoscere ancora meglio.

L’iniziativa delle conferenze previste per la mattina del lunedì 27 ottobre presso il Salone papale del Sacro Convento si incastona nel quadro, in parte inedito, delineato dalla composizione di momenti di preghiera e spiritualità con la proposta di una mostra d’arte interreligiosa. La combinazione di varie iniziative l’una accademica, le altre spirituali e artistiche, in un certo senso fa rammentare l’esigenza di una riflessione che nell’oggi può solo darsi recuperando la pienezza dell’umano anche attraverso la valorizzazione di tutte quelle espressioni che manifestano la trascendenza dell’essere creaturale.

Corsi e proposte di Bibbia, teologia e liturgia e altro ancora

Oltre alle proposte straordinarie che punteggiano il grande quadro dell’attività dell’Istituto Teologico alle quali abbiamo accennato, vi sono ordinariamente corsi di vario tipo e livello la cui offerta riguarda i temi centrali della scrittura, della teologia, delle liturgia, della filosofia e via dicendo.

Molti studenti scelgono questo percorso di studio. Sempre di più sono i laici che si dedicano alla teologia e molti di più ancora sono coloro che, per varie ragioni e secondo diversi ritmi, si avvalgono come uditori della frequenza di corsi utili a un approfondimento personale e a una introduzione ai temi della fede.

Si potrebbe così dire che vi è posto per tutti. Gli uni affrontano il curricolo accademico nelle sua interezza, altri invece saggiano la possibilità di un primo approccio alla cultura teologica, infine vi sono quelli che, nella modalità particolarmente favorevole dell’iscrizione come ospiti-uditori, scelgono percorsi personalizzati di approfondimento rispondenti a necessità diverse.

Per un quadro completo dei corsi e dei rispettivi orari si suggerisce di consultare il sito internet dell’istituto: www.istitutoteologicoassisi.it.

Specializzazioni

Proprio per raccogliere l’eredità lasciata dalla Giornata mondiale di preghiera per la pace, fu attivata presso l’Istituto a partire dal 1993 una specializzazione che offre corsi di approfondimento sui temi del dialogo interreligioso, dell’annuncio nella prospettiva della nuova evangelizzazione e che al contempo fornisce tutti gli strumenti per conoscere il mondo delle religioni, la loro storia e spiritualità. Nella specializzazione in teologia fondamentale la trattazione di quelli che potrebbero ben a ragione dirsi temi di frontiera, viene supportata e notevolmente arricchita da riflessioni sistematiche sui fondamenti: rivelazione, fede, tradizione.

Per far onore al luogo e alla sua specificità, successivamente è nata nell’Istituto anche la specializzazione in Teologia e studi francescani all’interno della cui proposta formativa sono contemplati numerosi corsi utili a conoscere e studiare le fonti francescane, la storia e il carisma specifico di questo inestimabile tesoro depositato nel cuore della storia della Chiesa dal Poverello di Assisi.

Lezioni, iscrizioni e Segreteria

Le lezioni dell’anno accademico cominciano il giorno successivo all’inaugurazione, e dunque il 7 ottobre. Sono possibili iscrizioni ordinarie e straordinarie sino al 15 ottobre compreso. Tutti gli interessati o anche semplicemente coloro che si sono lasciati incuriosire e attrarre dalla possibilità di accedere ad alcuni approfondimenti possono rivolgersi per tutte le informazioni o per formulare eventuali domande alla Segreteria dell’Istituto, utilizzando i recapiti email e telefonici pubblicati nel sito internet.

 

Istituto Teologico di Assisi
Piazza S. Francesco 2 – 06081 Assisi (PG)
tel. 075-813061, mail: segreteria@istitutoteologicoassisi.it
Web: www.istitutoteologicoassisi.it

]]>