Simone Weil Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/simone-weil/ Settimanale di informazione regionale Fri, 26 Mar 2021 14:53:05 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Simone Weil Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/simone-weil/ 32 32 Il valore profondo del silenzio dentro cui “accade” la Parola https://www.lavoce.it/il-valore-profondo-del-silenzio-dentro-cui-accade-la-parola/ Fri, 08 Jun 2012 12:13:01 +0000 https://www.lavoce.it/?p=11267
Giuseppe Betori

Giovedì 31 maggio i sacerdoti delle otto diocesi della nostra regione si sono ritrovati a celebrare la loro annuale giornata di spiritualità presbiterale a Collevalenza, al santuario dell’Amore Misericordioso. È una tradizione che dura da alcuni anni ed ha avuto come maestri personaggi di grande rilevanza teologica e pastorale. Il nostro collaboratore Colasanto ne ha ricordati due che sono divenuti Papi, Albino Luciani divenuto Giovanni Paolo I, che dettò la meditazione nel 1974, e Joseph Ratzinger (oggi Benedetto XVI) nel 1984.

Quest’anno è venuto il cardinale arcivescovo di Firenze Giuseppe Betori, che ha fatto un gradito ritorno nella sua terra umbra. La sua meditazione ha preso lo spunto dalla lettera pastorale che ha inviato ai fiorentini, intitolata Nel silenzio la Parola. La prima riflessione, che poi si è snodata per tutto il discorso, è la relazione tra i due termini, che non devono essere considerati estranei l’uno all’altro, ma si richiamano e si integrano nel processo della comunicazione, che è fondamentale per creare la comunione.

La meditazione ha avuto momenti di grande profondità ed ha messo in luce la necessità di re-immergersi nel silenzio per dare significato e spessore alla parola. La parola, quella minuscola, e tanto più quella che si scrive con la maiuscola, “accade nel silenzio”, ha detto Betori. Ha commentato questo pensiero servendosi del testo del libro della Sapienza (18,14-15) usato dalla liturgia di Natale, in cui si evoca il grande silenzio nel quale si compie la rivelazione della Parola, l’incarnazione del Verbo. Nello stesso tempo la parola si apre al silenzio per il suo intrinseco limite e spinge verso la meditazione, la preghiera e l’adorazione. Ha citato anche autori antichi e moderni: Dante, Wittgenstein, Simone Weil, Mario Luzi, ed ha evocato la questione del “silenzio di Dio” ad Auschwitz. Di Simone Weil ha citato le due fonti che aprono al silenzio, e fanno rimanere muti e attoniti, senza parole: sono la sventura e la bellezza. La prima parola pronunciata da Adamo è stata di ammirazione per Eva.

Non si pensi che il discorso sia rimasto nelle sfere alte della riflessione, ma è calato nella concretezza dell’attività pastorale, come ad esempio nella celebrazione liturgica, dove si devono rispettare i momenti di silenzio e non aver la preoccupazione di riempire di parole o di suoni tutto il tempo, come se si avesse paura del silenzio quasi fosse un vuoto, una mancanza di qualcosa. Non si deve neppure pensare che la vecchia liturgia sia stata più rispettosa del silenzio, come alcuni dicono in polemica con la nuova liturgia, perché il celebrante parla sempre sottovoce, “bisbiglia per conto suo”.

Non potendo raccontare tutta la meditazione, suggeriamo di collegarsi al sito della diocesi di Firenze e scaricare la lettera pastorale dell’Arcivescovo.

Si deve purtroppo segnalare che il numero dei preti presenti non era il massimo, data la triste circostanza della morte di don Mario Curini, parroco di Norcia, oltre all’appuntamento a Orvieto per l’annuncio della nomina del nuovo Vescovo. In ambedue i casi sia i rispettivi Vescovi sia alcuni sacerdoti sono dovuti rimanere nelle loro sedi. L’incontro di Collevalenza, comunque è sempre molto gradito ed efficace per consolidare l’unione spirituale e pastorale del presbiteri delle diocesi umbre.

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“Vi voglio tutti in paradiso” https://www.lavoce.it/vi-voglio-tutti-in-paradiso/ Thu, 30 Jul 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7749 La festa del Perdono di Assisi ha origine, come tutti ben sanno, dalla richiesta rivolta da san Francesco al Papa Onorio III, che in quei giorni risiedeva a Perugia, di concedere ‘un ampio e generoso perdono con una completa remissione di tutte le colpe’ a tutti coloro che avessero visitato la chiesetta della Porziuncola. La data del pellegrinaggio stabilito per vivere questa stupenda avventura di amore e misericordia è il 2 agosto 1216, che da sempre fino ai nostri giorni ispira migliaia di pellegrini, provenienti soprattutto dalla città e dalle parrocchie della diocesi di Assisi e da tante parti d’Italia, oltre che dell’Umbria, a dirigersi verso questo luogo santo. Vale la pena ricordare quanto sia stata amata ed esaltata la chiesetta da S. Francesco, che lì amava pregare perché sentiva aleggiare una presenza angelica. Anche nei nostri tempi è percepita una particolare sacralità del luogo, che non si visita senza emozione. Ci torna in mente il racconto di Simone Weil (+1943): nel suo diario del viaggio in Umbria annota che per la prima volta visitando la Porziuncola ha sentito l’interiore impulso ad inginocchiarsi. Successivamente la concessione si è estesa a tutti i santuari francescani e poi alle chiese parrocchiali, sempre con le condizioni che il pellegrino si sia riconciliato con il sacramento della confessione e abbia ricevuto la santa comunione eucaristica (cfr. Cei, Catechismo degli adulti, n. 710). L’indulgenza così viene a costituire una grande occasione di grazia e di misericordia diffusa a tutti quelli che, pur rimanendo nei luoghi dove abitano, si rivolgono a Dio per chiedere il perdono dei peccati commessi. San Francesco quando annunciò ai vescovi dell’Umbria, e ai numerosi fedeli radunatisi nella piana di Assisi, il privilegio ottenuto, si espresse con una frase carica di entusiasmo: ‘Fratelli, voglio mandarvi tutti in paradiso!’. Questa eredità lasciata alla Chiesa è stata raccolta dai frati francescani, i quali da secoli accolgono ogni giorno i pellegrini di tutto il mondo, per ascoltare le confessioni e donare loro la misericordia del Padre celeste. Quest’anno a Santa Maria degli Angeli si avranno tre momenti di preghiera: saranno guidati da fr. Giuseppe Gazzaneo, della Provincia salernitano-lucana dei Frati minori. Sarà infatti la Basilicata a celebrare il santo Patrono d’Italia il prossimo ottobre. Nei giorni 1’e 2 agosto, dalle 6.30 alle 19.30 (senza interruzione) tanti sacerdoti saranno disponibili in basilica per ascoltare le confessioni in diverse lingue. Lo spirito della festa non si limita alla sfera intima e personale, ma, come è proprio del dinamismo cristiano dell’Incarnazione, attiene anche alla dimensione civile e sociale. Sappiamo che san Francesco aveva scelto il saluto di pace e bene, che al suo tempo suonava strano, ed aveva a cuore la riconciliazione e il perdono tra i diversi ceti sociali e tra le città. Nel Medioevo anche altri santi e sante, come santa Caterina, sentiranno come compito cristiano ed ecclesiale proprio la pacificazione tra le città. Non ci si deve perciò meravigliare se il perdono diventa una festa anche cittadina, con pellegrinaggio del Sindaco con fascia tricolore e gonfalone. Rappresenta un valore fondamentale per la vita della società e, in un’ottica più ampia, una condisione per la pace universale. Il messaggio per la Giornata della pace del 2002 di Papa Giovanni Paolo II portava il titolo ‘Non c’è pace senza perdono’. L’idea di trasformare o meglio di aggiungere al perdono il tema della pace sta nella logica delle cose.

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Lettera dei Vescovi ai cercatori di Dio https://www.lavoce.it/lettera-dei-vescovi-ai-cercatori-di-dio/ Thu, 28 May 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7566 È nelle librerie un volumetto intitolato Lettera ai cercatori di Dio. Un’iniziativa della Commissione dei vescovi italiani per la dottrina della fede, presieduta dal teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chieti. Intende rispondere a coloro che sono alla ricerca. Questi giorni (mercoledì scorso) un quotidiano nazionale strillava su due pagine dedicate alla cultura la domanda: ‘Dio, ma ci sei o no? Mistero della fede. Certezze, confessioni, dubbi. Così si ripropongono gli interrogativi di sempre’. Nell’articolo si dà un resoconto di libri che trattano di argomenti religiosi. In verità si deve dire che, forse anche per merito dei critici e dei negazionisti della fede, c’è un aumento di pubblicazioni su temi religiosi che indica un aumento di interesse. La Chiesa, spesso accusata di occuparsi solo di bioetica o di sociologia e politica, in realtà è una comunità di credenti ed ha come principale scopo di vivere la fede e parteciparla ad altri. Dio è l’orizzonte della vita della Chiesa, ed in questo orizzonte non può escludere l’uomo che è il bersaglio della luce divina. Un amico, dopo la prolusione del card. Bagnasco, ha detto che aveva l’impressione che il Cardinale avesse preso il posto di Epifani, il segretario della Cgil, perché ha difeso i disoccupati e le famiglie povere. È proprio per questa fede che non si possono chiudere gli occhi. Il credente, infatti – ha detto Simone Weil – è come chi camminando nella notte accende una torcia: non si mette a fissare la torcia, ma la strada e gli oggetti che essa illumina. Così è anche del sole: non si fissa il sole ma le cose che risplendono alla sua luce. La fede cambia la vita, perché vi immette una luce nuova, dall’alto. Il Vangelo dice che chi non non crede è nelle tenebre. Per questo si dice che i credenti sono missionari, e possono diventare anche fanatici, come alcuni rimproverano, mentre gli atei non lo sarebbero. A parte che vi è un ateismo militante e missionario (c’è sempre stato), i credenti che hanno scritto la Lettera non intendono imporre nulla, solo affiancarsi ai ‘cercatori’ per dare loro una mano e insegnare la ‘grammatica della fede’, quei percorsi che aiutano. Un universitario ha confessato in un recente incontro amichevole con altri giovani che si trovava in una tale confusione mentale in campo religioso ed etico da non riuscire più a combinare niente, finché ha trovato un gruppo di credenti che lo hanno aiutato a entrare nella logica della fede e si è sentito rinascere. Oggi è una persona nuova che riesce a fare… anche esami. Non sono miracoli. È la legge della rispondenza alla domanda fondamentale degli uomini segnati dalla Trascendenza. Ne è segno l’esistenza di tante religioni, che si possono descrivere come grandi pellegrinaggi alla ricerca dell’Assoluto. In questi giorni (dal 29 al 31 maggio) i buddisti festeggiano il Vesak, la ricorrenza della nascita, dell’illuminazione e della dipartita del Buddha Shakyamuni. È la festa più importante onorata dai buddisti di tutte le tradizioni di tutto il mondo. Nella società multiculturale in cui ci troviamo, anche se le fedi non sono tutte uguali, può considerarsi uguale o almeno simile la sincerità e la ‘buona fede’ di coloro che cercano Dio e lo onorano con cuore sincero senza secondi fini. Le religioni possono ammalarsi, deviare e corrompersi e i loro membri dare scandalo per inadempienza, ma ciò nonostante, superando l’ostacolo, nessuno dei veri cercatori di Dio rimarrà deluso.

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Simone, l’eretica https://www.lavoce.it/simone-leretica/ Thu, 05 Feb 2009 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=7284 Fosse ancora viva, il 3 febbraio avrebbe compiuto 100 anni. Parlo di Simone Weil, una delle pensatrici più originali e profonde del sec. XX. L’opinione pubblica la ignora, qualcuno in passato l’ha identificata con l’omonima signora, patinata e con le unghie laccate, che ha presieduto per qualche tempo il Parlamento francese. Il fascino delle intuizioni rapide, violente come delle rasoiate: io”ho conosciuto quando ho letto il bellissimo libro che, per i tipi di Garzanti, le ha dedicato Gabriella Fiori, facendo leva soprattutto sulla testimonianza della sua compagna di banco al liceo Henry IV di Parigi, Simone Pétrement. Simone, l’eretica. L’eresia lei ce l’aveva dentro, nel sangue: l’assoluta inettitudine a lasciarsi ingabbiare da un sistema di pensiero, fosse anche il più alto e nobile, come quello cristiano, al quale approdò sul finire della sua vita; credo che da san Tommaso in poi nessuno abbia scritto sull’eucarestia le cose profonde, per nulla devozionali, intensissime, tessute di umanità verginale che ha scritto lei; ma anche il suo dito puntato contro la Chiesa cattolica, l’unica custode del Mysterium salutis, è stato d’una durezza implacabile. Era successo prima con il mondo classico, che lei conosceva a fondo e amava con tutta se stessa, ma questo non le aveva impedito di denunciare l’Iliade (‘il libro più bello che sia mai stato scritto’) come l’osceno ‘poema della forza’, antesignano di tutte le violenze che nel corso della sua storia sanguinaria l’umanità ha riservato ai più deboli. Era successo col marxismo, ma la scia di lotte e di guerre che il socialismo reale aveva già cominciato a lasciare dietro di sé l’aveva allontanata dal barbuto profeta di Treviri. Bruttarella, trasandata, incapace di essere giovane come lo erano (e lo sono) tutti i giovani, lasciò l’insegnamento alle scuole medie superiori per lavorare un anno alla Rénault come semplice operaia. Ne uscì distrutta. Angosciata dalla disumanità della catena di montaggio, un inferno di insignificanza al quale una follia crudele e anonima condannava tanti suoi fratelli uomini. Prese parte alla guerra di Spagna, in difesa della Repubblica. Pretesero che sapesse cucinare, lei che non l’aveva mai fatto. Si ustionò mettendo un piede in un’enorme padella di olio bollente, che avrebbe dovuto servire’ ad altro. Tornò a casa. Il giorno dopo, la sua brigata venne sterminata. ‘brPare che sul letto di morte abbia ricevuto il battesimo, quel santo Segno al quale aspirava con tutta l’anima, e che aveva sempre procrastinato per non tirarsi fuori dalla tragedie del suo popolo, gli ebrei, sui quali si stava abbattendo l’uragano della Shoah.

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La croce del tempo https://www.lavoce.it/la-croce-del-tempo/ Thu, 01 Feb 2007 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=5657 ‘Il monaco è colui che, con la forza di Dio, domina il tempo’. In questo suo discorso sul tempo sant’Antonio abate non inventava, ma rielaborava e sintetizzava quella dottrina della Bibbia che lui conosceva a menadito, grazie ad un’intensa, quotidiana, personalizzata frequentazione. Il tempo come creatura, che Dio dona momento per momento all’uomo che Egli crea momento per momento. Il tempo come ambito della realizzazione degli intenti di Dio sulla storia. Il tempo come spazio che delimita l’eternità e ne è delimitato. Il tempo come trait d’union tra la prima e la seconda venuta del Messia, dalla carne alla gloria. Su questa stessa scia, nella nostra tradizione cristiana moltissimi altri maestri di spirito parlarono attraverso i secoli del valore del tempo alla luce della rivelazione. E lo fecero anche in chiave antitetica rispetto all’idea che ne aveva dato Antonio. È il caso di Simone Weil, secondo la quale il tempo non solo non può essere dominato, come voleva il grande Padre del monachesimo, ma, al contrario, inesorabilmente ci domina. E dominandoci ci salva. Il tempo come croce. Confitti ognuno sulla sua croce, tutti gli uomini camminano verso l’eternità. L’ho letto nell’ultimo dei quaderni della Weil, pubblicati per Adelphi da Giancarlo Gaeta in quattro tosti volumi. Appunti stesi da Simone a Marsiglia, frettolosamente, all’impiedi, prima di trasferirsi temporaneamente in America con la sua famiglia. Febbrilmente. Fendenti di luce. La sua vita era stata tutto un susseguirsi di fendenti di luce, da quando, quattordicenne e già totalmente incurante del proprio fisico, aveva saputo che Dio esiste, a quando appena ventiduenne era stata un’insegnante di filosofia capace di appassionare come nessun altro i suoi studenti, a quando (con una fatica pari solo alla frustrazione) aveva lavorato alla catena di montaggio della Renault, a quando aveva preso parte contro Franco alla guerra di Spagna: l’unica volta che fu ‘rimandata a ottobre’, pardon, a casa, perché, imbranata com’era, aveva messo un piede nella padella dell’olio bollente. ‘Il tempo è la croce sulla quale è crocifissa l’anima del mondo. Tra il sole e le stelle fisse’. E ancora ‘L’Agnello crocifisso fin dall’origine, anche lui ha la sua croce nel tempo’. E infine: ‘Portare la propria croce. Portare il tempo’. È soprattutto di sera che ti prende la stanchezza della vita. Un nodo alla gola. Non ho combinato niente, in tutta la mia vita. Domani o dopodomani Lui mi chiamerà, e io non ho nulla tra le mani, nemmeno due frappe con uno spruzzo di zucchero filato sopra. Rimanere inchiodati sulla croce del tempo. In attesa dell’ora nona. Arriverà solo quando Lui l’avrà voluto. Ma sarà in ogni caso l’ora giusta. Perché su quella croce Lui c’è fin dall’origine del mondo.

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La Vita che precede ogni vita https://www.lavoce.it/la-vita-che-precede-ogni-vita/ Thu, 09 Feb 2006 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4965 Con un cielo ancora non coperto, che sembrava potersi orientare verso qualche fiocco di neve, domenica 5 febbraio, nel santuario di Belvedere, all’appuntamento domenicale si sono ritrovati attorno al nostro Vescovo i frequentatori abituali della messa insieme ai volontari del Centro aiuto vita e del Movimento. Né la giornata fredda, né le impalcature per i lavori di ristrutturazione del santuario hanno impedito la calorosa partecipazione all’eucaristia dei presenti. Si celebrava la 28a Giornata per la vita. Felice coincidenza delle letture con il messaggio ‘Rispettare la Vita’: descrizione del bisogno dell’uomo, e risposta di Dio al quale l’uomo si abbandona con fiducia estrema. ‘Tre i temi presenti nelle letture della Parola di Dio: il dolore, il Vangelo, la preghiera. Il dolore sembra spaventare Giobbe, che poi si riprende: Io so infatti che il mio Redentore vive’. Paolo si era perfettamente conformato a Cristo, al punto da poter affermare: ‘Tutto io faccio per il Vangelo. Guai a me se non predicassi il Vangelo’. Il Vangelo di Marco ci propone due episodi in cui si vede Gesù prendersi cura dei malati fin dall’inizio del suo ministero. Gesù non è soltanto un guaritore, è venuto a salvare tutto l’uomo e tutti gli uomini. I vescovi italiani, nel loro messaggio, hanno fatto il punto sulla situazione ‘vita’. È il Verbo di Dio, la vera Vita che precede ogni vita; l’uomo riceve la vita, non la inventa; la vita viene prima di tutte le istituzioni, lo Stato, le maggioranze, le strutture sociali e politiche – come ribadito con fermezza anche da mons. Ronchi -, precede anche la scienza con le sue acquisizioni. L’uomo ha bisogno di verità: la verità richiede, come terreno in cui crescere, il silenzio, non un vociare confuso; attenzione, non un astratto divagare; ascolto, non opinione. Il proliferare delle opinioni – diceva una giornalista – produce confusione non solo nel linguaggio, ma anche nell’ordine delle cose e nelle relazioni. E ancora, Simone Weil: ‘Il punto di vista è la radice dell’ingiustizia’. Noi volontari della vita vogliamo offrire il nostro sostegno alle donne in difficoltà, anche a quelle che hanno fatto l’esperienza dell’aborto, con l’aiuto concreto e la parola di Dio. Vorremmo fare di più e meglio. Abbiamo però la gioia di annunciare che simbolicamente all’offertorio della messa erano presenti con un fiore Desirè, Dilan, Paolo, Riccardo, Diego, Giulio, Tian, Ingi, Carolina, Anna, Robert, Oliver, Stefano, Edoardo, Alina Brigida: i piccoli ospiti della Casa di accoglienza Ain Karin.

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Quattro gradini, a scendere https://www.lavoce.it/quattro-gradini-a-scendere/ Thu, 23 Dec 2004 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=4223 ‘Dio s’è fatto come noi // per farci come lui’. Parole belle, musica troppo cantabile. Troppo. Tutto quello che è troppo cantabile rischia di diventare un ritornello da fischiettare la mattina in bagno. Ci vorrebbe una musica’: come quella del Salterio monastico di Camaldoli, mai scontata. Il Bambino paffutello e sorridente, la Madonna tutta concentrata in Lui, san Giuseppe commosso e incerto: devo adorarlo o devo proteggerlo? Questo è il terzo gradino, a scendere. Il primo fu quando Dio creò il mondo. ‘Non fu un atto di espansione di sé, bensì di limitazione, di rinuncia’ – commenta Simone Weil nell’ ‘Attente de Dieu’- poiché ‘Dio con tutte le creature è qualcosa di meno che Dio da solo’. E ancora: ‘Con l’atto creatore Dio si è negato in nostro favore, per offrirci la possibilità di rinnegarci per lui’. Quello, dei gradini a scendere, fu il primo. Il secondo fu quando Lui si scelse un popolo con il quale allearsi, condizionando ad esso il cammino nella storia che aveva deciso di intraprendere. Dio mio, ma non c’era qualcosa di meglio al mondo? Eppure era da un pezzo che lo sapevano tutti (immaginarsi Tu!!): quello è ‘Popolo di dura cervice’. E questo della Notte Santa è il terzo gradino, a scendere. Sempre più in basso. ‘Pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso’. Come quando vai a letto la sera e lasci il vestito sulla spalliera della sedia. Inerte, inutilizzabile. Spogliò se stesso. Terzo gradino a scendere. Il quarto e ultimo gradino sarà la croce. E sulla croce quel grido straziante. ‘Mio Dio, perché mi hai abbandonato?’ Guardo il bambino, le sue labbra rosate, le sue pappette rubizze appena. ‘Mio Dio, perché mi hai abbandonato?’ Ma come si fa ad abbandonare un esserino così dolce, con una mamma e un papà così dolci? Dolci, e anche felici, in questa notte magica. Ma hanno alle spalle mesi di dubbi lancinanti, e di silenziosa preghiera appassionata, e di tensione estrema per riuscire a fidarsi l’uno dell’altra e, tutt’e due insieme, per riuscire a fidarsi di Dio. Arriverà il quarto gradino, a scendere, e Giuseppe non sarà più presente. Toccherà alla Madonna delle Sette Spade evocarlo, accanto al sepolcro di Gesù. Scuotendo il capo: ‘Vedi, Giuseppe, dov’è arrivato il nostro Gesù?!’. Una lacrima sul ciglio: ‘Vedi, Giuseppe’, in basso, talmente in basso che quel suo paurosissimo grido straziante m’ha trafitto le tempie, m’ha lacerato le viscere’ Credevo di morire’. Poi, sorridendo: ‘Ed è subito diventato il punto più alto della storia’. Quattro gradini: A scendere, nel cuore della storia. A salire, nel cuore di Dio. Buon Natale!

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Questione di fondo https://www.lavoce.it/questione-di-fondo/ Thu, 03 Jul 2003 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=3235 C’è chi minimizza la portata della questione sollevata dalla Santa Sede, circa il dovere che la Carta dell’Unione europea dica chiaramente i valori cristiani che hanno ‘fatto’ l’Europa. Questioni di lana caprina, dicono. No: questione di fondo. In gioco c’è l’esaltazione di quella che Paolo VI chiamava la ‘sana laicità dello Stato’ e la contemporanea spedizione al mittente dell’ennesimo insulto del laicismo ingobbito dal tempo troppo lungo e dalle malefatte troppo meschine. ‘Sana laicità’ nelle questioni che riguardano le leggi e le istituzioni vuol dire da una parte astenersi da ogni giudizio di valore circa il patrimonio ideale che ispira le proposte avanzate dalle forze in campo, ma al tempo stesso riconoscere e recepire la linfa vitale che quelle forze immettono nella compagine del corpo sociale. Non sta alla Direzione dell’Asl decidere se è vero o falso il discorso sulla vita eterna che la nivea suorina suggerisce al malato terminale. Sta alla Direzione dell’Asl recepire ed esaltare il quantum di conforto, e cioè di vita, che quel discorso comporta. ‘Laicismo’ nelle questioni che riguardano le leggi e le istituzioni è la pregiudiziale chiusura ad ogni discorso che non sia quello della maggioranza silenziosa, vera o presunta. In nome di una povera ‘tolleranza’, che riduce la convivenza umana a grigia melassa in cui ogni vacca, bianca o nera che sia, diventa grigia. Simone Weil nel 1943, poco prima di morire di tisi, a chi le chiedeva qualche idea per la ricostruzione della Francia, lei, così rigorosamente laica, lei che s’era sempre impegnata allo spasimo nell’azione politica più diretta, rispondeva: l’Europa è stata distrutta (prima che dagli eserciti) dall’idolatria del partito o della razza o della nazione; prima di ogni altra cosa bisogna dunque recuperare una visione della vita sociale radicata nell’orientamento al bene assoluto, che abita nell’uomo ma al tempo stesso proviene da una realtà situata al di fuori del mondo, e dalla quale discende ogni bene, ogni bellezza, ogni verità, ogni giustizia, ogni legittimità, ogni ordine, ogni subordinazione della condotta umana a degli obblighi; solo nella misura in cui in ogni membro del corpo sociale opera il consenso verso tale realtà superiore è possibile stimare ogni uomo, senza eccezioni, come sacro.

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Il Dio concreto https://www.lavoce.it/il-dio-concreto/ Thu, 07 Dec 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1287 “La fede concretamente consiste nell’uscire dal proprio egoismo, che è pura animalità, per aprirsi all’Altro, cioè alla Divinità di Dio, cioè all’Umanità dell’Uomo”. In questo la ricerca tutta teorica (nel senso più alto della parola) di Simone Weil è molto vicina alla ricerca tutta pastorale di Dietrich BonhÈffer. Ambedue temono il declassamento della fede a retorica. Che ci si accontenti della espressione verbale della fede. Che si identifichi tout court il credente con colui che pronuncia il nome di Dio. Le fede, nella sua traiettoria umanamente percepibile, è come un vettore che muove dall’annuncio e approda alla pronuncia, ma il suo corpo succoso è nel recepire e vivere la forza di Dio che dal di dentro spinge l’uomo a uscire da se stesso per approdare a Lui. Ma l’annuncio molte volte viene meno, per mille motivi diversi: a volte perché non è così forte per vincere il frastuono del mondo, a volte perché gli uomini si fanno volutamente sordi e non vogliono rimettersi in gioco, o non ce la fanno; più spesso perché noi Cristiani non siamo credibili. Più spesso ancora per oggettive situazioni socio/culturali. E quando l’annuncio è stato carente, la pronuncia è solo un balbettio: si soprannomina “Dio” un povero parto della mente umana. Ma anche in assenza dell’annuncio e della pronuncia la Grazia instaura con il cuore di ogni uomo, con il sancta santorum della sua irripetibile personalità, un irrepetibile, unico, originale rapporto. Tutta qui la sua onnipotenza. E sulla risposta silenziosa e nascosta a questo divino input silenzioso e nascosto si gioca la positività o la negatività della vita di ognuno. “Venite. Benedetti dal Padre mio…”; “Signore, ma chi mai t’ha conosciuto?”. “Credevate di non avermi conosciuto”. Ho tanto paura di chi parla troppo di Dio, come se lo conoscesse. Devo predicare, mi è stato chiesto di farlo. Ma sapessi, amico lettore, che razza di gnocco d’impotenza ti si pianta in gola!, quando torni a prendere coscienza che le parole che dici nascondono molto più di quanto non rivelino.

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Anzi, tre facce di un unico amore https://www.lavoce.it/anzi-tre-facce-di-un-unico-amore/ Thu, 30 Nov 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1269 L’amore implicito di Dio, l’unico accessibile a tutti e al tempo stesso indispensabile perché la vita di ciascuno sia quella che deve essere, come oggetto immediato può avere i tre soli oggetti nei quali Dio sia realmente, benché segretamente, presente: la liturgia, la bellezza del mondo, il prossimo. Questa tesi di Simone Weil è comprensibile solo all’interno di un’altra tesi, essenziale per la comprensione della struttura del suo pensiero, la tesi su fede e ateismo. Il Catechismo degli adulti, questa grande opera della quale la Chiesa italiana è debitrice alla Chiesa perugina, perché la sua redazione le sottrasse la gran parte delle energie del suo vescovo Ennio (ma ne valeva la pena!), definisce la fede come un cosciente e responsabile assumere il proprio posto all’interno del progetto di salvezza che Dio in Cristo propone all’umanità. Siamo ben lontani da come intende la fede il signor Sindaco “laico” durante il pranzo della festa patronale: “Buone queste tagliatelle ai funghi porcini, eh!, reverendo! Bah! Beati voi che avete la fede… Per quanto… le dirò che… anche io…: beh! via! Qualcuno ci ha da esse!!”: la fede mediata dai funghi porcini non va oltre. Traguardo rispettabile, sia chiaro: nemmeno Aristotele andò molto oltre, quando parlò di Dio come motore immobile, confinandolo lassù in alto, a muovere un’enorme ruota dentata (solo recentemente è stata elettrificata), che a sua volta muove tutto il resto. Per la Weil la fede concretamente consiste nell’uscire dal proprio egoismo, che è pura animalità, per aprirsi all’Altro, cioè alla divinità di Dio, cioè all’umanità dell’uomo. Alla luce di questa intuizione fondamentale, l’amore per la liturgia, l’amore per la bellezza del mondo, l’amore per il prossimo non sono tre amori, ma tre facce diverse di un unico amore. Non ti pare una bella traccia, avventurato lettore, per rinnovare il parco domande del nostro quotidiano esame di coscienza?

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Questione di sostanza https://www.lavoce.it/questione-di-sostanza/ Thu, 02 Nov 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1053 Acuta l’intuizione di Simone Weil: il comando di amare Dio con tutto il cuore è universale e assoluto, ma la quasi totalità degli uomini sembrerebbe impossibilitata ad osservarlo. Le espressioni affocate che, quando la pienezza dell’Amore Superno trabocca e ne invade l’intimo, fioriscono sulle labbra di Caterina da Siena o su quelle di Charles de Foucault alzano il velo su oceani di luce e di pace, gli oceani di Dio. Ma a noi cristiani medio/mediocri, così come alla sterminata famiglia dei nostri fratelli che o ignorano Dio e Cristo o li pensano del tutto diversamente da quello che sono, gli oceani di Dio sono preclusi. Noi abbiamo a disposizione solo dei modesti catini di acqua inquinata, dove il cielo si riflette troppo debolmente, e le stelle sembrano pagliuzze gratuite. Eppure il comando di amare Dio con tutto il cuore vale anche per noi, nella sua interezza. Non si fanno sconti per nessuno. Allora? La risposta della sgraziata intellettuale ebrea è lucida come sempre: bisogna puntare sulle “forme implicite” dell’amore di Dio. E diffidare – aggiungo – delle forme esplicite e conclamate. Perché la presenza di Dio nel cuore dell’uomo è anteriore alla percezione che l’uomo ne ha. Anzi: certe “presenze di Dio”, magari sbandierate come tali, sono del tutto presunte, perché le parole, lungi dal rivelarne la presenza, mascherano l’assenza di Dio. E – per converso – certe vite che tutti, a buon diritto, giudicano “lontane da Dio” gli sono infinitamente vicine. È l’ipotesi sulla quale insiste il capitolo 25 del Vangelo di Matteo. Dalle parti di Giosafat, quando verrà il Gran Giorno, le sorprese saranno di due tipi: alcuni che si credevano “in possesso di Dio” si ritroveranno con un pugno di mosche in mano, altri che credevano d’essersi mossi, con la loro buona volontà di uomini, su di un orizzonte tutto umano, e che Dio -se esisteva – era del tutto al di là della loro faticosa volontà di bene, scopriranno che Egli era al di qua, dentro il positivo della loro vita, dentro quella loro volontà che presumeva d’avere dietro di sé una generica “spinta morale”, e invece si trattava di una silenziosa e strepitosa Persona.

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Ma se non lo conosco? https://www.lavoce.it/ma-se-non-lo-conosco/ Thu, 26 Oct 2000 22:00:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=1037 Avveduto lettore, senti questa riflessione di Simone Weil. Poi ne riparliamo.Primo: la Bibbia impegna tutti ad amare Dio con tutto il cuore. Amare Dio è l’unica cosa che nessuno, ma proprio nessuno può permettersi di non fare. Secondo: “Ama Dio con tutto il cuore” è un comandamento, non un consiglio; non è un congiuntivo ottativo (che cioè esprime un desiderio, un augurio, un auspicio) ma ad un imperativo: secco.Terzo: “Amare Dio” nell’esperienza di tutti coloro che lo hanno conosciuto di persona consiste nel fatto che Dio viene e visita l’anima e la prende per mano e le promette di sposarla. L’anima prende coscienza di quella visita, si lascia guidare oppure rifiuta di lasciarsi guidare.Ma questa è un’esperienza riservata a pochi. Pochi avvertono chiaro e personalmente impegnativo il comandamento di amare Dio e il relativo percorso interiore. La stragrande maggioranza degli uomini non farà mai e poi mai quell’esperienza. E allora come si giustifica il carattere universale e permanente di quel comando, “Ama Dio”?Che dire. Chi ha formulato quel comando o non sapeva nulla della vita degli uomini, oppure pensava l’amore di Dio come un qualcosa di diverso rispetto a quella visita personale, con relativa risposta della coscienza pienamente informata, positiva o negativa che sia. Ma siccome chi ha formulato quel comando del succo della vita sapeva tutto, ma proprio tutto, non ci resta che concludere: oltre l’amore esplicito di Dio, esiste anche un altro amore di Dio, che non è né esplicito né diretto, ma indiretto ed implicito. È amore vero e salvifico, ma non può avere Dio per oggetto, poiché Dio non è presente alla coscienza, o quanto meno non lo è ancora mai stato. E’ destinato a diventare amore di Dio? Certo è che per adesso non lo è. Ha un altro oggetto, diverso da Dio anche se non estraneo a Lui. Ma… c’è un ma: il comandamento non dice “Ama Dio con tutto il cuore rendendoti conto di chi è lui”. No, non è indispensabile rendersene conto. Possono farlo tutti, anche quelli che non se ne rendono conto.Pensaci su, avveduto lettore. Ne riparliamo.

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