società Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/societa-2/ Settimanale di informazione regionale Wed, 02 Oct 2024 15:10:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg società Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/societa-2/ 32 32 Immigrati tra cittadinanza formale e cittadinanza attiva – La “provocazione” di Rolando Marini/2 https://www.lavoce.it/immigrati-tra-cittadinanza-formale-e-cittadinanza-attiva-la-provocazione-di-rolando-marini-2/ https://www.lavoce.it/immigrati-tra-cittadinanza-formale-e-cittadinanza-attiva-la-provocazione-di-rolando-marini-2/#respond Sat, 21 Sep 2024 08:41:04 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77724

Parlare di cittadinanza rispetto a chi non ce l’ha, come molti immigrati, sembra fuori luogo. Sembra, ma non è esattamente così. Facciamo un percorso attraverso alcuni tipi di cittadinanza riguardanti gli immigrati, o meglio i cittadini non italiani e non comunitari residenti da noi. Anche perché è un problema che si porrà davanti ai nuovi flussi, seppure sembrino diversi dal passato.

Nati in Italia, perché no ius soli?

La cittadinanza italiana viene raggiunta secondo regole ben precise. Alcuni ne chiedono una riforma. Di alcune di queste si è parlato diverse volte nel dibattito politico degli anni recenti, specialmente in ordine alla possibilità di riconoscerla ai minorenni, ad esempio secondo lo ius soli , cioè per il fatto di essere nati in Italia. Un dibattito parlamentare conclusosi in modo confuso alla fine del 2017. Ma nel 2022 si è arenato in Parlamento anche lo ius scholae . Afferma Save the Children Italia nel suo sito: “Quello che chiediamo è uno ius soli condizionato dalla residenza legale dei genitori in Italia, come già accade in molti altri Paesi europei”. Ancora Save the Children ci dice che le nuove generazioni esprimono una “domanda di appartenenza” alla comunità nazionale che rimane solo parzialmente soddisfatta. In base al rapporto ormai pluriennale che ho con studenti di famiglie straniere che hanno fatto tutto o quasi tutto il percorso di studi in Italia e sono venuti all’università, posso dire che quella che giuridicamente si chiama naturalizzazione è nei fatti. Nessuno può ragionevolmente pretendere che lascino alle spalle o nascondano elementi identitari dei paesi e delle culture dei genitori. Ma loro hanno le basi solide per sentirsi ed essere cittadini europei.

Integrazione non è "assimilazione"

Pensando agli immigrati residenti, però, osservo che ci sono altre forme di appartenenza a una comunità civile (a una civitas ) che vanno oltre l’acquisizione formale della cittadinanza nazionale. E riguardano il modo di porsi attivamente dentro una comunità e interagire con gli altri, all’interno di un quadro di regole scritte e - soprattutto non scritte. Tutte quelle forme, dal vivere quotidiano spicciolo in avanti, che congiungono la partecipazione alla responsabilità. Certo, arriviamo a un punto delicato del discorso, poiché si rischia di disegnare un quadro di doveri attesi, come se si ponessero condizioni e requisiti da soddisfare. Parlo in effetti di processi d’integrazione, parola a molti invisa perché richiama tendenze a un’assimilazione di tipo etnocentrico. Ma il problema sostanziale consiste nell’adesione o meno ai regimi normativi di una società, mantenendone il pluralismo e però preservandone la coesione. È il problema dei problemi nella prospettiva della società multiculturale.

Oltre la cittadinanza: membri di una comunità civile

Ma dico, proseguendo a esercitare una funzione critica: in qualsiasi città occorre che venga rispettato un patto di convivenza su cui tutti i cittadini, indistintamente, sono chiamati a impegnarsi. Fare e fare bene la raccolta differenziata, rispettare gli spazi urbani, seguire le regole sanitarie (ad esempio le vaccinazioni), sapere come funzionano gli uffici pubblici, tenersi informati, ecc. Per non parlare di altri aspetti, più avanzati, come il consumo consapevole, la difesa dell’ambiente, la solidarietà sociale in senso esteso. Utopia? Non direi. Il fatto è che molti immigrati continuano a collocarsi dentro uno spazio relazionale e sociale in cui esiste solo lavoro, parentele o amicizie di gruppo nazionale (o religioso) e collegamento con la famiglia lontana. Uno spazio riservato e non esposto all’impegno civico, spesso alimentato dall’isolazionismo delle comunità migranti. Problema noto della figura dello straniero nelle scienze sociali: partecipazione limitata alla vita civile della società “ospitante”. Riserva mentale, con l’aggravante dell’autogiustificazione. Con il rischio, già concreto, di accentuare la percezione di una società patologicamente frammentata, in cui le differenze diventano un fattore disgregante piuttosto che un’opportunità. Rolando Marini ProRettore Università per Stranieri di Perugia (Intervento tenuto al secondo incontro di Voci dal mondo)]]>

Parlare di cittadinanza rispetto a chi non ce l’ha, come molti immigrati, sembra fuori luogo. Sembra, ma non è esattamente così. Facciamo un percorso attraverso alcuni tipi di cittadinanza riguardanti gli immigrati, o meglio i cittadini non italiani e non comunitari residenti da noi. Anche perché è un problema che si porrà davanti ai nuovi flussi, seppure sembrino diversi dal passato.

Nati in Italia, perché no ius soli?

La cittadinanza italiana viene raggiunta secondo regole ben precise. Alcuni ne chiedono una riforma. Di alcune di queste si è parlato diverse volte nel dibattito politico degli anni recenti, specialmente in ordine alla possibilità di riconoscerla ai minorenni, ad esempio secondo lo ius soli , cioè per il fatto di essere nati in Italia. Un dibattito parlamentare conclusosi in modo confuso alla fine del 2017. Ma nel 2022 si è arenato in Parlamento anche lo ius scholae . Afferma Save the Children Italia nel suo sito: “Quello che chiediamo è uno ius soli condizionato dalla residenza legale dei genitori in Italia, come già accade in molti altri Paesi europei”. Ancora Save the Children ci dice che le nuove generazioni esprimono una “domanda di appartenenza” alla comunità nazionale che rimane solo parzialmente soddisfatta. In base al rapporto ormai pluriennale che ho con studenti di famiglie straniere che hanno fatto tutto o quasi tutto il percorso di studi in Italia e sono venuti all’università, posso dire che quella che giuridicamente si chiama naturalizzazione è nei fatti. Nessuno può ragionevolmente pretendere che lascino alle spalle o nascondano elementi identitari dei paesi e delle culture dei genitori. Ma loro hanno le basi solide per sentirsi ed essere cittadini europei.

Integrazione non è "assimilazione"

Pensando agli immigrati residenti, però, osservo che ci sono altre forme di appartenenza a una comunità civile (a una civitas ) che vanno oltre l’acquisizione formale della cittadinanza nazionale. E riguardano il modo di porsi attivamente dentro una comunità e interagire con gli altri, all’interno di un quadro di regole scritte e - soprattutto non scritte. Tutte quelle forme, dal vivere quotidiano spicciolo in avanti, che congiungono la partecipazione alla responsabilità. Certo, arriviamo a un punto delicato del discorso, poiché si rischia di disegnare un quadro di doveri attesi, come se si ponessero condizioni e requisiti da soddisfare. Parlo in effetti di processi d’integrazione, parola a molti invisa perché richiama tendenze a un’assimilazione di tipo etnocentrico. Ma il problema sostanziale consiste nell’adesione o meno ai regimi normativi di una società, mantenendone il pluralismo e però preservandone la coesione. È il problema dei problemi nella prospettiva della società multiculturale.

Oltre la cittadinanza: membri di una comunità civile

Ma dico, proseguendo a esercitare una funzione critica: in qualsiasi città occorre che venga rispettato un patto di convivenza su cui tutti i cittadini, indistintamente, sono chiamati a impegnarsi. Fare e fare bene la raccolta differenziata, rispettare gli spazi urbani, seguire le regole sanitarie (ad esempio le vaccinazioni), sapere come funzionano gli uffici pubblici, tenersi informati, ecc. Per non parlare di altri aspetti, più avanzati, come il consumo consapevole, la difesa dell’ambiente, la solidarietà sociale in senso esteso. Utopia? Non direi. Il fatto è che molti immigrati continuano a collocarsi dentro uno spazio relazionale e sociale in cui esiste solo lavoro, parentele o amicizie di gruppo nazionale (o religioso) e collegamento con la famiglia lontana. Uno spazio riservato e non esposto all’impegno civico, spesso alimentato dall’isolazionismo delle comunità migranti. Problema noto della figura dello straniero nelle scienze sociali: partecipazione limitata alla vita civile della società “ospitante”. Riserva mentale, con l’aggravante dell’autogiustificazione. Con il rischio, già concreto, di accentuare la percezione di una società patologicamente frammentata, in cui le differenze diventano un fattore disgregante piuttosto che un’opportunità. Rolando Marini ProRettore Università per Stranieri di Perugia (Intervento tenuto al secondo incontro di Voci dal mondo)]]>
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Coronavirus. Contributi per chi ha figli a carico a casa https://www.lavoce.it/decreto-cura-italia-contributi/ https://www.lavoce.it/decreto-cura-italia-contributi/#comments Fri, 03 Apr 2020 08:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56723 Decreto cura Italia. Ritratto di famiglia

Misure a sostegno delle famiglie

In piena emergenza coronavirus, torna preponderante il tema delle misure a sostegno delle famiglie. La chiusura delle scuole, i nonni classificati “soggetti a rischio”, ha messo in difficoltà molte famiglie. Tanti i genitori lavoratori che hanno trovato soluzioni temporanee con permessi e ferie. Con la successiva sospensione delle attività lavorative non essenziali, però, molti genitori si sono trovati a lavorare in smart working, alcuni in ferie forzate e altri in cassa integrazione. Se i meno fortunati - lavorativamente parlando - sono riusciti a trovare una soluzione, per gli smart worker la necessità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa è diventata una priorità assoluta. Ecco quindi che il Governo ha provato a dare una risposta con le misure inserite nel decreto “Cura Italia” a sostegno delle famiglie, rivolgendosi principalmente ai genitori lavoratori impegnati in servizi essenziali. Tra le misure sono previsti un congedo straordinario, un bonus baby-sitting e l’incremento dei giorni di permesso previsti dalla legge 104. Vediamo le misure nel dettaglio.

Il decreto “Cura Italia”

I genitori di bambini fino a 12 anni, o con disabilità, hanno la possibilità di usufruire di un congedo parentale straordinario di 15 giorni, da utilizzare in un periodo continuativo o frazionato. Il congedo può essere richiesto alternativamente da entrambi i genitori per un totale complessivo di 15 giorni. Durante il periodo la retribuzione è pari al 50%. Possono usufruire di questo congedo i lavoratori:
  • dipendenti del settore privato
  • iscritti in via esclusiva alla Gestione separata
  • autonomi iscritti all’Inps
  • dipendenti del settore pubblico
I lavoratori del settore privato, con figli tra i 12 e i 16 anni, hanno diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei servizi scolastici senza però percepire alcuna indennità. In alternativa al congedo straordinario è previsto il bonus per servizi di baby-sitting nel limite di 600 euro. Il bonus viene erogato con il libretto famiglia e può arrivare fino a 1.000 euro. Per il personale del servizio sanitario nazionale e le Forze dell’ordine impegnate nell’emergenza sanitaria. Per i lavoratori che usufruiscono della legge 104, per i mesi di marzo e aprile 2020, è stato portato a 15 giorni il permesso mensile retribuito. Tra le altre misure è prevista un’una tantum di 600 euro destinata alle categorie dei professionisti, partite Iva, artigiani e commercianti, stagionali, lavoratori agricoli e dello spettacolo. È possibile fare domanda dal 1° aprile sul sito dell’Inps.

Ma il Forum famiglie è critico

Nonostante l’impegno del Governo a trovare soluzioni a sostegno delle famiglie, le misure inserite nel decreto “Cura Italia” non sembrano sufficienti o adatte alla straordinarietà dell’emergenza sanitaria ed economica. 
Tante le domande e le perplessità delle famiglie davanti ai provvedimenti del decreto. Rispetto al bonus baby-sitter: con i limiti ai contatti sociali imposti per legge, far entrare in casa persone esterne al nucleo familiare non sembra la scelta preferibile. 
Per quanto riguarda i congedi: se si vuole stare a casa - per massimo 15 giorni, con le scuole chiuse ormai da un mese -, lo stipendio è ridotto della metà. L’indennizzo di 600 euro è per il solo mese di marzo, e solo per chi si è recato in ufficio. Eppure i problemi per le famiglie in questo periodo non sono pochi. Non solo conciliare il lavoro con la gestione dei figli, ma si pensi alla questione tecnologica. In una famiglia con due genitori che lavorano da casa e più di un figlio impegnato nella didattica online, si pone il problema di avere più computer o dispositivi per connettersi alla Rete.

Quali altre possibili soluzioni?

Il Forum delle associazioni familiari, attraverso il suo presidente nazionale, Gigi De Palo, torna a chiedere “maggiori risorse direttamente nelle tasche delle famiglie”. La situazione è difficile e che “nessuno vorrebbe essere al posto di chi governa oggi il Paese”. De Paolo spiega che i provvedimenti non sono efficaci. 
“Le misure - afferma - hanno un errore di fondo: non considerano le famiglie in quanto tali, ma solo le tipologie dei contratti di lavoro delle singole persone che lavorano”. Per il presidente del Forum, si tratta di “una serie di aiuti per lavoratori dipendenti, lavoratori atipici, lavoratori con partita Iva, ma non si aiuta direttamente la famiglia”. 
Il Forum delle associazioni familiari, già in tempi non sospetti, si era attivato con il ministro alla Famiglia e il ministro all’Economia per chiedere un sostegno alle famiglie. Un assegno unico che tenga conto anche del carico dei figli. Uno strumento che potrebbe “aiutare a vivere dignitosamente questo periodo difficile”. “Le famiglie - sigla De Palo - devono essere messe in condizione di fare le famiglie. Sono le famiglie che in questa fase di emergenza stanno portando avanti il Paese. Facciamo arrivare soldi direttamente nelle loro tasche!”. Annalisa Marzano]]>
Decreto cura Italia. Ritratto di famiglia

Misure a sostegno delle famiglie

In piena emergenza coronavirus, torna preponderante il tema delle misure a sostegno delle famiglie. La chiusura delle scuole, i nonni classificati “soggetti a rischio”, ha messo in difficoltà molte famiglie. Tanti i genitori lavoratori che hanno trovato soluzioni temporanee con permessi e ferie. Con la successiva sospensione delle attività lavorative non essenziali, però, molti genitori si sono trovati a lavorare in smart working, alcuni in ferie forzate e altri in cassa integrazione. Se i meno fortunati - lavorativamente parlando - sono riusciti a trovare una soluzione, per gli smart worker la necessità di conciliare la vita familiare con quella lavorativa è diventata una priorità assoluta. Ecco quindi che il Governo ha provato a dare una risposta con le misure inserite nel decreto “Cura Italia” a sostegno delle famiglie, rivolgendosi principalmente ai genitori lavoratori impegnati in servizi essenziali. Tra le misure sono previsti un congedo straordinario, un bonus baby-sitting e l’incremento dei giorni di permesso previsti dalla legge 104. Vediamo le misure nel dettaglio.

Il decreto “Cura Italia”

I genitori di bambini fino a 12 anni, o con disabilità, hanno la possibilità di usufruire di un congedo parentale straordinario di 15 giorni, da utilizzare in un periodo continuativo o frazionato. Il congedo può essere richiesto alternativamente da entrambi i genitori per un totale complessivo di 15 giorni. Durante il periodo la retribuzione è pari al 50%. Possono usufruire di questo congedo i lavoratori:
  • dipendenti del settore privato
  • iscritti in via esclusiva alla Gestione separata
  • autonomi iscritti all’Inps
  • dipendenti del settore pubblico
I lavoratori del settore privato, con figli tra i 12 e i 16 anni, hanno diritto di astenersi dal lavoro per il periodo di sospensione dei servizi scolastici senza però percepire alcuna indennità. In alternativa al congedo straordinario è previsto il bonus per servizi di baby-sitting nel limite di 600 euro. Il bonus viene erogato con il libretto famiglia e può arrivare fino a 1.000 euro. Per il personale del servizio sanitario nazionale e le Forze dell’ordine impegnate nell’emergenza sanitaria. Per i lavoratori che usufruiscono della legge 104, per i mesi di marzo e aprile 2020, è stato portato a 15 giorni il permesso mensile retribuito. Tra le altre misure è prevista un’una tantum di 600 euro destinata alle categorie dei professionisti, partite Iva, artigiani e commercianti, stagionali, lavoratori agricoli e dello spettacolo. È possibile fare domanda dal 1° aprile sul sito dell’Inps.

Ma il Forum famiglie è critico

Nonostante l’impegno del Governo a trovare soluzioni a sostegno delle famiglie, le misure inserite nel decreto “Cura Italia” non sembrano sufficienti o adatte alla straordinarietà dell’emergenza sanitaria ed economica. 
Tante le domande e le perplessità delle famiglie davanti ai provvedimenti del decreto. Rispetto al bonus baby-sitter: con i limiti ai contatti sociali imposti per legge, far entrare in casa persone esterne al nucleo familiare non sembra la scelta preferibile. 
Per quanto riguarda i congedi: se si vuole stare a casa - per massimo 15 giorni, con le scuole chiuse ormai da un mese -, lo stipendio è ridotto della metà. L’indennizzo di 600 euro è per il solo mese di marzo, e solo per chi si è recato in ufficio. Eppure i problemi per le famiglie in questo periodo non sono pochi. Non solo conciliare il lavoro con la gestione dei figli, ma si pensi alla questione tecnologica. In una famiglia con due genitori che lavorano da casa e più di un figlio impegnato nella didattica online, si pone il problema di avere più computer o dispositivi per connettersi alla Rete.

Quali altre possibili soluzioni?

Il Forum delle associazioni familiari, attraverso il suo presidente nazionale, Gigi De Palo, torna a chiedere “maggiori risorse direttamente nelle tasche delle famiglie”. La situazione è difficile e che “nessuno vorrebbe essere al posto di chi governa oggi il Paese”. De Paolo spiega che i provvedimenti non sono efficaci. 
“Le misure - afferma - hanno un errore di fondo: non considerano le famiglie in quanto tali, ma solo le tipologie dei contratti di lavoro delle singole persone che lavorano”. Per il presidente del Forum, si tratta di “una serie di aiuti per lavoratori dipendenti, lavoratori atipici, lavoratori con partita Iva, ma non si aiuta direttamente la famiglia”. 
Il Forum delle associazioni familiari, già in tempi non sospetti, si era attivato con il ministro alla Famiglia e il ministro all’Economia per chiedere un sostegno alle famiglie. Un assegno unico che tenga conto anche del carico dei figli. Uno strumento che potrebbe “aiutare a vivere dignitosamente questo periodo difficile”. “Le famiglie - sigla De Palo - devono essere messe in condizione di fare le famiglie. Sono le famiglie che in questa fase di emergenza stanno portando avanti il Paese. Facciamo arrivare soldi direttamente nelle loro tasche!”. Annalisa Marzano]]>
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La pace e la bontà sono contagiose https://www.lavoce.it/pace-bonta-contagiose/ Wed, 11 Dec 2019 16:32:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=55843

“I cambiamenti che il mondo sta attraversando e affrontando creano disorientamento, provocano anche paure. E le paure generano chiusure e contrapposizioni pericolose. Le paure sono anche contagiose. Ma anche la pace è contagiosa, anche la bontà è contagiosa. E metterla in pratica, chiamando altri a praticarla, moltiplicando e diffondendo questo impegno, è fortemente contagioso e importante”.

Mattarella al Sermig

Sono le parole che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha detto intervenendo all’Arsenale della pace di Torino in occasione della visita al Sermig (Servizio missionari giovani) nel 55° anniversario della fondazione. Parlava ai giovani di oggi e di ieri che insieme al fondatore Ernesto Olivero si impegnano ogni giorno per la pace contagiando e coinvolgendo altri.

Parlando di ciò che avviene al Sermig, il Presidente ha sottolineato l’importanza “di incontrarsi con le persone, di aprirsi all’incontro con gli altri, di far uscire, emergere quel che c’è di potenzialmente buono in tutti e di procedere insieme in quella direzione”.

Le paure degli italiani

In questi stessi giorni altra notizia, altro scenario. L’ultima rilevazione eseguita da Swg su un campione di 1.000 maggiorenni italiani, i cui esiti sono pubblicati nello speciale “Paure per l’oggi e futuro dei figli” di “PoliticApp”, descrive una società che vede il futuro a tinte fosche.

Chiamati ad esprimersi su ciò che li preoccupa di più rispetto al futuro dei figli, nella rilevazione eseguita tra il 27 e il 29 novembre, il 72% degli intervistati indica quella“che non riescano ad avere uno standard di vita decente”, e a seguire: “che debbano emigrare”, “che debbano lavorare troppo”, “che non riescano a costruirsi una famiglia”, “che non abbiano successo nella vita”, fino a temere che i figli vivranno in un Paese con grandi ingiustizie sociali (37%) e altro ancora.

Insomma paure e insicurezze che (secondo i dati del Censis di cui scriviamo a pag. 3) si traducono in mancanza di fiducia nell’altro (75%) e nel desiderio di avere un “uomo forte al potere” (48%) al quale affidare la soluzione di tutti i mali.

Democrazia è meglio di “uomo forte”

Tentazione pericolosa, quella dell’“uomo forte”. E destinata al fallimento, come ha dimostrato la storia dei regimi totalitari. Non a caso san Giovanni Paolo II nel 1991, a cento anni dall’enciclica sociale Rerum Novarum e due anni dopo la caduta del muro di Berlino, nell’Enciclica Centesimus Annus (al n. 46) scriveva che “La Chiesa apprezza il sistema della democrazia”.

E più avanti dava una indicazione di metodo: “La Chiesa, pertanto, riaffermando costantemente la trascendente dignità della persona, ha come suo metodo il rispetto della libertà”. Un testo da rileggere per ricomprendere con sano realismo il valore del nostro forte e allo stesso tempo fragile sistema democratico di cui ogni giorno dobbiamo prenderci cura esercitando la nostra libertà.

Papa Francesco, che oggi si appresta a festeggiare il 50° dell’ordinazione sacerdotale, avvenuta il 13 dicembre 1969 ricorda che “la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione” perché, aggiungiamo noi, la bontà è contagiosa. E alla fine vince.

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La visione (politica) della “civiltà dell’amore” https://www.lavoce.it/migranti-la-nota-cei-e-la-civilta-dellamore/ Fri, 27 Jul 2018 10:18:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52543 di Maria Rita Valli

Il quotidiano Avvenire lunedì scorso pubblica on line un articolo dal titolo “La bufala sui social. Le unghie di Josefa e quelle della Rete”. L’articolo tocca il tema migranti descrivendo le reazioni alla storia di Josefa, la donna che il 17 luglio è stata salvata dopo 48 ore passate in acqua aggrappata a un relitto con accanto una donna e un bambino morti. La foto di lei che viene tirata fuori dall’acqua dai volontari di Open Arms, con i suoi occhi sbarrati fissi nel nulla, è diventata in questi ultimi giorni l’immagine della tragedia dei migranti disposti a grandi sacrifici pur di arrivare in Europa, e disposti a morire in mare piuttosto che tornare in Libia. Sui social si sono scatenati gli haters (odiatori) che hanno preso a pretesto lo smalto sulle unghie (messo dalle volontarie per aiutarla a parlare). Ci sono poi anche le polemiche contro i volontari e le accuse di fake news (bugie) dall’una e dall’altra parte cui prendono parte anche esponenti del Governo.

È solo l’ultimo, degli episodi che fa emergere il clima di intolleranza e di odio che dall’anonimato o dallo schermo dei social network e del web si diffonde sempre più nelle relazioni quotidiane. Dinamiche che non risparmiano le comunità ecclesiali con “cattolici praticanti” che non hanno remore a condividere o finanche alimentare i commenti disprezzo e di odio. E questo preoccupa sempre più, tanto che il 19 luglio la Presidenza della Conferenza episcopale italiana ha diffuso una breve nota sulla questione dei migranti dal titolo eloquente: “Migranti, dalla paura all’accoglienza”. I vescovi parlano di “tragedia alla quale non ci è dato di assuefarci” ricordando che i migranti persone: “poveri, vittime di guerre e fame, di deserti e torture” e condannano fermamente chi alimenta e diffonde odio.

“Come Pastori della Chiesa – si legge nella nota pubblicata sul sito web della Cei – non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determinino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto”. E concludono con parole chiare e forti: “Avvertiamo in maniera inequivocabile che la via per salvare la nostra stessa umanità dalla volgarità e dall’imbarbarimento passa dall’impegno a custodire la vita. Ogni vita. A partire da quella più esposta, umiliata e calpestata”.

Qualcuno pensa che la Chiesa, e questo giornale, parla troppo di immigrati. Il punto è che la questione immigrati è come la febbre che segnala la malattia da curare dopo averne comprese le cause. Potremmo dire che la nostra società sta male, rischia la “volgarità” e l’“imbarbarimento” in tutte le sue espressioni sociali. Penso alla violenza degli uomini sulle donne, o anche agli studenti e ai genitori che picchiano gli insegnanti, solo per fare degli esempi.

Ma come accade quando si è malati il corpo spesso ha in sé le risorse per vincere la malattia e anche nella nostra società le risorse non mancano ma rischiano di sentirsi isolati, emarginati, perché il bene non fa rumore, non arringa le folle, non eccita gli animi, non cancella la responsabilità. Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di riproporre la visione evangelica di una “civiltà dell’amore” (l’espressione è di Paolo VI) che sola può dare futuro e speranza all’umanità.

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La disuguaglianza genera incertezza https://www.lavoce.it/la-disuguaglianza-genera-incertezza/ Wed, 11 Apr 2018 16:25:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51612 di Andrea Casavecchia

L’aumento della disuguaglianza tra le persone e le famiglie è uno dei fattori che contribuisce notevolmente alla crescita della percezione di una società più insicura.

Quando le distanze socio-economiche aumentano le persone che rimangono indietro si sentono facilmente più deboli, abbandonate, meno protette. I dati della Banca d’Italia sui risparmi e investimenti delle famiglie italiane uniti a quelli Istat sulle proprietà delle famiglie mostrano la continua erosione del risparmio negli ultimi dieci anni. I nuclei familiari più poveri sono stati quelli che hanno pagato dazio in modo maggiore, mentre sono rimaste indenni le 10 famiglie più ricche d’Italia – che da sole dispongono di un patrimonio pari a quello di un terzo della popolazione intera. È impressionante verificare che in tutte le altre fasce della popolazione il risparmio a disposizione è diminuito, ovviamente in porzioni differenti: e purtroppo è calato di oltre il 63,5% tra le famiglie con una ricchezza intorno ai 520 euro oppure del 51% tra quelle con una ricchezza media di 1.478 euro La contrazione della ricchezza è molto inferiore per le famiglie più abbienti: del 12,6% tra le famiglie con un patrimonio che si aggira intorno ai 78.500 euro oppure del 15,3% tra quelle con un patrimonio di 130.800 euro. Dai risultati di queste analisi si traggono due indicazioni. In primo luogo si osserva che solo le famiglie “miliardarie” sono uscite immuni dalla crisi, molto probabilmente perché esse hanno una capacità di investimento che si muove su flussi globali ed è meno dipendente dagli andamenti di singoli sistemi economici. In secondo luogo appare evidente l’incapacità di tutelare i più deboli, i quali hanno visto i loro risparmi consumarsi quasi completamente; inoltre cresce la distanza tra i vari ceti e con essa la possibilità di aspirare a cambiare la propria posizione sociale.

Non si è ancora compreso che la disuguaglianza genera incertezze sociali. Uno studio di Richard Wilkinson e Kate Pickett – “La misura dell’anima. Perché le disuguaglianze rendono le società infelici” – ha evidenziato che esiste una correlazione tra le disparità di reddito e i problemi sociali: quando aumenta la disuguaglianza crescono gli omicidi, il bullismo, l’abuso di alcol e di droghe, la mortalità infantile e l’obesità, mentre diminuiscono il benessere, la fiducia tra i cittadini, la speranza di vita.

Insomma l’incertezza sociale aumenta e a questo si aggiunga anche che la disuguaglianza corrode il “capitale umano” perché essa influenza l’acquisizione di abilità e competenze richieste per alimentare gli stessi processi produttivi. La disuguaglianza così finisce anche per colpire l’economia.

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La Storia è migrazione https://www.lavoce.it/la-storia-e-migrazione/ Thu, 27 Jul 2017 10:29:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49548 La storia umana è una danza di migrazioni da almeno un milione e settecentomila anni (1.700.000). L’acqua del mare insegna: ferma, imputridisce! Il mare è in movimento ogni giorno, a volte dolcemente, a volte con tempeste e tsunami; sempre con le basse e alte maree. Così il mare è sorgente inesauribile e innovativa di vita vegetale animale e umana. Solo l’ignoranza, la memoria corta, le paure cieche e irrazionali trasformano le migrazioni in incubi. Donne-raccolta-Kenya-CMYKSenza negare i problemi che pongono e che hanno sempre posto sia a chi si muove che a chi riceve – ma la vita cresce e si sviluppa solo nel movimento e nell’accettazione giornaliera delle sue sfide. I giovani sono i grandi attori delle migrazioni non solo dal Sud al Nord ma anche, un’ondata nuova e crescente, dal Nord al Sud. Sono i vecchi di corpo e di mente e gli invecchiati che sognano staticità e muri e rigettano quei ponti di cui il “giovane ottantenne” Papa Francesco è l’alfiere.

 

Abramo, Giacobbe, Gesù, cristiani… salvati dall’emigrazione

Uno sguardo alla Bibbia: Abramo fu un grande emigrante! Viveva presso il fiume Eufrate nell’attuale Iraq, sovrappopolato da uomini e animali. Dio e la sua intelligenza lo ispirano a muoversi versa terre nuove. Va in Palestina vicino al fiume Giordano. Ma la Palestina era suscettibile di terribili siccità; quindi non di rado i discendenti di Abramo emigreranno per tempi più a meno lunghi in Egitto, in cui pane e pasture erano assicurate dalla inondazioni periodiche del Nilo. Gesù stesso sfugge al re Erode che voleva ucciderlo rifugiandosi in Egitto, e dopo nove anni torna a Nazareth. Tanti cristiani durante i primi tre secoli delle persecuzioni imperiali si salvarono fuggendo da una provincia a un’altra dove c’era un governatore meno ostile e più tollerante. Lo stesso è avvenuto nel 1600 quando, al tempo delle guerre di religione, molti cristiani europei si salvarono emigrando in Africa, in Australia e nelle Americhe.

 

“Che restino a casa loro”: è la politica dello struzzo

Ne abbiamo sentite tante a cominciare dal presidente Donald Trump, che propone un muro per respingere i latino-americani. Eppure gli Usa hanno bisogno delle giovani braccia del Sud America, tanto che gli imprenditori americani si sono schierati contro Trump. In Inghilterra la Brexit per bloccare le immigrazioni è nella stessa linea. Gli immigranti vengono da quelle nazioni che l’impero britannico ha sfruttato al massimo per decine e centinaia di anni. Poi che ne sarà del tunnel sotto la Manica costruito per favorire l’integrazione europea? Lo chiuderanno? In Italia ci sono familiari le litanie di Salvini e di certi austriaci che minacciano di chiudere il Brennero! Risposte egocentriche, antistoriche, sbagliate, per un mondo senza futuro.

 

“Aiutiamoli a casa loro”: la tradizione missionaria non è più sufficiente

È quello abbiamo fatto noi missionari negli ultimi 200 anni con migliaia e migliaia di scuole, ospedali, promozione dell’agricoltura con semi nuovi come il girasole, il granoturco, il frumento, patate, pomodori, nuova tecnologia come il trattore, l’aratro, ecc. I soldi di tanti amici e benefattori come sono stati investiti? Per “aiutarli a casa loro”! Non inventiamo la ruota dopo che è stata usata per decine e centinaia di anni. Risposta buona, ma non adeguata alle nuove situazioni emergenti.

Quindi dobbiamo andare oltre. Nel 2017 per “aiutarli a casa loro” non bastano le “offerte”. Ci vogliono anche risposte politiche e di strategia commerciale, che l’Europa, Italia inclusa, non vogliono considerare. La politica europea e americana è protezionistica per impedire ai prodotti africani agricoli e ittici di entrare nei mercati del Nord. Solo i fiori hanno condizioni favorevoli. All’Africa il protezionismo contro i prodotti europei è proibito; ma l’Europa usa il protezionismo a piene mani. L’Africa è ricca di materie prime di ogni genere, dal rame all’oro, dai diamanti al cobalto, dal legname al cuoio, dal gas al petrolio. Ma chi fissa e imponi i prezzi? Europa e America, e non certamente in a favore dell’Africa. Diciamo la verità: Europa, America, Cina Giappone, India investono milioni in Africa ma portano via miliardi. “Aiutiamoli a casa loro” è una boutade, una fanfaronata, se non tocca la politica, l’economia, il commercio e la finanza. Anche la Chiesa dovrebbe diventare piu inventiva!

Senza contare che tanti migranti sono spinti fuori dalle loro terre anche quando il livello di vita è decente. Perché? La disoccupazione giovanile oggi induce giovani di tutte le nazioni ad andare dove c’è lavoro almeno stagionale. Dall’Europa un 15.000 giovani all’anno emigrano in Africa, senza contare i cinesi, gli indiani e altri asiatici, che forse sono anche di più. Non dimentichiamo che siamo 7 miliardi di persone, senza contare gli animali che pure esigono il loro spazio vitale su questo piccolo pianeta Terra che ha un diametro di soli 40.000 chilometri. Cosa sono 10 milioni che emigrano? Una minima percentuale! “Aiutiamoli a casa loro” non può bloccare completamente le migrazioni.

Una nuova risposta: imprenditoria sociale in Africa e partenariato con Europa

In Africa sta sorgendo un nuova attenzione: la promozione della imprenditoria locale. La chiamiamo imprenditoria sociale per sottolineare che è focalizzata sulla trasformazione delle società africana, prima di tutto producendo al massimo i beni di consumo interni a prezzi accessibili a tutti, e poi creando posti di lavoro per le nuove generazioni minacciate dalla disoccupazione. In passato l’imprenditoria africana era impossibile. Gli imprenditori dovevano essere europei, con l’aggiunta di qualche indiano; era la legge del colonialismo, che voleva rendere l’Africa sempre più dipendente dall’Europa. Oggi, per fortuna, la situazione è cambiata. Sta sbocciando una sentita mentalità imprenditoriale soprattutto tra le nuove generazioni. Lo sviluppo di atteggiamenti e metodologie imprenditoriali è parte di tutti i programmi scolastici dalle elementari in su. Noi alla “Cattolica” di Nairobi abbiamo ottimi programmi in tale senso. Ci manca ancora un buon partenariato con imprenditori europei e soprattutto italiani.

Noi possiamo favorire questa necessaria collaborazione tra gli imprenditori locali e quelli europei interessati a un guadagno equamente distribuito; è ovvio che non possiamo tollerare che gli imprenditori europei vengano in Africa a fare soldi, e che i locali mangino le briciole.

 

Conclusione: i dolori del parto per un mondo nuovo

Le sofferenze e le incertezze legate alle migrazioni, che oggi per la prima volta hanno raggiunto un livello globale, sono vere profonde e di difficile soluzione. Accettiamole in modo positivo vedendole, assieme a Gesù (cfr. Gv 16,21), come doglie del parto; sofferenze necessarie perché una vita nuova a livello planetario possa emergere. Accettiamo ognuno la sua parte; accogliamo gli emigranti che incontriamo nel nostro quotidiano con rispetto e amicizia; se possiamo, aiutiamoli volentieri.

Non dimentichiamo che le rimesse degli africani che vivono in Italia contribuiscono in modo determinante alla realizzazione dell’“aiutiamoli a casa loro”. E quando andiamo a votare, eleggiamo politici e amministratori che hanno proposte serie e serene sulla inevitabili migrazioni, anche se ci chiedono sacrifici. Non scegliamo quelli che, falsamente, gettano sugli emigrati la colpa per tutti i problemi dell’Italia.

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8 marzo. La Parola alle donne, nella società e nella Chiesa https://www.lavoce.it/8-marzo-la-parola-alle-donne-nella-societa-e-nella-chiesa/ Tue, 08 Mar 2016 16:36:43 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45645 La campagna di Amnesty international di denuncia della prassi delle dpose - bambine
La campagna di Amnesty international di denuncia della prassi delle dpose – bambine

In questo inizio di marzo 2016 una buona notizia apre spiragli di speranza per le bambine del mondo. La Corte Costituzionale dello Zimbabwe ha deliberato che nessuno può sposarsi prima di aver compiuto 18 anni, una decisione che dovrebbe mettere fine alla pratica delle spose – bambine. Si stima che nel mondo vi siano 700 milioni di ragazze date in sposa prima dei 18 anni e 250milioni prima dei 15. La notizia è nel supplemento mensile dell’Osservatore Romano “Donne – Chiesa – Mondo”.

Ogni mese il quotidiano del Papa racconta fatti, raccoglie opinioni, fa scrivere donne dai cinque continenti, religiose e laiche. Insomma dà voce a quella parte di umanità che nel mondo è più spesso dalla parte delle vittime che non dei vincitori. E il supplemento di questo mese è dedicato al tema “Donne che predicano”. Un tema forte in una Chiesa che stenta a riconoscere alle donne la stessa dignità battesimale degli uomini, che invece andrebbe recuperata, per uomini e donne, proprio in relazione a questo punto. Lo sottolinea nello stesso supplemento (i testi sono anche online su www.vatican.va) il priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, in un intervento storico biblico, che mostra come non vi siano nel Vangelo ostacoli alla predicazione dei laici e che fin dai primi secoli questa facoltà è stata riconosciuta anche alle donne. “Sarebbe importante – scrive Bianchi – che, senza mutare nulla della dottrina tradizionale, si desse la possibilità a laici, uomini e donne, di prendere la parola nell’assemblea liturgica, ad alcune precise condizioni” e prosegue indicando quali.

In un mondo in cui le donne sono ridotte a corpo da usare (che siano le spose bambine o le vittime della tratta per la prostituzione, o che siano le modelle o le veline delle nostre tv, o le ‘madri surrogate’ o le vittime degli stupri di guerra e tanto altro ancora) è significativo che il giornale del Papa dedichi a questo tema proprio il supplemento che esce prima della Giornata internazionale della donna che si celebra l’8 marzo.

Schiacciato tra il dibattito sul gender e una profonda diffidenza verso tutto ciò che sa di ‘femminismo’ il mondo cattolico italiano non sembra aver compreso quanto il discorso sulla donna possa costituire uno stimolo e una ricchezza per la comprensione stessa dell’uomo, quanto possa far crescere in umanità la società tutta.

Un anno fa, il 7 febbraio, Papa Francesco affidava al Pontificio Consiglio per la cultura il compito di “studiare criteri e modalità nuovi affinché le donne si sentano non ospiti, ma pienamente partecipi dei diversi ambiti della vita sociale ed ecclesiale”, ed indicava quattro tematiche su cui lavorare, e concludeva “Non bisogna lasciare sole le donne a portare questo peso e a prendere decisioni, ma tutte le istituzioni, compresa la comunità ecclesiale, sono chiamate a garantire la libertà di scelta per le donne, affinché abbiano la possibilità di assumere responsabilità sociali ed ecclesiali, in un modo armonico con la vita familiare”.

Prendere in mano magistero della Chiesa su questo tema potrebbe essere un modo per celebrare questo 8 marzo.

Maria Rita Valli

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La Quaresima e l’arte del digiuno “ben fatto” https://www.lavoce.it/la-quaresima-e-larte-del-digiuno-ben-fatto/ Mon, 22 Feb 2016 09:16:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45469 pane-cmykApparentemente può sembrare una richiesta arcaica o legata a una cultura ‘auto-punitiva’; in realtà, proprio negli ultimi anni, l’abitudine di privarsi di alcuni alimenti o di non mangiare per brevi intervalli di tempo è diventata una tecnica per dialogare con se stessi e, contemporaneamente, per comunicare al mondo la propria identità”, ha riconosciuto Scott Hutchins, pubblicista e artista americano, sul Corriere della sera, in margine all’iniziativa quaresimale presa lo scorso anno da Papa Francesco, per poi aggiungere: il digiuno è “un segnale molto forte di ribellione… un gesto rivoluzionario contro le schiavitù dei nostri tempi”.

Gli faceva eco il card. Gianfranco Ravasi, scrivendo che il digiuno è “un archetipo universale, presente nelle varie religioni e significativo anche nel mondo laico”, che di fatto non ha mancato di dare la propria convinta adesione all’iniziativa del Pontefice.

Diciamo subito che la disciplina ecclesiastica in merito ha registrato delle attenuazioni che, di fatto, hanno finito per svuotare questa pratica di tutta la sua incidenza nel vissuto cristiano. Soprattutto in ambito monastico, il digiuno comportava sostanzialmente un unico pasto, sia pure frugale e senza uso di carni rosse, che veniva spostato nel primo pomeriggio, così da essere intermedio tra pranzo e cena. Formula alternativa era quella di assumere una triplice modalità: o totale astensione dal cibo nell’arco di una giornata, o ricorso a sola frutta oppure pane e acqua. Queste due ultime modalità favorivano un minimo di apporto energetico, senza con questo risultare sazievoli.

Con l’andare del tempo si cominciò a dire: arrivare dal risveglio alle 3 del pomeriggio per il consueto, sia pure sobrio, pranzo è un lasso di tempo eccessivo; facciamo una piccola colazione, che venne eufemisticamente definita frustulum. Si dovette poi convenire, secondo il proverbio “chi va a letto senza cena, tutta notte si dimena”, che dalle 3 del pomeriggio alla prima colazione del giorno dopo l’intervallo era eccessivo, quindi si provvide con una coenula, una pudica cenetta.

Di questo passo la disciplina si venne svuotando di tutto il suo significato. Si aggiunga che, con il tramonto di una cultura sostanzialmente agricola, anche la celebrazione delle “quattro tempora” andò in disuso. Questa comportava le cosiddette “rogazioni”, ossia riti propiziatori delle benedizioni divine sulla campagna allo scadere delle quattro stagioni, accompagnati da pratiche penitenziali soprattutto il mercoledì, il venerdì e il sabato.

Dobbiamo riconoscere che, se da parte confessionale il digiuno ha conosciuto una sorta di eclisse, da parte laica si è venuto via via imponendo, considerato lo scorretto rapporto con cibi e bevande che purtroppo caratterizza la nostra società opulenta.

Volendo quindi ridare vigore a tale pratica, quali concreti suggerimenti possiamo formulare? Ci soffermeremo su una duplice serie di considerazioni. Anzitutto relative al digiuno propriamente alimentare, poi ad altre forme alternative e/o integrative di “digiuno” – altrimenti detto, di sobrietà, di moderazione – che si impongono nel mondo d’oggi in considerazione di un’ecologia non puramente cosmica, ma anzitutto umana e sociale.

Quanto al digiuno alimentare, suggeriamo come primo impegno di osservarsi mentre mangiamo! Facciamone un esercizio ascetico, e vedremo quante cose ci rivela di noi stessi. Per non dire che simile osservazione inciderà sul ritmo con cui assumiamo cibi e bevande, ritmo che è la prima regola dietetica se vogliamo che il cibo sia la nostra prima medicina. Nel box qui sotto compare il Decalogo a mensa: fatene una copia e portatela a tavola.

Sugli altri digiuni rimandiamo a una recente pubblicazione (8 digiuni per vivere meglio… e salvare il pianeta, ed. Àncora) che ne tratta in modo essenziale e pertinente. Eccone l’elenco, già di sua natura molto eloquente: verbale, informatico, visivo, uditivo, anti-consumista, ludico e dalla fretta.

 

Decalogo a mensa – Il giusto mangia per nutrire l’anima

1. Porsi in stato di consapevolezza, così da rendersi coscienti di ogni aspetto di quanto stiamo vivendo, nonché della natura, della preparazione, del gusto dei cibi. Mangiando consapevolmente vedremo che ogni pasto si trasforma in un rituale. Per favorire tutto ciò, può essere utile fare silenzio a mensa, almeno una volta alla settimana (ad esempio il venerdì).

2. Osservarsi mentre si mangia: in che attitudine ci poniamo nei confronti dei cibi, quantità che ne prendiamo, “volume” dei bocconi, ritmo con cui li assumiamo: pacato, avido, abbuffatorio, a imbuto… La mensa è un test: nel modo con cui mangiamo riveliamo il nostro stato d’animo, il nostro modo di rapportarci con le cose, noi stessi, gli altri.

3. Accogliere, non divorare, considerando gli alimenti come un dono offerto alla nostra gustosa e dilettevole consumazione. Questo favorisce un migliore dosaggio dei cibi e previene la sovralimentazione.

4. Mangiare, trattenendo in bocca e masticando i cibi fino a renderli insipidi, dal momento che la loro sostanza vitale viene ceduta al palato. La prima digestione si verifica in bocca.

5. Trattare i liquidi da solidi e rendere i solidi liquidi, così da essere gustati fino in fondo e deglutiti senza sforzo.

6. Mangiare solo a tavola e non assumere cibo fuori pasto, salvo il caso che si tratti di frutta, che è preferibile scorporare dai pasti e consumare da sola. Ai pasti, disertare il dessert.

7. Bere poco durante i pasti, evitando un’eccessiva diluizione dei succhi gastrici, e bere molto fuori pasto.

8. Si chiamano “posate” perché vanno deposte sulla tavola tra un boccone e un altro, e non brandite come armi con cui combattere la lotta per la fame.

9. Esistono tre bocconi: il boccone della sobrietà (è il boccone di meno, quando ci si allontana da tavola con un residuo di appetito); il boccone della sazietà (quando si raggiunge la misura di cibo sufficiente); il boccone della golosità (è il boccone in più, che prepara le nostre malattie future e che prendiamo a tutto beneficio di medici e medicine). Riempire lo stomaco per un terzo delle sue capacità.

10. Preferire il meno (… grosso, buono, condito, appetitoso) e condividere o cedere agli altri il meglio. Uno degli accorgimenti che vengono suggeriti per moderare l’accesso agli alimenti è quello di evitare i piatti stracolmi, purtroppo oggi di norma nei ristoranti e non solo. Detti piatti possono fornire un surplus calorico che arriva alle 150 calorie per ogni commensale. Di qui l’invito a riempire i piatti (evidentemente normali!) all’80% dei cibi di cui intendiamo servirci.

Ringraziamo. Il cibo infine riveste un significato antropologico, coinvolgendo corpo e spirito, nonché la dimensione sensoriale/affettiva, e simbolico, unendo convivialità a sacralità. La mensa è il luogo dove sperimentiamo la Provvidenza che regola l’ordine cosmico e nel contempo beneficiamo di un’opportunità che affratella. Di conseguenza, prima e dopo i pasti invochiamo e trasmettiamo (con l’imposizione delle mani sulle vivande) la benedizione divina, ringraziando con il cuore il Padre celeste, datore d’ogni bene; il Creato che ci offre gli alimenti, e l’Uomo che li coltiva, li trasforma,e ce li offre.

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Piano sociale regionale: intervista all’assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia Edi Cicchi https://www.lavoce.it/le-linee-ci-sono-ma-manca-il-quadro/ Fri, 05 Feb 2016 10:53:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=45323

Piano sociale: capitolo secondo. In attesa della fine della fase partecipativa il 15 febbraio prossimo, La Voce prosegue il suo approfondimento su questo importante strumento di programmazione del welfare regionale con l’obiettivo di stimolare il dibattito tra i vari soggetti coinvolti. Se la scorsa settimana abbiamo dato voce al mondo delle cooperative, oggi è la volta dei Comuni, le vere “braccia operanti” in materia di sociale. A rappresentarli è Edi Cicchi, nella duplice veste di assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia e di coordinatore della Consulta welfare dell’Anci.

 Assessore, è stato ribadito più volte dall’assessore regionale alla Coesione sociale e al welfare, Luca Barberini, che in questo nuovo Piano sarà dato un “ruolo potenziato e un rinnovato protagonismo” alle istituzioni, a cominciare dai Comuni. Cosa significa?

“Sinceramente, non lo abbiamo ancora capito. Ad oggi è stato detto nella teoria, ma, in pratica, non è stato ancora specificato. Il Piano descrive la situazione nella quale ci troviamo, il contesto regionale di riferimento, ma non gli strumenti con cui noi Comuni potremmo andare a intervenire concretamente su questo contesto. È come se palazzo Donini avesse dato la cornice esterna, i confini di movimento, ma spetta poi ai Comuni dipingere il quadro dei servizi sociali offerti al cittadino. E senza sapere quanti e quali colori abbiamo a disposizione, è difficile pianificare se il nostro sarà un leggero acquerello o un’intensa tempera”.

Quali sarebbero gli strumenti che chiedono i Comuni?

“Da una parte le tipologie di servizi che si vogliono mettere in campo, dall’altra le risorse a disposizione. In merito al primo punto, chiediamo che sia individuato con chiarezza – e nella ovvia consapevolezza di non poter sopperire a tutte le necessità, dato il periodo di crisi e carenze di risorse - quali sono le nostre priorità di intervento. Quali sono i servizi essenziali che vogliamo dare al cittadino? Quali gli standard? Quali i ruoli da svolgere? E ancora, quali le professionalità da inserire? Le faccio un esempio: nel Piano non si parla del ruolo degli Uffici di cittadinanza, che sono il luogo concreto dove arrivano le richieste, la porta d’accesso alla rete dei servizi sociali e socio-sanitari. Né si fa il punto della situazione sulla loro attività degli ultimi anni. A mio avviso, occorre capire il ‘già fatto’ per pianificare un cambiamento o una continuazione del percorso. Non ci interessano 200 pagine di documento, se tutti questi punti interrogativi non vengono soddisfatti”.

E in merito alle risorse?

“Per le risorse il discorso è analogo al precedente. È vero, nel Piano, si parla di una disponibilità finanziaria [55 milioni di euro, ndr], ma è una cifra complessiva. Non viene specificato quante risorse, ad esempio, andranno all’ambito della famiglia, all’aiuto agli anziani, disabili o minori. Come possiamo noi Comuni perseguire un fine, che è quello di rispondere ai bisogni dei cittadini, se non sappiamo i mezzi a nostra disposizione? Le faccio un esempio: in questi mesi i due Centri anti-violenza della Regione hanno operato con almeno 400 donne e ne hanno accolte 38; a marzo termineranno i fondi a loro destinati, ad oggi non sanno se e quanti ne avranno ancora. In più, nel Piano sociale non se ne fa alcuna menzione. Cosa succederà se questi fondi non arrivano?”.

Anche perché i fondi sono comunque vincolati a progetti che vanno presentati e approvati...

“Sì, la pianificazione è fatta dalle Regioni che presentano progetti per accedere a risorse nazionali o al Fondo sociale europeo. Dopodiché la Regione emana dei bandi per i Comuni. Quindi anche noi siamo vincolati a questi progetti. Qui il rischio è quello di parcellizzare eccessivamente le risorse in troppi settori e sottosettori, con l’unica conseguenza di un aggravio del lavoro burocratico dei Servizi sociali comunali che non corrisponde, però, a interventi realmente incisivi. In passato, ad esempio, il Fondo per la famiglia era stato ‘spezzettato’ in almeno otto interventi diversi. Tanti progetti con poche risorse disponibili per ciascuno equivalgono a tanto lavoro ma pochissima resa. Anche perché i nostri uffici sono già sufficientemente oberati: solo al Tribunale dei minori sono in essere all’incira 1.900 provvedimenti”.

E chi resta fuori da questi progetti?

“In caso di minori, anziani o disabili non si resta mai fuori, in quanto siamo sempre obbligati a intervenire. Nei casi di povertà, invece, abbiamo costruito - a differenza del passato - una buona rete con la Caritas, al fine di cercare di dare a tutti una risposta”.

L’assessore Barberini ha insistito sulla volontà di una co-progettazione tra i vari soggetti coinvolti per la pianificazione sociale e socio-sanitaria, prevedendo anche laboratori di comunità...

“Il nodo della co-progettazione è questo: chi siede intorno al tavolo? Nel senso: i soggetti presenti devono essere stati selezionati sulla base di determinati requisiti, che ad oggi, però, non conosciamo. Solo in questo modo si può fare sistema e mettere insieme le proprie specificità e competenze in maniera costruttiva. Questi anni di crisi ci hanno portato alla consapevolezza che viviamo in una società dove la povertà, sia economica che umana, è reale e quasi sempre accompagnata dalla solitudine. Le persone ci chiedono interventi tempestivi, velocità nelle risposte, anche perché arrivano da noi quando le loro difficoltà sono già ad uno stato molto grave. Dobbiamo essere per loro una ‘tachipirina’, ovvero un palliativo non risolutivo, ma comunque capace di tamponare la situazione nel breve periodo, al fine di avere il tempo di costruire un percorso. Se coordinati, possiamo essere davvero una grande risorse per il territorio. Altrimenti si rischia ancora una volta di perdersi nella burocrazia e nella vacuità di tavoli, sotto-tavoli e laboratori che ingolfano ancora di più il lavoro con una serie di passaggi inutili”. Laura Lana]]>

Piano sociale: capitolo secondo. In attesa della fine della fase partecipativa il 15 febbraio prossimo, La Voce prosegue il suo approfondimento su questo importante strumento di programmazione del welfare regionale con l’obiettivo di stimolare il dibattito tra i vari soggetti coinvolti. Se la scorsa settimana abbiamo dato voce al mondo delle cooperative, oggi è la volta dei Comuni, le vere “braccia operanti” in materia di sociale. A rappresentarli è Edi Cicchi, nella duplice veste di assessore ai Servizi sociali del Comune di Perugia e di coordinatore della Consulta welfare dell’Anci.

 Assessore, è stato ribadito più volte dall’assessore regionale alla Coesione sociale e al welfare, Luca Barberini, che in questo nuovo Piano sarà dato un “ruolo potenziato e un rinnovato protagonismo” alle istituzioni, a cominciare dai Comuni. Cosa significa?

“Sinceramente, non lo abbiamo ancora capito. Ad oggi è stato detto nella teoria, ma, in pratica, non è stato ancora specificato. Il Piano descrive la situazione nella quale ci troviamo, il contesto regionale di riferimento, ma non gli strumenti con cui noi Comuni potremmo andare a intervenire concretamente su questo contesto. È come se palazzo Donini avesse dato la cornice esterna, i confini di movimento, ma spetta poi ai Comuni dipingere il quadro dei servizi sociali offerti al cittadino. E senza sapere quanti e quali colori abbiamo a disposizione, è difficile pianificare se il nostro sarà un leggero acquerello o un’intensa tempera”.

Quali sarebbero gli strumenti che chiedono i Comuni?

“Da una parte le tipologie di servizi che si vogliono mettere in campo, dall’altra le risorse a disposizione. In merito al primo punto, chiediamo che sia individuato con chiarezza – e nella ovvia consapevolezza di non poter sopperire a tutte le necessità, dato il periodo di crisi e carenze di risorse - quali sono le nostre priorità di intervento. Quali sono i servizi essenziali che vogliamo dare al cittadino? Quali gli standard? Quali i ruoli da svolgere? E ancora, quali le professionalità da inserire? Le faccio un esempio: nel Piano non si parla del ruolo degli Uffici di cittadinanza, che sono il luogo concreto dove arrivano le richieste, la porta d’accesso alla rete dei servizi sociali e socio-sanitari. Né si fa il punto della situazione sulla loro attività degli ultimi anni. A mio avviso, occorre capire il ‘già fatto’ per pianificare un cambiamento o una continuazione del percorso. Non ci interessano 200 pagine di documento, se tutti questi punti interrogativi non vengono soddisfatti”.

E in merito alle risorse?

“Per le risorse il discorso è analogo al precedente. È vero, nel Piano, si parla di una disponibilità finanziaria [55 milioni di euro, ndr], ma è una cifra complessiva. Non viene specificato quante risorse, ad esempio, andranno all’ambito della famiglia, all’aiuto agli anziani, disabili o minori. Come possiamo noi Comuni perseguire un fine, che è quello di rispondere ai bisogni dei cittadini, se non sappiamo i mezzi a nostra disposizione? Le faccio un esempio: in questi mesi i due Centri anti-violenza della Regione hanno operato con almeno 400 donne e ne hanno accolte 38; a marzo termineranno i fondi a loro destinati, ad oggi non sanno se e quanti ne avranno ancora. In più, nel Piano sociale non se ne fa alcuna menzione. Cosa succederà se questi fondi non arrivano?”.

Anche perché i fondi sono comunque vincolati a progetti che vanno presentati e approvati...

“Sì, la pianificazione è fatta dalle Regioni che presentano progetti per accedere a risorse nazionali o al Fondo sociale europeo. Dopodiché la Regione emana dei bandi per i Comuni. Quindi anche noi siamo vincolati a questi progetti. Qui il rischio è quello di parcellizzare eccessivamente le risorse in troppi settori e sottosettori, con l’unica conseguenza di un aggravio del lavoro burocratico dei Servizi sociali comunali che non corrisponde, però, a interventi realmente incisivi. In passato, ad esempio, il Fondo per la famiglia era stato ‘spezzettato’ in almeno otto interventi diversi. Tanti progetti con poche risorse disponibili per ciascuno equivalgono a tanto lavoro ma pochissima resa. Anche perché i nostri uffici sono già sufficientemente oberati: solo al Tribunale dei minori sono in essere all’incira 1.900 provvedimenti”.

E chi resta fuori da questi progetti?

“In caso di minori, anziani o disabili non si resta mai fuori, in quanto siamo sempre obbligati a intervenire. Nei casi di povertà, invece, abbiamo costruito - a differenza del passato - una buona rete con la Caritas, al fine di cercare di dare a tutti una risposta”.

L’assessore Barberini ha insistito sulla volontà di una co-progettazione tra i vari soggetti coinvolti per la pianificazione sociale e socio-sanitaria, prevedendo anche laboratori di comunità...

“Il nodo della co-progettazione è questo: chi siede intorno al tavolo? Nel senso: i soggetti presenti devono essere stati selezionati sulla base di determinati requisiti, che ad oggi, però, non conosciamo. Solo in questo modo si può fare sistema e mettere insieme le proprie specificità e competenze in maniera costruttiva. Questi anni di crisi ci hanno portato alla consapevolezza che viviamo in una società dove la povertà, sia economica che umana, è reale e quasi sempre accompagnata dalla solitudine. Le persone ci chiedono interventi tempestivi, velocità nelle risposte, anche perché arrivano da noi quando le loro difficoltà sono già ad uno stato molto grave. Dobbiamo essere per loro una ‘tachipirina’, ovvero un palliativo non risolutivo, ma comunque capace di tamponare la situazione nel breve periodo, al fine di avere il tempo di costruire un percorso. Se coordinati, possiamo essere davvero una grande risorse per il territorio. Altrimenti si rischia ancora una volta di perdersi nella burocrazia e nella vacuità di tavoli, sotto-tavoli e laboratori che ingolfano ancora di più il lavoro con una serie di passaggi inutili”. Laura Lana]]>
L’Umbria “invisibile” delle tv di comunità https://www.lavoce.it/lumbria-invisibile-delle-tv-di-comunita/ Thu, 01 Oct 2015 13:05:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43660 Don Riccardo Pascolini
Don Riccardo Pascolini

La “tv di comunità” ha contribuito a raccontare sullo schermo quell’“Umbria invisibile” dei tanti giovani che donano il loro tempo agli anziani, alle mense della Caritas, nelle diverse realtà del volontariato, e che reagiscono alle difficoltà di trovarsi un lavoro inventandolo.

Una rappresentazione ben diversa da quella che arriva ogni giorno dagli schermi di televisione, pc, tablet e dalle pagine dei giornali che raccontano di una gioventù rassegnata, rinchiusa nel recinto dei social network, con poca voglia di lavorare e di studiare; giovani “fatti” di alcol e droga, aguzzini e vittime delle violenze del bullismo.

La Voce ne ha parlato con don Riccardo Pascolini, giovane anche lui (34 anni), che dal 2008 è direttore dell’ufficio per la Pastorale giovanile della diocesi di Perugia. Coordinatore degli Oratori perugini e di quelli dell’intera Umbria, dal novembre scorso ha assunto anche l’importante incarico di presidente del Forum dei 7.000 oratori italiani.

“Purtroppo – osserva don Riccardo – esiste un forte disagio giovanile, allarmante in molti suoi aspetti, in una società che, per tante e troppe cause, ha confini generazionali assolutamente precari, difficoltà educative e in cui i ragazzi fanno fatica a trovare certezze su cui crescere e responsabilizzarsi. Un nostro tentativo di risposta a queste problematiche è l’associazione di volontariato ‘Perugia per i giovani’, nata nel 2009. L’intento è quello di promuovere la crescita umana dei giovani, realizzando progetti ed eventi, sostenendoli e accompagnandoli in percorsi di carattere educativo, formativo, aggregativo, ludico, sportivo, caritativo, socio-assistenziale, artistico e culturale.

In questa esperienza, come nella realtà oratoriale, quotidianamente abbiamo modo di vedere che i ragazzi spendono tempo e energie gratuitamente, nelle parrocchie, negli oratori, nelle associazioni, nell’educazione dei ragazzi, nel servizio ai malati, agli anziani e ai poveri, nell’impegno nelle missioni. I giovani, se ben motivati, sostenuti e sollecitati, possono veramente credere nelle proprie capacità, investire su se stessi ed essere protagonisti del proprio futuro”.

Esperienze come la tv di comunità possono servire a far conoscere una realtà del mondo giovanile più positiva; e soprattutto, sono utili a questi giovani abituati a relazionarsi sui social media ?

“Abbiamo provato a mettere sotto gli occhi della città il buono del nostro territorio, mostrando soprattutto come basti dare la possibilità ai giovani di mettersi in gioco con impegno, perseveranza e un po’ di creatività per realizzare progetti concreti, che mostrano il loro potenziale e vanno incontro alle esigenze dei loro coetanei. Basti citare il progetto dello skate-park all’oratorio ‘C’Entro’ di Ponte San Giovanni, del quale si parla in un documentario, pensato, disegnato e pianificato dai ragazzi. Altro importante esempio di partecipazione è l’impegno concreto del Forum regionale dei giovani umbri, esempio di collaborazione e integrazione fra tutte le anime ed espressioni del mondo giovanile umbro”.

Quale è il vostro rapporto con le istituzioni locali?

“I rapporti con le istituzioni sono fondamentali per il mondo oratoriale, ma anche per tutto il panorama del mondo delle associazioni, in quanto il servizio che viene svolto in oratorio non si può scindere dagli altri servizi che il territorio offre o di cui ha bisogno. Regione, Comune e Provincia, Ufficio scolastico regionale, prefettura insieme al Tribunale dei minori e alla scuola, in Umbria, collaborano attivamente con l’oratorio, secondo il principio di sussidiarietà proprio a ciascuno, a favore dei giovani e della cittadinanza tutta. Il contributo regionale per gli oratori (dovuto alla legge regionale n. 28 del 2004) è stato un atto importante, di riconoscimento formale e sostanziale della funzione sociale svolta. Esso permette di programmare, progettare e raggiungere obiettivi altrimenti difficilmente attuabili per i nostri oratori”.

Più del 40% di disoccupati tra i giovani, con un 27% circa di under 30 che non studiano, non hanno un lavoro e hanno anche rinunciato a cercarlo. Il documentario invece racconta di giovani che si sono inventati o stanno cercando di inventarsi un’occasione di lavoro. C’è qualche esperienza di questo tipo maturata grazie alla vita di oratorio?

“Nella vita d’oratorio crediamo che si possano maturare relazioni positive di crescita e condivisione, si possa avere un sostegno e un supporto nel percorso di studi, nell’orientamento alle scelte. Crediamo anche che nello scambio generazionale si possano trasmettere saperi, avere incontri e fornire opportunità, talvolta anche lavorative. Nella formazione di tutti i giovani animatori ed educatori abbiamo visto nel tempo che non si formano solo tecnici specializzati, ma si accompagna la crescita di una persona, a livello integrale, che potrà poi trovare il suo posto nella vita e spendersi al meglio per se stessa e per gli altri anche nell’ambiente lavorativo”.

 

Come funziona

Il progetto “Tv di comunità” era stato avviato alla fine del 2012 con la collaborazione dell’Ordine dei giornalisti e dei Cesvol (Centri servizio volontariato) per cercare di fare conoscere e valorizzare questa realtà spesso sconosciuta, della quale però in Umbria fanno parte migliaia di persone. Questo, mediante la produzione di filmati da diffondere in programmi tv e in occasione di manifestazioni, convegni e dibattiti. Sono stati 48 i video realizzati da una rete di soggetti no profit nell’ambito di quattro progetti: FairTv (che ha visto come capofila Monimbò e associazione Pettirosso), KmZero-Videolab (cooperativa Fioreverde), EverGreen2 (associazione Perugia per i giovani) e Domino – Reazione a catena (Cesvol di Terni e Perugia). Lorenzo Grighi, ex allievo della Scuola di giornalismo radiotelevisivo di Perugia che ha collaborato alla iniziativa, ne ha tratto i due interessanti documentari presentati al Postmodernissimo.

Al Perugia Social Film Festival, appena concluso, sono stati presentati due documentari prodotti dal Corecom Umbria per il progetto “Tv di comunità” ( vedi sopra ) che – come sottolineato dalla presidente del Corecom Gabriella Mecucci – raccontano “un’Umbria diversa. Una realtà troppo spesso invisibile, fatta di persone che si aiutano e che non si dimenticano di chi è in difficoltà. Una realtà composta anche da tanti giovani che non si rassegnano, e che investono su se stessi e sul proprio futuro”.

Tante le storie e le situazioni in quelli che la presidente del Consiglio regionale Donatella Porzi ha definito “piccoli prodigi quotidiani”. Prodigi che – ha detto Antonio Socci, direttore della Scuola di giornalismo radiotelevisivo – “nella narrazione giornalistica sono lasciati colpevolmente in ombra”.

Nel primo documentario presentato al Festival si comincia da Perugia, con il doposcuola organizzato all’oratorio di San Sisto e la pista di pattinaggio all’oratorio “C’Entro” di Ponte San Giovanni, un progetto interamente costruito dai ragazzi che lo hanno pensato, disegnato e pianificato. E ancora l’esperienza dell’Emporio della Caritas e dell’assistenza fornita a studenti disabili dell’Università perugina.

Belle le storie di questa “Umbria invisibile” anche in provincia di Terni. Come quelle dell’associazione Aladino, che assiste ragazzi con difficoltà psichiche aiutandoli a vivere le esperienze quotidiane di tanti loro coetanei in città; e del Centro diurno “Marco Polo” che assiste quelli che per tanta gente sono ancora “i matti”. Sono tante le storie di “questa Umbria – come si afferma nel documentario – pronta ad aiutare”, l’ultima delle quali porta lo spettatore nel clima sereno e perfino allegro della “Casa dei girasoli” di San Giustino, dove gli anziani ospiti e i giovani volontari cantano e suonano la chitarra come in una festa familiare con nonni e nipoti.

Del secondo documentario sono protagonisti giovani che con talento e creatività hanno superato la paura di “non farcela”. Ad esempio, gli studenti che in un anno e mezzo di intenso lavoro hanno scritto, girato e interpretato a Perugia il cortometraggio Alla luce dei tuoi occhi, accumulando competenze che per alcuni di loro potrebbero tradursi in occasioni lavorative. Un viaggio per dare spazio a questi giovani “con tanta voglia di provarci” che tocca varie località e esperienze, come a Foligno con il progetto degli orti solidali, Corciano con l’innovativa esperienza di collaborazione nel laboratorio Hub Corciano e nella provincia di Terni con i progetti del “Mercato brado” e “Mettiamoci in gioco”.

 

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L’economia della natura https://www.lavoce.it/leconomia-della-natura/ Tue, 15 Sep 2015 13:50:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43247 Un momento dell’incontro
Un momento dell’incontro

Cita più volte l’enciclica di Papa Francesco, Gianni Tamino, nel suo intervento al convegno de L’altrapagina del fine settimana scorso.

“La lettura di Laudato si’ – dice – è l’unica nota di speranza che ci viene offerta in questo tempo difficile. Bisogna avere il coraggio e la forza di dire le cose. Il Papa lo fa con atteggiamento cauto, rivolto a tutti gli uomini di buona volontà. Rovescia il paradigma che domina il sistema attuale”.

L’errore di fondo del paradigma riduzionista che oggi governa l’economia – continua – è quello di considerare il tutto come la somma matematica delle singole parti, come le componenti di un orologio, ma i sistemi complessi sono formati da proprietà emergenti derivate dalle relazioni tra le parti che interagiscono tra loro.

È questa visione riduzionista l’errore di fondo cui sono attribuibili i tanti problemi (o l’unico problema in quanto riconducibile a unica matrice) che attanagliano oggi l’umanità.

“La società – spiega poi il relatore – non è la somma degli individui che la compongono ma l’insieme delle relazioni che intercorrono tra loro. Politica, economia, scienza, struttura sociale: tutto si influenza reciprocamente in modo circolare come nel ciclo della natura. L’errato sistema dominante ha imposto una civiltà lineare che persegue solo l’aumento crescente della produzione, ben oltre il necessario, inducendo nuovi bisogni al fine di garantire una crescita continua.

Il ciclo circolare della natura funziona perfettamente se mantiene la necessaria condizione della biodiversità. È la diversità a garantire la stabilità, non l’omogeneità alla quale ci siamo sacrificati per sostenere la crescita della produzione. Delle migliaia di varietà coltivabili, il Mercato oggi impone la coltivazione quasi esclusiva di tre elementi (frumento, riso e mais) per garantire il controllo del potere, su scala mondiale, alle poche multinazionali al vertice di queste produzioni, a scapito della biodiversità agricola. Per favorire gli interessi delle multinazionali sono stati privatizzati dei ‘servizi’ che la natura offriva gratuitamente”.

Tamino sottolinea la necessità di un cambiamento di rotta, una conversione ecologica che abbandoni il paradigma dell’economia basata sulla crescita per recuperare la diversità e l’insieme delle relazioni che garantiscono l’equilibrio naturale. Per fare ciò è necessario tornare indietro: non tornare ai tempi che furono, ma tornare là dove è stata smarrita la strada, per intraprendere un percorso diverso. La Rivoluzione industriale cambia le regole della natura: è in quel momento storico che è stata abbandonata l’economia della natura per favorire l’economia liberale prima e liberista poi, fino a pagare le conseguenze di oggi e di domani.

“Mille rivoli – dice Tamino – possono formare il fiume della speranza. Cambiare è possibile se tutti insieme ci impegniamo a trovare nella diversità il percorso da condividere. In natura non ci sono dominatori; neanche l’uomo può pretendere di esserlo, ci sono relazioni che determinano un risultato equilibrato. L’uomo si deve ricollocare all’interno della natura in una relazione di equilibrio”.

Semplificare la realtà agricola è stato l’errore che ha generato lo squilibrio. Ristabilire la biodiversità significa ristabilire quella complessità di relazioni che garantiscono l’equilibrio dinamico e la salvezza del creato.

 

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Assente lo Stato o la società? https://www.lavoce.it/assente-lo-stato-o-la-societa/ Thu, 06 Aug 2015 08:38:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=42052 Un piccolo fatto di cronaca, accaduto a Genova qualche giorno fa. In piena notte, su un autobus fermo al capolinea in attesa dell’orario di partenza, quattro o cinque ragazzi non ancora identificati hanno aggredito e picchiato a sangue un altro passeggero, senza alcuna ragione. Poi sono scappati.

Il poveretto, malconcio, si è fatto forza ed è tornato a casa; solo in seguito si è scoperto che aveva riportato lesioni molto gravi agli organi interni ed era in pericolo di vita. Il fatto è di per sé orribile. Ma quello che colpisce è il comportamento dell’autista dell’autobus, che era presente e non ha mosso un dito neppure per telefonare al 113.

Interrogato dalla polizia, ha detto che aveva obbedito all’insegnamento di suo nonno: pensare sempre ai fatti propri. Proprio questo è il punto più grave di tutta la vicenda. Pensare ai fatti propri, caschi il mondo. Non è solo un comportamento riprovevole dal punto di vista morale (e a volte anche da quello legale). Quando è – e purtroppo lo è – un atteggiamento di massa, è un cancro che divora la società.

Anzi è quello che impedisce a un insieme di individui di trasformarsi in una “società civile”. Però, come hanno studiato i filosofi dell’Ottocento, dove la popolazione non si è costituita in “società civile” non può esistere neppure uno Stato nel senso moderno ed evoluto del termine. Quindi, quando c’è gente che si lamenta dell’assenza dello Stato (per esempio in certe regioni d’Italia, ma a quanto pare il fenomeno riguarda anche le altre), ci si dovrebbe prima chiedere: ma lì c’è una società civile?

Perché se non c’è, è inutile lamentarsi dell’assenza dello Stato o della sua inefficienza. Il nome scientifico del “pensare ai fatti propri” è “familismo amorale”, concetto studiato dal sociologo Banfield sessant’anni fa con verifiche sul campo in Italia. Ne deriva che la popolazione è incapace di pensare e di collaborare a qualunque progetto di interesse comune che non si identifichi con l’interesse immediato dei singoli. Da qui l’arretratezza generale, anche economica. Guardiamoci intorno: non è così?

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Benedetta accoglienza https://www.lavoce.it/benedetta-accoglienza/ Thu, 09 Jul 2015 09:57:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=38073 A chi vive la propria vita come storia non solo personale, ma anche nella dimensione collettiva, guardando anche al “vicino di casa”, quello che crea problemi e fa più rumore e che in Europa oggi è soprattutto la Grecia, crea un forte disagio riflettervi sopra in modo attento, alla vigilia della festa di san Benedetto patrono d’Europa (11 luglio).

Ne abbiamo accennato nel numero precedente – Europa “benedettina” – ma non è sufficiente. In questi anni la crisi economica ha fatto salire a livelli sempre più alti, nei singoli Stati, la difesa dei propri interessi immediati. Una difesa a tutti i costi contro tutti. In Europa, mentre da Sarajevo Papa Francesco ammoniva a “costruire ponti”, in realtà si stanno ergendo muri.

Chi ne rimane maggiormente danneggiato sono profughi ed esiliati, i quali, costretti a fuggire da casa propria, cercano altrove un rifugio e una possibilità di vita nuova. Oggi questi esodi, diversamente caratterizzati, hanno una carica di pressione politica ed economica che porta divisione e forti contrasti all’interno degli schieramenti politici, tra chi è aperto all’accoglienza e chi – come si diceva – rafforza le difese con muri sempre più alti, respinge, e non sente ragioni. Non è da credere che questo sia un fatto nuovo. Con alterne vicende e con numeri di migranti diversi a seconda dei periodi, il fenomeno si può dire strutturale nella vita delle popolazioni umane.

In Europa questo fenomeno ha avuto il suo posto nella meditazione dei Benedettini e nella prassi dei loro monasteri a partire dalle norme scritte nella Regola di san Benedetto al cap. 53. In verità, lì non si tratta di migranti o profughi, ma di semplici ospiti, i quali devono essere accolti come Cristo ha insegnato: “Ero forestiero e mi avete ospitato”.

Questo capitolo della Regola è da considerare, in un certo senso, rivoluzionario. Rappresenta un rovesciamento della concezione dell’altro: non più come nemico e pericolo, ma come un amico, soprattutto se condivide la stessa fede. Per verificare questo, l’abate e i monaci che accolgono il forestiero lo invitano a pregare insieme per evitare ogni inganno e ogni equivoco. A parte il modo dell’accoglienza che ha il carattere di un vero e proprio rito, il significato di questa norma benedettina è da considerare una “rivoluzione” – parola ripetuta più volte dal Papa, e che ha in America Latina una risonanza particolare. Una rivoluzione sempre in atto, e che deve fare molti passi in avanti per determinare una concreta trasformazione della società.

Tra le mille parole, tutte proposte con intensità e convinzione alle folle dell’Ecuador da Papa Francesco, in queste giornate storiche che si ripeteranno nei giorni prossimi in Bolivia e Paraguay, i Paesi più poveri dell’America Latina, l’idea di fondo non è solo l’accoglienza del forestiero o del migrante, ma una regola generale di accoglienza gli uni degli altri, soprattutto dei poveri.

Nel discorso sull’unità, che rappresenta un manifesto ecumenico e cristologico di grande portata, afferma la necessità di lottare per “l’inclusione a tutti i livelli, evitando egoismi, promuovendo la comunicazione, il dialogo, incentivando la collaborazione. Bisogna affidare il cuore al compagno di strada senza sospetti, senza diffidenze. Affidarsi all’altro è qualcosa di artigianale, la pace è artigianale” (omelia della messa a Quito, 7 luglio).

Il discorso sull’unità non dimentica la dimensione più specifica dell’unità del popolo di Dio, nella sua accezione ecclesiologica e in quella socio-politica, la dimensione nazionale e mondiale, nella sua interezza, senza dimenticare le questioni care al movimento ecumenico che riguardano le diversità riconciliate e la condanna del proselitismo come “caricatura” dell’evangelizzazione.

Da san Benedetto da Norcia a Papa Bergoglio, il messaggio cristiano e l’azione della Chiesa sono sempre rivolti alla riconciliazione, all’accoglienza, alla fraternità tra le persone, le famiglie e i popoli.

 

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L’avvenire dell’uomo https://www.lavoce.it/lavvenire-delluomo/ Thu, 25 Jun 2015 07:58:12 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36486 convegno-perugia
Il convegno a Perugia

Tra le molte iniziative che vedono impegnate le comunità ecclesiali in Italia, non è affatto secondaria quella del Convegno nazionale di Firenze, dal 9 al 13 novembre di quest’anno.

Moltissimi incontri, convegni, seminari si sono già tenuti nelle regioni e nelle diocesi. Per aggiornarsi su questa varietà di proposte, basta visitare il sito www.firenze2015.it , nel quale sono riportate sintesi, relazioni, registrazioni integrali degli eventi.

Anche il capoluogo umbro è stato protagonista di un laboratorio nazionale, durato tre giorni (7-9 maggio), riguardante i desideri dell’uomo e il rapporto tra cristiani e fedeli di altre religioni, a partire dalla concezione che ciascuna visione filosofica o religiosa ha dell’umano.

Discutere dell’Umano, oggi, è ancor più necessario. Anche se può sembrare difficile il titolo del Convegno ecclesiale di Firenze, “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”, in fondo si vuol dire che Gesù ha portato all’umanità la possibilità di vivere in pienezza la propria condizione, e che anche oggi l’uomo – che oggi ancor di più rischia di confondersi in quel “brodo” che caratterizza la nostra società liquida – può partecipare a questa avventura.

La Chiesa ha già fatto e sta facendo molto sul territorio per annunciare il Vangelo che libera l’uomo, ma oggi le comunità ecclesiali devono compiere un passo ulteriore.

Conformemente all’esortazione di Papa Francesco sull’annuncio del Vangelo, Evangelii gaudium, e in continuità con gli orientamenti pastorali dei Vescovi italiani, da Annunciare il Vangelo in un mondo che cambia (2000-2010) fino a quello che scandisce il decennio presente, Educare alla vita buona del vangelo (2010-2020) , ora si tratta di modulare l’annuncio del Vangelo attraverso quelle azioni che sono più necessarie e utili nel contesto attuale: “uscire”, per “annunciare” ed “educare”, “abitando” e “trasfigurando” la propria esperienza umana.

Per riflettere su questi temi e declinarne i contenuti nella realtà dell’Umbria, dai delegati diocesani della regione è stato organizzato un incontro con il direttore del quotidiano Avvenire , Marco Tarquinio. La scelta di invitare il direttore di un giornale è motivata da diverse ragioni, e non solo dal fatto che, essendo di origini umbre, Tarquinio conosce bene il territorio. Il quotidiano cattolico nazionale, infatti – come anche gli altri strumenti di comunicazione sociale delle diocesi -, è un importante osservatorio per quanto accade non solo nel mondo, ma anche nel nostro Paese e nella Chiesa.

Proprio perché guidato da una visione dell’Umano che viene dal Vangelo, Avvenire non manca di segnalare quei punti dove è più necessaria la presenza della comunità cristiana, con il contributo che essa può portare in termini di riflessione e di azione. Pensiamo solo, a mo’ di esempio, all’informazione che praticamente solo il quotidiano cattolico fornisce sulla pericolosità dell’azzardo: visto solo come un “gioco” per tentare la fortuna (o per arricchire le finanze dello Stato), ha spesso come esito tragedie personali e familiari, anche in Umbria.

Prima della relazione di Tarquinio, sarà presentato ai partecipanti il punto sulla preparazione al Convegno ecclesiale, e si potrà seguire anche una breve catechesi sull’icona biblica che è stata scelta per dare il passo alle giornate di Firenze, quella sulla “giornata di Cafàrnao” di Gesù (Mc 1,21-34).

La partecipazione è libera ed è aperta a tutti coloro che vogliono impegnarsi perché le nostre comunità ecclesiali colgano dalla riflessione sull’umanesimo in Gesù Cristo un’occasione di maggiore impegno e di conversione pastorale.

 

 

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Maturando, conosci te stesso https://www.lavoce.it/maturando-conosci-te-stesso/ Thu, 18 Jun 2015 11:20:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=36224 Ora che il trambusto delle piazze contro la riforma detta della “Buona scuola” è terminato, l’Italia risente il clima della scuola reale in atto. È la maturità: un appuntamento che richiama la società con un segnale di serietà e qualità. Si fanno tanti esami nella vita e nella scuola, dalla primaria e scuola dell’obbligo alle facoltà universitarie, e tutti sono impegnativi e faticosi, nella vita privata e familiare. Quello di maturità, a parte il rito dell’apertura delle buste sigillate del ministero della Pubblica istruzione – ora c’è il “plico telematico” -, per chi lo fa da studente e anche da docente, lascia un segno che rimane nel tempo.

Attorno all’esame si attivano anche autorità scolastiche nazionali, nel nostro caso la ministra Giannini, già rettore dell’Università per Stranieri di Perugia, e regionali, con informazioni, consigli e raccomandazioni. Per quelli che la affrontano, la maturità costituisce la conclusione di un percorso fatto insieme dagli studenti, spesso anche con docenti che portano quella classe fino all’esame per tutti gli anni del liceo; e dove, pertanto, come è naturale, si intrecciano profonde e durature amicizie.

È anche una svolta: terminato l’esame, ognuno cerca la sua via nel proseguire gli studi o nel cercare un immediato lavoro, prima tutti insieme e poi ognuno per conto suo, salvo rare eccezioni. Il trovarsi così da soli di fronte a scelte fondamentali della vita e della professione esige maturità. E non si tratta della somma delle nozioni raccolte e conservate in memoria – o almeno non solo quelle, anche se saranno sempre utili per la conoscenza e il giudizio di valore sulle cose e le vicende umane – ma maturità intesa come essere in grado di condurre la propria esistenza con consapevolezza e responsabilità.

Si pensi alla responsabilità di scegliere un indirizzo professionale che poi ti lega per la vita. La scuola dovrebbe preparare a fare queste scelte con un occhio anche fuori dall’aula, con esperienze in aziende e ambienti produttivi. Qui però entreremmo nell’intricato e conflittuale discorso della riforma scolastica; discorso che non facciamo, attendendo chiarimenti dalla maxi-conferenza nazionale di luglio promessa da Renzi. Non ci facciamo tuttavia illusioni. Dal tempo di Socrate si discute sul significato dell’insegnare e dell’imparare, del sapere e del ricercare la verità e la bellezza delle cose, del conoscere se stessi e le leggi dello Stato, e nessuno ha trovato la formula definitiva.

Si procede per esperimenti, suscettibili di aggiornamento seguendo la trasformazione della società: cambiamenti a volte lenti e talvolta, come nel nostro tempo, rapidi e radicali. Una cosa che è pure spesso incerta e inadeguata è la situazione economica e professionale degli insegnanti, ai quali è attribuita la competenza e la responsabilità della “maturità” o comunque, per le classi intermedie, del progresso e crescita degli studenti. Un compito importante, delicato e non sempre adeguatamente riconosciuto dalla società.

Nei giorni trascorsi l’opinione pubblica si è meravigliata della vivacità, o si direbbe, della rabbia eccessiva espressa nelle manifestazioni di piazza da parte di docenti e studenti rispetto alla calma e al disinganno di altri. Queste agitazioni, comparate con l’atteggiamento mostrato all’uscita dalle prove, suscitano una domanda spontanea: chi sono questi giovani? Quelli seri e rigorosi nell’esprimere le loro idee, perfino timidi di fronte al microfono di un giornalista che li intervista, o quelli tambureggianti, dal fischietto sonoro e dallo slogan facile delle piazze? Forse questi e quelli. Come li si possa tenere insieme in un’unica valutazione, non è facile dire. Rientra forse nell’enigma dell’essere umano, sempre alla ricerca inesausta di conoscere se stesso.

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Una mappa è ben più di un pezzo di carta https://www.lavoce.it/una-mappa-e-ben-piu-di-un-pezzo-di-carta/ Thu, 11 Jun 2015 09:39:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=35384 family-villageLa famiglia può giocare un ruolo centrale nei processi di integrazione e mediazione culturale; può farsi ponte di relazione con la società, i servizi e le istituzioni.

Soprattutto in una regione come l’Umbria, dove l’11,2% delle famiglie residenti ha almeno un cittadino straniero tra i suoi componenti, un valore medio superiore a quello nazionale.

Su questa convinzione si fonda il progetto Family Village, in capo alle Acli di Perugia e finanziato con risorse del Fondo europeo per l’integrazione per un importo complessivo di oltre 140 mila euro.

L’obiettivo è favorire l’integrazione nel territorio delle persone migranti e delle loro famiglie attraverso la realizzazione di momenti informativi e associativi che contribuiscano alla socializzazione e alla diffusione di informazioni utili alla vita quotidiana. Durante gli eventi vengono infatti distribuite mappe del territorio con tutti i riferimenti in merito, e vengono coordinate attività di vario genere: dai laboratori per bambini a giochi ludico-sportivi per ragazzi, dai convegni di approfondimento a momenti di socializzazione.

Il Family Village è stato portato a Foligno, Marsciano, Terni, Perugia e Fossato di Vico. Quest’ultimo Comune, seppur piccolo, è stato scelto per l’alta incidenza di migranti: intorno al 35% della popolazione residente.

Le varie realtà sono state oggetto di una mappatura territoriale delle reti e dei servizi disponibili, che ha portato alla formazione di itinerari tematici (consultabili sul sito www.family-village.it). Chiunque ne avesse bisogno, potrà quindi trovare i luoghi a cui rivolgersi per: documenti e pratiche burocratiche; sanità e servizi socio-assistenziali; istruzione e formazione; associazionismo e integrazione; cultura, sport e tempo libero o religione.

Il lavoro sugli itinerari tematici è iniziato da pochi mesi ed è tuttora in fase di svolgimento. L’obiettivo è quello di concluderne la costruzione nell’arco di dodici mesi, rendendoli veri e propri strumenti di utilità interattiva: non soltanto i luoghi adibiti ai vari servizi, ma anche gli orari di riferimento, eventuali mezzi pubblici utili a raggiungere le sedi, documenti da presentare, ecc.

C’è poi l’aiuto “umano” a opera dei cosiddetti “orientatori ai servizi”. “Abbiamo – spiega Alessandro Moretti , responsabile del progetto Family Village – formato direttamente dieci migranti, scelti in base alla padronanza di più lingue, inserendoli nei contesti amministrativi, così da poter aiutare in un prossimo futuro tutti coloro che ne avranno bisogno”.

Gli orientatori, condividendo con gli utenti lo stesso terreno culturale, renderanno più facile per le famiglie l’accesso ai servizi, il superamento di problemi legati alla lingua e alla cultura di origine, l’offerta di soluzioni individualizzate.

 

Intrattenimento che diventa integrazione

 La tre-giorni di Family Village che si è appena tenuta nel capoluogo umbro: eventi e progetti

Un weekend all’insegna della famiglia e dell’integrazione. Dal 5 al 7 giugno il Family Village è approdato a Perugia – dopo le tappe di Marsciano, Foligno e Terni -, sviluppandosi per la prima volta nell’arco di tre giorni. Tanti i momenti di riflessione, ma anche di intrattenimento, socializzazione e iniziative di aiuto concreto.

Come lo “Street Up”, progetto che intende far decollare nuove idee imprenditoriali a partire dalla piazza. Un job coach ha seguito per due giorni gruppi di giovani alle prese con lo sviluppo di nuove idee di impresa. Sono inoltre stati programmati workshop tematici e testimonianze di giovani imprenditori che hanno realizzato il proprio progetto. Al termine, la migliore idea imprenditoriale ha ricevuto un premio di 2.000 euro.

Spazio poi all’“intrattenimento che si fa integrazione” con la manifestazione “Il mondo è la mia casa”, che ha visto come protagonista la musica folkloristica di diverse culture del mondo. Per i giovani e giovanissimi, giochi di animazione nell’ambito del progetto Fei Empatic del capofila Anci.

Oltre alle Acli, presenti diverse realtà del territorio, come l’associazione Yow (Youth of the World) che ha radunato artisti di strada per creare musica che rappresenti le diverse etnie. E ancora, le associazioni Alma Andina e Donne dell’Est in Umbria che si sono esibite, rispettivamente, in musiche e balli tradizionali peruviani e dell’Est Europa.

I Giovani musulmani italiani hanno organizzato attività in piazza per la promozione dell’integrazione, mentre l’associazione InformaStranieri ha realizzato un momento di racconto con storie di migrazione e di successo di chi ha scelto l’Umbria per viverci.

Durante l’evento, spazio anche a momenti di approfondimento su “Italiano burocratico” e sul tema dello sport e integrazione, proposto dall’Us Acli di Perugia. Attivi, inoltre, punti informativi al servizio della famiglie per richiedere informazioni sulle attività del Family Village e su altre associazioni presenti all’evento. A disposizione anche operatori pronti a rispondere a qualsiasi domanda sugli aspetti burocratici della vita del migrante, ma anche sui servizi territoriali relativi l’istruzione e la formazione, la sanità e i servizi socio-assistenziali, il tempo libero, lo sport e la cultura, la religione e i luoghi di culto.

 

 

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Bassetti: “Davanti a Gesù eucarestia, ci rendiamo conto dei tanti problemi e drammi dei nostri giorni” https://www.lavoce.it/bassetti-davanti-a-gesu-eucarestia-ci-rendiamo-conto-dei-tanti-problemi-e-drammi-dei-nostri-giorni/ Sun, 07 Jun 2015 13:02:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34777 Corpus Domini2015“Voglio ringraziare anche voi, che avete partecipato numerosi come non avevo visto finora, e voglio ringraziare in particolare i bambini della prima comunione che hanno fatto con noi tutta la processione con raccoglimento e partecipazione”. Sono le parole con cui il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha salutato i fedeli giunti nella grande Basilica di San Domenico nella quale si è conclusa la solenne processione del Corpus Domini. Il Cardinale aveva prima ringraziato il Signore per “essere stato veramente presente in mezzo a noi” e aver “attraversato con noi le strade della nostra città”.

Il lungo corteo, aperto da una Croce seguita dai membri delle confraternite, di associazioni laicali, degli ordini cavallereschi e ordini religiosi, dai bambini delle prima comunione, dai sacerdoti e quindi dal Cardinale e dal popolo dei fedeli, ha percorso corso Vannucci, piazza Italia, viale Indipendenza ed è stato accolto in Borgo XX Giugno dalla scalinata di Sant’Ercolano addobbata con fiori, dagli stendardi rossi appesi alle finestre e poi dalle infiorate stese in omaggio all’Eucarestia portata, e mostrata a tutto il popolo, per tutto il tragitto, dal Cardinale. Come da tradizione due le soste per una particolare preghiera e benedizione, quella davanti al palazzo comunale ove ad attendere la processione c’era il vice sindaco Urbano Barelli e quella in piazza Italia davanti al palazzo della Provincia.

Nell’unico giorno dell’anno in cui il Santissimo Sacramento viene solennemente offerto all’adorazione dei fedeli portandolo per le strade della città, l’omelia del Cardinale ha sottolineato la dimensione pubblica della fede fondata su una autentica “vita eucaristica”.

“Miei cari fratelli possiamo davvero dire che l’eucarestia riempie le nostre domeniche, riempie la nostra vita?. L’Eucarestia – ha detto Bassetti – non può essere soltanto la professione della nostra fede, ma anche testimonianza concreta del nostro amore, della nostra vita, del nostro impegno”. Dopo aver invitato i fedeli a “ritornare ad adorare l’Eucarestia” , il “sacramento d’amore lasciatoci da Gesù, ha sottolineato come, “mettendoci davanti a Gesù eucarestia, ci rendiamo conto dei tanti problemi e drammi che attanagliano la vita di tante persone e di tante nostre famiglie”. “Le famiglie sono il pilastro della società, non l’economia – ha aggiunto – ma le relazioni sociali degli affetti” sono il fondamento del tessuto della società. Ricordando anche “il dramma della gioventù depredata nei suoi valori” il Cardinale ha invitato a guardare all’Eucarestia nella quale “è offerta a tutti la possibilità di dare al proprio calvario quotidiano di sofferenza, di incomprensione, di malattia, di morte, la dimensione di una offerta redentrice che associa il dolore dei singoli alla passione di Cristo e si apre sul mistero pasquale della Risurrezione!”.

“Da una vita eucaristica intensa e consapevole deriva – ha concluso il cardinale – una testimonianza convinta, calda e trasparente!”.

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Bassetti ai giovani: “Ecco che vuol dire uscire: costruire la storia e servire la chiesa” https://www.lavoce.it/31140/ Fri, 27 Mar 2015 17:17:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31140 Veglia giovani quaresima 2015 Perugia
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 ________Il racconto della Veglia _____di Paolo Tardio

Più di 1500 giovani hanno inondato il centro storico di Perugia per il consueto appuntamento della veglia di quaresima dei giovani con il cardinale. Alle ore 20.45 tre processioni sono partite da tre differenti punti del centro della città per confluire, successivamente, nella cattedrale di San Lorenzo, dove, in trepidante attesa ed in preghiera in adorazione davanti al santissimo, c’era il cardinale Gualtiero Bassetti.

Non il maltempo, dunque, ha inondato le vie del centro perugino, ma una fiumana di giovani e ragazzi accorsi da ogni parte della diocesi per vivere insieme l’appuntamento quaresimale con il cardinale. “Chiamati a varcare la soglia” è il titolo della veglia serale che trae spunto dalle parole di Papa Francesco in occasione del messaggio sulla quaresima 2015: «Varcare la soglia dei propri confini per porsi in relazione con la società, per essere la mano di una Chiesa che continua a tenere aperta quella porta tra Dio e l’uomo che nell’incarnazione, nella vita terrena e nella morte e risurrezione del Figlio si è definitivamente aperta». Secondo questo spirito, i giovani hanno iniziato la veglia, sfidando qualche temeraria goccia di pioggia, partendo in processione ed in preghiera per le strade della città da 3 diversi punti del centro cittadino (Chiesa di Santo Stefano, Giardini Carducci, Chiesa di Sant’Ercolano), convergendo, nello stesso momento, in cattedrale, dove li attendeva il Cardinale, in preghiera. Durante il percorso fino in duomo, tre i temi centrali trattati: “chiamati a varcare la soglia di casa per trovare l’altro”, “…la soglia del cuore per trovare il perdono” e “…la soglia della morte per trovare la vita”. Simbolo di questi argomenti altrettanti chiavi consegnate ai partecipanti e allo stesso cardinale, il quale, prima di concludere il suo discorso, ha lanciato una promessa ai giovani: «Vi comunico una cosa bella: quando incontrerò papa Francesco la settimana dopo Pasqua, gli porterò in dono le tre chiavi che questa sera voi avete consegnato a me».

In adorazione davanti al Santissimo, i presenti hanno fatto proprie le parole del loro pastore, visibilmente emozionato e felice nel vedere una cattedrale gremita di ragazzi in cammino al seguito di Gesù: «Vorrei che ciascuno di voi fosse qui per gustare lo spettacolo di una cattedrale piena di giovani: questo è un grande dono di Dio». Il Vescovo ha donato loro invece un’importante riflessione sul tema della misericordia, legata al tema dell’uscita: «Siamo una chiesa in uscita, a partire dal concilio. Il beato Paolo IV disse: “la Chiesa si è fatta cultrice dell’uomo”, cioè la Chiesa coltiva l’uomo. E San Giovanni Paolo II ha aggiunto: “La Chiesa è la via per ogni uomo”, perché come Cristo è luce del mondo, anche la Chiesa, luce delle genti, è via per ogni uomo». Tra le varie citazioni, non poteva mancare il papa emerito Benedetto XVI (“la ragione è l’alleato più affidabile dell’uomo”) e papa Francesco, nel suo discorso durante la veglia ai giovani alla GMG di Rio del 2013: “Siamo costruttori della Chiesa e protagonisti della Storia. Per favore, non mettetevi nella coda della storia, ma siate protagonisti. Uscite!”.

«Ecco che vuol dire uscire:  – ha continuato il cardinale – vuol dire costruire la storia e servire la chiesa; significa scoprire il nostro impegno per intraprendere un cammino di amore alla chiesa e di servizio alla società. E la prima qualità di questa chiesa in uscita è la misericordia. La misericordia è il primato dell’amore e della gratuità. L’amore misericordioso è un unilaterale, che non chiede nulla in cambio». Questi pensieri hanno suggerito all’arcivescovo l’immagine della misericordia che si concretizza nella maternità della Chiesa.

Avviandosi alla conclusione, il prelato ha ricordato che “uscire” significa fare un cammino di conversione ed abbondare il ripiegamento su se stessi in cui si è caduti. «Ve lo dico con forza: Gesù vi chiede amore e misericordia. Gesù ci dice: lasciatevi amare, lasciatevi abbracciare. Anche l’uomo più perduto, come diceva Madre Speranza, con tenerezza immensa è amato da Gesù che è per lui padre e tenera madre. Io vi dico: la misericordia è la primavera di un mondo nuovo. Fate esplodere questa primavera uscendo da voi stessi, perché uscire è misericordia. Ricordate: siamo chiamati a varcare la soglia di casa, soprattutto per trovare l’altro. Siamo chiamati a varcare la soglia del cuore, perché abbiamo bisogno di cercare perdono. Siamo chiamati a varcare la soglia della morte per trovare risurrezione e vita».

Rinnovando loro l’invito a compiere un cammino come segno e testimonianza di uscita per annunciare, come Chiesa unita, un Dio che per primo ha varcato la soglia della sua casa divina per farsi uomo, il cardinale, affiancato da don Riccardo Pascolini e don Francesco Verzini, direttore e vicedirettore dell’ufficio diocesano di Pastorale Giovanile, prima di congedarsi, ha augurato ai presenti una santa Pasqua.

 

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“La Chiesa vi è vicina” https://www.lavoce.it/la-chiesa-vi-e-vicina/ Fri, 27 Mar 2015 13:53:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31116 Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente
Il card. Angelo Bagnasco tiene la prolusione al Consiglio episcopale permanente

Il Giubileo della Misericordia, i cristiani perseguitati nel mondo e la situazione dell’Italia sono stati i punti focali della prolusione del card. Angelo Bagnasco all’ultimo Consiglio permanente della Cei.

L’Anno santo

“I nostri lavori – ha detto il Cardinale – si aprono avendo nell’anima la lieta sorpresa che il Santo Padre Francesco ha fatto al popolo di Dio… Ci aspetta un particolare anno di grazia per poter fare, insieme ai nostri amati sacerdoti e diaconi, alle persone consacrate, alle nostre comunità, una più intensa esperienza del cuore misericordioso di Dio, di cui Gesù è ‘volto vivo’”.

“L’esperienza della misericordia divina – ha aggiunto – ci fa uscire, ci fa prendere il largo sulle strade degli altri. Nessun luogo è talmente lontano o chiuso da essere inaccessibile al Dio misericordioso e pietoso, grande nell’amore.

E poi bisogna annunciare: anche il samaritano ha annunciato a suo modo la novità di Cristo: lo ha fatto attraverso dei gesti che parlano e dicono che Dio è presente.

Con l’uscire e l’annunciare si può rimanere ancora esterni alla miseria umana: è necessario anche abitarla. Appunto come il Samaritano, che è entrato nella sciagura del malcapitato, nella sua paura e nella sua umiliazione: ha accettato di rallentare il proprio passo, di ritardare la marcia per abitare il bisogno altrui versandovi olio e vino.

In questo modo ha svolto anche un’opera educativa. Come? Con il suo farsi prossimo ha immesso nel mondo il germe di una rivoluzione; ha posto in questione una visione che toccava non solo il Levita di passaggio; ha gettato il guanto della sfida a una cultura individualista. Ha detto no a una visione che scarta il debole e lo abbandona al suo destino.

E così ha iniziato quella trasfigurazione della realtà che si compirà in Cristo, il vero, grande Samaritano dell’umanità: con quel gesto ha preso corpo sulla terra il sogno di una umanità nuova e bella che sarà possibile grazie all’irruzione dello Spirito”.

Cristiani perseguitati

“Sollecitati dal Papa – ha proseguito il Presidente della Cei – a guardare lontano e a pensare in grande il nostro ministero e la nostra stessa umanità, non possiamo non rimanere dolorosamente attoniti di fronte alla persecuzione contro i cristiani che cresce e si incrudelisce.

Il mondo della fede, del buon senso comune, il mondo dell’Umano, rimane sconcertato e percosso. E si interroga: perché? Perché perseguitare e uccidere? Perché tanta barbarie compiaciuta ed esibita sul palcoscenico mediatico del mondo? Perché non fermarsi neppure davanti ai bambini, agli inermi? È forse l’odio per l’Occidente?

Ormai la Storia senza pregiudizi ha fatto le giuste distinzioni: gli errori del passato non coincidono in nessun modo con il Vangelo, il libro di Gesù. È forse la paura di fronte alla modernità con i suoi valori di libertà, di uguaglianza, di democrazia, di giusta laicità, di valorizzazione e di rispetto per la donna…? È forse la rabbia di sapersi perdenti di fronte alla Storia che incalza inesorabile? È forse la ritorsione verso un consumismo che allenta i vincoli, stempera le idee, tende ad appiattire gli ideali e a ridurli al benessere materiale? È forse il tentativo turpe e macabro di regolare i conti all’interno del proprio mondo culturale e seminare terrore tra coloro che la pensano diversamente? C’è forse la speranza che l’Occidente ceda alle feroci provocazioni e reagisca, per poi poter gridare all’invasione o peggio, e così riattizzare vecchi fuochi?

La ragione, prima ancora che le fedi, non può non condannare tanta barbara e studiata crudeltà contro le minoranze, e in particolare contro i cristiani solo perché cristiani. E non può non condannare strategie folli e sanguinarie che portano indietro l’orologio della storia…

Mentre resta urgente la responsabilità di assicurare i diritti della libertà religiosa nel mondo, ancora una volta esortiamo l’Europa a un serio esame di coscienza sul fenomeno di occidentali che si arruolano negli ‘squadroni della morte’. Non si può liquidare la questione sul piano sociologico incolpando la mancanza di lavoro nei vari Paesi: ciò può essere una concausa. Il problema è innanzitutto di ordine culturale: non si può svuotare una cultura dei propri valori spirituali, morali, antropologici senza che si espongano i cittadini a suggestioni turpi. In questo senso, la cultura occidentale è minacciata da se stessa e favorisce il totalitarismo”.

L’Italia

Per sintetizzare la situazione corrente del nostro Paese, il card. Bagnasco ha voluto “far eco alle parole del Santo Padre Francesco a Napoli: parole di altissima condanna del malcostume e del malaffare che sembrano diventati un ‘regime’ talmente ramificato da essere intoccabile… È un destino fatale? Si può reagire?

Senza dubbi, diciamo che si deve reagire, e che ciò è possibile… Ogni soggetto ha il dovere di fare del proprio meglio per il bene della gente, che è in gravi difficoltà e che spesso è stremata: se l’onestà è un valore sempre e comunque, che misura la dignità delle persone e delle istituzioni, oggi le difficoltà di quanti si trovano a lottare per sopravvivere insieme alla propria famiglia… sono un ulteriore motivo perché la disonestà non solo non sia danno comune, ma anche non sia offesa gravissima per i poveri e gli onesti. Ciò è insopportabile!…

Come Pastori, diamo voce alla gente e, purtroppo, quella voce incalza le nostre parrocchie e diventa grido: invoca lavoro per chi l’ha perso e per chi non l’ha mai trovato. Invoca lavoro per chi è sfiduciato e si arrende mettendosi ai margini della società, facile preda della malavita. E con la disoccupazione, l’instabilità sociale cresce fatalmente…

La Chiesa in Italia, a livello centrale, porta avanti da anni il progetto Policoro e il ‘Prestito della speranza’: sono anche questi dei segni concreti che vengono incontro ai giovani, alle famiglie e alle piccole imprese. Tutti sappiamo che non basta ripianare i buchi, ma occorre investire, perché la competizione globale esige di essere sempre all’avanguardia; perché le nostre eccellenze devono essere difese con una continua ricerca; perché le professionalità non deperiscano; perché il patrimonio nazionale non prenda il volo per altri lidi, vanificando così i segnali positivi di ripresa che vengono rilevati dagli esperti”.

L’immigrazione

“Continua – ha denunciato il Cardinale – la tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore. Fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza. E cosa trovano? Molto, ma certamente ancora insufficiente al fine di una vera integrazione e di una vita nuova.

Le forze in campo non sono poche, ma la situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune, e non come un insieme di interessi individuali, ancorché nazionali. Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge. La Chiesa, attraverso le Caritas e i centri Migrantes, le parrocchie e le associazioni specifiche, risponde con ogni mezzo, anche grazie all’8 per mille, e mira a un processo di vera integrazione nel rispetto delle comunità di accoglienza e dei cittadini”.

La scuola

Quanto, infine, al tema della scuola paritaria, “è in gioco la libertà di educazione dei genitori per i loro figli. Non è una cortesia concessa a qualcuno, ma è un diritto dei genitori: diritto fondamentale che – unico caso in Europa – in Italia è stato affermato a parole, ma negato nei fatti da troppo tempo.

A proposito di cultura, non possiamo non dar voce anche alla preoccupazione di moltissimi genitori, e non solo, per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta teoria del gender, ‘sbaglio della mente umana’, come ha detto il Papa a Napoli sabato scorso. Il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione… Ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano per edificare un ‘trans-umano’ in cui l’Uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità…

Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate: volete questo per i vostri figli? Che a scuola – fin dall’infanzia – ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa? Reagire è doveroso e possibile; basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva… Sappiate, genitori, che noi Pastori vi siamo e vi saremo sempre vicini”.

 

Le domande del card. Bagnasco

Mai come questa volta sono risuonate, nella prolusione del card. Bagnasco, tante domande. Domande incalzanti, che scuotono l’interlocutore, e a cui è difficile dare rispose univoche e sicure. Sembra che il Presidente della Cei voglia chiamare a raccolta il popolo cristiano a una presa di coscienza interpellando l’intelligenza e la coscienza dei Vescovi stessi, in primo luogo, come responsabili delle loro popolazioni, e dei membri del clero, dei religiosi e dei singoli fedeli. Altro significato può essere intravisto nel desiderio di Bagnasco di favorire, in un mondo spesso frantumato e discorde, la convergenza su percorsi comuni di riflessione per giungere a proposte e progetti condivisi. Questo in riferimento all’ambiente cattolico, ma anche all’ambito più sensibile e responsabile del mondo laico. Le domande più incisive toccano temi di grande impatto anche emotivo, che riguardano la violenza e la guerra, la persecuzione contro i cristiani, la “disumanizzazione” dell’Umano, la corruzione: “Perché uccidere? Perché tanta barbarie? Perché non fermarsi neppure davanti agli inermi, ai bambini? È forse l’odio per l’Occidente? È forse la paura verso la modernità? È forse la ritorsione contro il consumismo, che riduce tutto ai beni materiali? È una provocazione all’Occidente per suscitare una reazione che induca a riattizzare altre violenze?”. A proposito di corruzione si domanda: “È un destino fatale? Si può reagire?”. E a proposito dell’educazione all’ideologia del gender – secondo cui già ai bambini si deve insegnare che possono scegliere il sesso cui vogliono appartenere, senza tenere nel debito conto i dati di natura – chiede: “Vogliamo questo per in nostri bambini, ragazzi e giovani? Che a scuola, fin dall’infanzia, ascoltino e imparino queste cose come avviene in altri Paesi d’Europa?”. Il card. Bagnasco, ovviamente, dà le sue risposte, e alcune sue domande sono puramente retoriche. Ma porsi degli interrogativi, in questo scorcio di storia della Chiesa e del mondo, credo sia un esercizio serio e urgente.

E. B.

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La Rete… ma anche no https://www.lavoce.it/la-rete-ma-anche-no/ Fri, 20 Mar 2015 13:48:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=31011 bambini-tablet-ludopatiaSocial network, pc, tablet, videogiochi e telefonini per bambini e adolescenti, i cosiddetti “nativi digitali”, sono come l’acqua per i pesci. L’elemento naturale nel quale e con il quale costruiscono le loro relazioni sociali, acquisiscono conoscenze e informazioni, giocano e vivono emozioni. Come tutte le tecnologie, dalla ruota all’energia nucleare, è il loro cattivo uso o abuso a determinare rischi e pericoli.

“Però, come non si può levare l’acqua ai pesci, è impensabile sottrarre internet e la Rete ai nostri figli” ha detto Alvaro Paolacci, medico psichiatra, nel corso di uno dei tre incontri di formazione per insegnanti, genitori, educatori e studenti promossi a Santa Maria degli Angeli dalla Commissione regionale per l’educazione (Cresu) della Conferenza episcopale umbra per preparare il mondo della scuola al prossimo Convegno ecclesiale di Firenze.

È quindi compito degli educatori, in particolare scuola e famiglie, accompagnare bambini e adolescenti all’uso corretto di questi strumenti, i quali – come droga e alcol – possono portare a una vera e propria dipendenza, difficile da curare, e che quindi bisogna prevenire.

Gli adulti però non sempre hanno la consapevolezza dei rischi che comporta l’uso distorto di tablet, pc e telefonini. Una mancata consapevolezza dovuta anche a scarse conoscenze pratiche di queste tecnologie.

Strumenti per educatori

Scopo dell’incontro, svoltosi venerdì scorso, era proprio quello di sensibilizzare e aiutare genitori, insegnanti e educatori ad affrontare questi problemi. Il tema affidato al relatore Alvaro Paolacci, docente universitario e esperto del Tribunale ecclesiastico regionale, era “Homo ludens e ludopatia”.

I lavori, coordinati dalla prof.ssa Annarita Caponera, coordinatrice della Cresu, sono stati aperti dal vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino. “Dio – ha detto – è amore e gioia, e nel gioco ci sono emozione, levità e bellezza. Tutti, grandi e piccini, hanno bisogno del gioco, ma si deve imparare a giocare bene e per il bene”.

Il gioco – ha spiegato il dott. Paolacci – è presente da sempre in qualsiasi società, e “non è né virtù, né peccato”. È un’attività che nei bambini aiuta a sviluppare le qualità fisiche e intellettuali. Il problema è che adesso, anche per giocare, si usano strumenti tecnologici che ipnotizzano, proiettano in un mondo virtuale dove tutto è facile e possibile, e dal quale c’è chi non vuole uscire per tornare nel mondo reale, arrivando a confondere il virtuale della Rete con la realtà. Così, con un uso non corretto di questi mezzi si arriva alla condizione patologica della dipendenza.

Genitori assenti

La ludopatia è una di queste dipendenze, di cui soffrono sempre di più persone di tutte le età (compresi i bambini) e di tutte le condizioni sociali. È una malattia che rende dipendenti non solo dal gioco d’azzardo ma anche da giochi e videogiochi in cui non si vince denaro. Videogiochi regalati ai figli che così passano ore da soli davanti allo schermo dei tablet. Senza disturbare gli adulti che hanno altre cose da fare.

“Da bambini si giocava insieme in piazza – ha ricordato Paolacci – ma ogni tanto c’era una mamma che si affacciava da casa a controllare. Se qualcosa non andava, ci sgridava e ci faceva rientrare”.

Non è però solo un problema di videogiochi. Internet e la Rete, per i bambini, talvolta sostituiscono genitori troppo indaffarati e assenti. E così – ha detto il relatore – “la connessione prende il posto delle relazioni con le persone. Internet diventa l’altro, che risponde sempre, 24 ore al giorno”.

Come sta avvenendo in Giappone con il fenomeno degli hikikomori, giovani che si chiudono in camera con il loro videogiochi, rifiutando qualsiasi contatto con altre persone. I pasti vengono lasciati dai familiari davanti alla porta chiusa a chiave.

Bambini e adolescenti invece hanno bisogno del dialogo e di regole. Gli adulti – ha detto lo psichiatra – devono “creare un controambiente” al mondo virtuale di internet, pur “senza tirare fuori ‘i pesci dall’acqua’, perché questo porterebbe allo scontro e all’ostilità”. Devono offrire alternative a tablet e pc, e stare con i figli quando li usano, magari navigando insieme. Devono però anche porre regole sul loro uso, a cominciare dal tempo. Soprattutto, devono saper dire “no”, e non solo per internet.

“Viviamo in una società – ha detto – in cui porre regole viene fatto equivalere a impedire la libertà. Bambini e ragazzi hanno invece bisogno di educatori che sappiano mettere un confine al loro desiderio di spingersi sempre oltre. Per il loro bene: perché, se abituati a ricevere sempre un ‘sì’, quando nella vita inevitabilmente si troveranno di fronte a un ‘no’, potrebbero crollare”.

Cime tempestose

Paolacci ha poi suggerito consigli pratici ad alcuni insegnanti che hanno parlato delle difficoltà del lavoro quotidiano con ragazzi, sempre connessi a costosi telefonini, e con genitori che talvolta protestano quando i professori li fanno spegnere per un compito in classe. “Come educatori – ha detto Annarita Caponera – ogni giorno ci troviamo di fronte a una grande montagna da scalare”.

Una montagna con una vetta sempre lontana – hanno detto altri docenti – per le difficoltà di un aggiornamento professionale su questi temi, e di circolari e programmi ministeriali discutibili. “È impensabile – ha risposto il relatore – escludere il computer dalle scuole e dalla didattica, così come dalla vita quotidiana dei nostri figli e nipoti. Il problema è invece l’uso che ne facciamo a scuola e in casa, e non si risolve certo spegnendolo, ma accendendo il dialogo”.

Prossimo incontro

Venerdì 27 marzo, alle ore 16.30, si tiene il terzo incontro promosso dalla Cresu. Interverrà mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei sul tema “Umano – disumano – postumano. Quale umanesimo per il nostro tempo?”

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