seconda guerra mondiale Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/seconda-guerra-mondiale/ Settimanale di informazione regionale Wed, 21 Aug 2024 16:00:00 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg seconda guerra mondiale Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/seconda-guerra-mondiale/ 32 32 25 aprile. I cattolici nelle Resistenze europee https://www.lavoce.it/25-aprile-i-cattolici-nelle-resistenze-europee/ Mon, 25 Apr 2022 16:40:11 +0000 https://www.lavoce.it/?p=66399 25 aprile, i cattolici nelle resistenze partigiane

Scrivere una storia comparata della presenza dei cattolici nelle Resistenze dei vari Paesi europei: un’impresa complessa, cui si è dedicato a lungo Giorgio Vecchio, già professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Parma, presidente del Comitato scientifico dell’Istituto Alcide Cervi e di quello della Fondazione Don Primo Mazzolari. Vecchio ha speso anni di studio sulla Resistenza in Italia, con una specifica attenzione al contributo dei cattolici. Ora vede la luce, alla vigilia del 25 aprile, Il soffio dello Spirito. Cattolici nelle Resistenze europee (Ed. Viella). Un volume basato su un’ampia storiografia in più lingue e sulla rilettura della stampa clandestina, oltre che di svariate testimonianze: ne emergono le vicende di Paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, e naturalmente Italia. Professore, la Resistenza, anzi le Resistenze sono state studiate e raccontate dai primi anni del dopoguerra fino a oggi. Quale la specificità di questo suo libro? È vero, possediamo biblioteche intere sulle diverse forme di Resistenza contro l’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale. Però, quasi tutte non superano i rispettivi confini nazionali. In più, esistono gli ostacoli linguistici. Io mi sono concentrato sul comportamento dei cattolici e sulle loro scelte resistenziali. Per questo motivo ho considerato unitariamente i Paesi con una consistente o maggioritaria presenza di popolazione cattolica: quelli dell’Europa occidentale (Francia, Belgio, Paesi Bassi) e dell’Europa orientale (Polonia, Cecoslovacchia). A essi ho aggiunto l’Italia, ma anche Germania e Austria, dove la Resistenza antinazista non ha avuto per lo più risvolti armati, ma si è mossa sul piano politico e morale. È possibile, storiograficamente, “comparare” le forze resistenziali al nazi-fascismo che hanno operato nei diversi Paesi europei? La comparazione è sempre possibile e però deve tener conto di molti fattori. Anzitutto un fattore cronologico, determinato dalle fasi dell’occupazione tedesca: la Polonia è invasa nel 1939, l’Europa occidentale nel 1940, l’Urss nel 1941, l’Italia nel 1943… Esiste poi una cronologia resistenziale differente: i polacchi cercano di organizzare subito uno Stato clandestino, di straordinario rilievo; in Francia, Belgio e Paesi Bassi bisogna aspettare la svolta del 1942-1943, quando l’imposizione del lavoro obbligatorio nelle fabbriche tedesche impone di scegliere tra il sostegno diretto e personale al nemico o il passaggio alla clandestinità. In Italia, la Resistenza inizia con l’8 settembre 1943. Bisogna poi considerare i differenti comportamenti dei tedeschi, determinati da motivi razziali: l’occupazione è molto soft in Danimarca e inizialmente anche in Olanda e nelle Fiandre, mentre è spietata in Polonia e poi in Urss dove assume connotati di snazionalizzazione e di sterminio. I nazisti, inoltre, variano da politiche che lasciano vivere le strutture dello Stato esistente ad altre di diretta occupazione militare, mentre tentano altrove la strada dei governi “fantoccio”: la repubblica di Vichy in Francia, la Repubblica sociale italiana, il regime di mons. Tiso in Slovacchia o quello di Pavelić in Croazia. Cattolici e Resistenza in Europa, il tema specifico di questa ricerca: quali le motivazioni che spinsero ad opporsi al nazismo? Le motivazioni sono diverse e muovono per lo più dalla comprensione del pericolo del nazismo, anche se in tutti i Paesi occupati esiste una componente cattolica, fortunatamente marginale, che ritiene possibile una convivenza positiva con il nazismo. Invece, i cattolici più avvertiti ritengono che ciò è impossibile e contrario alla fede. Molti di loro hanno studiato a fondo l’enciclica di Pio XI del 1937, Mit brennender Sorge, e sono consapevoli dei pericoli. Penso in particolare al gruppo di gesuiti, tra cui il padre de Lubac, e di laici che in Francia dà vita ai “Cahiers du Témoignage chrétien”, che sono quaderni monografici ricchissimi di documentazione e di “contro-informazione”. La motivazione – diciamo così – religioso-morale è poi rafforzata dai convincimenti patriottici e da quelli democratici, che una parte dei cattolici europei possiede. Nel libro lei solleva la questione dell’uso delle armi: perché? Perché contesto le letture che sono state fatte negli ultimi decenni. Sommariamente, dico questo: dapprima la Resistenza è stata interpretata come un atteggiamento esclusivamente armato e a larga guida comunista; poi si sono rivalutate le forme di Resistenza “civile” e “non armata” (per esempio con l’opera di salvataggio di ebrei e perseguitati). Al punto, però, che questa seconda interpretazione – molto consona per i cattolici – ha confinato nel limbo le forme di lotta armata.In verità, i cattolici della prima metà del Novecento erano stati tutti educati all’uso delle armi. La dottrina della “guerra giusta” era pacificamente accettata e, semmai, ogni Stato e ogni episcopato la volgeva a proprio vantaggio. Perciò non esistevano e non potevano esistere forme di non-violenza o di obiezione di coscienza. Non è un caso che opposizioni del genere si siano sviluppate all’interno del Reich, dove una Resistenza armata contro Hitler era impensabile. Non solo i ragazzi della Rosa Bianca, ma anche preti come Max Josef Metzger – che uomo straordinario! – o laici come i beati Franz Jägerstätter e Josef Mayr-Nusser ci hanno lasciato un’eredità inestimabile. Il vero problema di coscienza, allora, non era quello sull’uso delle armi, ma sulla liceità o meno di usarle in mancanza di un’autorità politica legittima. Ciò vale soprattutto per gli italiani e per i francesi, mentre altrove l’esistenza di un governo clandestino o in esilio non poneva questo problema. Anche figure leggendarie (e mitizzate) come Teresio Olivelli le armi le usavano o, quanto meno, le raccoglievano per farle usare da altri. Mi viene da sorridere, in questi giorni, nel pensare che Olivelli dirigeva i tiri dei cannoni italiani per uccidere i nemici russi: ovviamente lo ricordo come un’amara battuta, visto che allora era l’Italia il Paese aggressore. Aggiungo ancora che, in tutta l’Europa occupata, conventi e canoniche nascondevano armi, senza porsi troppi scrupoli morali. C’è una “specificità italiana”, e del cattolicesimo italiano, nella vicenda resistenziale? La specificità è data dalla nostra storia: quella appunto di uno Stato aggressore (l’elenco dei Paesi che abbiamo aggredito è bello lungo…), sconfitto sul campo e poi soggetto a un brusco cambio di regime e a una duplice occupazione straniera. La presenza cattolica nella Resistenza italiana è molto più vasta e numerosa di quel che di solito si pensa: paghiamo il prezzo di troppe rimozioni degli stessi cattolici e di troppi tentativi monopolistici da parte soprattutto comunista. Esistono ampie aree del Paese dove le formazioni cattoliche erano predominanti, mescolandosi magari con resistenti provenienti dal Regio Esercito, specie dai reparti alpini. Bisogna anche uscire dagli schematismi: nelle stesse brigate Garibaldi esistevano comandanti marcatamente cattolici (Aldo Gastaldi “Bisagno” in Liguria o Luigi Pierobon “Dante” in Veneto, per dirne solo due).Le differenze tra cattolici e comunisti emergevano – non solo in Italia – nelle modalità di conduzione della lotta armata, nel maggior o minore grado di ferocia da usare o nella valutazione dei rischi di coinvolgimento della popolazione civile. La formula fortunata dei “ribelli per amore” è però stata spesso distorta, quasi che i cattolici partigiani non volessero usare le armi. Identificava invece un atteggiamento diverso nei confronti del nemico, che andava combattuto, ma non odiato e, se possibile, salvato, oltre che un riferimento alle motivazioni anzitutto morali della Resistenza, prima che politiche.

Gianni Borsa (Fonte: Agensir)

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25 aprile, i cattolici nelle resistenze partigiane

Scrivere una storia comparata della presenza dei cattolici nelle Resistenze dei vari Paesi europei: un’impresa complessa, cui si è dedicato a lungo Giorgio Vecchio, già professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Parma, presidente del Comitato scientifico dell’Istituto Alcide Cervi e di quello della Fondazione Don Primo Mazzolari. Vecchio ha speso anni di studio sulla Resistenza in Italia, con una specifica attenzione al contributo dei cattolici. Ora vede la luce, alla vigilia del 25 aprile, Il soffio dello Spirito. Cattolici nelle Resistenze europee (Ed. Viella). Un volume basato su un’ampia storiografia in più lingue e sulla rilettura della stampa clandestina, oltre che di svariate testimonianze: ne emergono le vicende di Paesi come Francia, Belgio, Paesi Bassi, Germania, Austria, Cecoslovacchia, Polonia, e naturalmente Italia. Professore, la Resistenza, anzi le Resistenze sono state studiate e raccontate dai primi anni del dopoguerra fino a oggi. Quale la specificità di questo suo libro? È vero, possediamo biblioteche intere sulle diverse forme di Resistenza contro l’occupazione tedesca durante la seconda guerra mondiale. Però, quasi tutte non superano i rispettivi confini nazionali. In più, esistono gli ostacoli linguistici. Io mi sono concentrato sul comportamento dei cattolici e sulle loro scelte resistenziali. Per questo motivo ho considerato unitariamente i Paesi con una consistente o maggioritaria presenza di popolazione cattolica: quelli dell’Europa occidentale (Francia, Belgio, Paesi Bassi) e dell’Europa orientale (Polonia, Cecoslovacchia). A essi ho aggiunto l’Italia, ma anche Germania e Austria, dove la Resistenza antinazista non ha avuto per lo più risvolti armati, ma si è mossa sul piano politico e morale. È possibile, storiograficamente, “comparare” le forze resistenziali al nazi-fascismo che hanno operato nei diversi Paesi europei? La comparazione è sempre possibile e però deve tener conto di molti fattori. Anzitutto un fattore cronologico, determinato dalle fasi dell’occupazione tedesca: la Polonia è invasa nel 1939, l’Europa occidentale nel 1940, l’Urss nel 1941, l’Italia nel 1943… Esiste poi una cronologia resistenziale differente: i polacchi cercano di organizzare subito uno Stato clandestino, di straordinario rilievo; in Francia, Belgio e Paesi Bassi bisogna aspettare la svolta del 1942-1943, quando l’imposizione del lavoro obbligatorio nelle fabbriche tedesche impone di scegliere tra il sostegno diretto e personale al nemico o il passaggio alla clandestinità. In Italia, la Resistenza inizia con l’8 settembre 1943. Bisogna poi considerare i differenti comportamenti dei tedeschi, determinati da motivi razziali: l’occupazione è molto soft in Danimarca e inizialmente anche in Olanda e nelle Fiandre, mentre è spietata in Polonia e poi in Urss dove assume connotati di snazionalizzazione e di sterminio. I nazisti, inoltre, variano da politiche che lasciano vivere le strutture dello Stato esistente ad altre di diretta occupazione militare, mentre tentano altrove la strada dei governi “fantoccio”: la repubblica di Vichy in Francia, la Repubblica sociale italiana, il regime di mons. Tiso in Slovacchia o quello di Pavelić in Croazia. Cattolici e Resistenza in Europa, il tema specifico di questa ricerca: quali le motivazioni che spinsero ad opporsi al nazismo? Le motivazioni sono diverse e muovono per lo più dalla comprensione del pericolo del nazismo, anche se in tutti i Paesi occupati esiste una componente cattolica, fortunatamente marginale, che ritiene possibile una convivenza positiva con il nazismo. Invece, i cattolici più avvertiti ritengono che ciò è impossibile e contrario alla fede. Molti di loro hanno studiato a fondo l’enciclica di Pio XI del 1937, Mit brennender Sorge, e sono consapevoli dei pericoli. Penso in particolare al gruppo di gesuiti, tra cui il padre de Lubac, e di laici che in Francia dà vita ai “Cahiers du Témoignage chrétien”, che sono quaderni monografici ricchissimi di documentazione e di “contro-informazione”. La motivazione – diciamo così – religioso-morale è poi rafforzata dai convincimenti patriottici e da quelli democratici, che una parte dei cattolici europei possiede. Nel libro lei solleva la questione dell’uso delle armi: perché? Perché contesto le letture che sono state fatte negli ultimi decenni. Sommariamente, dico questo: dapprima la Resistenza è stata interpretata come un atteggiamento esclusivamente armato e a larga guida comunista; poi si sono rivalutate le forme di Resistenza “civile” e “non armata” (per esempio con l’opera di salvataggio di ebrei e perseguitati). Al punto, però, che questa seconda interpretazione – molto consona per i cattolici – ha confinato nel limbo le forme di lotta armata.In verità, i cattolici della prima metà del Novecento erano stati tutti educati all’uso delle armi. La dottrina della “guerra giusta” era pacificamente accettata e, semmai, ogni Stato e ogni episcopato la volgeva a proprio vantaggio. Perciò non esistevano e non potevano esistere forme di non-violenza o di obiezione di coscienza. Non è un caso che opposizioni del genere si siano sviluppate all’interno del Reich, dove una Resistenza armata contro Hitler era impensabile. Non solo i ragazzi della Rosa Bianca, ma anche preti come Max Josef Metzger – che uomo straordinario! – o laici come i beati Franz Jägerstätter e Josef Mayr-Nusser ci hanno lasciato un’eredità inestimabile. Il vero problema di coscienza, allora, non era quello sull’uso delle armi, ma sulla liceità o meno di usarle in mancanza di un’autorità politica legittima. Ciò vale soprattutto per gli italiani e per i francesi, mentre altrove l’esistenza di un governo clandestino o in esilio non poneva questo problema. Anche figure leggendarie (e mitizzate) come Teresio Olivelli le armi le usavano o, quanto meno, le raccoglievano per farle usare da altri. Mi viene da sorridere, in questi giorni, nel pensare che Olivelli dirigeva i tiri dei cannoni italiani per uccidere i nemici russi: ovviamente lo ricordo come un’amara battuta, visto che allora era l’Italia il Paese aggressore. Aggiungo ancora che, in tutta l’Europa occupata, conventi e canoniche nascondevano armi, senza porsi troppi scrupoli morali. C’è una “specificità italiana”, e del cattolicesimo italiano, nella vicenda resistenziale? La specificità è data dalla nostra storia: quella appunto di uno Stato aggressore (l’elenco dei Paesi che abbiamo aggredito è bello lungo…), sconfitto sul campo e poi soggetto a un brusco cambio di regime e a una duplice occupazione straniera. La presenza cattolica nella Resistenza italiana è molto più vasta e numerosa di quel che di solito si pensa: paghiamo il prezzo di troppe rimozioni degli stessi cattolici e di troppi tentativi monopolistici da parte soprattutto comunista. Esistono ampie aree del Paese dove le formazioni cattoliche erano predominanti, mescolandosi magari con resistenti provenienti dal Regio Esercito, specie dai reparti alpini. Bisogna anche uscire dagli schematismi: nelle stesse brigate Garibaldi esistevano comandanti marcatamente cattolici (Aldo Gastaldi “Bisagno” in Liguria o Luigi Pierobon “Dante” in Veneto, per dirne solo due).Le differenze tra cattolici e comunisti emergevano – non solo in Italia – nelle modalità di conduzione della lotta armata, nel maggior o minore grado di ferocia da usare o nella valutazione dei rischi di coinvolgimento della popolazione civile. La formula fortunata dei “ribelli per amore” è però stata spesso distorta, quasi che i cattolici partigiani non volessero usare le armi. Identificava invece un atteggiamento diverso nei confronti del nemico, che andava combattuto, ma non odiato e, se possibile, salvato, oltre che un riferimento alle motivazioni anzitutto morali della Resistenza, prima che politiche.

Gianni Borsa (Fonte: Agensir)

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Inaugurate le “Pietre della memoria” https://www.lavoce.it/a-citta-di-castello-inaugurate-le-pietre-della-memoria/ Fri, 27 Aug 2021 15:09:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=61877

Le drammatiche pagine di vita scritte dai civili e dai militari deportati in Germania nel secondo conflitto mondiale, insieme all’esempio di amore e dedizione per il prossimo di monsignor Beniamino Schivo, da oggi parleranno della tragedia della guerra e dell’Olocausto alle coscienze dei tifernati e dei turisti che visiteranno la città.

Le "Pietre della memoria"

Per espressa volontà del Consiglio comunale di Città di Castello, con l’inaugurazione delle “Pietre della memoria” avvenuta la mattina del 27 agosto saranno ricordati persone e fatti indissolubilmente legati alla storia di Città di Castello, come simboli di libertà, democrazia, solidarietà. L’obiettivo è di impedire che atrocità come quelle vissute nella seconda Guerra mondiale si possano ancora ripetere, stimolando la riflessione di quanti si troveranno a percorrere i giardini del Cassero, le vicinanze della Biblioteca comunale Carducci e dell’oratorio don Bosco in via San Girolamo, dove sono state collocate le installazioni che portano a 30 i luoghi della memoria disseminati nel capoluogo e nelle frazioni del territorio comunale.

La cerimonia in "tre tappe"

“Una giornata importantissima nel segno di una iniziativa doverosa, che grazie alla volontà unanime del Consiglio comunale rende finalmente il giusto riconoscimento pubblico ai nostri concittadini deportati in Germania all’epoca del secondo conflitto mondiale e all’esperienza dell’ospedale di emergenza che venne aperto da don Beniamino Schivo per assistere malati e feriti nel drammatico periodo del passaggio del fronte”, ha commentato stamattina il presidente dell’Istituto di Storia politica e sociale Venanzio Gabriotti Alvaro Tacchini, nel corso della cerimonia in tre tappe di fronte alle “Pietre della memoria”. All’iniziativa pubblica hanno preso parte i familiari dei tifernati a cui sono dedicate le targhe commemorative, il sindaco Bacchetta con il vescovo Domenico Cancian, amministratori e consiglieri comunali, esponenti delle associazioni che rappresentano le vittime di tutte le guerre e gli ideali della resistenza, autorità militari cittadine.

Il ricordo delle vittime dei rastrellamenti

La parola “presente” pronunciata alla declamazione di ognuno dei nomi stampati sulle targhe ha commosso e unito tutti i partecipanti, ridando quasi una presenza fisica a persone scomparse da tanti anni, vittime dei rastrellamenti che i militari tedeschi effettuarono nel 1944 e dei successivi internamenti nei lager.

Ai Giardini del Cassero la targa commemorativa di 34 militari tifernati

Costretti al lavoro forzato, morirono nei campi di concentramento o dopo il ritorno in patria per le conseguenze delle sofferenze patite nel periodo della detenzione. Le pietra della memoria collocata ai giardini del Cassero insieme alla targa commemorativa ricorderà d’ora in poi il sacrificio di 34 militari tifernati: Ruggero Bagnini; Gino Balicchi; Pasquale Battisti; Enrico Bellucci; Renato Besi; Luigi Bianconi; Remo Coltrioli; Aldo Falcinelli; Lazzaro Forti; Giovanni Festucci; Giuseppe Gineprini; Gettulio Giornelli; Ubaldo Giornelli; Antonio Grasselli; Brunetto Gualtieri; Amedeo Guerrucci; Corrado Landi; Orlando Marinelli; Nello Marzi; Cesare Meoni; Luigi Meozzi; Giuseppe Monaldi; Alfredo Nestri; Luigi Paoloni; Ubaldo Paolucci; Pietro Pasqui; Pierino Peccioloni; Pietro Petrani; Carlo Rossi; Pietro Rossi; Plinio Rossi; Aurelio Segapeli; Ferdinando Tibulli; Antonio Zangarelli. Presso l’ingresso della Biblioteca comunale Carducci, in piazza del Marchese Paolo, saranno commemorati sei civili: Angiolo Bruschi, Cesare Falleri; Ivreo Giuseppini; Armando Polpettini; Angelo Stocchi; Primo Tacchini.

L'oratorio Don Bosco e l'ospedale di emergenza, il contributo di mons. Beniamino Schivo

All’oratorio don Bosco in via san Girolamo sarà invece ricordata l’esperienza dell’ospedale di emergenza allestito nel 1944 dopo lo sfollamento della popolazione di Città di Castello imposto dai militari tedeschi, che rimase operativo fino alla liberazione della città. Con essa sarà messa in rilievo la figura di mons. Beniamino Schivo, che da direttore del seminario vescovile fu promotore dell’allestimento della struttura di accoglienza, nella quale lavorarono cinque suore delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore.

La ricerca storica a cura dell'Istituto Gabriotti

La definizione dei testi e delle collocazioni delle “Pietre della memoria” è stata affidata a un gruppo di studio coordinato dall’Istituto Gabriotti, che ha curato la ricerca storica finalizzata alla divulgazione dei fatti e delle vicende umane.   Le immagini della cerimonia [gallery ids="61895,61896,61897,61898,61899,61900,61901,61902"]]]>

Le drammatiche pagine di vita scritte dai civili e dai militari deportati in Germania nel secondo conflitto mondiale, insieme all’esempio di amore e dedizione per il prossimo di monsignor Beniamino Schivo, da oggi parleranno della tragedia della guerra e dell’Olocausto alle coscienze dei tifernati e dei turisti che visiteranno la città.

Le "Pietre della memoria"

Per espressa volontà del Consiglio comunale di Città di Castello, con l’inaugurazione delle “Pietre della memoria” avvenuta la mattina del 27 agosto saranno ricordati persone e fatti indissolubilmente legati alla storia di Città di Castello, come simboli di libertà, democrazia, solidarietà. L’obiettivo è di impedire che atrocità come quelle vissute nella seconda Guerra mondiale si possano ancora ripetere, stimolando la riflessione di quanti si troveranno a percorrere i giardini del Cassero, le vicinanze della Biblioteca comunale Carducci e dell’oratorio don Bosco in via San Girolamo, dove sono state collocate le installazioni che portano a 30 i luoghi della memoria disseminati nel capoluogo e nelle frazioni del territorio comunale.

La cerimonia in "tre tappe"

“Una giornata importantissima nel segno di una iniziativa doverosa, che grazie alla volontà unanime del Consiglio comunale rende finalmente il giusto riconoscimento pubblico ai nostri concittadini deportati in Germania all’epoca del secondo conflitto mondiale e all’esperienza dell’ospedale di emergenza che venne aperto da don Beniamino Schivo per assistere malati e feriti nel drammatico periodo del passaggio del fronte”, ha commentato stamattina il presidente dell’Istituto di Storia politica e sociale Venanzio Gabriotti Alvaro Tacchini, nel corso della cerimonia in tre tappe di fronte alle “Pietre della memoria”. All’iniziativa pubblica hanno preso parte i familiari dei tifernati a cui sono dedicate le targhe commemorative, il sindaco Bacchetta con il vescovo Domenico Cancian, amministratori e consiglieri comunali, esponenti delle associazioni che rappresentano le vittime di tutte le guerre e gli ideali della resistenza, autorità militari cittadine.

Il ricordo delle vittime dei rastrellamenti

La parola “presente” pronunciata alla declamazione di ognuno dei nomi stampati sulle targhe ha commosso e unito tutti i partecipanti, ridando quasi una presenza fisica a persone scomparse da tanti anni, vittime dei rastrellamenti che i militari tedeschi effettuarono nel 1944 e dei successivi internamenti nei lager.

Ai Giardini del Cassero la targa commemorativa di 34 militari tifernati

Costretti al lavoro forzato, morirono nei campi di concentramento o dopo il ritorno in patria per le conseguenze delle sofferenze patite nel periodo della detenzione. Le pietra della memoria collocata ai giardini del Cassero insieme alla targa commemorativa ricorderà d’ora in poi il sacrificio di 34 militari tifernati: Ruggero Bagnini; Gino Balicchi; Pasquale Battisti; Enrico Bellucci; Renato Besi; Luigi Bianconi; Remo Coltrioli; Aldo Falcinelli; Lazzaro Forti; Giovanni Festucci; Giuseppe Gineprini; Gettulio Giornelli; Ubaldo Giornelli; Antonio Grasselli; Brunetto Gualtieri; Amedeo Guerrucci; Corrado Landi; Orlando Marinelli; Nello Marzi; Cesare Meoni; Luigi Meozzi; Giuseppe Monaldi; Alfredo Nestri; Luigi Paoloni; Ubaldo Paolucci; Pietro Pasqui; Pierino Peccioloni; Pietro Petrani; Carlo Rossi; Pietro Rossi; Plinio Rossi; Aurelio Segapeli; Ferdinando Tibulli; Antonio Zangarelli. Presso l’ingresso della Biblioteca comunale Carducci, in piazza del Marchese Paolo, saranno commemorati sei civili: Angiolo Bruschi, Cesare Falleri; Ivreo Giuseppini; Armando Polpettini; Angelo Stocchi; Primo Tacchini.

L'oratorio Don Bosco e l'ospedale di emergenza, il contributo di mons. Beniamino Schivo

All’oratorio don Bosco in via san Girolamo sarà invece ricordata l’esperienza dell’ospedale di emergenza allestito nel 1944 dopo lo sfollamento della popolazione di Città di Castello imposto dai militari tedeschi, che rimase operativo fino alla liberazione della città. Con essa sarà messa in rilievo la figura di mons. Beniamino Schivo, che da direttore del seminario vescovile fu promotore dell’allestimento della struttura di accoglienza, nella quale lavorarono cinque suore delle Piccole Ancelle del Sacro Cuore.

La ricerca storica a cura dell'Istituto Gabriotti

La definizione dei testi e delle collocazioni delle “Pietre della memoria” è stata affidata a un gruppo di studio coordinato dall’Istituto Gabriotti, che ha curato la ricerca storica finalizzata alla divulgazione dei fatti e delle vicende umane.   Le immagini della cerimonia [gallery ids="61895,61896,61897,61898,61899,61900,61901,61902"]]]>
A Collevalenza festa per madre Speranza. Messa con il Cardinale Bassetti https://www.lavoce.it/a-collevalenza-festa-per-madre-speranza-messa-con-il-cardinale-bassetti/ Fri, 29 May 2020 16:20:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57247

Domenica 31 maggio, Solennità di Pentecoste, alle ore 18, nella basilica del Santuario dell’Amore Misericordioso in Collevalenza di Todi, si terrà una solenne concelebrazione eucaristica per il 6° anniversario della beatificazione di Madre Speranza di Gesù. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, e si svolgerà nel rispetto delle misure di sicurezza a seguito dell’emergenza sanitaria.

Il racconto di una amicizia spirituale

Ci parla di Madre Speranza, una delle figure di santità del nostro tempo più note e venerate in Umbria e nel mondo, mons. Mario Ceccobelli, vescovo emerito di Gubbio, ospite della comunità dei Figli dell'Amore Misericordiioso a Collevalenza dove ha scelto di vivere al termine del suo ministero episcopale eugubino. Ceccobelli,  originario di Marsciano e per lunghi anni vicario generale dell’Archidiocesi di Perugia, ha conosciuto personalmente Madre Speranza ed ha stretto nel tempo intensi legami di amicizia e di spiritualità con le due congregazioni fondate dalla Madre: i Figli dell’Amore Misericordioso e le Ancelle dell’Amore Misericordioso. Mons. Ceccobelli traccia un breve ricordo della beata Speranza di Gesù, definendola «una delle grandi donne del ‘900», si sofferma su cosa questa Santa avrebbe detto oggi, al tempo del “Coronavirus, a tutti i suoi “figli”. «Madre Speranza, che era una donna molto pratica – sottolinea mons. Ceccobelli –, potremmo dire una mamma di famiglia, che si preoccupava di tutto dei suoi figli, oggi credo avrebbe detto: “Figli miei, fatevi santi”.  Vuole dire: “non vi lasciate catturare dalle realtà del mondo, dai pericoli del mondo, dalle paure del mondo ”. [gallery ids="17949,17934,25127,25132,25128,18498,44087,42070,54671,49883"] Anche questo virus, che ha creato una depressione generale, un allarme, per Madre Speranza sarebbe stato colto come una esperienza di vita, seppur sofferta e difficile, per dirci: “figli miei ricordatevi che siete fatti per il Cielo, non per la terra”». «La Madre – continua il vescovo – aveva con Gesù un rapporto molto immediato, molto familiare, lei ci parlava come io parlo con te! Lo chiamava “Figlio mio”, è curioso ; il diario della Madre è bellissimo... La Madre era quella donna saggia che sapeva guardare la realtà umana e la sapeva leggere scrutandola dall’alto, con gli occhi della fede più che con le preoccupazioni del mondo». Ceccobelli racconta dei suoi primi viaggi a Collevalenza. «Io ho conosciuto Madre Speranza negli anni ’60, perché uno dei primi preti della Diocesi di Perugia, se non il primo a frequentare Collevalenza, fu proprio il mio parroco. Io sono nato a Marsciano, vivevo lì, e il parroco era don Arsenio Ambrogi e, per vie misteriose, la Madre l’ha portato con sé. Adesso sarebbe lungo raccontare tutta la storia, ma io da allora - avevo 14 anni -, quando lui lasciò la parrocchia, ho iniziato a conoscere il Santuario vedendolo crescere ed oggi mi sento di famiglia. Ho sempre pensato che questa sarebbe stata la mia ultima destinazione e devo dire che i religiosi mi hanno accolto con piena disponibilità e vivo con loro la vita della comunità».

La giornata al Santuario

Mons. Ceccobelli conclude raccontando come trascorre la giornata al Santuario. «La mattina, alle 7, abbiamo le lodi e poi la meditazione. Alle 8 la colazione e alle 9 io e gli altri sacerdoti addetti alle confessioni ci mettiamo a disposizione dei pellegrini. Poi abbiamo l’ora media e all’una il pranzo. Nel pomeriggio, alle 15,30, ci rendiamo ancora disponibili per le confessioni e alle 18 abbiamo il vespro, il rosario, l’adorazione e alle 19,30 la cena». Ma prova anche un po’ di nostalgia per la Chiesa che lo ha generato nella fede, quella Perugia-Città della Pieve, e per la Chiesa che lo ha avuto suo Pastore, quella di Gubbio. «Io porto con me – commenta il vescovo – la Chiesa madre che mi ha generato come figlio di Dio, e la Chiesa mia sposa, che mi è stata consegnata e che io ho custodito come ho saputo fare e che adesso è custodita, servita e amata dal vescovo Luciano, che sta facendo un buon lavoro pastorale e io sono veramente contento di avere un successore bravo, sicuramente più bravo di me». R.L. - AM.An Leggi anche la testimonianza del vescovo Domenico Cancian, Fam “La presto-beata Madre Speranza nei ricordi di mons. Cancian”]]>

Domenica 31 maggio, Solennità di Pentecoste, alle ore 18, nella basilica del Santuario dell’Amore Misericordioso in Collevalenza di Todi, si terrà una solenne concelebrazione eucaristica per il 6° anniversario della beatificazione di Madre Speranza di Gesù. La celebrazione sarà presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, e si svolgerà nel rispetto delle misure di sicurezza a seguito dell’emergenza sanitaria.

Il racconto di una amicizia spirituale

Ci parla di Madre Speranza, una delle figure di santità del nostro tempo più note e venerate in Umbria e nel mondo, mons. Mario Ceccobelli, vescovo emerito di Gubbio, ospite della comunità dei Figli dell'Amore Misericordiioso a Collevalenza dove ha scelto di vivere al termine del suo ministero episcopale eugubino. Ceccobelli,  originario di Marsciano e per lunghi anni vicario generale dell’Archidiocesi di Perugia, ha conosciuto personalmente Madre Speranza ed ha stretto nel tempo intensi legami di amicizia e di spiritualità con le due congregazioni fondate dalla Madre: i Figli dell’Amore Misericordioso e le Ancelle dell’Amore Misericordioso. Mons. Ceccobelli traccia un breve ricordo della beata Speranza di Gesù, definendola «una delle grandi donne del ‘900», si sofferma su cosa questa Santa avrebbe detto oggi, al tempo del “Coronavirus, a tutti i suoi “figli”. «Madre Speranza, che era una donna molto pratica – sottolinea mons. Ceccobelli –, potremmo dire una mamma di famiglia, che si preoccupava di tutto dei suoi figli, oggi credo avrebbe detto: “Figli miei, fatevi santi”.  Vuole dire: “non vi lasciate catturare dalle realtà del mondo, dai pericoli del mondo, dalle paure del mondo ”. [gallery ids="17949,17934,25127,25132,25128,18498,44087,42070,54671,49883"] Anche questo virus, che ha creato una depressione generale, un allarme, per Madre Speranza sarebbe stato colto come una esperienza di vita, seppur sofferta e difficile, per dirci: “figli miei ricordatevi che siete fatti per il Cielo, non per la terra”». «La Madre – continua il vescovo – aveva con Gesù un rapporto molto immediato, molto familiare, lei ci parlava come io parlo con te! Lo chiamava “Figlio mio”, è curioso ; il diario della Madre è bellissimo... La Madre era quella donna saggia che sapeva guardare la realtà umana e la sapeva leggere scrutandola dall’alto, con gli occhi della fede più che con le preoccupazioni del mondo». Ceccobelli racconta dei suoi primi viaggi a Collevalenza. «Io ho conosciuto Madre Speranza negli anni ’60, perché uno dei primi preti della Diocesi di Perugia, se non il primo a frequentare Collevalenza, fu proprio il mio parroco. Io sono nato a Marsciano, vivevo lì, e il parroco era don Arsenio Ambrogi e, per vie misteriose, la Madre l’ha portato con sé. Adesso sarebbe lungo raccontare tutta la storia, ma io da allora - avevo 14 anni -, quando lui lasciò la parrocchia, ho iniziato a conoscere il Santuario vedendolo crescere ed oggi mi sento di famiglia. Ho sempre pensato che questa sarebbe stata la mia ultima destinazione e devo dire che i religiosi mi hanno accolto con piena disponibilità e vivo con loro la vita della comunità».

La giornata al Santuario

Mons. Ceccobelli conclude raccontando come trascorre la giornata al Santuario. «La mattina, alle 7, abbiamo le lodi e poi la meditazione. Alle 8 la colazione e alle 9 io e gli altri sacerdoti addetti alle confessioni ci mettiamo a disposizione dei pellegrini. Poi abbiamo l’ora media e all’una il pranzo. Nel pomeriggio, alle 15,30, ci rendiamo ancora disponibili per le confessioni e alle 18 abbiamo il vespro, il rosario, l’adorazione e alle 19,30 la cena». Ma prova anche un po’ di nostalgia per la Chiesa che lo ha generato nella fede, quella Perugia-Città della Pieve, e per la Chiesa che lo ha avuto suo Pastore, quella di Gubbio. «Io porto con me – commenta il vescovo – la Chiesa madre che mi ha generato come figlio di Dio, e la Chiesa mia sposa, che mi è stata consegnata e che io ho custodito come ho saputo fare e che adesso è custodita, servita e amata dal vescovo Luciano, che sta facendo un buon lavoro pastorale e io sono veramente contento di avere un successore bravo, sicuramente più bravo di me». R.L. - AM.An Leggi anche la testimonianza del vescovo Domenico Cancian, Fam “La presto-beata Madre Speranza nei ricordi di mons. Cancian”]]>
Ponte San Giovanni. L’inaugurazione del restaurato monumento ai Caduti https://www.lavoce.it/ponte-san-giovanni-monumento-caduti/ Sat, 15 Sep 2018 12:00:08 +0000 https://www.lavoce.it/?p=52832 monumento caduti

Durante la Seconda guerra mondiale Ponte San Giovanni, in quanto importante snodo ferroviario, subì continui e pesanti bombardamenti da parte dell’Aviazione anglo-americana, tanto che fu quasi completamente distrutta. Anche le truppe tedesche in ritirata contribuirono alla distruzione piazzando cariche esplosive. Numerosi furono i morti sotto i bombardamenti. A ricordarli - insieme a tutti coloro che perirono nelle guerre precedenti - è il Monumento ai caduti situato lungo via del Ponte Vecchio.

Realizzato in travertino, a forma di obelisco, il monumento fu costruito nel 1921 in memoria delle vittime belliche di Ponte San Giovanni e Pieve di Campo. Ai lati è rivestito da quattro lastre commemorative su cui sono riportati i nomi dei caduti della Prima guerra d’indipendenza, e della Prima e della Seconda guerra mondiale.

Venerdì 7 settembre, nel corso di una cerimonia alla presenza del sindaco Andrea Romizi, è stato inaugurato il restauro del monumento, avvenuto grazie all’Art bonus e al mecenatismo dei fratelli Antonello e Giuseppe Palmerini della Palmerini Group di Ponte San Giovanni. Il lavoro è stato effettuato dalla ditta Coobec di Spoleto, per un importo di 11.500 euro.

“Il monumento ha per noi un significato particolare – hanno sottolineato i fratelli Palmerini nel corso della cerimonia. – La nostra famiglia abitava qui vicino; il centro storico del paese in passato era infatti qui, e le famiglie dei caduti le conosciamo tutti a Ponte San Giovanni, per cui era davvero importante per noi recuperare la memoria di questi morti”.

Secondo quanto ha scritto Luigi Messini nelle sue due pubblicazioni su Ponte San Giovanni, il primo bombardamento sul paese avvenne il 19 dicembre 1943 e colpì la ferrovia. Ne seguirono altri con lo stesso obiettivo, mentre in seguito fu colpito il ponte nuovo sul Tevere, il molino Pastificio e alcune ville in località Montevile – scrive ancora Messini – perché risultava che lì ci fossero stazioni radio gestite dai tedeschi.

Numerose furono le vittime, quando il paese stava già sfollando. I bombardamenti proseguirono fino alla fine della guerra, distruggendo il cimitero e gli edifici del centro più antico del paese nei pressi del ponte vecchio, come il medievale porticato “le Logge”, ritrovo dei giovani. Il 12 giugno 1944 un terrificante bombardamento distrusse le arcate del ponte vecchio. Fu colpita anche l’antica vicina chiesa e distrutto il campanile. Memorie e date di quei giorni che Messini riporta grazie alle testimonianze scritte lasciate nel diario del padre, “ingegnere Clemente, già ufficiale di complemento del Genio militare nella guerra 15-18, che visse quei momenti”.

Nel corso della cerimonia di inaugurazione l’attore Leandro Corbucci, dopo la lettura di alcuni testi, ha ricordato, uno ad uno, i nomi dei caduti iscritti nel monumento. Il coro del Cai “Colle del Sole”, diretto dal maestro Paolo Ciacci, ha reso più suggestivo il momento cantando brani legati alla Grande guerra. Erano presenti anche i rappresentanti di alcune associazioni combattentistiche e delle forze dell’ordine.

Grazie all’opera di restauro e ripulitura dell’area verde, ora il monumento è ben visibile a chi passa lungo la strada, come ha sottolineato la consigliera comunale Lorena Pittola . Il sindaco Romizi ha commentato: “Un altro monumento che è stato restaurato con Art bonus, e che è legato a un affetto, a un sentimento, come è successo per molti altri beni restaurati in città. I fondi raccolti a Perugia con l’Art bonus equivalgono a quelli di intere altre regioni, facendone un esempio a livello nazionale”. Dopo lo scoprimento dell’opera è seguita la benedizione da parte del parroco don Gianluca Alunni.

Manuela Acito

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monumento caduti

Durante la Seconda guerra mondiale Ponte San Giovanni, in quanto importante snodo ferroviario, subì continui e pesanti bombardamenti da parte dell’Aviazione anglo-americana, tanto che fu quasi completamente distrutta. Anche le truppe tedesche in ritirata contribuirono alla distruzione piazzando cariche esplosive. Numerosi furono i morti sotto i bombardamenti. A ricordarli - insieme a tutti coloro che perirono nelle guerre precedenti - è il Monumento ai caduti situato lungo via del Ponte Vecchio.

Realizzato in travertino, a forma di obelisco, il monumento fu costruito nel 1921 in memoria delle vittime belliche di Ponte San Giovanni e Pieve di Campo. Ai lati è rivestito da quattro lastre commemorative su cui sono riportati i nomi dei caduti della Prima guerra d’indipendenza, e della Prima e della Seconda guerra mondiale.

Venerdì 7 settembre, nel corso di una cerimonia alla presenza del sindaco Andrea Romizi, è stato inaugurato il restauro del monumento, avvenuto grazie all’Art bonus e al mecenatismo dei fratelli Antonello e Giuseppe Palmerini della Palmerini Group di Ponte San Giovanni. Il lavoro è stato effettuato dalla ditta Coobec di Spoleto, per un importo di 11.500 euro.

“Il monumento ha per noi un significato particolare – hanno sottolineato i fratelli Palmerini nel corso della cerimonia. – La nostra famiglia abitava qui vicino; il centro storico del paese in passato era infatti qui, e le famiglie dei caduti le conosciamo tutti a Ponte San Giovanni, per cui era davvero importante per noi recuperare la memoria di questi morti”.

Secondo quanto ha scritto Luigi Messini nelle sue due pubblicazioni su Ponte San Giovanni, il primo bombardamento sul paese avvenne il 19 dicembre 1943 e colpì la ferrovia. Ne seguirono altri con lo stesso obiettivo, mentre in seguito fu colpito il ponte nuovo sul Tevere, il molino Pastificio e alcune ville in località Montevile – scrive ancora Messini – perché risultava che lì ci fossero stazioni radio gestite dai tedeschi.

Numerose furono le vittime, quando il paese stava già sfollando. I bombardamenti proseguirono fino alla fine della guerra, distruggendo il cimitero e gli edifici del centro più antico del paese nei pressi del ponte vecchio, come il medievale porticato “le Logge”, ritrovo dei giovani. Il 12 giugno 1944 un terrificante bombardamento distrusse le arcate del ponte vecchio. Fu colpita anche l’antica vicina chiesa e distrutto il campanile. Memorie e date di quei giorni che Messini riporta grazie alle testimonianze scritte lasciate nel diario del padre, “ingegnere Clemente, già ufficiale di complemento del Genio militare nella guerra 15-18, che visse quei momenti”.

Nel corso della cerimonia di inaugurazione l’attore Leandro Corbucci, dopo la lettura di alcuni testi, ha ricordato, uno ad uno, i nomi dei caduti iscritti nel monumento. Il coro del Cai “Colle del Sole”, diretto dal maestro Paolo Ciacci, ha reso più suggestivo il momento cantando brani legati alla Grande guerra. Erano presenti anche i rappresentanti di alcune associazioni combattentistiche e delle forze dell’ordine.

Grazie all’opera di restauro e ripulitura dell’area verde, ora il monumento è ben visibile a chi passa lungo la strada, come ha sottolineato la consigliera comunale Lorena Pittola . Il sindaco Romizi ha commentato: “Un altro monumento che è stato restaurato con Art bonus, e che è legato a un affetto, a un sentimento, come è successo per molti altri beni restaurati in città. I fondi raccolti a Perugia con l’Art bonus equivalgono a quelli di intere altre regioni, facendone un esempio a livello nazionale”. Dopo lo scoprimento dell’opera è seguita la benedizione da parte del parroco don Gianluca Alunni.

Manuela Acito

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Grazie, Presidente! https://www.lavoce.it/grazie-presidente/ Sun, 04 Feb 2018 08:33:10 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51158 logo abat jour, rubrica settimanale

di Angelo M. Fanucci Scrivo oggi sabato 27 gennaio 2018, Giornata della Memoria. Il 27 gennaio 1945 l’Armata rossa, accolta da un gruppetto di esseri umani scheletriti e con gli occhi pieni di orrore, entrò nel campo di concentramento di Auschwitz, nome tedesco di Oswiecim, cittadina della Polonia meridionale. Il 29 aprile successivo, il giorno prima che Hitler si suicidasse, l’esercito Usa entrò a Dachau, in Baviera, a 20 km da Monaco. A Dachau gli americani, che sentivano le tremende imprese compiute dai tedeschi come un errore tragico, sì, ma pur sempre compiuto da un “ariano” come loro, cancellarono tutte le tracce del genocidio che potevano essere cancellate: praticamente solo i forni crematori rimasero intatti. Ad Auschwitz invece i russi, che da anni si portavano dentro un odio mostruoso contro i tedeschi che avevano ammazzato 23 milioni di loro connazionali, soprattutto giovani, non alterarono nemmeno il più piccolo particolare del pauroso paesaggio del campo. Fotografarono tutto: migliaia di foto, le più terrificanti delle quali venero proiettate durante il processo di Norimberga, quando i massimi responsabili del nazismo vennero condannati a morte. Era toccata anche a Mussolini, la morta ignominiosa che la storia gli aveva assegnato. Di nazismo, di fascismo e soprattutto di “razza” non si sarebbe dovuto mai più parlare. E invece, appena qualche giorno fa, il leghista Attilio Fontana, candidato della Lega alla presidenza della Regione Lombardia, ha rivendicato l’articolo 3 della Costituzione per dare fiato al suo discorso a difesa della razza bianca, in pericolo di estinzione a causa delle ondate dei migranti. Ma stavolta è intervenuto di persona il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’entrata a piedi pari, come si dice in gergo calcistico, a sconfessare i troppi che ancora oggi rimpiangono il vergognoso Ventennio come “il tempo in cui i treni arrivavano in orario”, niente meno! Sergio Mattarella ha avuto parole durissime per le colpe del fascismo, per le leggi razziali e le grevi persecuzioni di ebrei legalizzate nel 1938. “Un regime - dichiara - che non ebbe alcun merito”, e nel quale “la caccia agli ebrei non fu affatto una deviazione, ma fu insita stessa alla natura violenta e intollerante di quel sistema”. Altro che treni che arrivano in orario! La guerra e il razzismo erano il cuore di quell’orrendo regime, fatto di prevaricazioni e persecuzioni, che fu il fascismo. Ma attenzione al rischio che si possano di nuovo spalancare le porte dell’abisso. Non deve accadere. “La nostra società ha gli anticorpi per evitarlo, ma spetta a ciascuno di noi operare per impegnarsi per impedire che il passato possa tornare”. Matteo Salvini è molto di più - e molto di meno - di un simpatico pupazzo che vuole sistemarsi a palazzo Ghigi. Grazie, Presidente!]]>
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di Angelo M. Fanucci Scrivo oggi sabato 27 gennaio 2018, Giornata della Memoria. Il 27 gennaio 1945 l’Armata rossa, accolta da un gruppetto di esseri umani scheletriti e con gli occhi pieni di orrore, entrò nel campo di concentramento di Auschwitz, nome tedesco di Oswiecim, cittadina della Polonia meridionale. Il 29 aprile successivo, il giorno prima che Hitler si suicidasse, l’esercito Usa entrò a Dachau, in Baviera, a 20 km da Monaco. A Dachau gli americani, che sentivano le tremende imprese compiute dai tedeschi come un errore tragico, sì, ma pur sempre compiuto da un “ariano” come loro, cancellarono tutte le tracce del genocidio che potevano essere cancellate: praticamente solo i forni crematori rimasero intatti. Ad Auschwitz invece i russi, che da anni si portavano dentro un odio mostruoso contro i tedeschi che avevano ammazzato 23 milioni di loro connazionali, soprattutto giovani, non alterarono nemmeno il più piccolo particolare del pauroso paesaggio del campo. Fotografarono tutto: migliaia di foto, le più terrificanti delle quali venero proiettate durante il processo di Norimberga, quando i massimi responsabili del nazismo vennero condannati a morte. Era toccata anche a Mussolini, la morta ignominiosa che la storia gli aveva assegnato. Di nazismo, di fascismo e soprattutto di “razza” non si sarebbe dovuto mai più parlare. E invece, appena qualche giorno fa, il leghista Attilio Fontana, candidato della Lega alla presidenza della Regione Lombardia, ha rivendicato l’articolo 3 della Costituzione per dare fiato al suo discorso a difesa della razza bianca, in pericolo di estinzione a causa delle ondate dei migranti. Ma stavolta è intervenuto di persona il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un’entrata a piedi pari, come si dice in gergo calcistico, a sconfessare i troppi che ancora oggi rimpiangono il vergognoso Ventennio come “il tempo in cui i treni arrivavano in orario”, niente meno! Sergio Mattarella ha avuto parole durissime per le colpe del fascismo, per le leggi razziali e le grevi persecuzioni di ebrei legalizzate nel 1938. “Un regime - dichiara - che non ebbe alcun merito”, e nel quale “la caccia agli ebrei non fu affatto una deviazione, ma fu insita stessa alla natura violenta e intollerante di quel sistema”. Altro che treni che arrivano in orario! La guerra e il razzismo erano il cuore di quell’orrendo regime, fatto di prevaricazioni e persecuzioni, che fu il fascismo. Ma attenzione al rischio che si possano di nuovo spalancare le porte dell’abisso. Non deve accadere. “La nostra società ha gli anticorpi per evitarlo, ma spetta a ciascuno di noi operare per impegnarsi per impedire che il passato possa tornare”. Matteo Salvini è molto di più - e molto di meno - di un simpatico pupazzo che vuole sistemarsi a palazzo Ghigi. Grazie, Presidente!]]>
L’Onu esiste? Un atto di fede https://www.lavoce.it/lonu-esiste-un-atto-di-fede/ Thu, 01 Oct 2015 10:11:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43587 puntoUna battuta circolata dopo la visita al Palazzo di vetro dice: “La fede di Papa Francesco è immensa: crede nell’esistenza dell’Onu”. Una battuta, ma… esiste davvero l’Onu? Certamente sì, come luogo dove i rappresentanti di tutti gli Stati si riuniscono per discutere dei problemi del mondo. Ma se ci si immagina l’Onu come il luogo in cui, oltre a discutere, si prendono decisioni che hanno un qualche peso, e di conseguenza una qualche utilità, questo è molto più dubbio.

Molti pensano che si dovrebbero cambiare le regole che risalgono al 1945, tra cui quella che riserva un peso determinante al voto dei cinque vincitori della Seconda guerra mondiale (Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina).

Ma, con o senza il diritto di veto dei cinque Grandi, il punto debole sta nel fatto che le decisioni collegiali non hanno un valore imperativo nei confronti dei singoli Stati. Ciascuno di essi conserva la sua sovranità, e le segue nella misura in cui gli fa comodo.

La stessa Unione europea, che pure è enormemente più avanti da questo punto di vista, in pratica è come un condominio nel quale si decidono cose come la pulizia delle scale, ma per le cose che contano ognuno è padrone in casa sua (vedi la politica sull’immigrazione). D’altra parte, come si fa a trasformare l’Onu in un’assemblea veramente democratica?

Se si contasse un voto per ogni Stato, la maggioranza la farebbe la miriade di Paesi piccoli e piccolissimi, che però non hanno un vero peso economico e politico, e quindi si farebbero corrompere dall’una o dall’altra delle grandi potenze. Se si votasse invece a suffragio popolare universale, Cina, India, Indonesia e Pakistan, per dire, farebbero insieme da soli 3 miliardi di abitanti, mentre i 28 membri dell’Ue ne metterebbero insieme sì e no mezzo miliardo.

In questa situazione, solo per mettersi d’accordo sulle regole del voto per eleggere il futuro Parlamento mondiale si dovrebbe discutere un secolo e non se ne arriverebbe a capo. Davvero ci vuole la fede di Papa Francesco!

 

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La rivincita delle periferie https://www.lavoce.it/la-rivincita-delle-periferie/ Thu, 24 Sep 2015 09:30:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=43495 C’era una volta il “terzo mondo”. E naturalmente, c’erano anche il primo e il secondo, ma nel linguaggio comune si parlava solo del terzo. Era un modo di dire che nasceva dalla divisione del mondo in due blocchi contrapposti: la guerra fredda, durata dalla fine della Seconda guerra mondiale al 1990 circa. I due blocchi erano le due alleanze che facevano capo rispettivamente agli Stati Uniti d’America e all’Unione Sovietica; e questi erano i protagonisti sulla scena mondiale nonché, si credeva, della storia futura.

Poi c’erano tutti gli altri: i non allineati, il terzo mondo, appunto. I Paesi del terzo mondo erano i poveri, i sottosviluppati, i morti di fame (letteralmente), quelli che non contavano. Erano terzo mondo l’Africa, l’America Latina, l’India, il Sudest asiatico. Poiché le parole “terzo mondo” avevano un riflesso spregiativo, si cominciò a usare in alternativa l’espressione “Sud del mondo”; ma la realtà era sempre la stessa.

Poi a un certo punto il terzo mondo, il Sud del mondo, ha cominciato a muoversi e a crescere. Chi non se ne fosse ancora accorto, se ne accorge ora grazie a Papa Francesco. Lui in quel mondo, in quelle che lui chiama “le periferie”, ci è nato, viene da lì, e continua a tornarci; è stato nelle Filippine, in Bolivia, in Ecuador, in Paraguay, adesso a Cuba.

Certo, altri Papi prima di lui c’erano andati, ma erano ospiti da fuori, lui è uno che torna a casa, e così viene salutato e accolto. E noi, la vecchia Europa, scopriamo che in quelle periferie c’è una vitalità che per noi è imbarazzante al confronto. Molti dicono che Giovanni Paolo II, con il suo carisma, ha cambiato la storia dell’Europa; adesso Papa Francesco potrebbe cambiare il rapporto fra il Nord e il Sud del mondo.

Già lo ha fatto spingendo Cuba e gli Usa a riconciliarsi. Poi, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, è imbarazzante il confronto fra il Nord invecchiato ed esausto e il Sud del mondo vitale e pieno di promesse. L’America Latina ha già dato un Papa, un grande Papa. Le periferie del mondo hanno avuto la loro rivincita, e altre ne avranno.

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Festa dell’Europa a palazzo Trinci https://www.lavoce.it/festa-delleuropa-a-palazzo-trinci/ Wed, 20 May 2015 13:09:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=33752  

Rita Borsellino (a destra) intervenuta all'incontro
Rita Borsellino (a destra) intervenuta all’incontro

Parole, testimonianze, solennità, colori e gioia sono gli ingredienti che hanno dato vita alla seconda edizione della Festa dell’Europa il 9 maggio, a 65 anni dalla dichiarazione Schumann che segnò l’inizio del progetto di un’Europa unita e in pace dopo le atrocità causate dalla seconda guerra mondiale.

La manifestazione è stata organizzata dall’Istituto tecnico economico “F. Scarpellini” di Foligno con il supporto progettuale del prof. Pippo Di Vita e la collaborazione del Kiwanis Club, del Comune di Foligno, dell’Ufficio diocesano per la pastorale sociale ed il lavoro attraverso il “Progetto Cittadini del mondo”, del Centro di selezione e Reclutamento nazionale dell’Esercito italiano, di diverse associazioni del nostro territorio e molte scuole secondarie di primo e secondo grado che hanno dato vita nella Corte di Palazzo Trinci al variopinto Villaggio europeo.

La festa, iniziata in piazza della Repubblica,  è stata accompagnata dalla presenza graditissima dell’eurodeputata Rita Borsellino che ha sottolineato ai giovani che oggi l’Unione Europea dovrà essere una casa comune con “porte aperte” in cui ci sia sempre più collaborazione, scambio di opportunità e regole comuni.

“Quello che si è fatto in questi 50 anni – ha sottolineato Borsellino – è un lavoro straordinario. E si deve continuare a costruire a piccoli passi. L’importante  che siano passi in avanti”.

Valori, ideali di fratellanza, pensieri, sogni che, fin dai primi passi, hanno animato e sorreggono ancora oggi il cammino dell’Europa sono andati infine in scena all’Auditorium San Domenico nello spettacolo “Musiche e Parole” animato dagli alunni dell’Istituto Scarpellini guidati dal lavoro perfetto delle prof.sse Fausti e Cerqueglini con il coordinamento della dirigente scolastica Giovanna Carnevali.

 

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Profughi in Umbria, sfatiamo le leggende https://www.lavoce.it/profughi-in-umbria-sfatiamo-le-leggende/ Wed, 29 Apr 2015 17:54:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=32003 profughi-prugnetoIn Italia stanno arrivando migliaia di persone, tra le quali tante donne e bambini, che fuggono dalla guerra, dalle violenze di ogni genere, dalle malattie e dalla fame, e che per questo sono disposte a salire sui “barconi della morte” consegnando spesso ai nuovi mercanti di schiavi tutti i propri risparmi, e anche la loro vita.

Secondo Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, le persone in fuga da guerre e terrorismo (in Siria, Iraq, Corno d’Africa, Nigeria, ecc.) sono circa 51 milioni, l’esodo più massiccio dopo la Seconda guerra mondiale. Di loro, nell’ultimo anno ne sono passati per l’Italia circa 170.000, ma solo una minoranza si è fermata nel nostro Paese. “In Italia – ha detto ancora Sami – abbiamo in media un rifugiato per ogni 1.000 abitanti, molto meno di Paesi come Svezia e Germania”. “Dire – ha sottolineato – che non possiamo soccorrerli e accoglierli è veramente una forzatura”.

Anche in Umbria non ci sarà alcuna “invasione”. Attualmente i profughi assistiti in strutture di enti e associazioni laiche e religiose sono 756. Con i nuovi bandi delle prefetture di Perugia e Terni “per i servizi di accoglienza e assistenza ai cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale” potranno diventare al massimo 1.083, come deciso nella recente Conferenza Stato-Regioni. Dunque, circa lo 0,01 per cento della popolazione! Numeri, questi, che sono stati forniti la scorsa settimana in un incontro sull’“Emergenza profughi 2015” tra le due prefetture e i Comuni umbri, svoltosi a Perugia presso la sede dell’Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia).

I profughi assistiti sono 584 in 17 Comuni della provincia di Perugia e 172 in sei Comuni di quella di Terni. Con i nuovi bandi (la scadenza è l’11 maggio) sono previsti 671 posti in provincia di Perugia e 212 in quella di Terni, per un totale di 883 persone da assistere fino al 31 dicembre prossimo. In pratica, un centinaio di persone in più rispetto a quelle già presenti, e che potrebbero diventare al massimo poco più di 300 se l’emergenza lo richiederà. Dunque – è stato sottolineato nell’incontro – è falsa la notizia, circolata negli ultimi tempi, di un altro migliaio di profughi in arrivo in Umbria. Il numero si riferisce invece al totale delle persone assistite, comprese quelle che già si trovano nella nostra regione.

Nella riunione è inoltre emersa la necessità di una piena collaborazione tra tutte le istituzioni per una distribuzione sul territorio che faciliti i servizi di accoglienza. “Lo scenario internazionale – ha affermato Giulio Cherubini, sindaco di Panicale e coordinatore della Consulta immigrazione Anci Umbria – ci impone una profonda riflessione sull’eventuale accoglienza di cui i nostri territori devono farsi carico, con l’auspicio che gli arrivi siano distribuiti tra i Comuni in modo equo e sostenibile”. “In Umbria – ha proseguito – non vogliamo concentrazioni di massa e, ancor peggio, profughi lasciati in tendopoli in giro per il territorio. Vogliamo governare in maniera equilibrata questo processo, richiamando altresì il Governo italiano e le istituzioni europee affinché l’impatto economico e sociale del fenomeno non ricada completamente sui Comuni”.

I nuovi bandi delle prefetture per assicurare la prima accoglienza a chi fugge da guerre e persecuzioni prevedono, per strutture e organizzazioni che se ne facciano carico, un contributo di 34 euro al giorno (più Iva) per assistito. Soldi che, oltre alle spese per vitto, alloggio e abbigliamento, comprendono anche assistenza legale, culturale-linguistica e per ogni ospite una ricarica telefonica di 15 euro all’arrivo e un piccola somma di 2 euro e mezzo al giorno, con un massimo di 7,5 euro per famiglia. Agli ospiti dovrà essere garantito anche il servizio di trasporto per la questura e altri uffici pubblici. Insomma – è bene ricordarlo – con 34 euro al giorno non si potranno certo garantire ai rifugiati gli “alberghi lussuosi” di cui parlano certi politici che attaccano i servizi di accoglienza. Così come è falsa la notizia dei 40 euro al giorno che lo Stato italiano pagherebbe a ogni profugo. Soldi che invece finiscono nelle tasche di italiani, purtroppo non sempre onesti e disinteressati, come appurato dalla magistratura nell’inchiesta su “Mafia capitale” dove – come diceva al telefono uno degli indagati intercettati – “con i profughi si guadagna più che con la droga”.

 

 

Come sono distribuiti i profughi in Umbria

Sono 23 i Comuni umbri che ospitano nelle loro strutture 756 persone fuggite dalle guerre e dalle persecuzioni in Asia e Africa. In provincia di Perugia sono 17: nel capoluogo ci sono 358 assistiti; 31 a Gualdo Tadino; 12 a Magione; 5 a Tuoro sul Trasimeno; 8 a San Giustino; 20 a Città di Castello; 4 a Massa Martana; 9 a Marsciano; 24 a Panicale; 19 a Piegaro; 9 a Nocera Umbra, 15 a Corciano; 12 a Montone; 9 a Foligno; 6 a Umbertide; 20 a Gubbio; 10 a Spoleto. Nella provincia di Terni sono 172, così distribuiti in 6 Comuni: Terni 61; Orvieto 45; San Venanzo 12; Narni 25; Montefranco 16; Ferentillo 13.

 

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Un incontro per riflettere con i ragazzi sugli orrori delle Seconda guerra mondiale https://www.lavoce.it/un-incontro-per-riflettere-con-i-ragazzi-sugli-orrori-delle-seconda-guerra-mondiale/ Mon, 09 Mar 2015 15:13:50 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30803 Di fronte a tutti gli alunni delle terze medie della fascia appenninica, esperti e testimoni hanno parlato della deportazione dei soldati italiani in Germania e degli eccidi nazifascisti di Gubbio e della fascia appenninica.

In occasione della Giornata della Memoria, venerdì 27 febbraio 2015, alle ore 10, presso la Sala San Marco di Costacciaro, l’Istituto scolastico comprensivo di Sigillo, con la collaborazione della Funzione strumentale e della Commissione preposte alla Biblioteca e alla promozione della lettura, ha organizzato un incontro aperto alla cittadinanza e agli alunni delle classi terze della scuola secondaria di I grado dei quattro plessi di Scheggia, Costacciaro, Sigillo e Fossato di Vico, accompagnati dai loro docenti.

Il tema di questo incontro è stato Il ricordo personale e la memoria pubblica tramandati dai discendenti dei protagonisti di eventi tragici del secondo conflitto mondiale.

Nell’occasione sono intervenuti la Dirigente scolastica, prof.ssa Ortenzia Marconi, che ha dato il benvenuto ai presenti ed ha auspicato che incontri comuni tra le diverse classi dei plessi dell’Istituto, nei limiti delle possibilità e delle risorse, possano verificarsi di frequente, dato che quello di Sigillo è un Istituto Comprensivo; il sindaco di Costacciaro, Andrea Capponi, che ha ricordato l’importanza della memoria e la trasmissione dei fatti del passato ai giovani, salutando, poi, e introducendo gli ospiti e gli argomenti dell’incontro. In primo luogo, il prof. Euro Puletti, insegnante e storico locale, che ha svolto anche l’incarico di moderatore. Quindi, la scrittrice mantovana Laila Baraldi, archivista e bibliotecaria presso la biblioteca comunale di Ostiglia (Mn), autrice del libro Cadenze d’inganno, Edizioni Rossopietra, 2013, in parte incentrato sulla rievocazione della vicenda del padre, un soldato italiano fra quelli che subirono il tragico destino della deportazione nei campi di lavoro tedeschi all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre del 1943, pagina della nostra storia fra le meno conosciute. Nel volume, Laila Baraldi racconta il suo viaggio in Germania e Polonia compiuto circa un decennio or sono alla ricerca dei luoghi e della memoria della prigionia del padre; e, durante la presentazione, l’autrice ha anche illustrato delle fotografie scattate durante il suo viaggio, condividendole con i presenti. E’ in seguito intervenuto il presidente dell’Associazione delle Famiglie dei 40 Martiri di Gubbio, che ha donato alla scuola una copia del volume di L. Brunelli e G. Pellegrini, Una strage archiviata, edita da Il Mulino, nel 2007, per far svolgere agli alunni dell’istituto comprensivo ulteriori ricerche sulla vicenda. Vi è poi stata la rievocazione, a cura di Giorgio Sollevanti, membro dell’Associazione, dell’eccidio dei quaranta innocenti perpetrato il 22 giugno 1944, a Gubbio. Per rendere più comprensibile la vicenda è stato proiettato il filmato, a cura di Gianluca Sannipoli, Sessanta anni dopo. L’incontro è quindi proseguito con la testimonianza di Pietro Cecconi sulla tragica fine di due suoi congiunti durante il rastrellamento nazista del 27 marzo 1944, che costò complessivamente 18 vittime fra Scheggia e Fossato di Vico. Le conclusioni dell’incontro, infine, sono state fatte da Euro Puletti, che ha anche dato un cenno ai fatti drammatici dei rastrellamenti nazi-fascisti compiuti tra marzo e luglio 1944 nei comuni della Fascia Appenninica.

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Si riuniscono i vertici Csi di cinque regioni https://www.lavoce.it/si-riuniscono-i-vertici-csi-di-cinque-regioni/ Fri, 06 Mar 2015 11:45:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30715 Il saluto di due generazioni di presidenti nazionali CSI Edio Costantini e Donato Mosella
Il saluto di due generazioni di presidenti nazionali CSI Edio Costantini e Donato Mosella

“Idee al centro” era lo slogan che ha dato il senso all’evento realizzato a Cassino dai Comitati di cinque regioni centrali del Centro sportivo italiano il 28 febbraio e il 1° marzo scorsi. Un momento privilegiato del programma formativo dell’associazione, in quanto interpella e riunisce i dirigenti provinciali e regionali insieme a quegli altri operatori che vivono “in prima linea” la mission educativa del Csi sui campi di gioco, che sono gli arbitri; a Cassino sono arrivati in 230.

La Presidenza regionale del Lazio, incaricata quest’anno dell’organizzazione dell’incontro formativo interregionale, ha scelto Cassino non senza motivo. In questa cittadina del Frusinate sorge la famosa abbazia teatro di una terribile battaglia nel corso della Seconda guerra mondiale. Quell’abbazia fu eretta da san Benedetto, che promulgò la sua famosa regola ora et labora. Un compendio di norme comportamentali per uomini di fede che vogliano vivere al meglio lo spirito del Vangelo, e che certamente può fornire indicazioni anche a persone e a una associazione, come il Csi, che si occupa di attività sportiva ed educativa.

Nella conoscenza di queste indicazioni si sono impegnati tutti i partecipanti all’incontro, moderato da Tarcisio Antognozzi, aiutati dall’abate padre Antonio Potenza, dall’esperto Benedetto Coccia e dal consulente ecclesiastico nazionale don Alessio Albertini.

Il convegno ha rafforzato le motivazioni e gli sforzi che compiono giornalmente dirigenti, arbitri e giudici sportivi, coinvolgendoli in laboratori, test, studi di aggiornamento legati ai propri ruoli associativi, occupando così gran parte della due-giorni di Cassino.

Lo scopo principale dei lavori mirava alla maggiore competenza per gli operatori tecnici, per l’offerta di un’attività sportiva di qualità alle società affiliate; mentre ha impegnato i dirigenti la ricerca di modalità e strumenti sempre nuovi per la migliore connotazione di quell’attività come portatrice di valori umani e cristiani.

Né va taciuto il momento ricreativo svoltosi la prima sera, dopo la celebrazione della messa, molto partecipata e sentita, presieduta da don Alessio. I responsabili regionali hanno infatti portato dai propri territori, e messo a disposizione di tutti gli intervenuti, le specialità enogastronomiche tipiche di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, che sono state molto apprezzate.

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La Grande Guerra degli umbri https://www.lavoce.it/la-grande-guerra-degli-umbri/ Fri, 27 Feb 2015 11:12:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=30526 Una delle sale della mostra con le foto della celebrazione al Milite Ignoto a Perugia il 27 ottobre 1921
Una delle sale della mostra con le foto della celebrazione al Milite Ignoto a Perugia il 27 ottobre 1921

Cento anni fa lo scoppio della Prima Guerra mondiale. Una guerra da non dimenticare e che a Perugia viene ricordata con la mostra “La prima Guerra mondiale e l’Umbria” inaugurata martedì 24 febbraio a Palazzo Baldeschi (dal 25 febbraio al 2 giugno) lungo Corso Vannucci a Perugia dalla Fondazione cassa di risparmio di Perugia e dalla Fondazione Cariperugia Arte. Il percorso espositivo, raccolto in otto sale, ripercorre un pezzo di storia d’Italia e dell’Umbria che si snoda attraverso diverse aree tematiche in grado di restituire un quadro articolato degli eventi e dei suoi principali protagonisti grazie all’esposizione di disegni, fotografie, giornali di trincea, manifesti, cartoline, cimeli e materiali cinematografici.

L’Umbria in quella guerra ha perso quasi 11mila uomini, su un totale dei 650mila caduti in tutta Italia. Colpiscono i volti di alcuni di loro, giovani, immortalati in vecchie fotografie, così come le parole scritte da Enzo Valentini (figlio dell’allora sindaco di Perugia) nelle lettere inviate quotidianamente alla madre raccolte nel 1930 in quello che è diventato un diario personale Enzo Valentini volontario di guerra. Lettere e disegni. Il diario è esposto nella sala dedicata a Perugia, dove troneggiano grandi riproduzioni fotografiche delle celebrazioni al Milite Ignoto del 27 ottobre 1921. A raccontare il percorso della mostra è stato il curatore Marco Pizzo, direttore del Museo centrale del Risorgimento di Roma al Vittoriano. La maggior parte del materiale in esposizione – composto da oggetti e documenti conservati presso gli archivi dell’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, dell’Iccu (l’Istituto centrale per il catalogo unico), dell’Istituto Centrale dei Beni Sonori e Audiovisivi e dell’Istituto Luce – Cinecittà – viene dalla mostra patrocinata dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – Struttura di missione, allestita a Roma a maggio 2014 presso il Complesso monumentale del Vittoriano. Tale materiale è stato integrato con una sezione umbra anche grazie alla collaborazione di istituzioni locali come il Comune di Perugia, la Soprintendenza archivistica dell’Umbria, la Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, la Camera di commercio di Perugia e l’Ufficio scolastico regionale.

Uno dei cimeli esposti nella prima sala è il piano di coda di un aereo austriaco abbattuto da Francesco Baracca, asso dell’aviazione italiana. In una teca un manichino indossa un cappotto, guanti e berretto in dotazione ai soldati austro-ungarici; in altre sono raccolti oggetti appartenuti ai soldati quali sciabole, granate, baionette, perfino gli scarponi. E poi c’è la sezione dei manifesti propagandistici: le fotografie dal fronte erano proibite, così come i video. In mostra c’è quello commissionato al regista Luca Comerio che fu censurato per eccesso di realismo. I visitatori possono inoltre vivere anche la tragica esperienza della trincea, riprodotta con installazioni video in un’altra delle sale, accompagnati da suoni futuristi. Da un vecchio grammofono si può sentire la voce originale del generale Armando Diaz che legge il bollettino della Vittoria. Si chiude con la sessione dedicata ai pittori – soldato che offrono tramite le loro opere testimonianze artistiche di vita e di morte che si incrociano sui campi di battaglia.

L’intervento di Franco Marini

Il taglio del nastro avvenuto il 24 pomeriggio è stato preceduto da un evento in diretta streaming in un’affollatissima Sala dei Notari, durante il quale sono intervenuti il presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Perugia, Carlo Colaiacovo, il presidente della Fondazione Cariperugia Arte, Giuseppe Depretis, il presidente del Comitato storico scientifico per gli anniversari di interesse nazionale, Franco Marini e Marco Pizzo. Franco Marini nel prendere la parola ha ricordato la figura di Vincenzo Valentini, leggendo alcune frasi tratte dal suo diario da cui si evince l’impotenza di fronte ad una guerra che “è stata una rottura della storia non solo per l’evento guerra in se stesso, ma anche per il legame con le difficoltà che viviamo oggi”.“Ricordare la guerra, in particolare la Prima guerra mondiale – ha sottolineato – vuol dire fare un’analisi del presente per non commettere gli stessi errori”. Bisogna riflettere sul fatto che “la Seconda guerra mondiale – ha aggiunto – è stata una propaggine della prima” e oggi, alla luce dei fatti che stanno accadendo nel mondo, è importante che la situazione non sfugga di mano “perché basta una scintilla”. Fondamentale, dunque, “la costruzione di una politica europea ancora inesistente” ha concluso Marini citando anche l’invito di Papa Francesco alle attenzioni necessarie oggi “per non cadere in un’altra guerra mondiale”.

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La Giornata della Memoria ad Assisi https://www.lavoce.it/la-giornata-della-memoria-ad-assisi/ Fri, 23 Jan 2015 11:37:27 +0000 https://www.lavoce.it/?p=29896 Uno scorcio della mostra all’interno del Museo della memoria
Uno scorcio della mostra all’interno del Museo della memoria

Visite ai luoghi della memoria, al Museo “Assisi 1943-1944”, iniziative culturali con musiche e letture dedicate al tema e la proiezione del documentario sul colonnello tedesco Valentin Müller, che fu determinante per la salvezza degli ebrei nascosti in Assisi. È ricco anche quest’anno il programma per la Giornata della Memoria, organizzato dall’Amministrazione comunale, dalla diocesi, dall’opera Casa Papa Giovanni che ha realizzato il Museo della Memoria, dall’associazione Italia-Israele e dall’Ufficio scolastico regionale.

La prima iniziativa è in programma per sabato 24 gennaio alle ore 15 con la visita ai luoghi della memoria: il vescovado, dove mons. Sorrentino mostrerà gli spazi dove il suo predecessore mons. Giuseppe Placido Nicolini nascose gli ebrei e i loro oggetti. Da lì ci si sposterà prima al monastero francese di Santa Colette e poi alle suore Stimmatine dove operò suor Ermella Brandi, riconosciuta “Giusta fra le nazioni” da Israele.

Altro appuntamento è quello di domenica 25 gennaio alle ore 18 nella sala della Spogliazione del Curia. Si intitola “Shoah: musiche e letture”, a cura di Assisincato Chorus. Attraverso alcune esecuzioni musicali e la lettura di brani attinenti alle persecuzioni razziali si vuole diffondere un messaggio di speranza e di non-violenza.

Il 26 gennaio, dalle ore 11, la possibilità per studenti e cittadini di partecipare alle visite guidate al Museo della Memoria a palazzo Vallemani. Non si tratta di un mausoleo né di un “Giardino dei giusti” ma un di percorso storico-didattico in italiano e inglese.

Nella Giornata della Memoria, 27 gennaio, nella sala della Conciliazione del palazzo comunale alle ore 16.30 è in programma la proiezione del documentario Uomo della Provvidenza: il colonello Valentin Müller e la salvezza di Assisi durante la Seconda guerra mondiale, realizzato dal pronipote del militare scomparso, che ha raccolto testimonianze e documenti.

L’ultimo evento in calendario è fissato per il 6 marzo alle ore 11.30 in occasione della Giornata europea dei giusti. Nel cortile del vescovado verrà simbolicamente inaugurato il “Giardino dei giusti” di Assisi che entrerà a far parte ufficialmente della “Foresta dei giusti” di Gabriele Nissim.

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11 luglio festa di san Benedetto Patrono di un’Europa in cerca di futuro https://www.lavoce.it/11-luglio-festa-di-san-benedetto-patrono-di-uneuropa-in-cerca-di-futuro/ Thu, 10 Jul 2014 18:20:09 +0000 https://www.lavoce.it/?p=26029 La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia
La statua di San Benedetto al centro dell’omonima piazza a Norcia

L’11 luglio, proprio nella data di questo numero de La Voce, ricorre la festa liturgica di san Benedetto. In verità, quella più lungamente festeggiata, e tuttora ricordata nelle comunità monastiche benedettine, è quella del 21 marzo, inizio di primavera. Un proverbio, che con il cambiamento delle stagioni e le bizzarrie del tempo ormai “non ridice più”, suonava: “San Benedetto, la rondine sotto il tetto”.

Quest’anno la memoria di san Benedetto Patrono d’Europa assume un significato particolarmente attuale per la situazione dell’Ue, che deve affrontare serie difficoltà nel processo unitario dei 28 Paesi che ne fanno parte, contrastato dai partiti cosiddetti “euroscettici”, oltre che dalle difficoltà oggettive proprie di tutti i Paesi europei, chi più chi meno, quali, tra tante altre, la disoccupazione e il fenomeno dell’immigrazione.

C’è un motivo contingente, ma non secondario per gli italiani: si è appena avviato il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue, con la chiara intenzione di dare impulso positivo allo sviluppo del processo unitario.

La festa inoltre cade quest’anno nel 50° anniversario della proclamazione del santo di Norcia a Patrono primario dell’Europa decretato con “breve” pontificio da Paolo VI (24 ottobre 1964). È interessante notare che il documento di Paolo VI è datato nel giorno in cui lo stesso Pontefice consacrò il tempio dell’abbazia di Montecassino al termine della ricostruzione resasi necessaria a seguito dei bombardamenti subiti durante l’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale.

Questa storia è molto significativa anche per l’apprezzamento che si deve al grande disegno dell’Unione europea, destinato a evitare le tragiche guerre che hanno insanguinato il Continente e il mondo nel crudele XX secolo. Nel “breve” di Paolo VI si ricorda che la civiltà europea è stata costruita dai monaci seguendo tre simboli, tuttora validi: la croce, il libro e l’aratro, che sono come la scansione del motto ora et labora, le due mani che costruiscono la vita degli uomini e delle comunità, la mano di Dio che dona la Natura e la mano dell’uomo che la trasforma.

Per gli umbri, il ricordo di san Benedetto dovrebbe essere considerato un inevitabile e insostituibile punto di riferimento per ogni discorso religioso, storico e culturale.

 

Al monastero delle Benedettine di Santa Caterina a Perugia festa speciale per il 50° anniversario del Patrono d’Europa

Le Benedettine del monastero di “Santa Caterina” di Perugia (corso Garibaldi 179) celebrano la festa liturgica di san Benedetto con una particolare solennità dovuta al 50° anniversario (1964-2014) della proclamazione di san Benedetto a Patrono d’Europa, avvenuta con la lettera apostolica Pacis nuncius di Paolo VI del 24 ottobre 1964.

L’appuntamento è per venerdì 11 luglio alle ore 18 per una breve lezione del medievalista Franco Mezzanotte su “L’Europa dei monaci: l’influsso del monachesimo nella formazione dell’Europa”.

Seguirà alle 18.30 la celebrazione eucaristica della festa, con i canti propri e le parti della messa in gregoriano, presieduta dal cardinale Gualtiero Bassetti.

“La presenza e presidenza del Cardinale – commenta mons. Elio Bromuri, vicario episcopale per la cultura e cappellano festivo del monastero – rende questa celebrazione particolarmente solenne e costituisce, in questo momento difficile, un forte richiamo a ‘non voltare le spalle’ all’Europa per quello che rappresenta come progetto di collaborazione e di pace tra i popoli”. La madre badessa suor Caterina e la sua comunità monastica invitano a partecipare alla festa tutti i fedeli perugini, in particolare agli abitanti del quartiere di Porta Sant’Angelo – corso Garibaldi, dove questa comunità religiosa è presente fin dalla metà del secolo XVII quando le Benedettine vi si trasferirono dal monastero di Santa Caterina detto “Vecchio” (sec. XIII), che sorgeva nelle vicinanze di Monteripido.

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Un’Europa a più velocità https://www.lavoce.it/uneuropa-a-piu-velocita/ Fri, 04 Jul 2014 14:17:03 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25971 Il palazzo sede del Parlamento Europeo a Strasburgo
Il palazzo sede del Parlamento Europeo a Strasburgo

Il primo obiettivo della Presidenza italiana? Potrebbe essere quello di farci sentire un po’ di più cittadini europei”: Piero Graglia parte da qui per parlare della Presidenza di turno dell’Unione europea che il governo di Matteo Renzi ha assunto per la seconda metà del 2014. Tra i massimi studiosi del federalismo, Graglia ha insegnato in vari atenei all’estero.

A che punto si trova la “casa comune”?

“Si dice che la storia sia maestra di vita, ma in genere parla a studenti distratti… Credo sia bene ricordare che il processo d’integrazione europea non nasce per motivi o interessi economici, anche se oggi si parla quasi solo di questo. In realtà, prende avvio nella precisa convinzione che, dopo la Seconda guerra mondiale, occorresse ridare pace al Continente, costruendo legami tra i popoli e gli Stati. Progressivamente – e soprattutto negli ultimi anni, in ragione della crisi – l’economia ha preso il sopravvento sulla politica, ma così non si va da nessuna parte. La Banca centrale europea, ad esempio, decide la politica monetaria senza avere un vero referente politico, senza una politica economica condivisa. Cosa che non avviene per la Federal Reserve americana, il cui referente è il Presidente degli Stati Uniti. L’Ue marcerà ancora se sarà una costruzione politica e democratica”.

Come rimediare?

“È chiaro che l’interdipendenza e l’integrazione economica necessitano di un governo dell’economia. Un impulso in tale direzione, oggi come oggi, può venire solo dal Parlamento europeo, oppure da un gruppo di Stati che decidesse di approfondire l’integrazione politica, che per il momento è rimasta a metà strada”

Delinea un’Europa a “geometrie variabili”?

“Tutti e 28, insieme, non si arriverà a una decisione su questo punto fondamentale. Un’Europa a più velocità può essere, in questa fase, una soluzione, purché si proceda con buon senso, con un progetto chiaro e, nondimeno, che tale progetto resti aperto a tutti gli Stati membri, con una visione inclusiva”.

Le forze europeiste riusciranno a serrare i ranghi e a portare il loro contributo per una Unione rinnovata?

“I numeri ci sono. Popolari e socialisti-democratici potrebbero trovare dei punti d’intesa facendo convergere altre forze europeiste. Fra l’altro, in sede europea ci sono personaggi che credono realmente all’unità europea: lo stesso Juncker, designato alla carica di presidente della Commissione, il leader liberal-democratico Verhofstadt, alcuni eurodeputati tedeschi, i Verdi francesi… Ci sono persino euroscettici che potrebbero essere conquistati alla causa di un’Europa diversa, più efficace. Si tratta però di affrontare alcuni nodi discriminanti”.

Per esempio?

“Pensiamo alla questione del bilancio Ue. Chi parla di maggiore integrazione senza poi adoperarsi per un aumento del budget comunitario, magari dotato di risorse finanziarie proprie, fa solo della retorica. Occorre fornire all’Ue i mezzi per agire”.

Quali priorità dovrebbe portare Renzi a Strasburgo?

“In questa fase è essenziale riportare i cittadini e la cittadinanza europea al centro del dibattito. Il senso di appartenenza all’Ue potrebbe rafforzare la responsabilità delle istituzioni e, al contempo, riavvicinare i cittadini all’Ue. I segnali di distanza tra elettori e Unione si sono del resto misurati proprio con le elezioni di maggio. Ugualmente importante è il superamento dell’austerità imposta in questi anni, che ha peggiorato gli effetti della recessione economica. Per questo è importante che l’Italia rafforzi i legami con la Germania, convincendo i tedeschi che la sola ricetta del rigore non funziona, anzi è sbagliata. Qualche debole segnale lo abbiamo avuto dal Consiglio europeo della scorsa settimana. Servono investimenti produttivi, come ha fatto la Fed nel momento più difficile della crisi in America”.

Il Mediterraneo e gli immigrati.

“È un’emergenza non solo italiana, e la risposta dev’essere comune. Ma anche qui emerge l’impegno di approfondire l’integrazione politica. Il Centro e il Nord dell’Europa vanno coinvolti in una risposta rapida, concertata e solidale. Del resto i flussi migratori non possono essere arrestati; vanno affrontati nel modo giusto, anche considerando che possono essere, come è avvenuto in passato, un’occasione positiva per i nostri Paesi”.

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Voltare le spalle non serve https://www.lavoce.it/voltare-le-spalle-non-serve/ Fri, 04 Jul 2014 14:00:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25965 Voltare le spalle è un gesto di estremo disprezzo, tendente a rimarcare contrasto, dissenso e lontananza.

Abbiamo visto in tv alcuni eurodeputati girati di spalle mentre in piedi, rivolta verso il centro dell’immensa aula, l’assemblea ascoltava l’Inno alla gioia di Beethoven (Freude…), considerato l’inno all’Europa e ai suoi ideali in una delle più alte forme poetiche e musicali.

Evidentemente i deputati “girati” non pensavano certo all’ideale, ma a cose molto concrete, ai conti, alla moneta, alla disoccupazionee a tutto ciò che in questo vecchio continente, pur carico di storia e di cultura, non va.

C’è dentro questo atteggiamento un rifiuto radicale, senza distinzioni, come si dice, gettando via l’acqua sporca e il bambino. Rifiutare in blocco tutto, invitando a uscire sbattendo la porta di un edificio così importante e complesso, faticosamente costruito dalle macerie della guerra è quanto meno azzardato, qualcuno dice folle.

Di questi euroscettici “girati” e anche di altri scettici, anche se non si sono girati, conosciamo idee, toni e vocaboli destinati non a spiegare ma a colpire, offendere, incitare contro l’avversario politico di turno, catturare consenso da parte dei più arrabbiati, dei delusi, di chi si trova male, incitandoli ad atteggiamenti distruttivi, anziché proporre soluzioni possibili sia pure alternative.

Vale la pena ricordare che appena 100 anni fa, il 28 giugno 1914, è bastato lo sparo di Sarajevo e l’uccisione del principe erede al trono dell’impero austro ungarico e di sua moglie per incendiare tutta l’Europa e il mondo. Allora molti voltarono le spalle e chiusero le orecchie alle proposte di pace, fomentando quei sentimenti di totale generalizzato contrasto che condussero alla prima grande guerra (1914 – 1918). Guerra che fece 20 milioni di morti e altrettanti feriti e mutilati e fu causa della seconda guerra mondiale (1939 – 1945).

Il secolo scorso è stato tra tutti i secoli del passato quello più crudele e disastroso. I politici del tempo hanno voltato le spalle, alle raccomandazioni delle madri e delle spose, alla sofferenza delle popolazioni ed hanno seguito l’incitamento di cattivi maestri e di false ideologie. Hanno voltato le spalle anche alle raccomandazioni delle Chiese che si sono espresse al più alto livello di autorità a cominciare da papa Benedetto XV, che dopo inutili tentativi per evitarla, la definì, con generalizzato scandalo degli ipocriti del tempo, un’“inutile strage”.

Non si vuol dire con ciò che quei eurodeputati siano responsabili di qualcosa del genere e che abbiano in mente le cose che andiamo dicendo. Ma superficialità, rozzezza e arroganza di gesti, parole, messaggi, atteggiamenti, si sa dove e perché cominciano, ma non dove portano e come vanno a finire.

Sarà bene, tornando all’origine del nostro ragionamento, non girare le spalle o volgere lo sguardo altrove, ma guardare con coraggio, responsabilità, fermezza e fiducia verso il futuro inteso come qualcosa da costruire o ricostruire su basi già gettate e un disegno ben delineato.

È necessario essere consapevoli che, se dal dopoguerra ad oggi abbiamo un’Europa unita con 28 nazioni che hanno firmato di non farsi la guerra, ma di cooperare per il bene collettivo di tutti senza danno per alcuno, questo è da considerare un miracolo. Tra Stati potranno esserci tensioni e dissapori, interessi contrastati e competizioni ma, come è stato detto, meglio combattere su un tavolo di trattative che su un campo di battaglia. Questo risultato è dovuto alla riscoperta dei valori cristiani posti a fondamento di una fraternità tra gli Stati. L’ideale ha guidato la ricerca della soluzione dei problemi concreti e reali della contingenza storica.

A questo punto e in perfetta coincidenza con l’inizio del semestre della presidenza europea dell’Italia, appena dopo l’ispirato discorso di Matteo Renzi a Strasburgo, è doveroso ricordare con ammirazione i grandi artefici di una politica ideale, cristianamente ispirata, adatta a trovare soluzioni pratiche di convivenza e collaborazione: Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer, Robert Schuman.

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A 75 anni dalla proclamazione di san Francesco e santa Caterina da Siena a patroni d’Italia https://www.lavoce.it/a-75-anni-dalla-proclamazione-di-san-francesco-e-santa-caterina-da-siena-a-patroni-ditalia/ Fri, 20 Jun 2014 13:39:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25677 San-Francesco-CimabueUna data storica: il 18 giugno 2014 ricorre il 75° anniversario della proclamazione di san Francesco d’Assisi e santa Caterina da Siena Patroni d’Italia. La decisione fu presa da Pio XII (2 marzo 1939 – 9 ottobre 1958) pochi mesi dopo la sua elezione, con un solenne documento, Breve pontificio, firmato dal cardinale segretario di Stato Luigi Maglione.

Siamo in piena epoca fascista, al culmine della sua tracotante sicurezza. In Germania domina Hitler, che il 1 settembre 1939 decreta l’aggressione della Polonia e determina a catena la Seconda guerra mondiale che farà milioni di morti e disastrose rovine in tutta Europa. Anche l’Italia, dopo circa due anni di incertezze, sciaguratamente si lascia trascinare nella guerra a fianco della Germania. Sembra che per un presagio celeste il Papa abbia sentito il bisogno di chiamare in causa due grandi santi come patroni e difensori della patria. Sapeva che san Francesco e santa Caterina avevano fama e ammirazione da parte di tutti, anche dei fascisti che in queste figure vedono una gloria dell’Italia sia per la santità sia per il lustro che recano al Paese presso tutte le nazioni del mondo cattolico ed anche per la loro opera letteraria e per l’arte che hanno suscitato. È stata più volte ripetuta, ad esempio, la frase attribuita contemporaneamente a Pio XII e a Mussolini secondo cui san Francesco è ”il più santo degli italiani e il più italiano dei santi”. Per Pio XII però era più importante additare queste due straordinarie figure, nella eccezionalità della loro esperienze religiosa, come veri patrocinatori della causa della pace e del benessere per l’Italia e come modelli di vita per tutti, perché cresca il fervore religioso e la pietà nel popolo cristiano.

Secondo l’intenzione di Papa Pacelli i Patroni assegnati alle “genti d’Italia”, ai “nostri connazionali, presso il Signore” hanno la funzione di “custodi e difensori” del popolo. Non esiste d’altra parte nessuna nazione che sia orfana di patroni e protettori.

In antico il clero e il popolo, d’accordo con i pubblici poteri, si preoccupavano anche di avere i corpi dei santi o almeno le loro reliquie da custodire devotamente in santuari posti ai confini del territorio della città per svolgere la funzione di difensori della sicurezza e della pace contro gli assalti dei nemici. È evidente che la fede cattolica e la santità non hanno confini e soffrono ad essere ristretti in una dimensione nazionale. Sappiamo dello spirito e della vocazione universalistica di Francesco che va dal sultano d’Egitto, scrive una lettera ai reggitori del mondo e a tutti i fedeli della terra e così santa Caterina che si adopera e riesce a convincere Papa Gregorio XI a lasciare la sede di Avignone e ritornare a Roma. Ma è pur vero che Francesco e Caterina sono esempi di lingua e letteratura italiana, appartenevano ad un città e ad un territorio e si adoperavano per la pace tra le città e le fazioni cittadine.

Per quanto riguarda Francesco e il suo essere dichiarato Patrono d’Italia per noi umbri è un vanto e un motivo di adesione concreta al suo insegnamento e al suo esempio.

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Madre Speranza. La sua biografia, la sua spiritualità, le fondazioni a cui ha dato vita https://www.lavoce.it/madre-speranza-la-sua-biografia-la-sua-spiritualita-le-fondazioni-a-cui-ha-dato-vita/ Fri, 30 May 2014 19:34:06 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25217 madre-speranza-gpII-bnTodo por amor è la felice espressione che riassume tutta la vita di Madre Speranza. La piccola Maria Josefa Alhama Valera (questo è il suo nome di battesimo) nasce a Santomera, nel sud-est della Spagna, il 30 settembre 1893. Nove fratelli, figlia di braccianti senza un lavoro continuo. Maria Josefa è intelligente e piena di vitalità; per questo a 7 anni è accolta nella famiglia del parroco del paese, affidata alle cure delle sue sorelle. Resta in quest’ambiente, dove riceve una buona educazione, fino a 21 anni.

La vocazione

Sospinta da un gran desiderio di santità, entra tra le Figlie del Calvario a Villena, a cento chilometri da Santomera. La comunità è formata da suore molto anziane; lì Maria Josefa, nel 1916, riceve il nome di Speranza, che in verità a lei non piace molto perché le ricorda una donna molto trasandata del suo paese. Questo nome invece si rivelerà profetico. Nel 1921 le Figlie del Calvario sono inglobate in un nuovo istituto, le Religiose di Maria Immacolata, dette anche Missionarie Claretiane. Vi resta fino al 1930; durante questo periodo soffre di varie malattie ma soprattutto ha dei chiari fenomeni di carattere soprannaturale. Eventi che suscitano anche opposizione e dicerie nei suoi confronti.

La fondazione delle Ancelle

Con l’autorizzazione dei superiori, nel 1930, in una casa presa in affitto a Madrid, in estrema povertà fonda le Ancelle dell’Amore Misericordioso. La Madre e le sue prime suore si spendono, con eroica generosità, a soccorrere i poveri e gli orfani in una situazione di continue instabilità politiche e di guerra, che va dal 1931 al 1936. Diecimila “bambini baschi” mandati all’estero dal Governo repubblicano transitarono nelle case di Madre Speranza a Bilbao per essere riconsegnati a qualche parente. Madre Speranza è aiutata da una nobile donna di Bilbao, Maria Pilar Arratia. Tutto questo suscita l’avversione dei nemici di sempre, interni ed esterni: Madre Speranza dal 1938 al 1940 è denigrata e denunciata a Roma al Sant’Uffizio.

L’arrivo in Italia

La Madre con eroismo cristiano si trasferisce a Roma dal 1941 al 1951, in via Casilina. Fu un periodo di grande impegno caritativo ma anche di libertà vigilata, disposta dalla Santa Sede. La Congregazione dei religiosi stabilisce perfino l’elezione di un’altra madre generale e l’esonero di Madre Speranza da ogni incarico di governo. Madre Speranza, da umile e obbediente suora, si dedicata ai poveri, agli affamati causati dalla Seconda guerra mondiale, creando una mensa popolare gratuita. La Provvidenza divina, attraverso la Madre, scrive delle pagine gloriose di carità evangelica. Nell’Anno santo 1950 accoglie migliaia di pellegrini e riesce a onorare i debiti contratti con l’impresa edile Di Penta; riscuote i soldi dovuti il contabile Alfredo Di Penta, 35enne ancora celibe, il più piccolo dei titolari dell’impresa, sarà il primo Figlio dell’Amore Misericordioso.

La fondazione dei Fam

Il vescovo che accompagna la fondazione del ramo maschile è il vescovo di Todi mons. Alfonso Maria De Sanctis. Mons. De Sanctis accoglie il Di Penta e altri due confratelli nella cappella di via Casilina, dove fa la vestizione il 14 agosto del 1951. Nel 1952 il Capitolo generale della congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso la elegge di nuovo madre generale con il placet della Santa Sede.

L’arrivo a Todi

Madre Speranza giunge nella piccola frazione di Todi, Collevalenza, il 18 agosto 1951. Alcuni sacerdoti diocesani si uniscono alla neonata congregazione maschile, mentre Alfredo Di Penta completa gli studi nel seminario di Viterbo. Il 3 luglio 1955 è ordinato sacerdote da mons. De Sanctis nella nuova cappella del Crocifisso, consacrata il giorno prima. I Figli dell’Amore Misericordioso, tra padri e fratelli, sono dodici come gli apostoli. Il primo Capitolo generale nel settembre del 1956 elegge padre Alfredo Di Penta superiore generale; rimane in carica dodici anni. Intanto la Madre affronta anche la sfida di edificare un santuario all’Amore Misericordioso. Lo desidera nei pressi di un bosco, dove gli abitanti praticavano la caccia agli uccelli con una rete chiamata il “roccolo”. Vuol prendere in quel luogo molte anime attratte dall’Amore Misericordioso.

Il santuario

Dal 1953 al 1973 sorge il nuovo santuario, opera dell’architetto spagnolo La Fuente. Quando arriva a Collevalenza, Madre Speranza ha 58 anni. Nel 1973 si completano i principali edifici del santuario: la Madre ha 80 anni e si avvia sul viale del tramonto.

L’incontro con Wojtyla

Il 22 novembre del 1982 il Papa san Giovanni Paolo II visita il santuario, ancora convalescente dell’attentato avvenuto il 13 maggio: vuole ringraziare l’Amore Misericordioso. Più volte il Papa, nel corso della visita, la bacia sulla fronte. È il coronamento di una vita spesa per l’Amore Misericordioso.

La morte

L’8 febbraio 1983, a 89 anni, la Madre muore a Collevalenza. Dopo i solenni funerali è sepolta nella cripta del santuario, in un sepolcro espressivo che si presenta come una zolla di terra sollevata, riecheggiando le parole evangeliche: “Se il chicco di grano non muore, rimane solo… se invece muore, produce molto frutto”. Ora il suo messaggio s’irradia nella Chiesa e nel mondo: Todo por amor, tutto per amore.

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Assisi ricorda le benemerenze del colonnello Valentin Müller https://www.lavoce.it/assisi-ricorda-le-benemerenze-del-colonnello-valentin-muller/ Thu, 13 Mar 2014 13:51:46 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23582 Un momento della manifestazione in onore del colonnello Müller
Un momento della manifestazione in onore del colonnello Müller

Potrebbe essere scomodo parlare di un colonnello tedesco, comandante della “Piazza militare” di Assisi durante la fase cruciale della Seconda guerra mondiale. Ma in questo caso si tratta di Valentin Müller, i cui meriti, già noti, sono stati ampiamente approfonditi nel corso di una recente manifestazione da Francesco Santucci, che ha aggiunto nuovi dati e spunti a quanto dallo stesso scritto nel saggio Assisi 1943-1944. Documenti per una storia (Accademia Properziana 1994).

Queste le benemerenze in particolare rimarcate: la protezione garantita a centinaia di ebrei nascosti nei conventi di Assisi; il fondamentale sostegno all’opera diplomatica condotta affinché la città ottenesse l’attestato di “zona ospedaliera”, salvata in tal modo dagli attacchi della retroguardia tedesca in ritirata e dai bombardamenti delle forze alleate. Il giovane pronipote di Müller, Jona Raischl, nel documentario da lui elaborato, ha ricostruito il profilo biografico del bisnonno nato nel 1891, laureato in Medicina, arruolato nella Prima e nella Seconda guerra mondiale.

Evidenziato lo spirito umanitario del personaggio, ispirato da convinzioni cristiane sia nelle campagne militari sia nel mandato affidatogli in Assisi, dove guadagnò la fiducia dei cittadini con gesti rimasti finora disconosciuti come le cure mediche prestate ad alcune famiglie. Superò la malattia la neonata Anna (coniugata Berichillo) e parimenti la giovinetta Vittoria (coniugata Cerri): soltanto un esempio.

Nelle sequenze del video risaltano quali protagonisti il vescovo Giuseppe Placido Nicolini, don Aldo Brunacci, p. Rufino Niccacci e sfilano quali testimoni diretti o indiretti p. Giovanni Vlàdimir, Graziella Viterbi, Maria Pammelati, Fabrizio Leggio, Massimo Zubboli, lo stesso Santucci che a proposito della presenza degli ebrei in Assisi così ha affermato: “Faceva finta di non sapere, ma sapeva”. Nella notte tra il 15 e il 16 giugno 1944 Müller lasciò Assisi senza aver mai rinunciato alla sua divisa, tanto che poco dopo sarebbe caduto prigioniero. Risale al 1950 il suo ritorno, ripagato da onore e gratitudine.

Il 3 marzo nel corso della cerimonia commemorativa – presieduta dal sindaco Ricci e dal vescovo Sorrentino, diretta nelle varie scansioni da Marina Rosati responsabile del Museo della Memoria – la comunità assisiate ha manifestato calorosa accoglienza ai familiari del colonnello: la nuora Margaret con le figlie Marina e Bernadette accompagnata dal marito Joseph Raischl e dai figli Jona e Chiara. Joseph, compositore tra l’altro di musiche sacre, ha eseguito insieme alla moglie Bernadette un suo Cantico salutando così il pubblico presente.

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Europa e Russia, un vecchio gioco https://www.lavoce.it/europa-e-russia-un-vecchio-gioco/ Thu, 06 Mar 2014 12:36:59 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23106 Chi aveva detto che con la “fine delle ideologie” era finita anche la storia? Dove per “storia” s’intendeva quella dei conflitti, delle alleanze, delle guerre più o meno mondiali. Ora, a parte che la storia non è solo quella, di guerre e conflitti ne abbiamo avuti fin troppi anche dopo la fine delle ideologie. Oggi abbiamo l’aggressione della Russia contro l’Ucraina e ci accorgiamo che la guerra fredda fra l’Est e l’Ovest era solo sospesa, non finita, anche se le ideologie non c’entrano più nulla. C’entra invece in questo caso l’imperialismo russo, come ai tempi degli zar, poi a quelli di Stalin e adesso con Putin. Le vere radici delle guerre sono i fattori etnici (il nazionalismo) ma soprattutto gli interessi economici, la ricerca del potere, del dominio sul territorio. Chi ha vissuto i decenni della guerra fredda (diciamo dal 1945 al 1990) poteva credere che lo scontro fra l’Occidente liberale e l’Oriente comunista fosse un fatto ideologico, ma non era vero. Nella prima fase della Seconda guerra mondiale, Hitler e Stalin erano alleati, benché fossero agli antipodi ideologicamente (molto simili, invece, nel modo di governare); poi Hitler aggredì la Russia e Stalin si alleò con le grandi democrazie occidentali. Le democrazie occidentali (che all’epoca erano anche potenze imperiali) fecero causa comune con Stalin perché così potevano difendersi dall’aggressione hitleriana; ma se Hitler non le avesse minacciate e aggredite, non avrebbero avuto difficoltà ad allearsi con lui contro Stalin. Il mito delle Potenze occidentali che si battono contro i tedeschi per restituire libertà e democrazia all’Europa è, appunto, una favoletta; a loro interessava salvaguardare la loro egemonia sullo scacchiere mondiale, tant’è vero che mezza Europa la lasciarono a Stalin. Di nuovo, dunque, la Russia muove i suoi carri armati; ma ha, di più, il potere che le deriva dalle sue fonti di energia, dalle quali dipende buona parte dell’Europa, Italia compresa. È questa un’arma più efficace della bomba atomica. Come sempre, noi italiani scherziamo sull’orlo del vulcano.

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