sicurezza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/sicurezza/ Settimanale di informazione regionale Thu, 11 Apr 2024 15:42:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg sicurezza Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/sicurezza/ 32 32 Dal buon governo l’ordine e la sicurezza https://www.lavoce.it/buon-governo-ordine-sicurezza/ https://www.lavoce.it/buon-governo-ordine-sicurezza/#comments Wed, 12 Jun 2019 16:39:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54674

di Francesco Bonini

Marcellino Iachi Bonvin, per tutti Franco, ha esploso diversi colpi di revolver contro tre rapinatori e Ion Stavila è rimasto sul marciapiede, a pochi metri dalla tabaccheria di via Torino, a Pavone Canavese. Non è il primo caso e non sarà probabilmente l’ultimo. È tuttavia la prima volta che capita sotto l’egida della legge 26 aprile 2019, n. 36, che modifica il codice penale a proposito di legittima difesa, un provvedimento accompagnato da molte discussioni, che passa ora alla prova dell’applicazione concreta.

Spetterà alla magistratura esprimersi: la legge prevede la valutazione di dati che necessariamente sfuggono ad una meccanica quantificazione, come il “grave turbamento psichico” dell’offeso. Nella legittima difesa (peraltro tanto prima che dopo la riforma di quest’anno) in questione c’è proprio il bilanciamento, la necessità e la proporzionalità appunto tra offesa e difesa.

Dunque una valutazione sul caso concreto. Per questo ogni storia fa storia a sé e buttarla in politica comunque non serve e non aiuta. Tanto più perché sembra ci sia un forte discrepanza tra i dati su alcuni crimini e quelli sulla percezione degli stessi.

Sembra che il numero dei reati, in particolare omicidi e rapine, sia in costante diminuzione, mentre la percezione dell’insicurezza – peraltro giustificata anche sulla criminalità di tipo mafioso e dai tanti reati contro il patrimonio che non sono nemmeno più oggetto di denuncia – cresce in modo inversamente proporzionale.

Questo non avviene soltanto perché quelli che con un orrendo neologismo sono chiamati i “cattivisti” soffiano sul fuoco, ovvero manipolano l’opinione pubblica per creare rendita politica. E perché, almeno in questa fase, i “buonisti” sono in ritirata.

La questione della sicurezza è in realtà un capitolo di una più ampia questione sull’ordine, ovvero su un assetto stabile e condiviso delle regole, dei comportamenti e del sistema sociale, che è uno dei presupposti della democrazia e in particolare della democrazia europea. In drammi come quello di Franco e Ion risaltano diritti e doveri fondamentali: la vita, innanzi tutto, e la giustizia. E di conseguenza la sicurezza, l’ordine, insomma il buongoverno nelle democrazie. Che è il vero convitato di pietra di questo tempo complicato.

Il corpo medio delle società europee e occidentali, ovvero coloro che stanno nel mezzo, si sente sempre di più disorientato, dunque minacciato e impaurito. Non sono solo motivi economici: la psicologia sociale ci avverte che quando vengono meno riferimenti e nessi morali collettivi la confusione si accresce. Questo malessere, questo problema di disordine non si può superare semplicemente curando i sintomi, cosa che peraltro resta necessaria.

Prima o poi bisognerà affrontarlo in profondità, prenderlo sul serio e riconnetterlo con lo sviluppo delle democrazie. Consapevoli però che questo implica, come peraltro Papa Francesco ci pungola a fare in tutti campi, un cambio di passo e anche un cambio di paradigma.

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https://www.lavoce.it/buon-governo-ordine-sicurezza/feed/ 8
I doveri del ministro Salvini https://www.lavoce.it/doveri-ministro-salvini/ Thu, 28 Feb 2019 10:01:07 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54094 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

È lecito credere che quell’imprenditore emiliano che sta in carcere con una condanna per tentato omicidio ai danni di un ladro, in realtà abbia sparato involontariamente perché aveva inciampato, come dice lui. È vero che le sentenze dei tre gradi di giudizio affermano il contrario dopo un’attenta analisi delle prove, ma, dopo tutto, i giudici non hanno visto i fatti con i propri occhi.

Questo dubbio comunque può pensarlo e dirlo l’uomo della strada, che pure, a sua volta, non ha visto nulla. Il ministro dell’Interno, no: come uomo dello Stato, deve tenere le sentenze come Vangelo. Salvini non può nemmeno dire che, se si cambiasse la legge sulla legittima difesa, quell’uomo verrebbe assolto: perché una volta escluso che il colpo sia partito involontariamente, le circostanze del fatto erano tali che si sarebbe comunque fuori del perimetro della legittima difesa, non solo con la legge esistente ma anche con quella più larga che Salvini vorrebbe.

Resta l’argomento della tensione emotiva, che non assolve lo sparatore ma induce a guardarlo con occhio benevolo (e di certo i giudici ne hanno tenuto conto nella determinazione della pena).

È l’argomento di chi dice che la gente onesta e lavoratrice è esasperata dai furti e reati affini, tanto frequenti quanto impuniti; anche il protagonista di questa storia aveva subìto un centinaio di furti, fra quelli riusciti e quelli solo tentati, e non aveva mai visto mettere in prigione qualcuno. È così che, alla fine, gli onesti pensano ad armarsi e a difendersi da soli, e se passano il limite – si dice ancora – vanno capiti.

Bene, mettiamo che le cose stiano proprio così. Ma, di nuovo, dobbiamo fare una differenza fra le conclusioni che tira il privato cittadino e quelle che tira il ministro dell’Interno. Il Ministro è il responsabile politico dell’ordine pubblico, della sicurezza dei cittadini e della pace sociale. Se questi valori sono in pericolo - e lo sono - è un problema suo, e non può cavarsela incoraggiando i cittadini ad armarsi, dando loro la licenza di uccidere. Se gli onesti sono indifesi, difenderli tocca a lui , con gli strumenti della Legge.

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di Pier Giorgio Lignani

È lecito credere che quell’imprenditore emiliano che sta in carcere con una condanna per tentato omicidio ai danni di un ladro, in realtà abbia sparato involontariamente perché aveva inciampato, come dice lui. È vero che le sentenze dei tre gradi di giudizio affermano il contrario dopo un’attenta analisi delle prove, ma, dopo tutto, i giudici non hanno visto i fatti con i propri occhi.

Questo dubbio comunque può pensarlo e dirlo l’uomo della strada, che pure, a sua volta, non ha visto nulla. Il ministro dell’Interno, no: come uomo dello Stato, deve tenere le sentenze come Vangelo. Salvini non può nemmeno dire che, se si cambiasse la legge sulla legittima difesa, quell’uomo verrebbe assolto: perché una volta escluso che il colpo sia partito involontariamente, le circostanze del fatto erano tali che si sarebbe comunque fuori del perimetro della legittima difesa, non solo con la legge esistente ma anche con quella più larga che Salvini vorrebbe.

Resta l’argomento della tensione emotiva, che non assolve lo sparatore ma induce a guardarlo con occhio benevolo (e di certo i giudici ne hanno tenuto conto nella determinazione della pena).

È l’argomento di chi dice che la gente onesta e lavoratrice è esasperata dai furti e reati affini, tanto frequenti quanto impuniti; anche il protagonista di questa storia aveva subìto un centinaio di furti, fra quelli riusciti e quelli solo tentati, e non aveva mai visto mettere in prigione qualcuno. È così che, alla fine, gli onesti pensano ad armarsi e a difendersi da soli, e se passano il limite – si dice ancora – vanno capiti.

Bene, mettiamo che le cose stiano proprio così. Ma, di nuovo, dobbiamo fare una differenza fra le conclusioni che tira il privato cittadino e quelle che tira il ministro dell’Interno. Il Ministro è il responsabile politico dell’ordine pubblico, della sicurezza dei cittadini e della pace sociale. Se questi valori sono in pericolo - e lo sono - è un problema suo, e non può cavarsela incoraggiando i cittadini ad armarsi, dando loro la licenza di uccidere. Se gli onesti sono indifesi, difenderli tocca a lui , con gli strumenti della Legge.

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Decreto sicurezza. Le associazioni che operano con i migranti denunciano i punti critici https://www.lavoce.it/decreto-sicurezza-punti-critici/ Thu, 08 Nov 2018 10:00:54 +0000 https://www.lavoce.it/?p=53317 sicurezza

La questione degli immigrati in Italia deve essere sempre in primo piano anche e soprattutto dal punto di vista umano e sociale. È il messaggio che arriva dal Rapporto Caritas-Migrantes presentato il 31 ottobre a Torino.

Rapporto Caritas-Migrantes

La ricerca evidenzia come gli arrivi siano diminuiti, quest’anno, dell’80% circa ma si sofferma in particolare sull’immagine che degli arrivi è stata data dal sistema dei media. Nel 2017 per esempio i telegiornali hanno nel 40% dei casi dato notizie sui flussi migratori e l’immagine di un’invasione di massa. Il 34% dei servizi, poi, è stato dedicato a mettere in evidenza la relazione tra immigrati e criminali e sicurezza. Solamente nell’11% dei casi si è dato risalto agli aspetti positivi dell’immigrazione.

Quanti immigrati ci sono in Italia?

Dei migranti, ha spiegato l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, se ne parla di più, ma spesso malevolmente, accentuando più le difficoltà della integrazione che le opportunità che essa offre a vari settori produttivi e culturali del Paese”. Secondo il Rapporto in Italia vi sono 5.144.440 immigrati regolarmente residenti (8,5% della popolazione totale residente in Italia), in questo modo il Paese è al 5° posto in Europa e all’11° nel mondo.

E in Umbria?

In Umbria gli immigrati sono 95.710, il 10,8% della popolazione (Dati del Dossier statistico sull’immigrazione Idos 2018). Di questi poco più del 30% (18.242) ha permessi di soggiorno di diversa tipologia soggetto a scadenza.

Cosa accadrà col Decreto sicurezza

“Per il bene del Paese e la sicurezza di tutti non conviene aumentare l’irregolarità ma rafforzare i percorsi di integrazione” dicono i promotori dell’appello rivolto il 5 novembre scorso ai parlamentari “perché si adoperino, in queste ultime e brevi ore di dibattito parlamentare, a migliorare” il “Decreto sicurezza in discussione al Senato”.

L’appello è stato firmato dalle principali associazioni che operano nel campo delle migrazioni: Comunità di Sant’Egidio, Acli, Centro Astalli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Italiana, Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche in Italia), Tavola Valdese, Casa della Carità di Milano, Fondazione Migrantes, Ascs (Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo).

Tra i tanti punti critici (tra cui l’aumento delle pene detentive e le procedure per l’acquisto della cittadinanza) presi in esame dalle associazioni c’è il previsto passaggio dal permesso di soggiorno per motivi umanitari ad un ristretto numero di permessi di soggiorno per “casi speciali”. Oggi “circa 140.000 persone titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari – avvertono – rischiano di cadere o di ricadere in una condizione di irregolarità del soggiorno che li esporrà al rischio di povertà estrema, di marginalità e di devianza”. La convinzione è che la sicurezza si crea favorendo “al massimo l’integrazione” e non con “norme che rischiano di allargare l’irregolarità”.

Con il Decreto sicurezza sarà limitato anche il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).

La proposta di legge “Ero straniero”

Una proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da 90mila firme è stata depositata un anno alla Camera, esito della campagna “Ero straniero. L’umanità che fa bene”. I promotori hanno infatti incontrato lunedì pomeriggio il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico per chiedere la calenderizzazione della proposta di legge alla Camera”.

La proposta di legge ha avuto come promotori la Casa della carità di Milano, A Buon Diritto, Arci, Asgi, Centro Astalli, Acli, Cild e Cnca, i Radicali italiani. “Il fenomeno migratorio – ha detto don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano – ha bisogno di uno schema normativo che dia una valorizzazione dell’integrazione e della cittadinanza attiva. La questione è molto importante. Per fuggire dalla radicalizzazione, in nome della coesione sociale, vorremmo valorizzare le esperienze dei laboratori diffusi. Non ci fermeremo, chiameremo la società civile e la politica affinché la legge venga calendarizzata”.

Intanto nel Mediterraneo più di 2.000 persone hanno perso la vita quest’anno, fa sapere l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

M. R. V.

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sicurezza

La questione degli immigrati in Italia deve essere sempre in primo piano anche e soprattutto dal punto di vista umano e sociale. È il messaggio che arriva dal Rapporto Caritas-Migrantes presentato il 31 ottobre a Torino.

Rapporto Caritas-Migrantes

La ricerca evidenzia come gli arrivi siano diminuiti, quest’anno, dell’80% circa ma si sofferma in particolare sull’immagine che degli arrivi è stata data dal sistema dei media. Nel 2017 per esempio i telegiornali hanno nel 40% dei casi dato notizie sui flussi migratori e l’immagine di un’invasione di massa. Il 34% dei servizi, poi, è stato dedicato a mettere in evidenza la relazione tra immigrati e criminali e sicurezza. Solamente nell’11% dei casi si è dato risalto agli aspetti positivi dell’immigrazione.

Quanti immigrati ci sono in Italia?

Dei migranti, ha spiegato l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, se ne parla di più, ma spesso malevolmente, accentuando più le difficoltà della integrazione che le opportunità che essa offre a vari settori produttivi e culturali del Paese”. Secondo il Rapporto in Italia vi sono 5.144.440 immigrati regolarmente residenti (8,5% della popolazione totale residente in Italia), in questo modo il Paese è al 5° posto in Europa e all’11° nel mondo.

E in Umbria?

In Umbria gli immigrati sono 95.710, il 10,8% della popolazione (Dati del Dossier statistico sull’immigrazione Idos 2018). Di questi poco più del 30% (18.242) ha permessi di soggiorno di diversa tipologia soggetto a scadenza.

Cosa accadrà col Decreto sicurezza

“Per il bene del Paese e la sicurezza di tutti non conviene aumentare l’irregolarità ma rafforzare i percorsi di integrazione” dicono i promotori dell’appello rivolto il 5 novembre scorso ai parlamentari “perché si adoperino, in queste ultime e brevi ore di dibattito parlamentare, a migliorare” il “Decreto sicurezza in discussione al Senato”.

L’appello è stato firmato dalle principali associazioni che operano nel campo delle migrazioni: Comunità di Sant’Egidio, Acli, Centro Astalli, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Italiana, Fcei (Federazione delle Chiese evangeliche in Italia), Tavola Valdese, Casa della Carità di Milano, Fondazione Migrantes, Ascs (Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo).

Tra i tanti punti critici (tra cui l’aumento delle pene detentive e le procedure per l’acquisto della cittadinanza) presi in esame dalle associazioni c’è il previsto passaggio dal permesso di soggiorno per motivi umanitari ad un ristretto numero di permessi di soggiorno per “casi speciali”. Oggi “circa 140.000 persone titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari – avvertono – rischiano di cadere o di ricadere in una condizione di irregolarità del soggiorno che li esporrà al rischio di povertà estrema, di marginalità e di devianza”. La convinzione è che la sicurezza si crea favorendo “al massimo l’integrazione” e non con “norme che rischiano di allargare l’irregolarità”.

Con il Decreto sicurezza sarà limitato anche il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar).

La proposta di legge “Ero straniero”

Una proposta di legge di iniziativa popolare sostenuta da 90mila firme è stata depositata un anno alla Camera, esito della campagna “Ero straniero. L’umanità che fa bene”. I promotori hanno infatti incontrato lunedì pomeriggio il presidente della Camera dei deputati, Roberto Fico per chiedere la calenderizzazione della proposta di legge alla Camera”.

La proposta di legge ha avuto come promotori la Casa della carità di Milano, A Buon Diritto, Arci, Asgi, Centro Astalli, Acli, Cild e Cnca, i Radicali italiani. “Il fenomeno migratorio – ha detto don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità di Milano – ha bisogno di uno schema normativo che dia una valorizzazione dell’integrazione e della cittadinanza attiva. La questione è molto importante. Per fuggire dalla radicalizzazione, in nome della coesione sociale, vorremmo valorizzare le esperienze dei laboratori diffusi. Non ci fermeremo, chiameremo la società civile e la politica affinché la legge venga calendarizzata”.

Intanto nel Mediterraneo più di 2.000 persone hanno perso la vita quest’anno, fa sapere l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

M. R. V.

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Commenti al decreto Salvini https://www.lavoce.it/commenti-decreto-salvini/ Thu, 27 Sep 2018 09:55:14 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52969 comando

Biffoni (Anci): “Con le grandi concentrazioni di migranti si generano tensioni sui territori”

Preoccupa i sindaci italiani la possibile “maggiore concentrazione della presenza degli stranieri” sul territorio, conseguenza del decreto Salvini, “e il venir meno della clausola di salvaguardia, quel criterio, cioè, che parametrando il numero di ospiti al numero di abitanti salvaguardava la convivenza degli uni e degli altri, questione centrale per i sindaci che della vivibilità dei territori sono primi garanti”.

Così Matteo Biffoni, delegato dell’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) per l’immigrazione. Per Biffoni, “sono proprio i centri come i Cas ad aver creato più malcontento tra la popolazione, per l’eccessivo impatto sulle comunità e la mancanza di adeguati percorsi di integrazione. Non sono opinioni, sono fatti, puntualmente riportati dalla stampa.

Non comprendiamo il senso di questa scelta”, prosegue il delegato Anci, evidenziando che “anche la revisione del sistema dei permessi umanitari, secondo noi, si sarebbe potuta effettuare ma tutelando i nuclei familiari, le categorie vulnerabili e infine condizionando la concessione a una reale volontà di integrazione”.

Biffoni rileva poi che sul sistema di accoglienza “il Governo ha deciso di andare avanti da solo. Di non parlare con i Comuni, che ad Anci hanno espresso in maniera inequivocabile tutta la loro preoccupazione, anche di tenuta dell’ordine pubblico, di insicurezza, di lacerazione della coesione sociale”.

Russo (Acli): “Norme che rischiano di creare ancor più irregolarità di quella già esistente”

“Il decreto sicurezza sui migranti sembra presentare molte criticità senza risolvere il problema della regolazione dei flussi”. Così Antonio Russo, consigliere della Presidenza nazionale Acli con delega all’immigrazione, commenta il contenuto del decreto Salvini approvato dal Consiglio dei ministri.

“Emergono infatti – spiega Russo – delle violazioni del diritto internazionale, come ad esempio l’abolizione della protezione umanitaria, che si vorrebbe sostituire con un criterio assolutamente arbitrario, come quello dei meriti civili.

Chi decide se un atto socialmente rilevante è meritevole di dare al migrante che lo compie lo status di rifugiato?” chiede Russo, per il quale “sembra che sia legata a princìpi di arbitrarietà anche la norma secondo cui verrà tolto lo status di rifugiato al migrante che commette un reato per il quale è stato condannato solo in primo grado, abolendo di fatto un diritto fondamentale come la presunzione di innocenza, prevista fino al terzo grado di giudizio.

Un’altra norma contenuta nel decreto che reputiamo lesiva di un diritto fondamentale della persona, come la libertà, è quella che porta il termine di permanenza nei Centri di accoglienza da 90 a 180 giorni”. In sostanza, “tutte queste norme – conclude Russo – rischiano di creare ancor più irregolarità di quella già esistente, anche a causa del dilatamento dei tempi che si avrà con l’aumento dei ricorsi”.

Cir: “Scelte contrarie ai diritti delle persone riconosciuti dalla Costituzione”

Le misure contenute nel decreto Salvini, “se confermate, andranno a deteriorare pesantemente il livello di protezione, il sistema di accoglienza e le possibilità di integrazione di quanti arrivano nel nostro Paese perché bisognosi di protezione”. È quanto afferma il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) in una nota nella quale si dice “fortemente preoccupato per i contenuti del decreto immigrazione approvato oggi dal Consiglio dei ministri. Tra le misure introdotte ve ne sono alcune che, pur segnando un arretramento sul livello dei diritti garantiti, si muovono nel quadro normativo internazionale e nazionale.

Altre – dichiara Mario Morcone, direttore del Cir – che sono contrarie al buon senso. Ma quelle che più ci allarmano, sono quelle contrarie ai diritti delle persone. Misure che – spiega – costituiscono un pericoloso indirizzo, come quelle relative alla militarizzazione del tema asilo e alla cittadinanza”. Secondo il direttore del Cir, “il decreto va infatti a colpire diritti solennemente riconosciuti dalla nostra Costituzione, e potrebbe avere conseguenze su temi che vanno al di là della questione migratoria.

Comunità Papa Giovanni: “L’annullamento della protezione umanitaria è una scelta grave”

“L’annullamento della protezione umanitaria è una scelta grave che spinge verso forme di esclusione sociale i migranti più vulnerabili” commenta Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23).

“Il sistema di accoglienza e integrazione Sprar è considerato all’estero un’eccellenza italiana” rileva ancora Ramonda, per il quale “la sua destrutturazione espone il Paese a un aumento dell’irregolarità: il contrario di quel che vuol perseguire il Governo. La giusta necessità di governare in modo sostenibile l’immigrazione – conclude – non può andare a discapito della dignità, dei diritti e delle libertà delle persone che migrano alla ricerca di una vita migliore”.

Asgi, “volontà di restringere diritti e libertà e creare nuove forme di tensione sociale”

“Invitiamo tutte le istituzioni competenti a non consentire uno strappo così vigoroso ai principi della Costituzione italiana e ad aprire un serio dibattito sulle riforme necessarie in materia di immigrazione ed asilo in Italia ed in Europa”. Questo l’appello dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) che esprime “forte preoccupazione” per il  Decreto Salvini approvato lo scorso 24 settembre dal Consiglio dei ministri. Sulla base del testo reso disponibile, l’Asgi sottolinea “la pericolosità della situazione che deriverebbe dalla pubblicazione ed eventuale conversione in legge di un testo del genere”, sia “per gli ampi profili di illegittimità propri della bozza di decreto”, sia per l’inopportunità “di assumere scelte frettolose e fortemente ideologiche, avulse dalle necessità concrete del Paese e che generano gravi ricadute sociali”. Perplessità per il ricorso alla decretazione d’urgenza perché, si legge in un comunicato, “in relazione a quasi tutte le misure previste dal decreto legge non sussistono i presupposti di necessità di cui agli artt.72 e 77 della Costituzione”. Questo modo di procedere “è evidentemente rivolto ad impedire ogni confronto democratico sia in sede parlamentare, sia (soprattutto) nella società civile e tra le istituzioni maggiormente coinvolte da tale decreto”. Sembra inoltre, continua il comunicato, “si voglia proseguire in scelte errate ed in odio agli individui, scelte che hanno già visto, anche in tempi recenti, organi costituzionali confrontarsi in una dialettica istituzionale” che ha reso evidente “una pericolosa involuzione del nostro sistema democratico basato sulla suddivisione dei poteri dello Stato” e sul rispetto per la persona. Lampante, secondo i giuristi dell’associazione, la volontà di “restringere i diritti e le libertà degli individui e di creare nuove forme di tensione sociale”. Si tratta di provvedimenti non idonei “a combattere i trafficanti di esseri umani” mentre il rafforzamento del controllo di legalità sull’accoglienza dei richiedenti asilo non può essere fatto smantellando lo Sprar.]]>
comando

Biffoni (Anci): “Con le grandi concentrazioni di migranti si generano tensioni sui territori”

Preoccupa i sindaci italiani la possibile “maggiore concentrazione della presenza degli stranieri” sul territorio, conseguenza del decreto Salvini, “e il venir meno della clausola di salvaguardia, quel criterio, cioè, che parametrando il numero di ospiti al numero di abitanti salvaguardava la convivenza degli uni e degli altri, questione centrale per i sindaci che della vivibilità dei territori sono primi garanti”.

Così Matteo Biffoni, delegato dell’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci) per l’immigrazione. Per Biffoni, “sono proprio i centri come i Cas ad aver creato più malcontento tra la popolazione, per l’eccessivo impatto sulle comunità e la mancanza di adeguati percorsi di integrazione. Non sono opinioni, sono fatti, puntualmente riportati dalla stampa.

Non comprendiamo il senso di questa scelta”, prosegue il delegato Anci, evidenziando che “anche la revisione del sistema dei permessi umanitari, secondo noi, si sarebbe potuta effettuare ma tutelando i nuclei familiari, le categorie vulnerabili e infine condizionando la concessione a una reale volontà di integrazione”.

Biffoni rileva poi che sul sistema di accoglienza “il Governo ha deciso di andare avanti da solo. Di non parlare con i Comuni, che ad Anci hanno espresso in maniera inequivocabile tutta la loro preoccupazione, anche di tenuta dell’ordine pubblico, di insicurezza, di lacerazione della coesione sociale”.

Russo (Acli): “Norme che rischiano di creare ancor più irregolarità di quella già esistente”

“Il decreto sicurezza sui migranti sembra presentare molte criticità senza risolvere il problema della regolazione dei flussi”. Così Antonio Russo, consigliere della Presidenza nazionale Acli con delega all’immigrazione, commenta il contenuto del decreto Salvini approvato dal Consiglio dei ministri.

“Emergono infatti – spiega Russo – delle violazioni del diritto internazionale, come ad esempio l’abolizione della protezione umanitaria, che si vorrebbe sostituire con un criterio assolutamente arbitrario, come quello dei meriti civili.

Chi decide se un atto socialmente rilevante è meritevole di dare al migrante che lo compie lo status di rifugiato?” chiede Russo, per il quale “sembra che sia legata a princìpi di arbitrarietà anche la norma secondo cui verrà tolto lo status di rifugiato al migrante che commette un reato per il quale è stato condannato solo in primo grado, abolendo di fatto un diritto fondamentale come la presunzione di innocenza, prevista fino al terzo grado di giudizio.

Un’altra norma contenuta nel decreto che reputiamo lesiva di un diritto fondamentale della persona, come la libertà, è quella che porta il termine di permanenza nei Centri di accoglienza da 90 a 180 giorni”. In sostanza, “tutte queste norme – conclude Russo – rischiano di creare ancor più irregolarità di quella già esistente, anche a causa del dilatamento dei tempi che si avrà con l’aumento dei ricorsi”.

Cir: “Scelte contrarie ai diritti delle persone riconosciuti dalla Costituzione”

Le misure contenute nel decreto Salvini, “se confermate, andranno a deteriorare pesantemente il livello di protezione, il sistema di accoglienza e le possibilità di integrazione di quanti arrivano nel nostro Paese perché bisognosi di protezione”. È quanto afferma il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) in una nota nella quale si dice “fortemente preoccupato per i contenuti del decreto immigrazione approvato oggi dal Consiglio dei ministri. Tra le misure introdotte ve ne sono alcune che, pur segnando un arretramento sul livello dei diritti garantiti, si muovono nel quadro normativo internazionale e nazionale.

Altre – dichiara Mario Morcone, direttore del Cir – che sono contrarie al buon senso. Ma quelle che più ci allarmano, sono quelle contrarie ai diritti delle persone. Misure che – spiega – costituiscono un pericoloso indirizzo, come quelle relative alla militarizzazione del tema asilo e alla cittadinanza”. Secondo il direttore del Cir, “il decreto va infatti a colpire diritti solennemente riconosciuti dalla nostra Costituzione, e potrebbe avere conseguenze su temi che vanno al di là della questione migratoria.

Comunità Papa Giovanni: “L’annullamento della protezione umanitaria è una scelta grave”

“L’annullamento della protezione umanitaria è una scelta grave che spinge verso forme di esclusione sociale i migranti più vulnerabili” commenta Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII (Apg23).

“Il sistema di accoglienza e integrazione Sprar è considerato all’estero un’eccellenza italiana” rileva ancora Ramonda, per il quale “la sua destrutturazione espone il Paese a un aumento dell’irregolarità: il contrario di quel che vuol perseguire il Governo. La giusta necessità di governare in modo sostenibile l’immigrazione – conclude – non può andare a discapito della dignità, dei diritti e delle libertà delle persone che migrano alla ricerca di una vita migliore”.

Asgi, “volontà di restringere diritti e libertà e creare nuove forme di tensione sociale”

“Invitiamo tutte le istituzioni competenti a non consentire uno strappo così vigoroso ai principi della Costituzione italiana e ad aprire un serio dibattito sulle riforme necessarie in materia di immigrazione ed asilo in Italia ed in Europa”. Questo l’appello dell’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) che esprime “forte preoccupazione” per il  Decreto Salvini approvato lo scorso 24 settembre dal Consiglio dei ministri. Sulla base del testo reso disponibile, l’Asgi sottolinea “la pericolosità della situazione che deriverebbe dalla pubblicazione ed eventuale conversione in legge di un testo del genere”, sia “per gli ampi profili di illegittimità propri della bozza di decreto”, sia per l’inopportunità “di assumere scelte frettolose e fortemente ideologiche, avulse dalle necessità concrete del Paese e che generano gravi ricadute sociali”. Perplessità per il ricorso alla decretazione d’urgenza perché, si legge in un comunicato, “in relazione a quasi tutte le misure previste dal decreto legge non sussistono i presupposti di necessità di cui agli artt.72 e 77 della Costituzione”. Questo modo di procedere “è evidentemente rivolto ad impedire ogni confronto democratico sia in sede parlamentare, sia (soprattutto) nella società civile e tra le istituzioni maggiormente coinvolte da tale decreto”. Sembra inoltre, continua il comunicato, “si voglia proseguire in scelte errate ed in odio agli individui, scelte che hanno già visto, anche in tempi recenti, organi costituzionali confrontarsi in una dialettica istituzionale” che ha reso evidente “una pericolosa involuzione del nostro sistema democratico basato sulla suddivisione dei poteri dello Stato” e sul rispetto per la persona. Lampante, secondo i giuristi dell’associazione, la volontà di “restringere i diritti e le libertà degli individui e di creare nuove forme di tensione sociale”. Si tratta di provvedimenti non idonei “a combattere i trafficanti di esseri umani” mentre il rafforzamento del controllo di legalità sull’accoglienza dei richiedenti asilo non può essere fatto smantellando lo Sprar.]]>
Decreto Salvini. Cosa cambia su immigrazione e sicurezza https://www.lavoce.it/decreto-salvini-cosa-cambia/ Thu, 27 Sep 2018 09:28:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52966 confindustria

Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto “decreto Salvini”, un testo che unisce i due provvedimenti originariamente ipotizzati in materia di immigrazione e di sicurezza. Una scelta già di per sé politicamente e culturalmente eloquente. Così, nei 42 articoli suddivisi in 4 titoli, si trovano mescolati argomenti molto eterogenei. Vediamone qualcuno.

In questi giorni diversi movimenti e associazioni appartenenti al mondo cattolico e non, hanno commentato i punti del decreto, esprimendo la propria opinione in materia.

I cambiamenti del Decreto Salvini

  • Abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consentiva di accogliere persone bisognose di tutela al di fuori delle ipotesi di protezione internazionale ordinarie (status di rifugiato e protezione sussidiaria). Saranno concessi soltanto permessi temporanei relativi a sei fattispecie, tre delle quali già previste dalle norme in vigore (vittime di tratta, di violenza domestica, di sfruttamento lavorativo) e tre specificate nel nuovo decreto (condizioni di salute di eccezionale gravità, provenienza da Paesi colpiti da calamità naturali, e riconoscimento di atti di particolare valore civile).
  • Ridimensionamento dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che pure era considerato da operatori ed esperti l’esempio più virtuoso di accoglienza per il suo carattere diffuso e il coinvolgimento delle comunità locali. Sarà riservato soltanto ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati.
  • Ampliamento del tipo di reati che, in caso di condanna definitiva, comportano il diniego o la revoca dello status di rifugiato. Basterà invece la “pericolosità sociale” o una condanna in primo grado per bloccare la domanda di protezione internazionale e avviare l’interessato alla pratica di espulsione.
  • Il termine massimo di trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri viene portato a 180 giorni rispetto agli attuali 90.
  • Restrizioni per la concessione della cittadinanza, cittadinanza che sarà revocata in caso di condanna definitiva per reati commessi con finalità di terrorismo. Il decreto esclude l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo e vieta il reingresso di coloro che sono stati espulsi da altri Paesi dell’area Schengen.
  • Nuove regole per il noleggio di autoveicoli e si estende l’applicazione del Daspo per le manifestazioni sportive e del Daspo urbano (per fiere, spettacoli, ecc.), vietando agli indiziati l’accesso agli eventi pubblici.
  • Potenziamento del ruolo della polizia locale, comprensivo della possibilità di sperimentare le armi a impulsi elettrici nei Comuni superiori ai 100 mila abitanti, e l’inasprimento delle pene per le occupazioni abusive di edifici e terreni.
  • Interventi per potenziare l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati.
Prima di essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge dovrà andare al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Nei giorni scorsi si era discusso di potenziali profili di incostituzionalità di alcune norme. Bisognerà vedere se le interlocuzioni informali che normalmente precedono il varo di questi atti del Governo sono state sufficienti per spianare la strada al provvedimento.

Dopodiché il decreto dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni; ed è probabile che subisca alcune modifiche e integrazioni.

 

Stefano De Martis

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confindustria

Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il cosiddetto “decreto Salvini”, un testo che unisce i due provvedimenti originariamente ipotizzati in materia di immigrazione e di sicurezza. Una scelta già di per sé politicamente e culturalmente eloquente. Così, nei 42 articoli suddivisi in 4 titoli, si trovano mescolati argomenti molto eterogenei. Vediamone qualcuno.

In questi giorni diversi movimenti e associazioni appartenenti al mondo cattolico e non, hanno commentato i punti del decreto, esprimendo la propria opinione in materia.

I cambiamenti del Decreto Salvini

  • Abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, che consentiva di accogliere persone bisognose di tutela al di fuori delle ipotesi di protezione internazionale ordinarie (status di rifugiato e protezione sussidiaria). Saranno concessi soltanto permessi temporanei relativi a sei fattispecie, tre delle quali già previste dalle norme in vigore (vittime di tratta, di violenza domestica, di sfruttamento lavorativo) e tre specificate nel nuovo decreto (condizioni di salute di eccezionale gravità, provenienza da Paesi colpiti da calamità naturali, e riconoscimento di atti di particolare valore civile).
  • Ridimensionamento dello Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che pure era considerato da operatori ed esperti l’esempio più virtuoso di accoglienza per il suo carattere diffuso e il coinvolgimento delle comunità locali. Sarà riservato soltanto ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati.
  • Ampliamento del tipo di reati che, in caso di condanna definitiva, comportano il diniego o la revoca dello status di rifugiato. Basterà invece la “pericolosità sociale” o una condanna in primo grado per bloccare la domanda di protezione internazionale e avviare l’interessato alla pratica di espulsione.
  • Il termine massimo di trattenimento nei Centri di permanenza per i rimpatri viene portato a 180 giorni rispetto agli attuali 90.
  • Restrizioni per la concessione della cittadinanza, cittadinanza che sarà revocata in caso di condanna definitiva per reati commessi con finalità di terrorismo. Il decreto esclude l’iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo e vieta il reingresso di coloro che sono stati espulsi da altri Paesi dell’area Schengen.
  • Nuove regole per il noleggio di autoveicoli e si estende l’applicazione del Daspo per le manifestazioni sportive e del Daspo urbano (per fiere, spettacoli, ecc.), vietando agli indiziati l’accesso agli eventi pubblici.
  • Potenziamento del ruolo della polizia locale, comprensivo della possibilità di sperimentare le armi a impulsi elettrici nei Comuni superiori ai 100 mila abitanti, e l’inasprimento delle pene per le occupazioni abusive di edifici e terreni.
  • Interventi per potenziare l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati.
Prima di essere pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il decreto legge dovrà andare al Quirinale per la firma del Capo dello Stato. Nei giorni scorsi si era discusso di potenziali profili di incostituzionalità di alcune norme. Bisognerà vedere se le interlocuzioni informali che normalmente precedono il varo di questi atti del Governo sono state sufficienti per spianare la strada al provvedimento.

Dopodiché il decreto dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni; ed è probabile che subisca alcune modifiche e integrazioni.

 

Stefano De Martis

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La sicurezza non vale solo per i bianchi https://www.lavoce.it/la-sicurezza-non-vale-solo-bianchi/ Thu, 02 Aug 2018 08:00:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52650 lente d'ingrandimento, logo rubrica De gustibus

di Daris Giancarlini Sparano. Ai piccioni, dicono. Ma colpiscono una bimba rom, facendole rischiare la paralisi delle gambe. Aggrediscono, e picchiano. Forte anche: in un caso c'è scappato il morto, un uomo marocchino sospettato di essere un ladro. Insultano, al grido di "sporco negro". Uno con la pelle dello stesso colore delle quattro italiane che hanno vinto la staffetta 4 x 100 agli ultimi Giochi del Mediterraneo. E anche della campionessa italiana di lancio del disco, di origine nigeriana, cui hanno lesionato la cornea lanciandole contro un uovo. I casi di aggressioni a persone 'straniere' si sono moltiplicati nelle ultime settimane. Non così tanti, a dire di alcuni, per dire che gli italiani sono razzisti. Non così pochi o di scarso peso, per fare finta che non esistano, visto che anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha sentito la necessità di commentare il ferimento della bambina rom mettendo in guardia da un rischio Far West per l'Italia. Già, Mattarella: probabilmente, in questa fase politica, l'unica figura istituzionale che, senza l'assillo di fare propaganda o di coagulare consenso, riesce a proporsi come garante dei requisiti minimi di una società che voglia dirsi civile. Per il resto, la campagna elettorale non sembra essere ancora finita, da parte di tutti i soggetti in campo. A cominciare da quelli che, con alte e delicate responsabilità di governo, dovrebbero ricordarsi che diritti come quello alla sicurezza non possono essere garantiti soltanto a chi ha la pelle dello stesso colore del ministro.]]>
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di Daris Giancarlini Sparano. Ai piccioni, dicono. Ma colpiscono una bimba rom, facendole rischiare la paralisi delle gambe. Aggrediscono, e picchiano. Forte anche: in un caso c'è scappato il morto, un uomo marocchino sospettato di essere un ladro. Insultano, al grido di "sporco negro". Uno con la pelle dello stesso colore delle quattro italiane che hanno vinto la staffetta 4 x 100 agli ultimi Giochi del Mediterraneo. E anche della campionessa italiana di lancio del disco, di origine nigeriana, cui hanno lesionato la cornea lanciandole contro un uovo. I casi di aggressioni a persone 'straniere' si sono moltiplicati nelle ultime settimane. Non così tanti, a dire di alcuni, per dire che gli italiani sono razzisti. Non così pochi o di scarso peso, per fare finta che non esistano, visto che anche il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha sentito la necessità di commentare il ferimento della bambina rom mettendo in guardia da un rischio Far West per l'Italia. Già, Mattarella: probabilmente, in questa fase politica, l'unica figura istituzionale che, senza l'assillo di fare propaganda o di coagulare consenso, riesce a proporsi come garante dei requisiti minimi di una società che voglia dirsi civile. Per il resto, la campagna elettorale non sembra essere ancora finita, da parte di tutti i soggetti in campo. A cominciare da quelli che, con alte e delicate responsabilità di governo, dovrebbero ricordarsi che diritti come quello alla sicurezza non possono essere garantiti soltanto a chi ha la pelle dello stesso colore del ministro.]]>
Microcriminalità che spaventa https://www.lavoce.it/microcriminalita-che-spaventa/ Mon, 23 Jul 2018 08:13:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52447 Logo rubrica Il punto

di Pier Giorgio Lignani

Fra le tante questioni spinose che deve affrontare il Governo c’è il diffuso senso di insicurezza della popolazione, preoccupata per la criminalità. In particolare, l’allarme è per la cosiddetta microcriminalità, ossia per quei delitti che sono relativamente meno gravi e non fanno notizia sui giornali, ma nondimeno procurano a chi li subisce danni materiali, dispiaceri, amarezza e paura.

Qualcuno dice che questi stati d’animo non sono giustificati, perché statisticamente i reati sono in diminuzione costante: insomma, non c’è da preoccuparsi. Secondo me, ha ragione invece chi si preoccupa. Le statistiche sulla diminuzione dei reati hanno un valore relativo, perché le cifre su cui si basano sono quelle delle “denunce” formalmente presentate alle forze dell’ordine. Ma nessuno calcola i reati che non vengono denunciati. È esperienza comune che chi ha subìto certi tipi di furto ne fa denuncia formale solo se gli serve per chiedere un duplicato dei documenti o un indennizzo all’assicurazione; in caso contrario, evita di perderci tempo, specialmente se – come accade quasi sempre – lui stesso non saprebbe dare alcuna indicazione utile per rintracciare il colpevole.

L’insicurezza della gente, poi, più che dal numero dei reati è turbata dalla constatazione che, pur se formalmente denunciati, quasi tutti restano impuniti per sempre. E qui le statistiche sono impressionanti.

Per i reati cosiddetti predatori, ossia furto, rapina ed estorsione, complessivamente considerati, il numero delle sentenze di condanna rappresenta all’incirca il 2 per cento delle denunce presentate. Come dire che nel 98 per cento dei casi alla denuncia non fa seguito alcuna condanna: non perché la denuncia sia infondata, ma perché il colpevole è rimasto sconosciuto o perché il processo è rimasto bloccato da qualche intoppo formale e alla fine è caduto in prescrizione.

Quand’anche una sentenza di condanna ci sia, non è detto che il colpevole vada realmente in galera, anzi sicuramente - per almeno il 90% delle condanne - non ci va, perché ottiene la sospensione condizionale o l’applicazione di una “pena alternativa” che di fatto è solo simbolica. Altro che certezza della pena! Qui siamo alla certezza dell’impunità.

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di Pier Giorgio Lignani

Fra le tante questioni spinose che deve affrontare il Governo c’è il diffuso senso di insicurezza della popolazione, preoccupata per la criminalità. In particolare, l’allarme è per la cosiddetta microcriminalità, ossia per quei delitti che sono relativamente meno gravi e non fanno notizia sui giornali, ma nondimeno procurano a chi li subisce danni materiali, dispiaceri, amarezza e paura.

Qualcuno dice che questi stati d’animo non sono giustificati, perché statisticamente i reati sono in diminuzione costante: insomma, non c’è da preoccuparsi. Secondo me, ha ragione invece chi si preoccupa. Le statistiche sulla diminuzione dei reati hanno un valore relativo, perché le cifre su cui si basano sono quelle delle “denunce” formalmente presentate alle forze dell’ordine. Ma nessuno calcola i reati che non vengono denunciati. È esperienza comune che chi ha subìto certi tipi di furto ne fa denuncia formale solo se gli serve per chiedere un duplicato dei documenti o un indennizzo all’assicurazione; in caso contrario, evita di perderci tempo, specialmente se – come accade quasi sempre – lui stesso non saprebbe dare alcuna indicazione utile per rintracciare il colpevole.

L’insicurezza della gente, poi, più che dal numero dei reati è turbata dalla constatazione che, pur se formalmente denunciati, quasi tutti restano impuniti per sempre. E qui le statistiche sono impressionanti.

Per i reati cosiddetti predatori, ossia furto, rapina ed estorsione, complessivamente considerati, il numero delle sentenze di condanna rappresenta all’incirca il 2 per cento delle denunce presentate. Come dire che nel 98 per cento dei casi alla denuncia non fa seguito alcuna condanna: non perché la denuncia sia infondata, ma perché il colpevole è rimasto sconosciuto o perché il processo è rimasto bloccato da qualche intoppo formale e alla fine è caduto in prescrizione.

Quand’anche una sentenza di condanna ci sia, non è detto che il colpevole vada realmente in galera, anzi sicuramente - per almeno il 90% delle condanne - non ci va, perché ottiene la sospensione condizionale o l’applicazione di una “pena alternativa” che di fatto è solo simbolica. Altro che certezza della pena! Qui siamo alla certezza dell’impunità.

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La sicurezza come “idolo” https://www.lavoce.it/la-sicurezza-idolo/ Sat, 07 Jul 2018 16:31:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52284

La sicurezza è un bene prezioso per una società. Le persone che si sentono sicure possono agire più liberamente, vivere con serenità, essere più fiduciosi negli altri. Ma cosa significa sentirsi più sicuri? Ci sono dei piccoli paesi in Italia in cui è possibile lasciare la porta di casa aperta con le chiavi attaccate. Non c’è, in quei luoghi, la percezione di pericolo. Ci si sente sicuri perché si è in confidenza con la comunità in cui si è inseriti. Tutti si conoscono. Però, se allarghiamo l’inquadratura, vediamo che nel nostro Paese ci si sente molto insicuri. I dati del primo rapporto Censis sulla filiera della sicurezza in Italia mostrano in aumento il numero di cittadini che ritengono in aumento la criminalità: quasi il 32% percepisce il rischio nella zona in cui abita. Eppure la realtà è ben diversa. I reati diminuiscono dal 2008 a oggi; nell’ultimo anno considerato, il 2017 c’è stata una diminuzione del 10%. Il furto – il reato più diffuso - si è ridotto di 400 mila casi negli ultimi tre anni. Anche il confronto con gli altri Paesi europei evidenzia una buona tendenza: le rapine, ad esempio, in Italia sono state poco più di 35 mila, 57 ogni 100 mila residenti, mentre la media europea è di 71 e - sottolinea il Censis - “decisamente di meno anche rispetto a Regno Unito, Francia e Spagna”. In controtendenza, allora, c’è un aumento della paura degli altri, che ci porta ad assicurarci: la porta blindata per il 66,7% della popolazione, il sistema d’allarme per il 42%, le inferriate a porte e finestre per il 33,5% sono le misure di prevenzione adottate più frequentemente. Ma la voglia di sicurezza diventa pericolosa quando si evidenzia che aumenta la percentuale degli italiani favorevoli a rendere meno restrittive le norme per il porto d’armi: il 39% sarebbe infatti favorevole a utilizzare pistole o fucili per la difesa personale. La paura, per giunta immotivata, nasconde i veri pericoli. Già oggi oltre un milione di persone nel Paese è in possesso di un’arma da fuoco in casa; così, secondo i calcoli dell’istituto di ricerca, circa 700 mila minori potrebbero averla a portata di mano. Inoltre si dimentica che negli Stati, dove le armi sono facilmente accessibili, è altrettanto facile vedere l’aumento del numero dei reati. Il confronto con gli Stati Uniti ci mostra, ad esempio, che le vittime da arma da fuoco potrebbero salire fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più. Allora non dobbiamo scordare che la sicurezza si conquista con la relazione e non con la chiusura. È nella relazione che si costruisce la fiducia negli altri.  ]]>

La sicurezza è un bene prezioso per una società. Le persone che si sentono sicure possono agire più liberamente, vivere con serenità, essere più fiduciosi negli altri. Ma cosa significa sentirsi più sicuri? Ci sono dei piccoli paesi in Italia in cui è possibile lasciare la porta di casa aperta con le chiavi attaccate. Non c’è, in quei luoghi, la percezione di pericolo. Ci si sente sicuri perché si è in confidenza con la comunità in cui si è inseriti. Tutti si conoscono. Però, se allarghiamo l’inquadratura, vediamo che nel nostro Paese ci si sente molto insicuri. I dati del primo rapporto Censis sulla filiera della sicurezza in Italia mostrano in aumento il numero di cittadini che ritengono in aumento la criminalità: quasi il 32% percepisce il rischio nella zona in cui abita. Eppure la realtà è ben diversa. I reati diminuiscono dal 2008 a oggi; nell’ultimo anno considerato, il 2017 c’è stata una diminuzione del 10%. Il furto – il reato più diffuso - si è ridotto di 400 mila casi negli ultimi tre anni. Anche il confronto con gli altri Paesi europei evidenzia una buona tendenza: le rapine, ad esempio, in Italia sono state poco più di 35 mila, 57 ogni 100 mila residenti, mentre la media europea è di 71 e - sottolinea il Censis - “decisamente di meno anche rispetto a Regno Unito, Francia e Spagna”. In controtendenza, allora, c’è un aumento della paura degli altri, che ci porta ad assicurarci: la porta blindata per il 66,7% della popolazione, il sistema d’allarme per il 42%, le inferriate a porte e finestre per il 33,5% sono le misure di prevenzione adottate più frequentemente. Ma la voglia di sicurezza diventa pericolosa quando si evidenzia che aumenta la percentuale degli italiani favorevoli a rendere meno restrittive le norme per il porto d’armi: il 39% sarebbe infatti favorevole a utilizzare pistole o fucili per la difesa personale. La paura, per giunta immotivata, nasconde i veri pericoli. Già oggi oltre un milione di persone nel Paese è in possesso di un’arma da fuoco in casa; così, secondo i calcoli dell’istituto di ricerca, circa 700 mila minori potrebbero averla a portata di mano. Inoltre si dimentica che negli Stati, dove le armi sono facilmente accessibili, è altrettanto facile vedere l’aumento del numero dei reati. Il confronto con gli Stati Uniti ci mostra, ad esempio, che le vittime da arma da fuoco potrebbero salire fino a 2.700 ogni anno, contro le 150 attuali, per un totale di 2.550 morti in più. Allora non dobbiamo scordare che la sicurezza si conquista con la relazione e non con la chiusura. È nella relazione che si costruisce la fiducia negli altri.  ]]>
L’eucarestia del Nicaragua https://www.lavoce.it/leucarestia-del-nicaragua/ Sun, 01 Jul 2018 08:00:16 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52186 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di don Tonio dell’Olio Oltre ai giornali nicaraguensi e alla Cnn di lingua spagnola, solo Avvenire riporta l’episodio edificante di alcuni vescovi nicaraguensi che, insieme al nunzio apostolico e ad alcuni preti, hanno fatto da “scudi umani” per salvare la popolazione di Masaya. “All’alba di giovedì 21 scorso, Masaya (bastione della resistenza antigovernativa a 50 chilometri da Managua) si è svegliata con il cuore in gola - racconta Lucia Capuzzi di Avvenire - . I rintocchi delle campane annunciavano l’imminente arrivo delle forze di sicurezza per mettere fine alla ribellione. Un nuovo massacro avrebbe insanguinato a breve il Nicaragua in cui, dall’inizio delle proteste del 18 aprile, sono state uccise già 212 persone”. Ebbene, con un veloce passaparola vescovi e preti hanno improvvisato una processione eucaristica, passando prima attraverso le barricate dei resistenti e poi tra le forze governative antisommossa, che si sono ritirate. Nelle stesse ore in Assisi si celebrava la “festa del Voto” in cui si ricorda la preghiera di santa Chiara per la salvezza del monastero di San Damiano e della città di Assisi dalla violenza dei saraceni che erano giunti minacciosi alle porte della città.]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

di don Tonio dell’Olio Oltre ai giornali nicaraguensi e alla Cnn di lingua spagnola, solo Avvenire riporta l’episodio edificante di alcuni vescovi nicaraguensi che, insieme al nunzio apostolico e ad alcuni preti, hanno fatto da “scudi umani” per salvare la popolazione di Masaya. “All’alba di giovedì 21 scorso, Masaya (bastione della resistenza antigovernativa a 50 chilometri da Managua) si è svegliata con il cuore in gola - racconta Lucia Capuzzi di Avvenire - . I rintocchi delle campane annunciavano l’imminente arrivo delle forze di sicurezza per mettere fine alla ribellione. Un nuovo massacro avrebbe insanguinato a breve il Nicaragua in cui, dall’inizio delle proteste del 18 aprile, sono state uccise già 212 persone”. Ebbene, con un veloce passaparola vescovi e preti hanno improvvisato una processione eucaristica, passando prima attraverso le barricate dei resistenti e poi tra le forze governative antisommossa, che si sono ritirate. Nelle stesse ore in Assisi si celebrava la “festa del Voto” in cui si ricorda la preghiera di santa Chiara per la salvezza del monastero di San Damiano e della città di Assisi dalla violenza dei saraceni che erano giunti minacciosi alle porte della città.]]>
Festa dei Ceri con problema sicurezza https://www.lavoce.it/festa-dei-ceri-problema-sicurezza/ Sun, 28 Jan 2018 11:00:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51107

l conto alla rovescia è già cominciato e la festa dei Ceri è sempre più al centro dell’attenzione della città, dei ceraioli e soprattutto delle istituzioni e di quanti sono coinvolti nell’organizzazione. Quest’anno c’è un aspetto nuovo con il quale confrontarsi, quello della sicurezza genericamente intesa. Non perché nel passato sia stata trascurata, ma perché per la prima volta c’è da misurardsii con normative ben precise, con prescrizioni più stringenti richiamate da episodi e da un “clima” che impongono a tutti maggior vigilanza e grande attenzione. Così i festeggiamenti per la investitura del primo e secondo capitano (Francesco Rossi e Mauro Guardabassi), per la elezione dei capodieci, per le celebrazioni in onore di sant’Antonio (compresa l’investitura del capodieci Giovanni Vantaggi e la benedizione dei piccoli santantoniari), cui ha partecipato per la prima volta il vescovo Luciano Paolucci Bedini, si alternano con gli incontri del “tavolo dei Ceri”, presieduto dal sindaco Stirati. È la sede dove si esaminano anche e soprattutto le soluzioni da adottare per risolvere e superare le “criticità” della manifestazione in rapporto alle prescrizioni in essere. L’impegno, confermato ai diversi livelli, è quello di garantire alla plurisecolare festa i ritmi consueti, pur in una cornice di sicurezza. Si entra pian piano nei dettagli per far fronte ai punti deboli ormai ben presenti. Si incomincia dal muretto che delimita Piazza grande, “platea” dei momenti più coinvolgenti e spettacolari quali “alzata” e “birate”. La struttura di per sé è sicura, non lo è se usato come “tribuna”. Va evitato quindi che la gente vi salga sopra. Come? Potrebbe essere sufficiente una semplice vigilanza, ancorchè rafforzata, o più efficace piazzare sopra “dissuasori” già proposti in passato? Come disciplinare poi l’accesso a Piazza grande, non tanto per contenerne il numero, quanto la compatibilità delle singole presenze e predisporre le vie di fuga? Spunta l’ipotesi di un prefiltraggio agli inizi delle vie Gattapone, Lucarelli, Mastro Giorgio. Ancora: la “sala dell’arengo” del palazzo dei Consoli, da dove escono ceraioli, Ceri, barelle, Santi, brocche prima della “alzata”. L’ipotesi parrebbe quella di consentire l’ingresso soltanto a ceraioli e addetti ai lavori (campanari, personale, ecc.). Sotto questo profilo sarà fondamentale la collaborazione non solo delle “famiglie”, ma di tutti per tutelare un grandioso bene comune.  ]]>

l conto alla rovescia è già cominciato e la festa dei Ceri è sempre più al centro dell’attenzione della città, dei ceraioli e soprattutto delle istituzioni e di quanti sono coinvolti nell’organizzazione. Quest’anno c’è un aspetto nuovo con il quale confrontarsi, quello della sicurezza genericamente intesa. Non perché nel passato sia stata trascurata, ma perché per la prima volta c’è da misurardsii con normative ben precise, con prescrizioni più stringenti richiamate da episodi e da un “clima” che impongono a tutti maggior vigilanza e grande attenzione. Così i festeggiamenti per la investitura del primo e secondo capitano (Francesco Rossi e Mauro Guardabassi), per la elezione dei capodieci, per le celebrazioni in onore di sant’Antonio (compresa l’investitura del capodieci Giovanni Vantaggi e la benedizione dei piccoli santantoniari), cui ha partecipato per la prima volta il vescovo Luciano Paolucci Bedini, si alternano con gli incontri del “tavolo dei Ceri”, presieduto dal sindaco Stirati. È la sede dove si esaminano anche e soprattutto le soluzioni da adottare per risolvere e superare le “criticità” della manifestazione in rapporto alle prescrizioni in essere. L’impegno, confermato ai diversi livelli, è quello di garantire alla plurisecolare festa i ritmi consueti, pur in una cornice di sicurezza. Si entra pian piano nei dettagli per far fronte ai punti deboli ormai ben presenti. Si incomincia dal muretto che delimita Piazza grande, “platea” dei momenti più coinvolgenti e spettacolari quali “alzata” e “birate”. La struttura di per sé è sicura, non lo è se usato come “tribuna”. Va evitato quindi che la gente vi salga sopra. Come? Potrebbe essere sufficiente una semplice vigilanza, ancorchè rafforzata, o più efficace piazzare sopra “dissuasori” già proposti in passato? Come disciplinare poi l’accesso a Piazza grande, non tanto per contenerne il numero, quanto la compatibilità delle singole presenze e predisporre le vie di fuga? Spunta l’ipotesi di un prefiltraggio agli inizi delle vie Gattapone, Lucarelli, Mastro Giorgio. Ancora: la “sala dell’arengo” del palazzo dei Consoli, da dove escono ceraioli, Ceri, barelle, Santi, brocche prima della “alzata”. L’ipotesi parrebbe quella di consentire l’ingresso soltanto a ceraioli e addetti ai lavori (campanari, personale, ecc.). Sotto questo profilo sarà fondamentale la collaborazione non solo delle “famiglie”, ma di tutti per tutelare un grandioso bene comune.  ]]>
Se ad abusare è un carabiniere https://www.lavoce.it/ad-abusare-un-carabiniere/ Wed, 13 Sep 2017 00:11:05 +0000 https://www.lavoce.it/?p=50029

Dopo ore di discoteca, stordite dalla musica, dall’alcol e forse anche da un po’ di droga, a notte fonda due ragazze straniere incerte sulle gambe chiedono aiuto a due carabinieri. E quelli, gentili, le fanno salire sulla macchina di servizio e le portano fino a casa loro. Le ragazze poi raccontano che i due hanno abusato gravemente di loro. Sarà vero? Ci sono vari riscontri materiali che sembrano confermare gran parte del racconto. In pratica i militari si difendono solo dicendo che non c’è stata violenza perché le ragazze erano consenzienti, ma questo pare poco credibile per un insieme di dettagli che ora ci vogliamo risparmiare. Ci soffermiamo invece su qualche riflessione. La prima è che ci sentiamo a dir poco avviliti nel vedere al centro di un episodio così brutto due carabinieri, due appartenenti a una delle pochissime istituzioni che ancora hanno la fiducia degli italiani. La seconda è lo sconforto nel constatare che ci sono ancora in giro tanti uomini - carabinieri o no - che pensano di avere il diritto di usare e di abusare di qualunque donna abbia la sfortuna di attirare il loro desiderio, anche momentaneo. La terza è la pena per tanti giovani, maschi e femmine, che pensano che il divertimento consista nello stordirsi ogni notte in quei locali rumorosi dove circolano sostanze legali e illegali di tutti i tipi. La quarta è che quando i violentatori (veri o presunti) sono carabinieri, a nessuno viene in mente di criminalizzare tutta l’Arma, di chiederne la soppressione o di reclamare la galera per tutti quelli che vestono una divisa. Mentre, quando sono immigrati (o peggio ancora, rifugiati), l’indignazione collettiva si rivolge verso l’intera categoria e invoca espulsioni di massa e la chiusura delle frontiere. Questa quarta riflessione si ricollega al tema del pregiudizio che ho trattato nelle ultime due settimane. È pregiudizio colpevolizzare ogni singolo individuo solo perché appartiene a un gruppo sociale, etnico o religioso, estendendo automaticamente all’intero gruppo la riprovazione che qualcuno di loro si merita; e questo va contro la giustizia e contro la verità. Ma è ancora peggio quando il pregiudizio scatta per qualcuno sì (gli immigrati) e per qualcuno no (i carabinieri). Se questo succede, non è più pregiudizio, ma razzismo.  ]]>

Dopo ore di discoteca, stordite dalla musica, dall’alcol e forse anche da un po’ di droga, a notte fonda due ragazze straniere incerte sulle gambe chiedono aiuto a due carabinieri. E quelli, gentili, le fanno salire sulla macchina di servizio e le portano fino a casa loro. Le ragazze poi raccontano che i due hanno abusato gravemente di loro. Sarà vero? Ci sono vari riscontri materiali che sembrano confermare gran parte del racconto. In pratica i militari si difendono solo dicendo che non c’è stata violenza perché le ragazze erano consenzienti, ma questo pare poco credibile per un insieme di dettagli che ora ci vogliamo risparmiare. Ci soffermiamo invece su qualche riflessione. La prima è che ci sentiamo a dir poco avviliti nel vedere al centro di un episodio così brutto due carabinieri, due appartenenti a una delle pochissime istituzioni che ancora hanno la fiducia degli italiani. La seconda è lo sconforto nel constatare che ci sono ancora in giro tanti uomini - carabinieri o no - che pensano di avere il diritto di usare e di abusare di qualunque donna abbia la sfortuna di attirare il loro desiderio, anche momentaneo. La terza è la pena per tanti giovani, maschi e femmine, che pensano che il divertimento consista nello stordirsi ogni notte in quei locali rumorosi dove circolano sostanze legali e illegali di tutti i tipi. La quarta è che quando i violentatori (veri o presunti) sono carabinieri, a nessuno viene in mente di criminalizzare tutta l’Arma, di chiederne la soppressione o di reclamare la galera per tutti quelli che vestono una divisa. Mentre, quando sono immigrati (o peggio ancora, rifugiati), l’indignazione collettiva si rivolge verso l’intera categoria e invoca espulsioni di massa e la chiusura delle frontiere. Questa quarta riflessione si ricollega al tema del pregiudizio che ho trattato nelle ultime due settimane. È pregiudizio colpevolizzare ogni singolo individuo solo perché appartiene a un gruppo sociale, etnico o religioso, estendendo automaticamente all’intero gruppo la riprovazione che qualcuno di loro si merita; e questo va contro la giustizia e contro la verità. Ma è ancora peggio quando il pregiudizio scatta per qualcuno sì (gli immigrati) e per qualcuno no (i carabinieri). Se questo succede, non è più pregiudizio, ma razzismo.  ]]>
In Umbria calano furti e rapine https://www.lavoce.it/in-umbria-calano-furti-e-rapine/ Wed, 01 Jun 2016 09:00:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46367 FestaDellaPolizia-DSC_3906-copiaCi sentiamo meno sicuri per strada ed anche in casa ma i numeri dei reati denunciati indicano una realtà diversa: in Umbria negli ultimi anni ci sono stati meno furti e meno rapine. Resta grave il problema della droga e sono in crescita i reati informatici mentre, soprattutto in provincia di Perugia, c’è un preoccupante aumento delle estorsioni. Con ripetuti tentativi di infiltrazione di organizzazioni criminali di stampo mafioso in tutta la regione che però fino ad ora sono stati efficacemente contrastati e sventati dalle forze dell’ordine grazie alla collaborazione dei cittadini.
È in sintesi la situazione della sicurezza in Umbria, così come illustrata dai questori di Perugia, Carmelo Gugliotta, e Terni, Carmine Belfiore, nelle cerimonie per la Festa della Polizia in occasione del 164/o anniversario della sua fondazione. Cerimonie che non si sono svolte nelle caserme ma in luoghi aperti al pubblico, con la partecipazione non soltanto delle autorità ma di cittadini e tanti giovani.
A Perugia la Festa è stata celebrata giovedì scorso nell’auditorium dell’Istituto Capitini, mentre il giorno dopo per la provincia di Terni la cerimonia si è svolta a Narni, nell’auditorium del complesso San Domenico, presenti anche studenti della scuola media “Luigi Valli” e del liceo scientifico “Gandhi”.
Ed è proprio rivolgendosi agli studenti che il questore di Perugia ha aperto la sua relazione. “Voi – ha detto – sarete gli artefici del vostro futuro e della società, e vi rivolgo un pensiero di Papa Giovanni Paolo II: ‘Non lasciatevi vivere ma prendete nelle vostre mani la vostra vita e decidete di farne un autentico capolavoro’. Noi poliziotti continueremo ad impegnarci per salvaguardare i valori sacri della libertà, della democrazia e della giustizia. Difensori, a volte, fino al sacrificio estremo, del diritto dei cittadini di vivere in una società giusta e libera”. “Grazie a questo impegno – ha proseguito – sono stati conseguiti risultati lusinghieri nella prevenzione e nella repressione di ogni forma di illegalità”. Soddisfatto per il lavoro svolto ed i risultati ottenuti anche il questore di Terni. “Oggi – ha detto – possiamo fare festa, ma non possiamo sicuramente abbassare la guardia. I risultati ci consentono di stare sereni anche se è ovvio che le sfide non mancano”.
Sfide che hanno bisogno della collaborazione della gente, come ha sottolineato il questore di Perugia citando una frase dello scomparso capo della polizia Antonio Manganelli: “La battaglia quotidiana contro chi attenta alla sicurezza dei cittadini e dello Stato si vince soltanto insieme: uniti a fare squadra, a fare rete, ciascuno secondo ruoli, responsabilità, capacità”. A questo proposito il questore di Terni ha voluto premiare un cittadino che ha avuto il coraggio di non girarsi dall’altra parte. C’erano malviventi che stavano scassinando un bancomat: lui ha chiamato il 113 ed è rimasto in linea con la polizia aiutando gli agenti ad arrestare uno dei ladri.
Anche la Chiesa fa parte di questa “rete” della quale parlava il prefetto Manganelli per promuovere, soprattutto tra i giovani, l’impegno civile e la partecipazione attiva dei cittadini. Così il questore di Perugia, a conclusione del suo intervento, ha rivolto “un deferente ringraziamento” al cardinale Gualtiero Bassetti, presente in sala, “per i suoi insegnamenti e le sue riflessioni spirituali che – ha detto – ci guidano nella nostra attività istituzionale, per l’impegno della Chiesa sempre più presente e coinvolta nell’azione formativa della coscienza sociale”.

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Negozi blindati, allarme sicurezza https://www.lavoce.it/negozi-blindati-allarme-sicurezza/ Sat, 05 Dec 2015 09:34:57 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44584 vetrina-spaccata-rapinaPer dieci volte in dieci anni hanno rubato o cercato di rubare nella sua tabaccheria di Villa Pitignano, nella zona a nord di Perugia: vetrine sfondate a colpi di piccone, mazze di ferro, e perfino con un furgone. I ladri non hanno desistito (l’ultimo colpo è di pochi mesi fa) nonostante il negozio sia ormai diventato quasi una fortezza: allarmi, vetri antisfondamento, sbarre alle finestre, un armadio blindato per le sigarette e perfino un fumogeno. Maurizio Franceschelli, che ne è il titolare con la famiglia che lo aveva aperto nel 1956, però non si è arreso. Per questo la scorsa settimana, in occasione della giornata di mobilitazione nazionale “Legalità, mi piace” promossa dalla Confcommercio, durante la cerimonia svoltasi a Perugia gli sono stati consegnati 8.000 euro, un contributo della Fondazione Orlando costituita per offrire solidarietà e sostegno alle vittime della criminalità.

Furti, abusivismo, contraffazioni, rapine, tangenti, usura stanno mettendo in ginocchio i commercianti onesti e le loro imprese, anche se in Umbria la situazione appare migliore di altre regioni, hanno sottolineato il presidente della Confcommercio della provincia di Perugia, Giorgio Mencaroni, e di Confcommercio regionale, Aldo Aimoni. “Le nostre imprese sono usate dalla criminalità come bancomat” ha denunciato Federico Fiorucci, coordinatore di Confcommercio Perugia. Ci sono commercianti, come Franceschelli, che in certe occasioni, di notte, sono costretti a dormire nei loro negozi, anche se blindati con ingenti spese. “Tanti sacrifici che vanno in fumo in un attimo” si era sfogata con i giornalisti la madre di Francesco nel maggio scorso, al terzo assalto dei ladri in pochi mesi, uno dei quali era avvenuto mentre la gente dalle finestre gridava: “Andate via, abbiamo chiamato i carabinieri!”. Nel 2011 gli avevano smurato il distributore automatico delle sigarette appena installato: 11.000 euro di danno, non risarcito dall’assicurazione perché si trovava all’esterno del locale. Polizia e carabinieri avevano trovato ed arrestato i ladri, che però dopo poco erano già fuori per riprendere il “lavoro”.

Non a caso dall’indagine nazionale Confcommercio – Gfk Eurisko sui fenomeni criminali presentata nella Giornata per la legalità risulta che, per il 90 per cento degli imporenditori, le leggi che dovrebbero contrastare questi fenomeni sono inefficaci, e per l’85 per cento, di fatto, i responsabili non scontano in carcere le pene per i reati commessi. Anche per questo la certezza della pena è al primo posto nell’elenco delle richieste dei commercianti per una maggiore sicurezza: in Umbria sono l’82 per cento degli intervistati, più della media nazionale (73 per cento). Per il 32 per cento delle imprese italiane, nell’ultimo anno il livello di sicurezza è peggiorato (in Umbria la percentuale è un po’ più bassa), per cui sono le aziende stesse a dover pensare alla propria sicurezza con la vigilanza privata e sistemi di allarme. In Umbria lo hanno fatto l’80 per cento delle imprese del settore. Nell’insieme quindi – secondo i calcoli della Confcommercio nazionale – l’illegalità verrebbe a “costare” 27 miliardi all’anno a commercianti, albergatori e pubblici esercizi. Mettendo a rischio in tutta Italia 263.000 posti di lavoro.

 

Turismo tra Giubileo e abusivismo

Con i furti, sono l’abusivismo e la contraffazione in cima alla lista delle attività criminali che colpiscono e preoccupano gli operatori commerciali umbri, anche in vista dell’afflusso turistico atteso per il Giubileo. Nel mondo del “sommerso” in Umbria – afferma Confcommercio – sono molto diffuse le situazioni di esercizio abusivo dell’attività ricettiva, con assoluta preponderanza del settore extra-alberghiero, in particolare dei bed&breakfast. Giorgio Mencaroni, anche presidente della Federalberghi regionale, parla di “livello di guardia”; di fenomeni che “generano una minore sicurezza sociale” e favoriscono “il dilagare indiscriminato dell’evasione fiscale e del lavoro nero”. Per questo chiede alla Regione “la modifica del Testo unico sul turismo introducendo regole più stringenti per affrontare in modo più strutturato l’abusivismo nella ricettività turistica”. Un fenomeno che – avverte – “rischia di esplodere” con il Giubileo in città a forte vocazione turistica come Perugia, Assisi e Orvieto, dove nei centri storici ci sono tanti immobili vuoti che potrebbero diventare luoghi per ospitare abusivamente pellegrini e turisti.

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La tragedia di Parigi e la Pax benedictina https://www.lavoce.it/la-tragedia-di-parigi-e-la-pax-benedictina/ Sat, 21 Nov 2015 17:43:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44486 La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia
La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia

Pregando per le vittime di un odio così feroce è come discendere agli inferi, dove Cristo ha lottato contro la Morte e il Male. Il cuore si commuove, il nostro intimo freme di compassione. Come si può parlare della pace di fronte a questo male oscuro? Che cosa direbbe san Benedetto? La storia del monachesimo benedettino in Europa conosce alti e bassi nel rapporto con il mondo islamico. Da una parte, un affresco che si trova al Sacro Speco di Subiaco raffigura il massacro dei monaci da parte dei saraceni nel IX secolo; dall’altra, san Pietro il Venerabile, abate di Cluny (XII secolo), commissionò una traduzione del Corano in latino. Questi esempi storici sono fonti d’insegnamento per noi, ma ancora più significativo è l’insegnamento della Regola stessa. Ci sono tre principi in essa contenuti che possono essere utili a noi in questo momento di lutto per gli innocenti uccisi nella strage di Parigi che ha sconvolto l’Europa: il buon governo, la vera pace e l’auto-critica. San Benedetto è un uomo pratico, di buon governo. Conosce bene la natura umana, non è ingenuo. È pronto a usare la forza coercitiva per arginare il male (cf. il codice penale, RB 23-30). San Benedetto ha vissuto in tempi di guerra, si preoccupava per l’incolumità del suo monastero. In questo contesto, si può collocare il diritto alla legittima difesa personale e collettiva che è un elemento necessario per la pace, cioè “la stabilità e la sicurezza di un ordine giusto” (CCC 1909). La sicurezza pubblica è un operato al livello umano.

A livello spirituale, però, c’è un altro principio che per san Benedetto è fondamentale. Questo è il primato di Dio. La pace benedettina si basa soprattutto tra il rapporto giusto tra l’uomo e Dio. Usando la definizione di sant’Agostino della pace come tranquillitas ordinis, la pace per Benedetto include anche l’ordine giusto tra l’uomo e il suo prossimo, tra l’uomo e se stesso, tra l’uomo e il creato e tra l’uomo e le cose – cioè l’opera delle sue mani. Il fondamento, però, che sta alla base di tutto il resto è il rapporto giusto tra l’uomo e Dio, senza il quale non si può avere una pace autentica e duratura. Dio al primo posto. Benedetto insiste che il monaco (e il cristiano) non anteponga nulla all’amore di Cristo. Inoltre, il primo gradino dell’umiltà è di tener sempre davanti agli occhi il timor di Dio (RB 7:10) – ossia la preoccupazione delle cose di Dio, della Sua presenza, del Suo volto. Nella nostra società occidentale, invece, viviamo spesso come se Dio non esistesse. Il risultato è un vuoto enorme. “La natura aborre il vuoto”, e quindi altre cose s’insinuano per riempire questo abisso. Fra le quali l’odio. Un terzo principio della spiritualità monastica è l’auto-critica, un atteggiamento che viene dall’insegnamento dei Padri del deserto sui vizi (logismoi). Questo principio ci incoraggia a cercare le radici del male nel proprio cuore. Ecco una critica che viene dal mondo islamico: molti musulmani chiamano la nostra società “l’Occidente senza Dio”. Forse è vero. Fra i terroristi ci sono anche giovani europei e americani. Che strano fenomeno! Perché? Forse perché sentono il vuoto di una società senza Dio, una società moralmente “bancarottiera”, e rispondono con disperazione e odio, sentimenti che sono facili a manipolare. La parola di salvezza che viene da san Benedetto potrebbe essere questa: mentre ci cingiamo ad affrontare le minacce che vengono da fuori, è doveroso anche rendersi conto del morbo che viene da dentro.

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Non avrete il nostro odio https://www.lavoce.it/non-avrete-il-nostro-odio/ Sat, 21 Nov 2015 17:35:56 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44479 Parigi-3L’aberrante attacco terroristico di Parigi, consumato la notte del 13 novembre scorso, ha sconvolto la Francia, l’Europa e l’intero mondo. Un commando di attentatori kamikaze – terroristi islamici – ha colpito sei volte in 33 minuti, sparando all’impazzata sulla folla, in strada e nei locali, soprattutto fra giovani che stavano trascorrendo il venerdì sera fuori casa: almeno 135 i morti e oltre 300 feriti, alcuni ancora in gravissime condizioni.

In ogni angolo del mondo si sono levate voci di condanna. Il Papa ha parlato di bestemmia se si utilizza il nome di Dio per giustificare tali gesti. La paura sta prendendo il sopravvento, la gente non si sente più sicura, la normalità della vita (andare in pizzeria, al teatro, allo stadio…) è in pericolo. “Ma – come ha scritto Guillaume Goubert, direttore del quotidiano cattolico francese La Croix – dobbiamo imparare a convivere con questa minaccia. Non dobbiamo smettere di vivere. Non dobbiamo smettere di agire, di impegnarci, di gioire, di amare. Questa sarà la forma della nostra resistenza alla barbarie dei terroristi islamici”.

“Se ciò che chiamiamo Occidente ha un senso”, come si chiede Massimo Gramellini dalle pagine del quotidiano La Stampa, questo senso palpita nelle parole con cui il signor Antoine Leiris si è rivolto su Facebook ai terroristi che al Bataclan hanno ucciso sua moglie.

“Venerdì sera – scrive – avete rubato la vita di una persona eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, eppure non avrete il mio odio. Non so chi siete e non voglio neanche saperlo. Voi siete anime morte. Se questo Dio per il quale ciecamente uccidete ci ha fatti a Sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel Suo cuore. Perciò non vi farò il regalo di odiarvi. Sarebbe cedere alla stessa ignoranza che ha fatto di voi quello che siete.

Voi vorreste che io avessi paura, che guardassi i miei concittadini con diffidenza, che sacrificassi la mia libertà per la sicurezza. Ma la vostra è una battaglia persa. L’ho vista stamattina [17 novembre]. Finalmente, dopo notti e giorni d’attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi innamorai perdutamente di lei più di 12 anni fa. Ovviamente sono devastato dal dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di breve durata. So che lei accompagnerà i nostri giorni, e che ci ritroveremo in quel paradiso di anime libere nel quale voi non entrerete mai. Siamo rimasti in due, mio figlio e io, ma siamo più forti di tutti gli eserciti del mondo.

Non ho altro tempo da dedicarvi, devo andare da Melvil che si risveglia dal suo pisolino. Ha appena 17 mesi e farà merenda come ogni giorno e poi giocheremo insieme, come ogni giorno, e per tutta la sua vita questo petit garçon vi farà l’affronto di essere libero e felice. Perché, no, voi non avrete mai nemmeno il suo odio”.

Nel momento in cui le “teste di cuoio” francesi, il 18 novembre, hanno dato l’assalto a un covo di terroristi a Saint-Denis, sobborgo a nord di Parigi, i Vescovi francesi hanno pubblicato questa preghiera per la pace scritta “nello spirito di Tibhirine” da frère Dominique Motte del convento domenicano di Lille. “Disarmali: sappiamo quanto questa violenza estrema sia il sinistro pane quotidiano in Iraq, in Siria, Palestina, Centrafrica, Sudan, Eritrea, Afghanistan. Ora si è impossessata di noi. Disarmali, Signore, e fa’ che sorgano in mezzo a loro profeti che gridano la loro indignazione e la loro vergogna nel vedere come hanno sfigurato l’immagine dell’Uomo, l’immagine di Dio”.

“Disarmali, Signore; dandoci, se necessario, poiché è necessario, di adottare tutti i mezzi utili per proteggere gli innocenti con determinazione. Ma senza odio. Disarma anche noi, Signore: in Francia, in Occidente, senza ovviamente giustificare il circolo vizioso della vendetta”.

 

Musulmani italiani: pronti a collaborare per individuare chi genera il male

L’Europa è ancora scossa dagli eventi parigini e il mondo musulmano prova a reagire, anche per prevenire l’odio etnico e religioso. Per questo il Consiglio islamico supremo dei musulmani in Italia (Cismi) e il Consiglio supremo dell’islam in Italia (Csi) promettono di collaborare con le istituzioni italiane per individuare chi genera il seme del male dentro le comunità islamiche e denunciarle alle autorità competenti. “Proponiamo – dice Sharif Lorenzini, vice presidente e portavoce del Cismi, e vice presidente del Csi – una collaborazione per evitare che l’Isis possa spargere nuovamente sangue provocando una ‘terza guerra mondiale a pezzi’, come l’ha definita Papa Francesco, causando ancora morti, e infangando il nome di Allah, che i terroristi nominano blasfemamente mentre uccidono”.

 

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No alle porte blindate https://www.lavoce.it/no-alle-porte-blindate/ Sat, 21 Nov 2015 17:04:58 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44471 papa-francesco-salutoPapa Francesco ha cominciato l’udienza generale di mercoledì, dedicata alla famiglia già nella prospettiva del Giubileo della Misericordia, parlando di porte chiuse a chiave, anzi blindate. “Non dobbiamo arrenderci – ha esortato – all’idea di dover applicare questo sistema (che anche è di sicurezza) a tutta la nostra vita, alla vita della famiglia, della città, della società. E tanto meno alla vita della Chiesa. Sarebbe terribile! Una Chiesa inospitale, così come una famiglia rinchiusa in se stessa, mortifica il Vangelo e inaridisce il mondo. Niente porte blindate nella Chiesa, niente! Tutto aperto!”. Perciò, come prossimamente le porte sante: “Che sia anche la porta del nostro cuore, per ricevere tutti, sia il perdono di Dio o dare il nostro perdono, accogliendo tutti quelli che bussano alla nostra porta!… Se la porta della misericordia di Dio è sempre aperta, anche le porte delle nostre chiese, dell’amore delle nostre comunità, delle nostre parrocchie, delle nostre istituzioni, delle nostre diocesi, devono essere aperte, perché così tutti possiamo uscire a portare questa misericordia di Dio”. Apriamo volentieri a chi bussa, dunque. Solo che… “quanta gente ha perso la fiducia, non ha il coraggio di bussare alla porta del nostro cuore cristiano, alle porte delle nostre chiese. Sono lì, non hanno il coraggio, gli abbiamo tolto la fiducia. Per favore, che questo non accada mai!”.

Certo, la gestione della porta richiede “attento discernimento” ma deve “ispirare grande fiducia”. Ha quindi elogiato portinai e uscieri: “C’è da imparare da questi uomini e donne che sono custodi dei luoghi di incontro e di accoglienza della città dell’uomo. A tutti voi custodi di tante porte, siano porte di abitazioni, siano porte delle chiese, grazie tante! Ma sempre con un sorriso, sempre mostrando l’accoglienza di quella casa, di quella chiesa, così la gente si sente felice e accolta in quel posto”. Fuor di metafora, “noi dobbiamo passare per la porta e ascoltare la voce di Gesù: se sentiamo il suo tono di voce, siamo sicuri, siamo salvi… Le pecore non le sceglie il guardiano, non le sceglie il segretario parrocchiale o la segretaria della parrocchia; le pecore sono tutte invitate, scelte dal buon Pastore… La Chiesa è la portinaia della casa del Signore, non è la padrona della casa del Signore”. Citando la Santa Famiglia, che ha ben compreso il significato di “una porta aperta o chiusa”, soprattutto “per chi aspetta un figlio, per chi non ha riparo, per chi deve scampare al pericolo”, la sollecitazione del Papa alle famiglie cristiane è a fare “della loro soglia di casa un piccolo-grande segno della porta della misericordia e dell’accoglienza di Dio”, in modo che la Chiesa sia riconosciuta “in ogni angolo della Terra” come la custode di un Dio accogliente “che non ti chiude la porta in faccia”.

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Economia sì, ma di salvezza https://www.lavoce.it/economia-si-ma-di-salvezza/ Thu, 29 Oct 2015 17:38:22 +0000 https://www.lavoce.it/?p=44074 solidarietà-aiuto-famigliaLa ripresa economica è alle porte, ma non per le famiglie che hanno perso il lavoro. È notizia dello scorso fine settimana che a guidare la classifica della crescita del Pil della zona euro nel 2016 (secondo le previsioni di “Prometeia”) saranno i Paesi del Mediterraneo (eccetto la Grecia), mentre quelli del Nord Europa (inclusa la Germania) subiranno una frenata, al punto che gli esperti parlano di una “rivincita economica dell’Europa mediterranea”. Ritorna l’ottimismo e si auspica più benessere e ricchezza. Quest’ultima, se solidale, ridistribuita, non è peccato e può contribuire a non generare crisi. È l’accumulo delle ricchezze tra pochi che diventa peccato e provoca gravi conflitti sociali.

Questo avviene non solo nei sistemi “macro economici” ma anche in quelli “micro”. Basti pensare agli imprenditori che producono reddito senza investirlo neppure in parte nel miglioramento dell’azienda, ad esempio mettendola in sicurezza o rendendo stabile il lavoro dei precari. Per non parlare del lavoro nero, a vantaggio sempre dell’accumulo di denaro del datore, che non permette al lavoratore, ad esempio, di contrarre un mutuo. Questo incide negativamente sui consumi. Manca la mentalità della condivisione-solidarietà, in particolare nei momenti di crisi, quando chi possiede qualcosa la tiene tutta per sé per timore di perderla.

A prevalere è la mentalità individualista ed egoista e per questo la crisi avrà lunghi strascichi per i più deboli. Riflettendo su quanto scritto di recente da padre Giulio Albanese nella rubrica “Gli esclusi” sul Messaggero di sant’Antonio, come non essere “per un’‘economia di salvezza’”?
Nel soffermarsi su alcuni testi sul controverso rapporto tra “ricchezza e povertà” di san Basilio Magno, padre Albanese parla “di considerazioni che ci possono aiutare a comprendere la centralità di questo tema nel contesto generale della cosiddetta ‘economia di salvezza’. Inoltre, dimostrano come Papa Bergoglio sia in perfetta sintonia con l’insegnamento dei Padri della Chiesa”. San Basilio diceva, ricorda padre Albanese: “Chi accumula ricchezza in forma egoistica e non solidale è un ‘ladro’ e ‘manca di carità’, cioè dell’amore misericordioso di Dio. Una denuncia coraggiosa, che Papa Francesco rilancia quando afferma che “il nostro sistema si mantiene con la cultura dello scarto, così crescono disparità e povertà, dice quella verità che molti non vogliono sentirsi dire”.

La nostra Umbria, dove è atteso il nuovo Piano sociale regionale, è una terra solidale in cui si rivela fondamentale il contributo della Chiesa e del privato-sociale al Welfare State. In sei anni (2009-2015) comunità parrocchiali e religiose, Fondazioni bancarie, realtà imprenditoriali e istituzioni hanno alimentato il Fondo di solidarietà delle Chiese umbre per le famiglie in difficoltà a causa della perdita del lavoro con 3 milioni e 533.682 mila euro, distribuiti a 2.653 nuclei familiari (dati al 26/10/2015).

Una somma, purtroppo, irrilevante se si pensa a quanto ha scritto Enzo Ferrini nel n. 39 de La Voce in merito al fenomeno del gioco d’azzardo, per il quale nella nostra regione si spendono quasi 3 milioni di euro al giorno. Nel 2014, secondo il Rapporto dell’Agenzia dei monopòli, gli umbri hanno speso 1 miliardo e 36 milioni di euro, per l’esattezza 2 milioni e 838 mila euro in media al giorno, in slot machine, Gratta e vinci, Bingo, scommesse sportive, Lotto, Superenalotto e lotterie varie.

Occorre una maggiore mentalità solidaristica, anziché bruciare denaro al gioco. Spesso si fa per disperazione, impoverendosi ancor più, e contribuendo a non far entrare risorse “nel circuito virtuoso dell’economia del territorio”.

Ne è convinta la direttrice della Caritas diocesana di Perugia, Daniela Monni, imprenditrice, nel sostenere che “nel 2015 tende ad arrestarsi l’emorragia della perdita di lavoro, ma ancora sono troppi i padri di famiglia senza lavoro. Una sfida grande ci attende: farci carico dei poveri vicini e lontani”, anche con la ricchezza che non va accumulata. Ad insegnarlo è anche la dottrina sociale della Chiesa.

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Profughi. Accogliere è questione di civiltà https://www.lavoce.it/profughi-accogliere-e-questione-di-civilta/ Fri, 16 Oct 2015 16:10:52 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43959 accoglienza-immigratiLe Chiese umbre, attraverso le Caritas e altri suoi organismi caritativi, nell’adottare il Vademecum sull’accoglienza dei profughi che la Cei ha comunicato alle diocesi il 13 ottobre si stanno prodigando per ospitare con dignità le persone costrette alla fuga dai Paesi di origine a causa di guerre, violenze, ingiustizie e fame. Arrivano in Europa chiedendo accoglienza, ma 2.987 di loro, nei soli primi nove mesi del 2015, hanno perso la vita nel Mediterraneo, pari a circa i tre quarti dei 4.093 migranti morti in tutto il mondo nello stesso periodo (dati Oim, Organizzazione internazionale per le migrazioni, ndr). Sono cifre che non possono non scuotere le coscienze, in particolare dei nostri governanti affinché adottino misure per evitare nuove carneficine”. È il commento di Daniela Monni, direttore della Caritas di Perugia – Città della Pieve, che si unisce a quello di Giorgio Pallucco, delegato Caritas regionale, nel ricordare quanto si sta facendo in Umbria, e non solo a livello ecclesiale.

Basti pensare che i profughi/migranti accolti sono quasi 1.600 con una quota massima di circa 2.000 persone (assegnata dal ministero dell’Interno all’Umbria, dato settembre 2015). Diversi di loro rientrano in progetti come lo Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), che alcune Caritas diocesane, come quella di Terni-Narni-Amelia, gestiscono in collaborazione con l’Arci. Attualmente nelle strutture ecclesiali sono ospitati 300 migranti, la cui disponibilità complessiva è di 506 persone (incluse le 231 del progetto Sprar). “Nel contempo – afferma Pallucco – le Caritas diocesane si stanno impegnando a raccogliere le disponibilità offerte da parrocchie, monasteri, istituti religiosi e santuari che hanno la possibilità di offrire vitto e alloggio”. E questo, evidenzia il delegato Caritas Umbria, “deve avvenire seguendo le indicazioni del Vademecum della Cei, che raccomanda alloggi dignitosi e nel rispetto delle normative vigenti in materia di sicurezza e igiene, e con coperture assicurative per la responsabilità civile”.

L’ospitalità offerta dalla Chiesa ai profughi, “secondo quanto evidenzia il Vademecum – cita Pallucco – è ‘un gesto concreto e gratuito, un servizio, segno di accoglienza che si affianca ai molti altri a favore dei poveri (disoccupati, famiglie in difficoltà, anziani soli, minori non accompagnati, diversamente abili, vittime di tratta, senza dimora…) presenti nelle nostre Chiese: un supplemento di umanità, anche per vincere la paura e i pregiudizi’”.

In Italia, nei primi nove mesi del 2015, su circa 95 mila migranti ospitati nei diversi Centri di accoglienza ordinari (Cara) e straordinari (Cas), nonché attraverso gli Sprar, hanno trovato ospitalità ben 22 mila di loro, di cui 8.000 in conventi, santuari e seminari, e in generale in 1.600 strutture, soprattutto centri di accoglienza di piccole dimensioni gestisti da Caritas, Migrantes e altri enti collegati.

Quest’ospitalità, secondo la Fondazione Migrantes, è più che raddoppiata rispetto allo scorso anno (10 mila persone nei primi nove mesi del 2014). Come sostiene il suo direttore, mons. Giancarlo Perego, “dopo l’ultimo appello del Papa abbiamo verificato che risultano accolte nelle parrocchie italiane 2.500 persone, e centinaia di parrocchie stanno dando disponibilità all’accoglienza”. Da tenere presente che in Italia sono 27 mila le parrocchie potenzialmente interessate all’accoglienza dei profughi. Mentre in Europa, secondo il presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, card. Antonio Maria Vegliò, “se tutte le parrocchie europee (120 mila, ndr) aprissero le porte, almeno 600 mila migranti potrebbero essere accolti”.

Riccardo Liguori

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Tre patti per la sicurezza https://www.lavoce.it/tre-patti-per-la-sicurezza/ Wed, 08 Jul 2015 08:03:20 +0000 https://www.lavoce.it/?p=37791 La firma dei protocolli: Andrea Romizi, Antonella De Miro, Gianpiero Bocci, Catiuscia Marini, Nando Mismetti
La firma dei protocolli: Andrea Romizi, Antonella De Miro, Gianpiero Bocci, Catiuscia Marini, Nando Mismetti

Per sentirsi più al sicuro in casa propria e per strada, non basta il lavoro prezioso degli uomini e donne delle varie forze di polizia.

Servono invece l’impegno e la partecipazione attiva e coordinata degli organi dello Stato, delle istituzioni, dei cittadini e delle loro associazioni e comitati, che sempre più numerosi stanno nascendo in Umbria.

Di questo nuovo clima di “sicurezza partecipata” sono espressione i tre protocolli che venerdì scorso sono stati firmati nella Prefettura di Perugia dal sottosegretario all’Interno Gianpiero Bocci, dal prefetto Antonella De Miro, dai presidenti della Regione e della Provincia, Catiuscia Marini e Nando Mismetti, e dal sindaco perugino Andrea Romizi.

Prevedono un maggior coordinamento tra forze di polizia statali e vigili urbani e tra Stato e istituzioni locali, con scambi di informazioni frutto delle rispettive attività e banche dati, risorse fornite dalla Regione per nuovi strumenti e mezzi di trasporto e per la formazione e l’aggiornamento professionale degli operatori, controlli e vigilanza per la sicurezza del territorio anche con apparati di videosorveglianza.

Particolare attenzione verrà dedicata alla prevenzione delle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose nell’economia locale con l’esame incrociato sui contratti di appalto e sui fornitori della pubblica amministrazione, ma anche su lottizzazioni e cantieri privati e su acquisizioni e passaggi di proprietà di aziende e esercizi commerciali che potrebbero nascondere operazioni di riciclaggio di soldi della criminalità organizzata.

Il sottosegretario Bocci ha inoltre annunziato che nei mesi estivi arriveranno in Umbria una cinquantina tra carabinieri, poliziotti e operatori della Guardia di finanza.

Questi protocolli – ha detto il prefetto Antonella De Miro – sono il risultato di un “lavoro comune di tutte le istituzioni su strategie e azioni per rendere più vivibile il territorio. Contro la microcriminalità, ma anche – ha sottolineato – per alzare barriere contro il pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata nella nostra economia e nella nostra società. Protocolli – ha concluso il prefetto – che vogliono essere anche un punto di partenza per nuovi modelli operativi e organizzativi di questa sicurezza partecipata”.

La Regione – ha detto la presidente Marini – ha sottoscritto due di questi accordi: uno con il ministero dell’Interno per la sicurezza urbana in tutte le città dell’Umbria e l’altro per “Perugia sicura” insieme alla Prefettura, la Provincia e il Comune. “Siamo convinti – ha aggiunto – che questa sia la migliore strada per dare ai cittadini maggiore sicurezza, facendo ciascuno di noi la propria parte con spirito di leale collaborazione istituzionale e secondo il principio di sussidiarietà”.

Anche il sindaco Andrea Romizi ha sottolineato la “bontà” di “questo lavorare insieme” delle istituzioni ma – ha aggiunto – “è importante e fondamentale l’impegno diretto dei cittadini che vivono nelle aree critiche”.

Le statistiche – ha osservato il presidente della Provincia di Perugia, Nando Mismetti – dicono che negli ultimi anni è diminuito il numero dei reati denunciati ma i cittadini, in questi momenti di profondo disagio sociale, si sentono meno sicuri. Per questo – ha sottolineato – anche la Provincia, pur nelle tante incertezze del suo ruolo dopo la riforma dell’ente, non poteva mancare in questo progetto che vede le istituzioni e le forze di polizia “fare rete” per una risposta concreta alle preoccupazioni della gente.

Nel suo intervento il rappresentante del governo, il sottosegretario Bocci, ha detto che l’Umbria sta diventando un modello nelle politiche per la sicurezza con questo “lavorare insieme” di diversi soggetti che da “utenti diventano attori” e con la Regione che mette a disposizione risorse e servizi. Il protocollo per prevenire le infiltrazioni mafiose – ha aggiunto – “è un grande passo” e nell’insieme i tre accordi costituiscono una “bella e solida cornice” per affrontare con successo problemi e situazioni diverse, rispondendo così alla richiesta di maggiore sicurezza che arriva anche dalla gente dell’Umbria.

In sintesi

L’accordo triennale tra Regione e ministero dell’Interno per la sicurezza urbana prevede, tra l’altro, un maggiore coordinamento tra polizia, carabinieri, Guardia di finanza e vigili urbani, scambio di informazioni e sinergia tra le loro sale operative. La Regione fornirà ai vigili urbani veicoli a basso impatto ambientale e si impegnerà per il pronto utilizzo di beni confiscati alla mafia, che in Umbria sono una trentina. Beni che spesso restano per molto tempo inutilizzati per difficoltà burocratiche o perché mancano fondi per renderli agibili.

Con il protocollo biennale per prevenire le infiltrazioni mafiose, Prefettura e Comune di Perugia vigileranno insieme su appalti e contratti pubblici, anche per importi inferiori a quelli previsti dalla normativa antimafia. Accertamenti che verranno estesi anche alle attività private in settori economici ritenuti a rischio come quelli dell’edilizia e del commercio. È prevista anche un’azione comune per contrastare l’immigrazione irregolare, l’occupazione abusiva di edifici e irregolarità nella locazione di abitazioni.

È stato infine rinnovato il Patto per Perugia sicura (la prima firma è del 2008) che impegna Comune, Prefettura, Regione e Provincia. Verrà rafforzata la vigilanza delle forze di polizia non soltanto nel centro storico ma anche nelle periferie e nelle frazioni. Saranno intensificati i controlli in esercizi pubblici e abitazioni private considerate “a rischio”. Sarà potenziata la rete di videosorveglianza. La Regione, attraverso l’Ater, fornirà locali per posti di polizia nel centro storico.

Risposta importante ma insufficiente

Questi protocolli sono una risposta importante al problema altrettanto importante della sicurezza, sul quale si sono giocate tante campagne elettorali. Ma è una risposta parziale e insufficiente: un’aspirina per un malato che avrebbe bisogno di medicinali più forti.

La risposta vera è la “certezza della pena”, che in Italia non c’è. Abbiamo un Codice penale e un sistema giudiziario macchinoso e garantista a senso unico: nei confronti dell’indagato e imputato, ma non nei confronti di chi è vittima del reato. Inutile ricordare la lunghezza dei processi, con la tagliola della prescrizione e i tre gradi di giudizio necessari perché la pena diventi definitiva.

Così nell’attesa (mediamente sei anni, ma fino a dieci) di una sentenza definitiva della Cassazione, anche un imputato pluricondannato – ma formalmente incensurato – difficilmente resta a lungo in carcere. Il ladro, lo spacciatore, il rapinatore può continuare per anni a fare il suo “lavoro” e, se arrestato per l’ennesima volta, con un bravo avvocato esce dal carcere dopo pochi giorni.

Accade così che con i tanti disperati in fuga da povertà e guerre arrivano in Italia anche delinquenti che vengono a “lavorare” (spaccio, furti, ecc.) e dopo qualche anno – con qualche arresto e pochi giorni di carcere – tornano in patria con un bel gruzzolo per comprarsi una bella casa o un negozio. Alcune recenti indagini hanno dimostrato, ad esempio, che da un quartiere di Tunisi arrivano a Perugia persone che hanno già in tasca una mappa della città con i luoghi dello spaccio e i numeri di telefono di clienti e fornitori.

 

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Elezioni regionali. Nemico comune: l’astensionismo https://www.lavoce.it/nemico-comune-lastensionismo/ Thu, 28 May 2015 08:55:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=34317 elezioni-regionaliCatiuscia Marini, oppure Claudio Ricci. Ma avranno un grande peso, nell’esito finale, i consensi verso Andrea Liberati del Movimento 5 stelle, e soprattutto l’incognita – anzi l’incubo, per tanti candidati – dell’astensionismo, che potrebbe diventare il primo “partito” in Umbria.

Si dovrebbe giocare su questi fattori la poltrona di presidente della Regione Umbria per il prossimo quinquennio.

La legge elettorale regionale, tanto contestata, non prevede ballottaggi: quindi governerà chi prenderà più voti in percentuale. Basterà ottenere la maggioranza relativa per ottenere la maggioranza assoluta e guidare magari l’Umbria verso una sua aggregazione con un’altra Regione.

L’ultima settimana di campagna elettorale ha portato i big nazionali in Umbria nella convinzione – solo presunta – di suscitare qualche entusiasmo in più nell’elettorato, stanco e demotivato da una delle campagne elettorali meno coinvolgenti degli ultimi anni.

Silvio Berlusconi e Claudio Ricci
Silvio Berlusconi e Claudio Ricci

E così è arrivato ad Assisi, a sostegno di Claudio Ricci, Silvio Berlusconi , il quale si è pure rivolto a san Francesco per tentare di ripetere il “miracolo” del 2000 che portò, con il risultato delle regionali, a scalzare Massimo D’Alema da premier.

L’auspicio è che anche l’attuale primo ministro, Matteo Renzi – se sconfitto – vada a casa, perché, come al solito, il risultato delle regionali, nel nostro Paese, può influenzare la maggioranza politica che governa a livello nazionale.

Il leader di Forza Italia ha inoltre sottolineato che Ricci “ha già ottenuto un primo successo riuscendo, come prima Regione, a mettere insieme tutto il centrodestra”, osservando che “non è stato così facile, perché purtroppo la situazione attuale del centrodestra disorienta molti nostri, anche antichi, elettori”.

Nel frattempo è arrivato lo stesso Renzi a Perugia per sostenere Catiuscia Marini. “L’Umbria – ha detto il premier – è stata ben governata da Catiuscia Marini nei precedenti cinque anni.Lunedì prossimo Catiuscia sarà di nuovo alla guida di questa regione, amata da tutta l’Italia, di cui è il centro geografico e da cui è possibile una ripartenza per tutto il Paese”.

Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli
Catiuscia Marini, Matteo Renzi e Giacomo Leonelli

Ha pure ricordato quando, con il suo gruppo scout, venne a Nocera Umbra dopo il terremoto del 1997: “Mi resi conto in quella situazione di quanto questa terra fosse nel cuore di ogni italiano, che qui aveva una casa, un parente, una fidanzata. Vederla dall’elicottero mi ha fatto commuovere”.

Ma Renzi, premier ma anche segretario nazionale Pd, ha lanciato un monito: “C’è bisogno che non la diamo per vinta, l’Umbria. Qui c’è da lavorare”, fino all’ultimo, ha ricordato.

“Allora istruzioni per l’uso: prendere telefonino in mano, controllare la rubrica, fare l’elenco di persone da contattare” e “raccontiamo che nella scommessa di Catiuscia c’è la scommessa di tutti voi”.

 

I candidati:

FULVIO MAIORCA “No all’aborto, e aboliamo le Regioni”

Supportato dalla lista “Forza nuova”, Fulvio Carlo Maiorca, nato a Pisticci (Matera) nel 1937, è avvocato del Foro di Perugia. Tra le sue proposte c’è quella dell’abolizione delle Regioni e la devoluzione delle loro competenze e prerogative alla Provincia, nel quadro di un progetto di sviluppo politico dell’autonomia locale.

Per la rinascita dell’Umbria, afferma, è necessario il “richiamo dei giovani di buona volontà alle loro scelte vocazionali, per creare professionisti, artigiani, commercianti, agricoltori, allevatori che si sposino, abbiano figli, riempiano l’Umbria e siano di esempio e guida anche ai giovani immigrati i quali, per sopravvivere dignitosamente, dovranno essere preparati alla nostra cultura. E pertanto, stop immediato all’aborto e a tutte le pratiche abortive; via libera agli aiuti alle famiglie; applicazione piena dell’art. 31 della Costituzione”.

La copertura finanziaria di tali provvedimenti dovrà essere ricavata dalla riduzione dei costi della politica, dall’eliminazione delle spese inutili o superflue, di consulenze e uffici per gestire attività fantasma.

CATIUSCIA MARINI “Più fondi a sostegno delle imprese”

La Presidente uscente si avvale del supporto di 4 liste: Pd, “Umbria più uguale – Sinistra, ecologia libertà – La sinistra per l’Umbria”, “Socialisti riformisti – Territori per l’Umbria” e “Iniziativa per l’Umbria civica e popolare”.

La Marini è nata a Todi nel 1967, laureata in Scienze politiche con indirizzo internazionale. Dal 1998 al 2007 è stata sindaco di Todi per due mandati consecutivi. Nel 2007 è stata assunta come dirigente di Legacoop Umbria. Tra il 2008 e il 2009 è stata parlamentare europea. Nel 2010 è stata eletta presidente della Regione.

In tema economico, nel programma di Marini si parla di “700 milioni di euro nei prossimi anni a sostegno delle imprese agricole, industriali, dell’artigianato, del turismo, del commercio e dell’economia sociale”, di “237 milioni di euro di Fondo sociale europeo per favorire: occupazione giovanile, ritorno al lavoro dei disoccupati, riduzione delle povertà e miglioramento delle competenze dei lavoratori e delle persone”.

CLAUDIO RICCI “Case popolari, zero sprechi, sicurezza”

 

Ha sei liste in appoggio: “Ricci presidente”, “Per l’Umbria popolare con Ricci”, “Cambiare in Umbria con Ricci”, “Fratelli d’Italia – Alleanza nazionale – Ricci presidente”, Lega nord e Forza Italia. Ricci è nato a Perugia nel 1964. È ingegnere, e dal 1997 ricopre ruoli amministrativi ad Assisi, di cui è stato sindaco dal 2006 al 2015.

Tra i punti del programma riguardanti l’economia, “realizzare più case popolari assegnandole, con alcuni parametri di priorità, a chi risiede in Umbria da almeno 10 anni e dando prevalenza a famiglie numerose e con disabili”; “risparmiare nei primi 3 anni almeno il 10% (del bilancio disponibile) azzerando gli sprechi per ridurre le tasse regionali”; “l’utilizzo gratuito di internet per tutti e in particolare per imprese e giovani”. Tra gli altri punti del programma: “Priorità alla sicurezza, finanziando di più la legge regionale sulla sicurezza. Sviluppare sistemi di videocamere e centrali di controllo attive 24 ore su 24 e sostenere le associazioni di volontari per la sicurezza (al servizio delle polizie locali)”.

MICHELE VECCHIETTI “Un’alternativa reale, antiliberista, di sinistra”

È appoggiato dalla lista “L’Umbria per un’altra Europa”. Nato a Terni nel 1981, è laureato in Filosofia e ha un master in Cooperazione internazionale. Ha lavorato come operatore sociale e insegnante; attualmente è un precario del pubblico impiego.

Si propone come “un’alternativa reale, antiliberista, democratica e di sinistra, rispetto al consociativismo del centrosinistra e del centrodestra, responsabile della ‘crisi nella crisi’ della nostra regione, e della subalternità alle scelte sciagurate del governo Renzi e dell’Europa delle banche”.

Nel suo programma vi è, tra l’altro, un “piano regionale per il contrasto alla povertà, che preveda la sperimentazione di forme di reddito minimo garantito, per inoccupati e disoccupati non coperti da ammortizzatori sociali”, e un “piano regionale per il lavoro, quale strumento con cui concentrare le risorse disponibili, tanto di provenienza regionale che di natura nazionale e comunitaria”, oltre al “blocco degli sfratti per morosità incolpevole”.

SIMONE DI STEFANO “La Ast va salvata nazionalizzandola”

 

È supportato dalla lista “Sovranità – Prima gli italiani”. Di Stefano, nato a Roma nel 1976, è vice presidente nazionale del movimento politico di destra Casapound. Tra i temi principali del suo programma “sicuramente lavoro e sicurezza. L’Umbria è una regione particolare, perché i suoi problemi sono emblematici di situazioni gravi anche a livello nazionale. Pensiamo alle Acciaierie di Terni, con famiglie intere di operai abbandonate a se stesse per colpa di un Governo asservito alla Ue a alle lobby finanziarie, che intende procedere verso lo smantellamento del comparto siderurgico italiano.

Noi siamo per la nazionalizzazione, per l’intervento pubblico, per una public company partecipata da capitale della Regione perché dobbiamo essere padroni delle Acciaierie e non lasciare che i tedeschi le facciano fallire”. Tra le proposte, lo “stop all’immigrazione. In una nazione che ha il 50% di disoccupazione giovanile, non possiamo accogliere altre persone. Non possiamo destinare quei famosi 35 euro al giorno agli immigrati. Dobbiamo destinare quei fondi alla sicurezza”.

AMATO JOHN DE PAULIS “Ecco come fermare i racket criminali”

 

È appoggiato dalla lista “Alternativa riformista”. De Paulis è nato a Wilmington (Delaware, Usa) nel 1950. Biologo e medico veterinario, ha ricoperto ruoli di vertice e rappresentativi di numerose associazioni di veterinari umbri. Tra i punti più caratterizzanti del programma: “Legalizzazione e auto-coltivazione regolamentata della cannabis nonché legalizzazione, controllo sanitario e tassazione della prostituzione: le uniche vie praticabili per spezzare il crimine organizzato e la violenza associata” e “riconoscimento degli animali d’affezione come membri effettivi del nucleo familiare, tutelando i loro diritti”.

Per quanto riguarda la sanità: “Riduzione del ticket sanitario attraverso l’accorpamento delle due Asl in un’unica struttura regionale” e “costituzione di un unico centro acquisti regionale di farmaci, attrezzature e di materiale sanitario”.

In tema economico punta, tra l’altro, sulla “formazione professionale” e sull’utilizzo delle aree agricole demaniali dismesse anche a favore dell’occupazione giovanile.

AURELIO FABIANI “I due problemi sono lavoro e povertà”

 

Lo sostiene la lista “Casa rossa – Partito comunista e dei lavoratori”. Fabiani è nato a Spoleto nel 1955. Nei suoi interventi ha affermato che “in Umbria, come in tutto l’Occidente, oggi i problemi sono due: il lavoro e la povertà. Questi sono originati da grandi gruppi finanziari che hanno causato la crisi e l’hanno poi scaricata sui Paesi più deboli e sui ceti sociali più deboli.

“Anche in Umbria dobbiamo rispondere in tema di lavoro e di povertà. Una vera forza comunista è fondamentale per questo. Da quando essa manca, non l’Umbria, ma i poveri e i lavoratori dell’Umbria hanno subìto un vero massacro sociale. Ci vuole una svolta politica, e l’unico progetto utile è unire le forze che in Umbria si oppongono a questa Europa capitalista delle banche e delle multinazionali che ci strozzano e ci rubano lavoro”. Fabiani ha posto l’accento anche sul fatto che è necessario destinare risorse per l’occupazione “tagliando consulenze e appalti clientelari, per dirottare il tutto per creare lavoro”.

ANDREA LIBERATI “Lotta senza quartiere alla corruzione”

 

È il candidato della lista del Movimento 5 stelle. Liberati è nato a Terni nel 1976; è giornalista, laureato in Scienze politiche e negli ultimi anni, ricoprendo ruolo di vertice locale di “Italia nostra”, ha sollevato le principali questioni ambientali della Conca ternana (tra le quali le contaminazioni di suolo, aria, acqua e cibo e l’ampliamento della discarica Ast).

Nella campagna elettorale di Liberati è stata centrale la lotta alla corruzione. C’è una “gigantesca questione morale che attanaglia l’Umbria ormai da decenni. Una vera e propria cappa che impedisce lo sviluppo della nostra Regione, preda di interessi privatistici lontani anni luce dal bene comune e dagli interessi dei cittadini”.

Tra i principali punti del programma, “il reddito di cittadinanza regionale: 780 euro al mese per disoccupati, inoccupati e pensioni minime. Sgravi fiscali alle imprese virtuose che producono utilità sociale ed eccellenza nel mondo attraverso il reperimento di risorse da una spending review generale”.

 

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