Silvio Berlusconi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/silvio-berlusconi/ Settimanale di informazione regionale Thu, 09 Nov 2023 17:09:48 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Silvio Berlusconi Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/silvio-berlusconi/ 32 32 Riforma: se i partiti non “funzionano” serve a poco https://www.lavoce.it/riforma-se-partiti-non-funzionano-serve-poco/ https://www.lavoce.it/riforma-se-partiti-non-funzionano-serve-poco/#respond Thu, 09 Nov 2023 16:51:42 +0000 https://www.lavoce.it/?p=73934

Il Governo sta preparando una proposta di riforma costituzionale. Non è la prima volta: dal 1948 in poi ci sono state numerose modifiche alla Costituzione, approvate ed entrate in vigore. Cinque solo fra il 2020 e oggi, delle quali l’unica di una certa importanza è quella che ha ridotto il numero dei parlamentari. Fra le altre meno recenti merita di essere ricordata quella del 2001, che ha esteso l’autonomia delle regioni e dei comuni. Ma nessuna di queste ha cambiato veramente la fisionomia dello Stato.

Lo avrebbero fatto, se fossero entrate in vigore, quelle proposte rispettivamente da Berlusconi e da Renzi: entrambe avevano riportato l’approvazione del Parlamento (una nel 2005, l’altra nel 2016) ma dovevano passare per un referendum e furono bocciate dal voto popolare. Non si contano poi le proposte che in Parlamento sono state discusse ma non approvate. Fra le proposte andate a buon fine, come fra quelle che non ci sono andate, ve ne sono state alcune utili e opportune, altre dannose, altre irrilevanti, alcune infine addirittura bislacche.

Quella che ora è in fase di preparazione – per l’elezione popolare diretta del primo ministro – cambierebbe invece i rapporti di potere e gli equilibri fra i massimi organi dello Stato, molto più di quanto fosse previsto dalla riforma Renzi. Ma la riforma Renzi, lo ricordiamo, è stata respinta a furor di popolo al grido “la Costituzione non si tocca”; dovremmo dunque aspettarci che anche la riforma Meloni faccia la stessa fine? Io direi di no, ma è troppo presto per dirlo.

Il commento che voglio fare oggi è che per una volta di più si cade nell’illusione che per risolvere i problemi della politica italiana sia necessario, e anche sufficiente, ricorrere a quella che gli esperti chiamano “ingegneria istituzionale”: ossia cambiare qualcosa nei complesso sistema dei rapporti fra gli organi dello Stato. Che questo modo di ragionare sia illusorio, si dimostra facilmente osservando che i Paesi con i quali tendiamo a confrontarci (Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna) hanno sistemi istituzionali molto diversi fra loro, ma ciascuno di loro ha un sistema politico democratico ben funzionante – se per “sistema politico” intendiamo l’insieme dei partiti, i rapporti fra loro, la loro alternanza ordinata al potere. Se i partiti non funzionano bene, cambiare le regole costituzionali serve a poco.

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Il Governo sta preparando una proposta di riforma costituzionale. Non è la prima volta: dal 1948 in poi ci sono state numerose modifiche alla Costituzione, approvate ed entrate in vigore. Cinque solo fra il 2020 e oggi, delle quali l’unica di una certa importanza è quella che ha ridotto il numero dei parlamentari. Fra le altre meno recenti merita di essere ricordata quella del 2001, che ha esteso l’autonomia delle regioni e dei comuni. Ma nessuna di queste ha cambiato veramente la fisionomia dello Stato.

Lo avrebbero fatto, se fossero entrate in vigore, quelle proposte rispettivamente da Berlusconi e da Renzi: entrambe avevano riportato l’approvazione del Parlamento (una nel 2005, l’altra nel 2016) ma dovevano passare per un referendum e furono bocciate dal voto popolare. Non si contano poi le proposte che in Parlamento sono state discusse ma non approvate. Fra le proposte andate a buon fine, come fra quelle che non ci sono andate, ve ne sono state alcune utili e opportune, altre dannose, altre irrilevanti, alcune infine addirittura bislacche.

Quella che ora è in fase di preparazione – per l’elezione popolare diretta del primo ministro – cambierebbe invece i rapporti di potere e gli equilibri fra i massimi organi dello Stato, molto più di quanto fosse previsto dalla riforma Renzi. Ma la riforma Renzi, lo ricordiamo, è stata respinta a furor di popolo al grido “la Costituzione non si tocca”; dovremmo dunque aspettarci che anche la riforma Meloni faccia la stessa fine? Io direi di no, ma è troppo presto per dirlo.

Il commento che voglio fare oggi è che per una volta di più si cade nell’illusione che per risolvere i problemi della politica italiana sia necessario, e anche sufficiente, ricorrere a quella che gli esperti chiamano “ingegneria istituzionale”: ossia cambiare qualcosa nei complesso sistema dei rapporti fra gli organi dello Stato. Che questo modo di ragionare sia illusorio, si dimostra facilmente osservando che i Paesi con i quali tendiamo a confrontarci (Francia, Gran Bretagna, Germania, Spagna) hanno sistemi istituzionali molto diversi fra loro, ma ciascuno di loro ha un sistema politico democratico ben funzionante – se per “sistema politico” intendiamo l’insieme dei partiti, i rapporti fra loro, la loro alternanza ordinata al potere. Se i partiti non funzionano bene, cambiare le regole costituzionali serve a poco.

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