Stato Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/stato/ Settimanale di informazione regionale Wed, 16 Oct 2024 15:02:40 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Stato Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/stato/ 32 32 Chi lo dice è bugiardo e disonesto https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/ https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/#respond Thu, 10 Oct 2024 13:52:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77905

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di euro. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>

In autunno arrivano i primi freddi e le giornate corte, si pensa all’inverno incombente. Fra le tristezze di stagione c’è anche l’attesa della nuova legge finanziaria, quel provvedimento che dovrebbe rimettere un po’ di ordine nei conti dello Stato – risultato che non si raggiunge mai. Qual è il problema? Che lo Stato italiano, si sa, è uno dei più indebitati del mondo, in rapporto al suo prodotto interno lordo. In questo momento il debito pubblico è – arrotondando – di tremila miliardi di euro. Una cifra da capogiro. Ci si può consolare che tutto o quasi questo debito è rappresentato da titoli che li possiede preferisce tenere in cassaforte e rinnovare alla scadenza, anziché chiederne l’incasso (se lo facessero, sarebbe il fallimento). Ma è una magra consolazione, perché gli interessi, invece, bisogna pagarli. Quindi ogni anno, quando si avvicina il momento di fare i preventivi, il ministro delle Finanze comincia ad accennare ai sacrifici che qualcuno dovrà pur fare. Lo ha fatto anche il ministro in carica, Giorgetti; ma i leader della maggioranza lo hanno zittito: quello schieramento politico non può, non deve, parlare di sacrifici. Non è quello che da trenta anni promette “meno tasse per tutti”? Slogan bugiardo e disonesto. Bugiardo, perché la promessa non è stata mantenuta; disonesto, perché è una promessa che nessuno Stato moderno può fare, da quando è entrato nella coscienza collettiva, e nelle aspettative di tutti, il principio che lo Stato deve provvedere ai bisogni primari dei cittadini. Perché la società nel suo insieme funziona meglio – anche dal punto di vista economico e quindi nell’interesse di tutti – se un certo livello di benessere di base è garantito a tutti (si chiama infatti welfare state, stato del benessere). Quindi la sanità, l’istruzione, la viabilità, i trasporti, l’assistenza ai disabili e agli anziani. È bugiardo e disonesto dipingere questo Stato come quello che “mette le mani nelle tasche dei cittadini” perché quello che prende poi lo restituisce in altra forma; per semplificare al massimo, diciamo che non ci sarebbe la folla a fare spese nei centri commerciali, per la gioia degli esercenti, se le famiglie dovessero preoccuparsi di mettere i soldi nel salvadanaio per i giorni in cui si dovranno pagare le medicine e i ricoveri in ospedale. Come insegnavano a quelli che hanno adesso la mia età, quando eravamo bambini.]]>
https://www.lavoce.it/chi-lo-dice-e-bugiardo-e-disonesto/feed/ 0
Il carcere che offende i detenuti e non difende i cittadini https://www.lavoce.it/carcere-offende-detenuti-non-difende-cittadini/ https://www.lavoce.it/carcere-offende-detenuti-non-difende-cittadini/#respond Thu, 02 May 2024 11:22:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75937

A che serve lo Stato? Se ce lo chiediamo oggi, siamo pronti a rispondere indicando una quantità di servizi, dall’istruzione alla sanità ai trasporti all’assistenza agli anziani e molto altro. Ma duecento anni fa (l’altro ieri, di fronte alla storia) nessuno avrebbe esitato a dire che i compiti dello Stato erano essenzialmente due: la difesa del territorio e della popolazione dai nemici esterni (inclusa, si capisce, la promozione della pace con i trattati); e, all’interno, la difesa dei cittadini onesti dai delinquenti. I nuovi compiti si sono aggiunti a quelli antichi, ma questi naturalmente sono rimasti. Ma come funziona veramente la difesa degli onesti dai malfattori? Le statistiche sono impietose.

In Italia, solo per i reati di furto, rapina, estorsione e truffa, si registrano ogni anno non meno di un milione di denunce; poi ci sono tutti gli altri (e anche tantissimi non denunciati e non calcolati). I detenuti in carcere, da quelli che sono in attesa di giudizio a quelli che scontano condanne di lunga durata, sono quasi 60.000. Pochi? Troppi?

Ci sono filoni della politica (più di uno, non sto a dire quali) che vorrebbero più condanne, e condanne più gravi; inseriscono nuovi reati nel codice e aumentano le pene di quelli che già ci sono. Ma sono comunque troppi, perché le celle sono sovraffollate, ben oltre il massimo consentito dal senso comune e dalle convenzioni internazionali. Per questa ragione la Corte europea dei diritti umani dichiara l’Italia colpevole di trattamento inumano e degradante verso i detenuti.

Se un carcerato fa causa denunciando di essere stato tenuto in quelle condizioni, deve essere risarcito con uno sconto di pena o con una somma di denaro. Per evitare queste denunce, il legislatore italiano ha ideato rimedi come le (cosiddette) pene alternative e i benefici per buona condotta, l’invenzione dell’anno di nove mesi (non stupitevi) per tutti quelli che non si sono comportati proprio male, e così via.

Con una mano si aggravano le pene e con l’altra si alleggeriscono anche di più. In questi giorni si sta discutendo di un nuovo sconto, sempre per lo stesso motivo. Forse invece di buttare i soldi nel superbonus se ne dovevano investire un po’ nelle carceri: per rispettare la dignità umana dei detenuti oltre che per rendere un po’ più efficace il sistema penale a protezione degli onesti.

]]>

A che serve lo Stato? Se ce lo chiediamo oggi, siamo pronti a rispondere indicando una quantità di servizi, dall’istruzione alla sanità ai trasporti all’assistenza agli anziani e molto altro. Ma duecento anni fa (l’altro ieri, di fronte alla storia) nessuno avrebbe esitato a dire che i compiti dello Stato erano essenzialmente due: la difesa del territorio e della popolazione dai nemici esterni (inclusa, si capisce, la promozione della pace con i trattati); e, all’interno, la difesa dei cittadini onesti dai delinquenti. I nuovi compiti si sono aggiunti a quelli antichi, ma questi naturalmente sono rimasti. Ma come funziona veramente la difesa degli onesti dai malfattori? Le statistiche sono impietose.

In Italia, solo per i reati di furto, rapina, estorsione e truffa, si registrano ogni anno non meno di un milione di denunce; poi ci sono tutti gli altri (e anche tantissimi non denunciati e non calcolati). I detenuti in carcere, da quelli che sono in attesa di giudizio a quelli che scontano condanne di lunga durata, sono quasi 60.000. Pochi? Troppi?

Ci sono filoni della politica (più di uno, non sto a dire quali) che vorrebbero più condanne, e condanne più gravi; inseriscono nuovi reati nel codice e aumentano le pene di quelli che già ci sono. Ma sono comunque troppi, perché le celle sono sovraffollate, ben oltre il massimo consentito dal senso comune e dalle convenzioni internazionali. Per questa ragione la Corte europea dei diritti umani dichiara l’Italia colpevole di trattamento inumano e degradante verso i detenuti.

Se un carcerato fa causa denunciando di essere stato tenuto in quelle condizioni, deve essere risarcito con uno sconto di pena o con una somma di denaro. Per evitare queste denunce, il legislatore italiano ha ideato rimedi come le (cosiddette) pene alternative e i benefici per buona condotta, l’invenzione dell’anno di nove mesi (non stupitevi) per tutti quelli che non si sono comportati proprio male, e così via.

Con una mano si aggravano le pene e con l’altra si alleggeriscono anche di più. In questi giorni si sta discutendo di un nuovo sconto, sempre per lo stesso motivo. Forse invece di buttare i soldi nel superbonus se ne dovevano investire un po’ nelle carceri: per rispettare la dignità umana dei detenuti oltre che per rendere un po’ più efficace il sistema penale a protezione degli onesti.

]]>
https://www.lavoce.it/carcere-offende-detenuti-non-difende-cittadini/feed/ 0
Dignitas infinita parla alle coscienze e agli Stati https://www.lavoce.it/dignitas-infinita-parla-coscienze-stati/ https://www.lavoce.it/dignitas-infinita-parla-coscienze-stati/#respond Thu, 11 Apr 2024 15:23:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=75606

La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, sulla dignità della persona umana, è un documento denso e complesso, per il numero e per la varietà dei temi trattati; ma anche perché, a seconda dell’argomento, sono diversi (almeno in senso relativo) i destinatari. In linea di principio, tutto il discorso si rivolge alle coscienze individuali, come è naturale quando si toccano problemi morali.

Ma è chiaro che quando si denunciano, come altrettante violazioni della dignità della persona, fenomeni come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro ignominiose, e ancora la guerra, la pena di morte, il travaglio dei migranti, il discorso si rivolge a chi fa le scelte politiche, a chi governa, a chi scrive le leggi, in una parola a chi esercita il potere.

Altri temi, invece, come la violenza sulle donne e gli abusi sessuali, chiamano più direttamente in causa i comportamenti individuali e le coscienze dei singoli, anche se pure questi vanno affrontati a livello di legislazione e di governo, se non altro per proteggere i soggetti più deboli. In un caso e nell’altro il giudizio morale ispirato alla dottrina cristiana e quello dello Stato laico tendono a coincidere. Ma c’è un terzo gruppo di temi, rispetto ai quali – secondo me - la legge dello Stato non sempre può coincidere con il giudizio della morale cristiana.

Certi divieti, come quello di fare ricorso al suicidio assistito, possono essere inderogabili dal punto di vista cristiano, ma non possono essere imposti per legge, salvi i criteri severamente restrittivi dettati dalla Corte costituzionale; lo stesso si può dire a proposito del cambiamento di sesso e della maternità surrogata.

Anche perché in tutti questi casi, leggi permissive (spesso anche troppo) sono già in vigore in gran parte del mondo e quindi i divieti imposti in un singolo Paese possono essere facilmente aggirati creando alla fine ulteriori problemi. Su questa divaricazione (limitata, si capisce, a situazioni particolari) fra la morale della Chiesa e la logica dello Stato laico ho scritto più volte e tornerò a farlo, convinto tuttavia che fra le due visioni non vi sia contrasto, ma solo una necessaria complementarità.

]]>

La dichiarazione Dignitas infinita del Dicastero per la Dottrina della Fede, sulla dignità della persona umana, è un documento denso e complesso, per il numero e per la varietà dei temi trattati; ma anche perché, a seconda dell’argomento, sono diversi (almeno in senso relativo) i destinatari. In linea di principio, tutto il discorso si rivolge alle coscienze individuali, come è naturale quando si toccano problemi morali.

Ma è chiaro che quando si denunciano, come altrettante violazioni della dignità della persona, fenomeni come le condizioni di vita subumana, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, le condizioni di lavoro ignominiose, e ancora la guerra, la pena di morte, il travaglio dei migranti, il discorso si rivolge a chi fa le scelte politiche, a chi governa, a chi scrive le leggi, in una parola a chi esercita il potere.

Altri temi, invece, come la violenza sulle donne e gli abusi sessuali, chiamano più direttamente in causa i comportamenti individuali e le coscienze dei singoli, anche se pure questi vanno affrontati a livello di legislazione e di governo, se non altro per proteggere i soggetti più deboli. In un caso e nell’altro il giudizio morale ispirato alla dottrina cristiana e quello dello Stato laico tendono a coincidere. Ma c’è un terzo gruppo di temi, rispetto ai quali – secondo me - la legge dello Stato non sempre può coincidere con il giudizio della morale cristiana.

Certi divieti, come quello di fare ricorso al suicidio assistito, possono essere inderogabili dal punto di vista cristiano, ma non possono essere imposti per legge, salvi i criteri severamente restrittivi dettati dalla Corte costituzionale; lo stesso si può dire a proposito del cambiamento di sesso e della maternità surrogata.

Anche perché in tutti questi casi, leggi permissive (spesso anche troppo) sono già in vigore in gran parte del mondo e quindi i divieti imposti in un singolo Paese possono essere facilmente aggirati creando alla fine ulteriori problemi. Su questa divaricazione (limitata, si capisce, a situazioni particolari) fra la morale della Chiesa e la logica dello Stato laico ho scritto più volte e tornerò a farlo, convinto tuttavia che fra le due visioni non vi sia contrasto, ma solo una necessaria complementarità.

]]>
https://www.lavoce.it/dignitas-infinita-parla-coscienze-stati/feed/ 0
Non ci sono soluzioni semplici https://www.lavoce.it/non-ci-sono-soluzioni-semoplici/ https://www.lavoce.it/non-ci-sono-soluzioni-semoplici/#respond Thu, 26 Oct 2023 17:00:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73814

In questi giorni tristissimi – guerre già in corso che continuano e altre che scoppiano – si sentono ripetere le invocazioni all’autorità dell’ONU: ma perché non si danno maggiori poteri all’ONU? Perché non si abolisce quel “diritto di veto” che sbarra la strada a tutti i suoi interventi? La risposta a queste domande è che queste bellissime riforme non si fanno perché non esiste un’autorità mondiale che abbia il potere di farle a dispetto di chi non le vuole.

Ciascuno di noi, da quando è nato, appartiene ad una comunità nazionale al cui vertice ci sono gli organi supremi dello Stato (il Governo, il Parlamento, il Capo dello Stato) che hanno il potere di prendere le decisioni più importanti per la vita di tutti, e hanno anche il potere di farle rispettare, dopo che le hanno prese. Questo modo di organizzare e dirigere le comunità nazionali è antico praticamente quanto la storia dell’uomo (da quando ha smesso di abitare nelle caverne): ci siamo tanto abituati che ci pare naturale e crediamo che sia giusto così; allo stesso modo ci sembrerebbe naturale che una analoga struttura di potere legittimo e giusto ci fosse anche al di sopra degli Stati. Ma non c’è. Ed è praticamente impossibile crearla nel mondo che abbiamo.

Vale, infatti, il principio di sovranità: ogni Stato (grande come la Cina o la Russia, o piccolo come San Marino) è sovrano, cioè padrone di se stesso, e ha – almeno formalmente – la stessa dignità e gli stessi diritti. Sono queste le regole che proteggono (quando ci riescono) i piccoli dalla prepotenza dei forti. La conseguenza è che le decisioni collettive si possono prendere solo se tutti sono d’accordo.

Perché non si può votare a maggioranza? Perché prima si dovrebbe stabilire come si calcola la maggioranza. Se si calcolasse per Stati, e il voto di San Marino avesse lo stesso peso di quello della Cina, la coalizione di tutti gli Stati piccoli e medio-piccoli, che sono un centinaio, vincerebbe ma rappresenterebbe solo il cinque o il sei per cento della popolazione mondiale. Assurdo. Se si contassero i voti individuali, gli stati più popolosi (a partire dalla Cina e dall’India, che superano entrambi il miliardo) schiaccerebbero facilmente gli altri. Come si vede, è praticamente impossibile trovare la formula giusta per costruire una democrazia planetaria; farla funzionare, poi, sarebbe ancora più difficile. Non esistono soluzioni semplici.

]]>

In questi giorni tristissimi – guerre già in corso che continuano e altre che scoppiano – si sentono ripetere le invocazioni all’autorità dell’ONU: ma perché non si danno maggiori poteri all’ONU? Perché non si abolisce quel “diritto di veto” che sbarra la strada a tutti i suoi interventi? La risposta a queste domande è che queste bellissime riforme non si fanno perché non esiste un’autorità mondiale che abbia il potere di farle a dispetto di chi non le vuole.

Ciascuno di noi, da quando è nato, appartiene ad una comunità nazionale al cui vertice ci sono gli organi supremi dello Stato (il Governo, il Parlamento, il Capo dello Stato) che hanno il potere di prendere le decisioni più importanti per la vita di tutti, e hanno anche il potere di farle rispettare, dopo che le hanno prese. Questo modo di organizzare e dirigere le comunità nazionali è antico praticamente quanto la storia dell’uomo (da quando ha smesso di abitare nelle caverne): ci siamo tanto abituati che ci pare naturale e crediamo che sia giusto così; allo stesso modo ci sembrerebbe naturale che una analoga struttura di potere legittimo e giusto ci fosse anche al di sopra degli Stati. Ma non c’è. Ed è praticamente impossibile crearla nel mondo che abbiamo.

Vale, infatti, il principio di sovranità: ogni Stato (grande come la Cina o la Russia, o piccolo come San Marino) è sovrano, cioè padrone di se stesso, e ha – almeno formalmente – la stessa dignità e gli stessi diritti. Sono queste le regole che proteggono (quando ci riescono) i piccoli dalla prepotenza dei forti. La conseguenza è che le decisioni collettive si possono prendere solo se tutti sono d’accordo.

Perché non si può votare a maggioranza? Perché prima si dovrebbe stabilire come si calcola la maggioranza. Se si calcolasse per Stati, e il voto di San Marino avesse lo stesso peso di quello della Cina, la coalizione di tutti gli Stati piccoli e medio-piccoli, che sono un centinaio, vincerebbe ma rappresenterebbe solo il cinque o il sei per cento della popolazione mondiale. Assurdo. Se si contassero i voti individuali, gli stati più popolosi (a partire dalla Cina e dall’India, che superano entrambi il miliardo) schiaccerebbero facilmente gli altri. Come si vede, è praticamente impossibile trovare la formula giusta per costruire una democrazia planetaria; farla funzionare, poi, sarebbe ancora più difficile. Non esistono soluzioni semplici.

]]>
https://www.lavoce.it/non-ci-sono-soluzioni-semoplici/feed/ 0
Lo Stato e l’Antistato https://www.lavoce.it/lo-stato-e-lantistato/ https://www.lavoce.it/lo-stato-e-lantistato/#respond Thu, 28 Sep 2023 14:56:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73463

Stato e Antistato: due morti iconiche, parallele, quasi simultanee. Non sono morti né lo Stato (per fortuna), né l’Antistato (purtroppo): sono morti due uomini che in vita avevano avuto in sorte di rappresentare e quasi incarnare, rispettivamente, l’una e l’altra di quelle entità ideali. Giorgio Napolitano, vertice e simbolo dello Stato; Matteo Messina Denaro, vertice e simbolo dell’Antistato.

Che cosa è lo Stato? In alcune visioni filosofiche è stato idolatrato come la realtà suprema, fonte non solo del diritto inteso come legge ma anche dei valori etici; in altre è stato dannato come una creazione diabolica. Più equilibratamente oggi possiamo dire che lo Stato, ogni Stato, adempie quanto meno una funzione primordiale: mantenere l’ordine e la pace interna della comunità. Lo fa sostituendo la sua giustizia alle vendette private, dettando regole e sorvegliando che siano rispettate, risolvendo le liti fra privati. Questo accadeva già quando Romolo, secondo la leggenda, fondava la città di Roma.

Lo Stato moderno continua a svolgere questi compiti, e se ne è dati altri: organizzare e gestire i servizi pubblici essenziali come la scuola, la sanità, i trasporti, le comunicazioni; infine garantire (quando ci riesce) il benessere collettivo in modo tale da rispondere ai bisogni essenziali anche dei meno fortunati.

È questo lo Stato al quale, per diversi anni, Giorgio Napolitano ha prestato il suo volto; degnamente, lasciatemelo dire. Matteo Messina Denaro ha sempre disconosciuto questo Stato e se ne è sentito estraneo e nemico, disprezzando i suoi rappresentanti e i suoi servitori. Lo ha fatto capire perfino quando rispondeva agli interrogatori, una volta arrestato dopo decenni di latitanza durante i quali aveva continuato a dirigere l’Antistato. Così come ha fatto capire che non si considerava sconfitto, che lo avevano preso perché lui lo aveva voluto, e lo aveva voluto perché stava per morire.

Ma, intanto, a quello Stato che disconosceva e disprezzava aveva chiesto – sotto falso nome – e chiedeva ancora quelle cure che esso, per essere fedele ai suoi princìpi, garantisce a tutti, buoni e cattivi. Senza rendersi conto che, così facendo, dava la migliore testimonianza dell’utilità e della moralità dello Stato. Una testimonianza che, paradossalmente, vale tanto quanto quella che ha dato Papa Francesco, raccolto in silenziosa e segreta preghiera davanti al feretro di Giorgio Napolitano.

]]>

Stato e Antistato: due morti iconiche, parallele, quasi simultanee. Non sono morti né lo Stato (per fortuna), né l’Antistato (purtroppo): sono morti due uomini che in vita avevano avuto in sorte di rappresentare e quasi incarnare, rispettivamente, l’una e l’altra di quelle entità ideali. Giorgio Napolitano, vertice e simbolo dello Stato; Matteo Messina Denaro, vertice e simbolo dell’Antistato.

Che cosa è lo Stato? In alcune visioni filosofiche è stato idolatrato come la realtà suprema, fonte non solo del diritto inteso come legge ma anche dei valori etici; in altre è stato dannato come una creazione diabolica. Più equilibratamente oggi possiamo dire che lo Stato, ogni Stato, adempie quanto meno una funzione primordiale: mantenere l’ordine e la pace interna della comunità. Lo fa sostituendo la sua giustizia alle vendette private, dettando regole e sorvegliando che siano rispettate, risolvendo le liti fra privati. Questo accadeva già quando Romolo, secondo la leggenda, fondava la città di Roma.

Lo Stato moderno continua a svolgere questi compiti, e se ne è dati altri: organizzare e gestire i servizi pubblici essenziali come la scuola, la sanità, i trasporti, le comunicazioni; infine garantire (quando ci riesce) il benessere collettivo in modo tale da rispondere ai bisogni essenziali anche dei meno fortunati.

È questo lo Stato al quale, per diversi anni, Giorgio Napolitano ha prestato il suo volto; degnamente, lasciatemelo dire. Matteo Messina Denaro ha sempre disconosciuto questo Stato e se ne è sentito estraneo e nemico, disprezzando i suoi rappresentanti e i suoi servitori. Lo ha fatto capire perfino quando rispondeva agli interrogatori, una volta arrestato dopo decenni di latitanza durante i quali aveva continuato a dirigere l’Antistato. Così come ha fatto capire che non si considerava sconfitto, che lo avevano preso perché lui lo aveva voluto, e lo aveva voluto perché stava per morire.

Ma, intanto, a quello Stato che disconosceva e disprezzava aveva chiesto – sotto falso nome – e chiedeva ancora quelle cure che esso, per essere fedele ai suoi princìpi, garantisce a tutti, buoni e cattivi. Senza rendersi conto che, così facendo, dava la migliore testimonianza dell’utilità e della moralità dello Stato. Una testimonianza che, paradossalmente, vale tanto quanto quella che ha dato Papa Francesco, raccolto in silenziosa e segreta preghiera davanti al feretro di Giorgio Napolitano.

]]>
https://www.lavoce.it/lo-stato-e-lantistato/feed/ 0
Lo Stato accusato di premiare i delinquenti https://www.lavoce.it/lo-stato-accusato-di-premiare-i-delinquenti/ https://www.lavoce.it/lo-stato-accusato-di-premiare-i-delinquenti/#respond Wed, 13 Sep 2023 13:21:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73330

A metà agosto gli italiani si sono commossi per il triste episodio di due donne morte per suicidio in carcere a Torino, nello stesso giorno. Nessuna relazione fra le due: storie e tragedie diverse, ma unificate perché appariva chiaro che non si trattava di malvage criminali di professione, ma di poveracce finite in prigione – sia pur giustamente dal punto di vista legale – per le disgrazie della vita.

I dubbi sulla efficacia di un sistema penale basato sul carcere

Da qui la commiserazione generale, i dubbi sulla efficacia e sulla equità di un sistema penale basato sul carcere, l’ascolto dato a quegli uomini di pensiero e di cultura – come Luigi Manconi e Luciano Eusebi – che da sempre si battono per un radicale ripensamento delle pene.

Il buonismo dello Stato

Ma sono bastati pochi giorni, e l’onda dell’emozione pubblica ha cambiato verso. Ci sono stati delitti, più o meno efferati, commessi da qualcuno che, già sotto processo per altro motivo, o addirittura condannato, si trovava in libertà condizionata o in licenza premio, o semplicemente era fuori per fine pena. E allora tutti a deprecare il (presunto) “buonismo” dello Stato, che lascia liberi i delinquenti e così espone a rischio le persone oneste; con l’invito corale a “buttare via la chiave” e a fare “marcire in galera” chiunque sia incorso in un reato anche piccolo (esclusa, si capisce, la frode fiscale… che comporta la beatificazione).

Il buonismo dello Stato verso i reati commessi dai minori

Peggio ancora, ci sono stati delitti commessi da giovanissimi; così molti hanno scoperto (!) che per i minorenni il regime penale è meno severo, e che se hanno meno di 14 anni non c’è né processo né prigione, seppure siano previste misure di rieducazione. Anche qui si è visto un “buonismo” che ha provocato l’indignazione di qualche uomo (e di qualche donna) di Governo, forse all’oscuro che queste sono regole introdotte dal Codice penale “fascista” del 1930, mentre in precedenza il limite della punibilità era 9 anni, non 14.

Le leggi e le sentenze vanno scritte al riparo dalle emozioni

Senza contare che nel 1930 i tre quarti dei ragazzi italiani verso i 14 anni già lavoravano come apprendisti, manovali o braccianti, ed erano quindi più maturi di tanti bamboccioni viziati di oggi. Tutte queste vicende, con la volubilità della indignazione collettiva, ci insegnano che tanto le leggi quanto le sentenze bisogna scriverle al riparo delle emozioni, anche comprensibili, suscitate da singoli episodi, magari enfatizzati dai media e non sempre conosciuti in tutti i particolari. Soprattutto le leggi penali vanno pensate nei tempi lunghi.

]]>

A metà agosto gli italiani si sono commossi per il triste episodio di due donne morte per suicidio in carcere a Torino, nello stesso giorno. Nessuna relazione fra le due: storie e tragedie diverse, ma unificate perché appariva chiaro che non si trattava di malvage criminali di professione, ma di poveracce finite in prigione – sia pur giustamente dal punto di vista legale – per le disgrazie della vita.

I dubbi sulla efficacia di un sistema penale basato sul carcere

Da qui la commiserazione generale, i dubbi sulla efficacia e sulla equità di un sistema penale basato sul carcere, l’ascolto dato a quegli uomini di pensiero e di cultura – come Luigi Manconi e Luciano Eusebi – che da sempre si battono per un radicale ripensamento delle pene.

Il buonismo dello Stato

Ma sono bastati pochi giorni, e l’onda dell’emozione pubblica ha cambiato verso. Ci sono stati delitti, più o meno efferati, commessi da qualcuno che, già sotto processo per altro motivo, o addirittura condannato, si trovava in libertà condizionata o in licenza premio, o semplicemente era fuori per fine pena. E allora tutti a deprecare il (presunto) “buonismo” dello Stato, che lascia liberi i delinquenti e così espone a rischio le persone oneste; con l’invito corale a “buttare via la chiave” e a fare “marcire in galera” chiunque sia incorso in un reato anche piccolo (esclusa, si capisce, la frode fiscale… che comporta la beatificazione).

Il buonismo dello Stato verso i reati commessi dai minori

Peggio ancora, ci sono stati delitti commessi da giovanissimi; così molti hanno scoperto (!) che per i minorenni il regime penale è meno severo, e che se hanno meno di 14 anni non c’è né processo né prigione, seppure siano previste misure di rieducazione. Anche qui si è visto un “buonismo” che ha provocato l’indignazione di qualche uomo (e di qualche donna) di Governo, forse all’oscuro che queste sono regole introdotte dal Codice penale “fascista” del 1930, mentre in precedenza il limite della punibilità era 9 anni, non 14.

Le leggi e le sentenze vanno scritte al riparo dalle emozioni

Senza contare che nel 1930 i tre quarti dei ragazzi italiani verso i 14 anni già lavoravano come apprendisti, manovali o braccianti, ed erano quindi più maturi di tanti bamboccioni viziati di oggi. Tutte queste vicende, con la volubilità della indignazione collettiva, ci insegnano che tanto le leggi quanto le sentenze bisogna scriverle al riparo delle emozioni, anche comprensibili, suscitate da singoli episodi, magari enfatizzati dai media e non sempre conosciuti in tutti i particolari. Soprattutto le leggi penali vanno pensate nei tempi lunghi.

]]>
https://www.lavoce.it/lo-stato-accusato-di-premiare-i-delinquenti/feed/ 0
Dalle elezioni alle riforme. Sistema da migliorare https://www.lavoce.it/dall-riforme-alle-elezioni/ Wed, 05 Oct 2022 16:58:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68850 Logo rubrica Il punto

I risultati hanno messo in evidenza una serie di criticità e di oscurità del sistema elettorale con il quale abbiamo votato. Se è stato subito chiaro chi avesse vinto ottenendo però una maggioranza parlamentare esagerata rispetto alle percentuali di voto - è stato più difficile e incerto scoprire i nomi degli eletti nelle varie circoscrizioni. Segno di un sistema poco trasparente.

Tornano in primo piano anche le perplessità sull’utilità di avere due Camere delle quali l’una è la fotocopia dell’altro. Alle origini del sistema parlamentare, nelle monarchie liberali del secolo XIX, le Camere erano due perché una era di nomina regia e l’altra elettiva, e questa era la sola che con il voto di fiducia (o di sfiducia) avesse il potere di far nascere e cadere i governi.

Nelle democrazie moderne la seconda camera (detta anche camera alta, ma è quella che conta di meno) spesso si distingue come espressione dei territori mentre l’altra - la sola eletta con voto popolare diretto - rispecchia la varietà delle tendenze politiche presenti nel Paese ed ha il monopolio della funzione di indirizzo politico nei confronti del governo.

La riforma costituzionale proposta da Renzi voleva appunto ridisegnare il Senato secondo il modello francese e tedesco; fu bocciata nel referendum con l’argomento (errato e pretestuoso) che togliere l’elezione diretta del Senato sarebbe stata una diminuzione della sovranità popolare. Invece è proprio il bicameralismo perfetto e paritario che abbiamo ora, che contribuisce a rendere pesante e confuso ogni passaggio parlamentare.

Se si vuol fare una riforma costituzionale, bisognerebbe pensare a questo; e anche a ridimensionare l’autonomia delle regioni, malamente ampliata nel 2001 con norme bizantine che ingorgano la Corte costituzionale con cause per conflitto di competenze fra Stato e Regioni.

Per vero, la nuova maggioranza politica dichiara di voler fare una riforma costituzionale ancora più impegnativa, quella verso un sistema presidenziale, dove l’elezione diretta del Capo dello Stato comporti anche la scelta di un indirizzo politico determinato. Però la storia del nostro Paese dimostra piuttosto l’utilità di avere un Capo dello Stato arbitro imparziale con funzioni di garanzia. Non ci rinuncerei tanto facilmente.

]]>
Logo rubrica Il punto

I risultati hanno messo in evidenza una serie di criticità e di oscurità del sistema elettorale con il quale abbiamo votato. Se è stato subito chiaro chi avesse vinto ottenendo però una maggioranza parlamentare esagerata rispetto alle percentuali di voto - è stato più difficile e incerto scoprire i nomi degli eletti nelle varie circoscrizioni. Segno di un sistema poco trasparente.

Tornano in primo piano anche le perplessità sull’utilità di avere due Camere delle quali l’una è la fotocopia dell’altro. Alle origini del sistema parlamentare, nelle monarchie liberali del secolo XIX, le Camere erano due perché una era di nomina regia e l’altra elettiva, e questa era la sola che con il voto di fiducia (o di sfiducia) avesse il potere di far nascere e cadere i governi.

Nelle democrazie moderne la seconda camera (detta anche camera alta, ma è quella che conta di meno) spesso si distingue come espressione dei territori mentre l’altra - la sola eletta con voto popolare diretto - rispecchia la varietà delle tendenze politiche presenti nel Paese ed ha il monopolio della funzione di indirizzo politico nei confronti del governo.

La riforma costituzionale proposta da Renzi voleva appunto ridisegnare il Senato secondo il modello francese e tedesco; fu bocciata nel referendum con l’argomento (errato e pretestuoso) che togliere l’elezione diretta del Senato sarebbe stata una diminuzione della sovranità popolare. Invece è proprio il bicameralismo perfetto e paritario che abbiamo ora, che contribuisce a rendere pesante e confuso ogni passaggio parlamentare.

Se si vuol fare una riforma costituzionale, bisognerebbe pensare a questo; e anche a ridimensionare l’autonomia delle regioni, malamente ampliata nel 2001 con norme bizantine che ingorgano la Corte costituzionale con cause per conflitto di competenze fra Stato e Regioni.

Per vero, la nuova maggioranza politica dichiara di voler fare una riforma costituzionale ancora più impegnativa, quella verso un sistema presidenziale, dove l’elezione diretta del Capo dello Stato comporti anche la scelta di un indirizzo politico determinato. Però la storia del nostro Paese dimostra piuttosto l’utilità di avere un Capo dello Stato arbitro imparziale con funzioni di garanzia. Non ci rinuncerei tanto facilmente.

]]>
Mafia: quale ‘trattativa’! https://www.lavoce.it/mafia-quale-trattativa/ Fri, 01 Oct 2021 17:25:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=62534

La cronaca ci costringe a tornare dopo pochi giorni sull’argomento “mafia”. C’è stata davvero, negli anni ’90, una trattativa fra lo Stato e la mafia? Se sì, è stata un reato, o no? Di nuovo, si devono fare i conti con un polverone giornalistico che confonde le idee, anche volutamente.

Dunque mettiamo le cose in chiaro. Nel Codice penale il reato di “trattativa” non c’è, e non c’è niente che gli assomigli. La procura di Palermo - risoluta a portare la “trattativa” in tribunale - è andata alla caccia di un appiglio, e ha creduto di averlo trovato nell’art. 338 del codice. Questo però parla di violenza o minaccia alle alte autorità dello Stato.

Chi lo ha scritto pensava a episodi come quello dei trumpiani che hanno preso d’assalto il Congresso degli Stati Uniti. Nel nostro caso, i magistrati dell’accusa hanno pensato che certi delitti e certi attentati - i cui autori noti sono tutti condannati da un pezzo - fossero stati ideati proprio per ricattare i membri del Governo e spingerli a determinate decisioni (quali, non è chiaro). Sul piano del diritto, ci può stare; ma il punto è che l’art. 338 punisce il ricatto e i ricattatori, non chi è ricattato. Neppure se il ricattato, cioè il Governo, cede e scende a patti.

Allora, come è possibile portare in giudizio i rappresentanti dello Stato che, secondo l’accusa, avrebbero ceduto alle minacce della mafia? Qui è scattata la forzatura che a Palermo la Corte di primo grado, nel 2018, aveva accolto e che quella di secondo grado ha invece respinto. La tesi era che alcuni alti ufficiali dei carabinieri, che indagavano su quei fatti, abbiano fatto da portavoce ai mafiosi mettendosi dalla loro parte.

Loro invece si sono difesi dicendo che indagavano e riferivano, come era il loro compito. In primo grado sono stati condannati, in secondo grado assolti. Anche se fossero colpevoli, sarebbe un (grave) caso di infedeltà di alcuni funzionari, e non sarebbe concettualmente corretto chiamarlo “trattativa Stato-mafia”. Questa denominazione è solo una montatura con la quale qualche magistrato e qualche giornalista si è costruito la sua fama mediatica.

]]>

La cronaca ci costringe a tornare dopo pochi giorni sull’argomento “mafia”. C’è stata davvero, negli anni ’90, una trattativa fra lo Stato e la mafia? Se sì, è stata un reato, o no? Di nuovo, si devono fare i conti con un polverone giornalistico che confonde le idee, anche volutamente.

Dunque mettiamo le cose in chiaro. Nel Codice penale il reato di “trattativa” non c’è, e non c’è niente che gli assomigli. La procura di Palermo - risoluta a portare la “trattativa” in tribunale - è andata alla caccia di un appiglio, e ha creduto di averlo trovato nell’art. 338 del codice. Questo però parla di violenza o minaccia alle alte autorità dello Stato.

Chi lo ha scritto pensava a episodi come quello dei trumpiani che hanno preso d’assalto il Congresso degli Stati Uniti. Nel nostro caso, i magistrati dell’accusa hanno pensato che certi delitti e certi attentati - i cui autori noti sono tutti condannati da un pezzo - fossero stati ideati proprio per ricattare i membri del Governo e spingerli a determinate decisioni (quali, non è chiaro). Sul piano del diritto, ci può stare; ma il punto è che l’art. 338 punisce il ricatto e i ricattatori, non chi è ricattato. Neppure se il ricattato, cioè il Governo, cede e scende a patti.

Allora, come è possibile portare in giudizio i rappresentanti dello Stato che, secondo l’accusa, avrebbero ceduto alle minacce della mafia? Qui è scattata la forzatura che a Palermo la Corte di primo grado, nel 2018, aveva accolto e che quella di secondo grado ha invece respinto. La tesi era che alcuni alti ufficiali dei carabinieri, che indagavano su quei fatti, abbiano fatto da portavoce ai mafiosi mettendosi dalla loro parte.

Loro invece si sono difesi dicendo che indagavano e riferivano, come era il loro compito. In primo grado sono stati condannati, in secondo grado assolti. Anche se fossero colpevoli, sarebbe un (grave) caso di infedeltà di alcuni funzionari, e non sarebbe concettualmente corretto chiamarlo “trattativa Stato-mafia”. Questa denominazione è solo una montatura con la quale qualche magistrato e qualche giornalista si è costruito la sua fama mediatica.

]]>