santa Marta Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/santa-marta/ Settimanale di informazione regionale Fri, 21 Jul 2023 17:33:06 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg santa Marta Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/santa-marta/ 32 32 Il neo vescovo Nazzareno Marconi da Papa Francesco a Roma. Domenica 13 l’ordinazione episcopale https://www.lavoce.it/il-neo-vescovo-nazzareno-marconi-da-papa-francesco-a-roma-domenica-13-lordinazione-episcopale/ Fri, 04 Jul 2014 12:52:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=25935 Mons. Nazzareno Marconi con Papa Francesco
Mons. Nazzareno Marconi con Papa Francesco

Mons. Nazzareno Marconi ha incontrato Papa Francesco il 26 giugno a Roma concelebrando la messa mattutina in Santa Marta. Dopo la messa, come di consueto Papa Francesco ha salutato uno ad uno i presenti, e tra i primi proprio il vescovo eletto di Macerata – Tolentino – Recanati – Cingoli – Treia.

In questi ultimi giorni mons. Marconi si è invece ritirato in preghiera in preparazione all’ordinazione episcopale che riceverà il 13 luglio alle ore 18 nella cattedrale di Città di Castello.

All’evento saranno dedicate alcune pagine speciali sul prossimo numero de La Voce. Intanto, si può già anticipare qualche dato. Conferirà l’ordinazione a mons. Marconi il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve e presidente della Conferenza episcopale umbra. Concelebranti, mons. Domenico Cancian, vescovo di Città di Castello, patria del neo-vescovo, e mons. Claudio Giuliodori, suo predecessore a Macerata.

Al rito, si conta che parteciperanno circa 1.200 persone tra fedeli umbri e marchigiani, autorità politiche delle due Regioni, ecclesiastici da tutta Italia – tra cui una ventina di vescovi – e la famiglia del nuovo vescovo. Verranno fedeli principalmente dalle tre parrocchie in cui mons. Marconi ha operato, nei Comuni di Citerna, San Giustino e Trestina. Da Macerata confluiranno circa 300 persone tra fedeli, autorità ed ecclesiastici.

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PERUGIA. Le monache celebrano i 50 anni di Benedetto patrono d’Europa https://www.lavoce.it/perugia-le-monache-celebrano-i-50-anni-di-benedetto-patrono-deuropa/ Thu, 27 Mar 2014 13:51:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23918 Il monastero di Santa Caterina a Perugia
Il monastero di Santa Caterina a Perugia

In molti luoghi benedettini, il 21 marzo scorso è stato ricordato san Benedetto (Norcia 480 – Montecassino 547); tra questi, il monastero delle Benedettine di Santa Caterina a Perugia. Nell’antico edificio, dove attualmente vivono e lavorano dieci monache di clausura, si svolgono i riti liturgici caratterizzati dal canto gregoriano antico, sempre ispiratore di preghiera ed esaltazione della Parola.

Quest’anno la festa del 21 marzo – legata al transito di Benedetto da questo mondo al cielo – ha visto due particolari circostanze: la crisi dell’Europa nei suoi vari aspetti, compresi i fatti dell’Ucraina, e il 50° anniversario della proclamazione di san Benedetto a patrono d’Europa decisa da Paolo VI con la lettera apostolica Pacis nuncius (24 ottobre 1964). Prendendo lo spunto dalle letture del giorno, il celebrante a “Santa Caterina” ha descritto la prima parte della vita di Benedetto come una continua fuga dal paese natio, da Roma, da Subiaco, e in continuo cammino per costruire un movimento che sarà apportatore di vitalità e rinnovamento nella Chiesa di quel tempo e dei tempi successivi.

L’altro aspetto che rende Benedetto forte e sicuro nella lotta contro l’ignoranza, l’idolatria, la corruzione e la violenza è – come ammoniva i monaci – “non anteporre nulla all’amore di Cristo”. L’insegnamento di Benedetto e la sua opera di evangelizzazione ha inciso sullo sviluppo delle civiltà europea e mondiale con la croce, il libro e l’aratro.

Non disdegnando il “mondo”, ma anzi con l’esempio e la fatica giornaliera ha insegnato a non fuggire di fronte agli invasori, e a rispettare la natura intesa come creazione divina dalla quale non possiamo allontanarci da Cristo.

È stato eseguito durante la liturgia il canto Chi ci separerà, come una preghiera e una sfida che dovrebbe riguardare tutta l’Europa perché non perda la ricchezza della sua cultura cristiana e ritrovi lo slancio unitario e solidale dei Padri fondatori, che al termine del terribile conflitto mondiale vollero gettare le basi della convivenza pacifica tra nazioni diverse, che spesso in passato si erano trovate in conflitto tra loro.

Il 40° di suor Lissy

Il 25 marzo è stata festa grande al Monastero benedettino di Santa Caterina per la solennità dell’Annunciazione e per i 40 anni di professione di suor Lissy. Suor Lissy (Teresa di Lisieux) viene dal Kerala (India), ed è della congregazione Casa Santa Marta che si occupa di ospedali, scuole, anziani. La collaborazione con il monastero è iniziata con l’accoglienza di alcune suore che dovevano studiare la lingua italiana, poi è arrivata lei. La badessa del monastero, suor Caterina, a nome della comunità, le ha espresso gratitudine e gioia: “Grazie, suor Lissy! Grazie a nome della comunità, della parrocchia, della diocesi in cui, undici anni or sono, sei arrivata per la tua missione in mezzo a noi! Missione di obbedienza: prima di tutto a Dio che, per mezzo della tua Madre generale, ti ha inviata qui per una nuova esperienza di vita. Missione di dedizione quotidiana nella vita condivisa nelle gioie  e nei momenti meno felici, con sorelle consacrate a Dio come te, ma con una finalità diversa, eppure unite dall’unico ideale: servire Cristo”.

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“È il suo invito ad andare lontano incontro al mondo” https://www.lavoce.it/e-il-suo-invito-ad-andare-lontano-incontro-al-mondo/ Mon, 10 Mar 2014 15:42:47 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23467 Vaticano,-23-febbraio--Papa-Francesco-presiede-la-concelebrazione-eucaristica-con-i-cardinali-creati-nel-ConcistoroFilosofo, sociologo delle religioni, traduttore. Jean-Louis Schlegel si dice particolarmente interessato alla ricomposizione del religioso e in particolare della Chiesa cattolica nella società contemporanea. L’invito di Papa Francesco ad uscire nelle periferie per andare incontro agli uomini e alle donne che le abitano, rientra in questo grande disegno di riconciliazione tra il mondo e la Chiesa.

Prof. Schlegel, intanto una sua prima impressione di questo primo anno di pontificato? Quale dimensione nuova Papa Francesco ha portato alla Chiesa ?

“Ho una duplice impressione: da una parte vedo che la Chiesa è governata ma noto anche che è governata in modo diverso. Mi spiego: è governata da qualcuno che riflette, agisce e prende lui stesso le decisioni. Papa Francesco non si accontenta di ‘regnare’ lasciando ad altri il governo della Chiesa. Papa Francesco governa e per aiutarsi in questo compito ha creato un apposito Consiglio di cardinali, un’istanza pubblica, ufficialmente incaricata di fare le riforme. Si esce così dall’occulto, dagli intrighi, dalle speculazioni per un governo in piena trasparenza. Dunque il Papa governa, ma governa con uno stile diverso. Voglio dire che imprime uno stile particolare al suo governo che consiste innanzitutto nel prendersi personalmente i rischi delle proprie decisioni. Francesco non ha atteso di mettere in moto le riforme strutturali (Curia, finanze, ecc) per cambiare la Chiesa. E’ lui stesso la riforma. Il cambio di stile è straordinario – a partire dalla sua abitazione, il vestito, i rapporti ‘fisici’ con le persone (anche con le donne, per esempio, che abbraccia senza esitare). Compie in questo senso anche gesti simbolici: non si limita a invitare gli altri ad andare incontro al povero e ai piccoli. Ci va lui di persona. Basti pensare a Lampedusa, all’incontro con i disabili, ai bambini della prima comunione, alla lavanda dei piedi il Giovedì Santo … In altre parole, paga di persona e avvia la riforma della Chiesa senza attendere il completamento dei lavori del suo Consiglio cardinalizio. Si ha l’impressione di essere ‘in riforma’ da un anno”.

Lei parlava dell’invito del Papa di andare incontro ai piccoli, alle periferie. Quali sono le periferie moderne dove appunto immergersi?

“Il Papa parla agli uomini e alle donne di questo tempo e le persone oggi vivono prevalentemente nelle città e nelle loro periferie. In Francia il termine ‘péripherie’ rimanda alle periferie più lontane, ai bordi più esterni dei quartieri periferici. Non tutte le periferie però sono povere. A Parigi e nella regione parigina, per esempio, parte della periferia è molto ricca. Non credo che il Papa si riferisca a queste periferie (anche se c’è una povertà spirituale). Credo piuttosto che il Papa parli delle periferie sperdute e lontane dove non ci sono case ma torri, ‘lunghi casermoni’ abitati da moltissimi giovani e dove la disoccupazione è alta. Sono i luoghi dove vivono gli ultimi arrivati, gli immigrati provenienti da paesi poveri e i contadini poveri attratti dalla città e dalle sue promesse spesso ingannevoli…”.

Quanto può aver influito la sua provenienza da Buenos Aires?

“Per lui, arcivescovo di Buenos Aires, la giustapposizione di grandi ricchezze e di immensa povertà, come in tutte le megalopoli del Sud, è una esperienza e una evidenza immediata. La periferia, allungata all’infinito, è il luogo simbolo della povertà materiale, culturale, affettiva … e al tempo stesso il simbolo aggressivo di tutti i cambiamenti e i contrasti di spazio/tempo post-moderno”.

E poi, come diceva, esiste la povertà spirituale?

“Il Papa ha certamente in testa anche le “periferie simboliche” dell’esilio interno, della solitudine, del dolore di vivere, della violenza, senza dimenticare gli uomini lontani dalla Chiesa”.

Perché parlare di periferie proprio adesso?

“Perché bisogna uscire. Uscire e andare lontano. Ma uscire per andare lontano dove? Uscire dalla ‘sacrestia’, dai ‘templi’, dalle mura della parrocchia identificata come ‘cattolica’. Sembra che Francesco suggerisca che questo andare fuori faccia bene ai sacerdoti, non solo spiritualmente, ma anche a livello psicologico: si tratta per loro di uscire dallo spazio ecclesiale per cambiare aria. A volte ho anche avuto la sensazione che Benedetto abbia sottolineato la liturgia, la conversione interiore, lo spazio della Chiesa e la vita spirituale. Per Francesco era troppo ristretto. Lui sprona ad andare incontro agli esseri umani, anche ai non cristiani, addirittura spingendosi fuori dall’etica cattolica, non solo a causa dell’evangelizzazione o per ‘convertire’, ma per vivere una esperienza personale. La ragione che ha dato per spiegare la scelta di stare a Santa Marta, non è la povertà o la virtù (neanche per evitare il Palazzo Vaticano). No, lui ha bisogno di scambiare parole con quelli che si trovano al suo tavolo e si trovano lì per caso e non per etichetta vaticana. E, infine, penso, che Papa Francesco ricordi ai vescovi, ai sacerdoti e ai laici che non è sufficiente servire il corpo della Chiesa come dei ‘buoni funzionari’. Il Vangelo esige di più! ‘Magis’, come diceva Sant’Ignazio, fondatore dei Gesuiti. Cristo chiama i suoi discepoli a fare ‘di più’”.

Maria Chiara Biagioni

 

 

Biografia: Jean-Louis Schlegel

Sociologo della religione, membro della rivista “Esprit” e del Comitato Scientifico di Assr (Archives de Sciences Sociales des Religions), editore delle “Editions du Seuil”, è un osservatore interessato al futuro della Chiesa cattolica. È, in particolare, autore di due libri che tentano di comprendere e descrivere le due tendenze estreme del nostro tempo: l’individualismo in “Religions à la carte” (Hachette, 1997), e le tentazioni fondamentaliste identitarie in “La loi de Dieu contre la liberté des hommes. Intégrismes et fondamentalismes” (Seuil, 2003). Ha diretto numeri speciali della rivista Esprit sulla questione religiosa (“Il tempo delle religioni senza Dio” e “Effervescenze religiose del mondo”). E’ stato anche traduttore di filosofi (Franz Rozenzweig, Jürgen Habermas, Carl Schmitt, Hans Blumenberg) e di teologi (Hans Küng, Hans Urs von Balthasar, Erik Peterson, Joseph Ratzinger.

 

 

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Un anno con Papa Francesco: i suoi tratti distintivi https://www.lavoce.it/un-anno-con-papa-francesco-i-suoi-tratti-distintivi/ Thu, 06 Mar 2014 14:42:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=23304

[caption id="attachment_23083" align="alignleft" width="350"]Papa Francesco la sera dell’elezione si presenta a Roma e al mondo Papa Francesco la sera dell’elezione si presenta a Roma e al mondo[/caption] Chi volesse stendere un resoconto organico su Papa Francesco a un anno di distanza dalla sua elezione, dovrebbe scrivere un libro, come alcuni hanno fatto o stanno facendo, che però rimarrebbe incompiuto, sempre incompiuto perché, appena pubblicato, sarebbe già superato da una novità da lui detta o fatta. La novità e imprevedibilità di parole e gesti è un dato forse caratteriale, legato a una personalità creativa o indotta dalla creatività dello Spirito che abita serenamente in lui e lo rende pronto a ogni soffio. Bergoglio non svolge il suo compito come un esecutore di un piano prestabilito, ma reagisce ai richiami e agli impulsi del cuore. Di prestabilito rispetto al suo operare c’è il suo essere, cristiano e umano, la sua intelligenza, la sua fede, la sua umanità, la sua storia di figlio di emigrati italiani, la sua esperienza maturata nell’Argentina dei desaparecidos e vissuta tra la complessità confusa e conflittuale del mondo latinoamericano, senza dimenticare la forza e l’ordine interiore forgiato dagli esercizi spirituali di sant’Ignazio. Tutto questo egli lo ha unificato nel nome-simbolo di Francesco, che nella visita ad Assisi (4 ottobre 2013) ha caricato di ulteriori significati rispetto alla primitiva intuizione. Così è per il suo linguaggio, il linguaggio del cuore, come ha detto di recente a una comunità pentecostale protestante: un linguaggio - egli diceva - fatto di nostalgia e di gioia, di nostalgia per la separazione e di gioia per la fraternità ritrovata. “Siamo fratelli”, diceva con voce sommessa e suadente, e possiamo dircelo anche noi tra le lacrime, come Giuseppe in Egitto quando incontrò i fratelli che lo avevano venduto, e si riconobbero. Questa mi sembra la cifra del pontificato di Francesco, fratello universale, piegato sulle piaghe di Cristo impresse nella carne di tutti coloro che soffrono, che lava e bacia i piedi della ragazza musulmana, abbraccia poveri e ammalati, prende in braccio i bambini. Per essere fratello credibile ha ritenuto necessario spogliarsi di titoli e vesti che potessero tenerlo lontano dalla gente umile e semplice, la gente della piazza e quella della casa abitualmente abitata, la modesta dimora di Santa Marta, condivisa con gli ospiti fissi e occasionali. Francesco è nome universale da quando il Santo di Assisi ha voluto chiamare fratello e sorella anche il sole e la luna, il fuoco e l’acqua, e ogni essere amato da Dio, anche se lebbroso, rifiutato ed escluso dalla società civile. Ha detto - con tono di rimprovero - “chi ha pianto?” per i naufraghi di Lampedusa. E ha detto pure: “Chi sono io” per giudicare un fratello che ha una tendenza omosessuale? Ha domandato a se stesso e alla Chiesa intera, con un questionario, “come possiamo avvicinare e considerare fratelli e sorelle” tutte quelle persone che hanno avuto un matrimonio fallito e una famiglia divisa con gravi danni e sofferenze per coniugi e figli. È il Papa della misericordia e della tenerezza, che ha chiesto alla Chiesa di uscire dalle sue sicurezze difese a suon di “bastonate inquisitorie”, ripiegata su se stessa alzando barriere moralistiche o disciplinari che oscurano la brillante luminosità del Vangelo. La sua attitudine a stare in mezzo alla folla, anche quando è pressante e potrebbe essere pericoloso: “Si deve avere fiducia nella gente”. Essa non è generica accozzaglia di individui, ma è formata da persone amate da Dio, e Suo popolo, che costituisce il motivo e il fine dell’esistenza del Pastore. Per questo Bergoglio ha marcato la sua identità sacramentale di vescovo e la sua appartenenza ecclesiale alla Chiesa di Roma, presidente nella carità delle Chiese sparse nel mondo. A questo popolo radunato per la sua elezione fin dal primo incontro ha chiesto di invocare la benedizione di Dio per lui. L’immagine di Francesco curvo davanti alla folla silenziosa e orante in piazza San Pietro nel momento iniziale del suo pontificato, quando nasce come per germinazione la sua paternità/fraternità universale, è stata e rimane nella memoria e nella coscienza collettiva la scintilla che ha acceso una grande luce sulla sua missione. Vescovo e popolo si danno la mano come due realtà che agiscono sempre insieme. Lo ha ricordato anche nel discorso di Aparecida durante la Gmg. In questi tratti, troviamo anche il senso del rinnovamento pastorale, che suona come una rivoluzione ed esige una conversione: conversione del cuore e conversione pastorale nel porre i poveri al centro, non solo come scelta, ma nel senso di una Chiesa veramente povera. Un anno dopo, rimane lo stupore che ogni giorno si rinnova con parole nuove e antiche, che Francesco ha raccolto nella Evangelii gaudium, una “summa” dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. È l’“eterna novità” di Cristo (n. 11) l’unica ragione di vita della Chiesa e dei suoi pastori. Nella sua parola è la gioia dei discepoli e la salvezza del mondo: la gioia del Vangelo, il Vangelo della gioia.]]>

[caption id="attachment_23083" align="alignleft" width="350"]Papa Francesco la sera dell’elezione si presenta a Roma e al mondo Papa Francesco la sera dell’elezione si presenta a Roma e al mondo[/caption] Chi volesse stendere un resoconto organico su Papa Francesco a un anno di distanza dalla sua elezione, dovrebbe scrivere un libro, come alcuni hanno fatto o stanno facendo, che però rimarrebbe incompiuto, sempre incompiuto perché, appena pubblicato, sarebbe già superato da una novità da lui detta o fatta. La novità e imprevedibilità di parole e gesti è un dato forse caratteriale, legato a una personalità creativa o indotta dalla creatività dello Spirito che abita serenamente in lui e lo rende pronto a ogni soffio. Bergoglio non svolge il suo compito come un esecutore di un piano prestabilito, ma reagisce ai richiami e agli impulsi del cuore. Di prestabilito rispetto al suo operare c’è il suo essere, cristiano e umano, la sua intelligenza, la sua fede, la sua umanità, la sua storia di figlio di emigrati italiani, la sua esperienza maturata nell’Argentina dei desaparecidos e vissuta tra la complessità confusa e conflittuale del mondo latinoamericano, senza dimenticare la forza e l’ordine interiore forgiato dagli esercizi spirituali di sant’Ignazio. Tutto questo egli lo ha unificato nel nome-simbolo di Francesco, che nella visita ad Assisi (4 ottobre 2013) ha caricato di ulteriori significati rispetto alla primitiva intuizione. Così è per il suo linguaggio, il linguaggio del cuore, come ha detto di recente a una comunità pentecostale protestante: un linguaggio - egli diceva - fatto di nostalgia e di gioia, di nostalgia per la separazione e di gioia per la fraternità ritrovata. “Siamo fratelli”, diceva con voce sommessa e suadente, e possiamo dircelo anche noi tra le lacrime, come Giuseppe in Egitto quando incontrò i fratelli che lo avevano venduto, e si riconobbero. Questa mi sembra la cifra del pontificato di Francesco, fratello universale, piegato sulle piaghe di Cristo impresse nella carne di tutti coloro che soffrono, che lava e bacia i piedi della ragazza musulmana, abbraccia poveri e ammalati, prende in braccio i bambini. Per essere fratello credibile ha ritenuto necessario spogliarsi di titoli e vesti che potessero tenerlo lontano dalla gente umile e semplice, la gente della piazza e quella della casa abitualmente abitata, la modesta dimora di Santa Marta, condivisa con gli ospiti fissi e occasionali. Francesco è nome universale da quando il Santo di Assisi ha voluto chiamare fratello e sorella anche il sole e la luna, il fuoco e l’acqua, e ogni essere amato da Dio, anche se lebbroso, rifiutato ed escluso dalla società civile. Ha detto - con tono di rimprovero - “chi ha pianto?” per i naufraghi di Lampedusa. E ha detto pure: “Chi sono io” per giudicare un fratello che ha una tendenza omosessuale? Ha domandato a se stesso e alla Chiesa intera, con un questionario, “come possiamo avvicinare e considerare fratelli e sorelle” tutte quelle persone che hanno avuto un matrimonio fallito e una famiglia divisa con gravi danni e sofferenze per coniugi e figli. È il Papa della misericordia e della tenerezza, che ha chiesto alla Chiesa di uscire dalle sue sicurezze difese a suon di “bastonate inquisitorie”, ripiegata su se stessa alzando barriere moralistiche o disciplinari che oscurano la brillante luminosità del Vangelo. La sua attitudine a stare in mezzo alla folla, anche quando è pressante e potrebbe essere pericoloso: “Si deve avere fiducia nella gente”. Essa non è generica accozzaglia di individui, ma è formata da persone amate da Dio, e Suo popolo, che costituisce il motivo e il fine dell’esistenza del Pastore. Per questo Bergoglio ha marcato la sua identità sacramentale di vescovo e la sua appartenenza ecclesiale alla Chiesa di Roma, presidente nella carità delle Chiese sparse nel mondo. A questo popolo radunato per la sua elezione fin dal primo incontro ha chiesto di invocare la benedizione di Dio per lui. L’immagine di Francesco curvo davanti alla folla silenziosa e orante in piazza San Pietro nel momento iniziale del suo pontificato, quando nasce come per germinazione la sua paternità/fraternità universale, è stata e rimane nella memoria e nella coscienza collettiva la scintilla che ha acceso una grande luce sulla sua missione. Vescovo e popolo si danno la mano come due realtà che agiscono sempre insieme. Lo ha ricordato anche nel discorso di Aparecida durante la Gmg. In questi tratti, troviamo anche il senso del rinnovamento pastorale, che suona come una rivoluzione ed esige una conversione: conversione del cuore e conversione pastorale nel porre i poveri al centro, non solo come scelta, ma nel senso di una Chiesa veramente povera. Un anno dopo, rimane lo stupore che ogni giorno si rinnova con parole nuove e antiche, che Francesco ha raccolto nella Evangelii gaudium, una “summa” dell’evangelizzazione nel mondo contemporaneo. È l’“eterna novità” di Cristo (n. 11) l’unica ragione di vita della Chiesa e dei suoi pastori. Nella sua parola è la gioia dei discepoli e la salvezza del mondo: la gioia del Vangelo, il Vangelo della gioia.]]>
Tempo di tremore e di grazia https://www.lavoce.it/tempo-di-tremore-e-di-grazia/ Fri, 28 Feb 2014 14:57:31 +0000 https://www.lavoce.it/?p=22865 L’abbraccio tra Papa Francesco e Bassetti alla consegna della Berretta cardinalizia
L’abbraccio tra Papa Francesco e Bassetti alla consegna della Berretta cardinalizia

È ben difficile sintetizzare il subisso di emozioni che ho raccolto nel cuore nei giorni del Concistoro. Un misto di sentimenti contrastanti, che vanno dal tremore alla gioia intensa hanno invaso il mio intimo, consegnando, alla fine, al coacervo di ricordi che porto con me fin da bambino, quattro giornate intensissime, che resteranno presenti alla mia mente per tutta la vita. Sono arrivato in Vaticano mercoledì sera, sul tardi, e ho preso alloggio a Casa Santa Marta; e subito, l’iniziale sensazione di smarrimento si è trasformata in imbarazzo, trovandomi a prendere il pasto serale a pochi metri dal Santo Padre, che con la massima serenità e disinvoltura vive ormai da un anno insieme agli altri ospiti nella Casa, accontentandosi della semplicità del luogo e convivendo senza problemi con gli ospiti tradizionali o di passaggio. L’aula del Sinodo, dove si sono svolte le riunioni dei Padri cardinali, non mi era nuova, essendoci stato molte volte per le riunioni dell’Assemblea della Cei. Lo scenario era un po’ diverso: uomini di ogni razza, lingua e provenienza riempivano quel familiare emiciclo, rappresentando la Chiesa cattolica nella sua intera universalità. Venerdì mattina ho avuto la possibilità di concelebrare con Papa Francesco, accompagnando il card. Silvano Piovanelli, mio arcivescovo a Firenze per tanti anni, che proprio quel giorno festeggiava il suo compleanno. È stato un tempo di intensa preghiera e di autentica grazia. Più tardi, alla ripresa dei lavori nell’aula sinodale, ho potuto prendere la parola anch’io, nella speranza di contribuire, con la mia esperienza ventennale di vescovo, a portare un qualche aiuto alla riflessione sui problemi pastorali più urgenti che la Chiesa deve affrontare. È arrivato poi il giorno del Concistoro pubblico nella basilica di San Pietro. Sabato mattina di buon ora sono sceso a pregare in cappella; ero sereno, anche se l’emozione cominciava a farsi sentire. Venuta l’ora, mi sono ritrovato seduto, con gli altri confratelli, intorno all’altare della Confessione. Lo splendore degli stucchi mi veniva addosso, mentre cercavo di concentrarmi sull’intensità del rito. Ho ascoltato assorto il canto del Vangelo, l’episodio che narra la pretesa di due discepoli di stare assisi uno alla destra e uno alla sinistra del Signore nella gloria del regno futuro. Gesù, da buon padre e maestro, ha saputo dare una risposta seria e non offensiva alle povere ambizioni umane: il Padre deciderà chi dovrà stare accanto a Lui, non serve raccomandarsi. Il cuore mi si è stretto nel petto e con il pensiero sono andato indietro negli anni, fino all’età della giovinezza, a frugare nei ricordi i motivi fondanti della mia vocazione sacerdotale, trovandone una e una sola: servire il Signore, secondo la Sua volontà, senza mai nulla chiedere, o peggio, pretendere. Imponendomi la berretta, il Papa mi ha abbracciato e fatto coraggio, promettendo e chiedendo il ricordo nella preghiera. Poi sono entrato in un vortice di saluti e abbracci che non sembrava avere mai fine. In San Pietro, poi a San Gregorio VII, dove ho incontrato i fedeli venuti dalla diocesi, e infine nell’aula Nervi è stato tutto un susseguirsi di volti amici. Ho visto migliaia di persone accalcarsi intorno a me con tanto affetto e questo mi ha dato gioia e consolazione. Domenica mattina ho concelebrato con il Santo Padre nella basilica Vaticana, stracolma come il giorno prima. Il Papa ci ha parlato con forza, come gli è solito, invitandoci a evitare le piccolezze umane del primeggiare e del vano vociferare, invitandoci a essere veri discepoli del Cristo e tempio santo dello Spirito di Dio. Nel pomeriggio, salendo lentamente verso Perugia, ho rivissuto gli attimi del mio ingresso da arcivescovo. Il corso e la cattedrale gremiti sono stati luce per i miei occhi e forza per il mio animo. Sull’altare, ho voluto parlare con il cuore al mio popolo, invitando, senza enfasi e con umiltà, alla speranza e alla fiducia nel Signore, che sa fare di noi, poveri uomini, strumenti della sua salvezza per tutto il genere umano. Ringrazio Dio per i giorni e le gioie che mi ha concesso di vivere: siano segni della sua bontà per tutta la nostra Chiesa.

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Il Papa contro la corruzione https://www.lavoce.it/il-punto-il-papa-contro-la-corruzione/ Thu, 21 Nov 2013 18:39:55 +0000 https://www.lavoce.it/?p=20716 Due volte, nelle sue omelie “private” nella cappella di Santa Marta, il Papa ha toccato il tema della corruzione: il giorno 8 novembre e poi l’11. Ne ha parlato come di un peccato imperdonabile (salvo, s’intende, un pentimento che comporti un cambiamento radicale di vita). Ma che cosa intendeva esattamente il Papa con la parola “corruzione”?

La parola può avere un significato stretto e tecnico, oppure un significato ampio e generico. Il significato ampio è quello originale, etimologico. Il latino corruptio si può tradurre come “disfacimento, rovina”, una cosa che riguarda l’organismo nel suo insieme e viene dal profondo, irrimediabile: la casa che crolla perché nulla si regge più, il corpo morto che va in putrefazione. Da sempre la parola viene usata anche in senso figurato per indicare il disfacimento morale. Così si parla di società corrotta, costumi corrotti, persone moralmente corrotte.

Questo è ciò che intendeva il Papa nell’omelia dell’11 novembre, quando ha contrapposto il peccatore, che può essere perdonato, e il corrotto per il quale non c’è perdono possibile, perché il radicamento nel male è divenuto irreversibile.

Nell’omelia dell’8 novembre invece il Papa parlava della corruzione in senso stretto, ossia di quel contratto scellerato fra l’uomo che ha un potere (un politico, un funzionario, un giudice) e il cittadino che lo paga di nascosto perché quel potere sia distorto in suo favore. Così si arricchiscono illecitamente in due. Quella volta il Papa parlava proprio di questo tipo di corruzione: ha definito quelli che la praticano come i devoti della “dea tangente” e ha chiamato “pane sporco” il guadagno che ne deriva.

Qui si ricollegava a un altro tema che ricorre spesso nei suoi discorsi: la sete del denaro – anzi del “dinèro” -, che c’è sempre stata, ma che nel mondo moderno è divenuta l’ossessione di tutti, il grande motore che fa girare il mondo ma lo spinge verso la corruzione (intesa come quella del cadavere putrefatto). Non c’è da essere allegri.

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Il Papa: annunciare Gesù Risorto senza timore e vergogna e senza trionfalismi https://www.lavoce.it/il-papa-annunciare-gesu-risorto-senza-timore-e-vergogna-e-senza-trionfalismi/ Tue, 10 Sep 2013 11:52:35 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18911 PAPA-FIl Papa all’omelia della messa mattutina a Santa Marta, questa mattina ha parlato di cristiani timorosi; cristiani vergognosi, e cristiani trionfalistici. “Questi tre – dice – non si sono incontrati col Cristo Risorto!”. Un invito a verificare se anche noi siamo in una di queste tre figure!

«Papa Francesco ha svolto la sua omelia prendendo spunto dalle parole su Gesù nella Lettera di San Paolo ai Colossesi. A tutti noi, ha detto il Papa, San Paolo consiglia di camminare con Gesù “perché Lui ha vinto, camminare in Lui radicati e costruiti su di Lui, su questa vittoria, saldi nella fede”. Questo è il punto chiave, ha ribadito: “Gesù è risorto!”. Ma, ha proseguito, non è sempre facile capirlo. Il Papa ricorda, per esempio, che quando San Paolo si rivolse ai greci ad Atene venne ascoltato con interesse fino a quando parlò di Risurrezione. “Questo ci fa paura, meglio lasciarla lì”. Un episodio che ci interroga anche oggi».

(Il servizio completo di Radio Vaticana anche con l’audio su www.news.va)

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L’Angelus di Papa Francesco: amiamo con la misericordia di Dio https://www.lavoce.it/langelus-di-papa-francesco-amiamo-con-la-misericordia-di-dio/ Thu, 18 Jul 2013 14:59:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=18199 buon-samaritanoDue uomini si incontrano lungo la strada che attraversa il deserto della Giudea, e da Gerusalemme porta a Gerico. Il primo ha passato un brutto quarto d’ora: assalito dai briganti, viene derubato di tutto, percosso a sangue e abbandonato mezzo morto in terra. Il secondo è uno straniero, che una inimicizia si potrebbe dire ‘storica’ con gli israeliti rende non bene accetto – “I samaritani erano disprezzati dai giudei a causa di diverse tradizioni religiose”, ha ricordato Papa Francesco all’Angelus di domenica – eppure non ha dubbi e soccorre l’uomo: “Passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione”, scrive Luca nel Vangelo.

Lungo quella stessa strada sono passati altri due uomini, un sacerdote e un levita, cioè due persone addette al culto nel Tempio del Signore, ma nessuno dei due si è fermato: “Vedono quel poveretto, ma passano oltre senza fermarsi. Invece il samaritano, quando vide quell’uomo, ne ebbe compassione, dice il Vangelo. Si avvicinò, gli fasciò le ferite, versandovi sopra un po’ di olio e di vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e pagò l’alloggio per lui”. Il samaritano “si prese cura di lui: è l’esempio dell’amore per il prossimo”, dice Papa Francesco nel suo primo Angelus da Castel Gandolfo, recitato dal portone del palazzo pontificio, tradizionale residenza estiva dei Papi, anche se Francesco l’estate la passerà a Santa Marta e tornerà nella cittadina dei Castelli romani solo a ferragosto.

Vedere la sofferenza di una persona, anche di un ‘nemico’, e farsi prossimo: “È questo il gesto che compie il samaritano. Anche agli altri due uomini è data la possibilità di obbedire al comandamento di Dio: amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il tuo prossimo come te stesso”. Luca fa ricordare allo scriba – un maestro della Legge di Dio – un comandamento che si richiama al Deuteronomio e al Levitico, due dei cinque libri del Pentateuco che, nella tradizione ebraica, costituisce la Torah cioè la Legge, e rappresenta il cuore della Bibbia ebraica e della rivelazione di Dio al Suo popolo.

Nella risposta che Gesù fa dire allo scriba, a proposito della domanda “cosa devo fare per ereditare la vita eterna”, emerge da un lato il rispetto per la Legge, ma, ancor più, il calare questa Legge nella pratica quotidiana: amare Dio e amare il prossimo. Così Gesù gli dice: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Il samaritano insegna semplicemente ad amare senza altre preoccupazioni se non quella di aprirci all’altro, di essergli accanto. E se lo scriba chiede “chi è il mio prossimo”, Gesù, narrando la parabola del buon samaritano, e ricordando i due che non si sono fermati a soccorrerlo, chiede “chi è stato prossimo”. Una prospettiva diversa, che fa dire al Papa: “Gesù fa vedere che il cuore di quel samaritano è buono e generoso e che, a differenza del sacerdote e del levita, lui mette in pratica la volontà di Dio, che vuole la misericordia più che i sacrifici. Dio sempre vuole la misericordia e non la condanna verso tutti. Vuole la misericordia del cuore, perché Lui è misericordioso e sa capire bene le nostre miserie, le nostre difficoltà e anche i nostri peccati. Dà a tutti noi questo cuore misericordioso. Il samaritano fa proprio questo: imita la misericordia di Dio, la misericordia verso chi ha bisogno”.

La domanda che la parabola ci chiede di farci ogni volta che troviamo una persona, un uomo sulla nostra strada, non è tanto “chi è l’altro per me”, ma piuttosto “chi sono io per l’altro”.

Il samaritano è una persona che non conosce la Legge come lo scriba, il levita, il sacerdote del Tempio, ma Luca ci dice che semplicemente la vive; e di fronte all’uomo sofferente che gli chiede aiuto, non si pone domande ma agisce con compassione. Si fa prossimo, si china sull’umanità sofferente. Luca in sostanza ci dice che il samaritano è Gesù che si china su ciascuno di noi, fascia le nostre ferite e ci affida alla comunità, alla Chiesa, per essere curati e guariti.

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