Sacrosanctum Conclilium Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/sacrosanctum-conclilium/ Settimanale di informazione regionale Fri, 22 May 2020 12:22:44 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Sacrosanctum Conclilium Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/sacrosanctum-conclilium/ 32 32 I due polmoni della vita spirituale https://www.lavoce.it/i-due-polmoni-della-vita-spirituale/ Fri, 22 May 2020 12:22:44 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57197 logo rubrica domande sulla liturgia

L'emergenza sanitaria che ha investito tutto il mondo in questi ultimi mesi, e con la quale ancora molti Paesi stanno facendo i conti, ha costretto le persone a rifugiarsi in casa per aiutare il rallentamento dei contagi. Come ben sanno le comunità cristiane, anche il loro cuore è stato toccato, perché da una domenica all’altra si sono ritrovate a non poter celebrare più l’eucarestia. Da questa settimana invece, pur se con diverse restrizioni, l’assemblea ha potuto riunirsi nuovamente per celebrare l’eucarestia. Sarebbe un errore se ora venissero meno le buone prassi che nelle famiglie, così come nella quotidianità di ciascun fedele, sono state adottate finora, visto che si sta tornando nuovamente a celebrare insieme. Perché dico questo? La lettura che si sta facendo della Sacrosanctum Concilium, dopo averci fatto soffermare - nelle sue prime affermazioni - sul senso teologico della liturgia, arriva quindi a un paragrafo nel quale si parla del rapporto tra liturgia e preghiera personale. Ci sarebbe ancora altro su cui riflettere riguardo ai primi numeri del documento - dovere al quale non ci sottrarremo - ma, vista la situazione che ora le comunità cristiane stanno vivendo, può essere utile ricordare che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC, n. 12). Lo stesso Gesù ne dà testimonianza: si metteva in cammino verso Gerusalemme per la Pasqua o partecipava alla liturgia sinagogale (cfr. Mc 1,21; Lc 4,15), ma allo stesso tempo riservava del tempo per la preghiera personale (cfr. Mt 26,36; Lc 9,28; 11,1). Sempre il Maestro invitava i suoi alla preghiera costante (Lc 18,1), come san Paolo faceva con i tessalonicesi, invitandoli alla preghiera incessante (1Ts 5,17). Certamente il vuoto celebrativo vissuto ha fatto sperimentare il desiderio di tornare a celebrare insieme. Al contempo però ha innescato delle dinamiche preziose che hanno fatto riscoprire a molti l’importanza della preghiera personale o della preghiera in famiglia. Sarebbe davvero un errore non continuare a coltivarle con il pensiero che, ora che “si può tornare a messa”, il resto si può pure tralasciare. Alcuni cristiani, privati dell’eucarestia, hanno riscoperto il fatto di trovarsi intorno alla mensa benedicendo Dio per la sua provvidenza, hanno ripreso in mano la Bibbia per meditare le Scritture, hanno assaporato il gusto della preghiera dei Salmi con la liturgia delle ore, sono nuovamente tornati ad afferrare il rosario per meditare i misteri della vita di Cristo insieme a Maria, hanno riservato uno spazio della propria casa alla preghiera. Forse il compito che spetta ora ai Pastori non è solo la ripresa delle celebrazioni con partecipazione di popolo, ma continuare ad accompagnare i fedeli nel prendere consapevolezza che la liturgia e la preghiera personale sono i due polmoni della vita spirituale, e senza uno di essi si continua a respirare con affanno. Don Francesco Verzini]]>
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L'emergenza sanitaria che ha investito tutto il mondo in questi ultimi mesi, e con la quale ancora molti Paesi stanno facendo i conti, ha costretto le persone a rifugiarsi in casa per aiutare il rallentamento dei contagi. Come ben sanno le comunità cristiane, anche il loro cuore è stato toccato, perché da una domenica all’altra si sono ritrovate a non poter celebrare più l’eucarestia. Da questa settimana invece, pur se con diverse restrizioni, l’assemblea ha potuto riunirsi nuovamente per celebrare l’eucarestia. Sarebbe un errore se ora venissero meno le buone prassi che nelle famiglie, così come nella quotidianità di ciascun fedele, sono state adottate finora, visto che si sta tornando nuovamente a celebrare insieme. Perché dico questo? La lettura che si sta facendo della Sacrosanctum Concilium, dopo averci fatto soffermare - nelle sue prime affermazioni - sul senso teologico della liturgia, arriva quindi a un paragrafo nel quale si parla del rapporto tra liturgia e preghiera personale. Ci sarebbe ancora altro su cui riflettere riguardo ai primi numeri del documento - dovere al quale non ci sottrarremo - ma, vista la situazione che ora le comunità cristiane stanno vivendo, può essere utile ricordare che “la vita spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia” (SC, n. 12). Lo stesso Gesù ne dà testimonianza: si metteva in cammino verso Gerusalemme per la Pasqua o partecipava alla liturgia sinagogale (cfr. Mc 1,21; Lc 4,15), ma allo stesso tempo riservava del tempo per la preghiera personale (cfr. Mt 26,36; Lc 9,28; 11,1). Sempre il Maestro invitava i suoi alla preghiera costante (Lc 18,1), come san Paolo faceva con i tessalonicesi, invitandoli alla preghiera incessante (1Ts 5,17). Certamente il vuoto celebrativo vissuto ha fatto sperimentare il desiderio di tornare a celebrare insieme. Al contempo però ha innescato delle dinamiche preziose che hanno fatto riscoprire a molti l’importanza della preghiera personale o della preghiera in famiglia. Sarebbe davvero un errore non continuare a coltivarle con il pensiero che, ora che “si può tornare a messa”, il resto si può pure tralasciare. Alcuni cristiani, privati dell’eucarestia, hanno riscoperto il fatto di trovarsi intorno alla mensa benedicendo Dio per la sua provvidenza, hanno ripreso in mano la Bibbia per meditare le Scritture, hanno assaporato il gusto della preghiera dei Salmi con la liturgia delle ore, sono nuovamente tornati ad afferrare il rosario per meditare i misteri della vita di Cristo insieme a Maria, hanno riservato uno spazio della propria casa alla preghiera. Forse il compito che spetta ora ai Pastori non è solo la ripresa delle celebrazioni con partecipazione di popolo, ma continuare ad accompagnare i fedeli nel prendere consapevolezza che la liturgia e la preghiera personale sono i due polmoni della vita spirituale, e senza uno di essi si continua a respirare con affanno. Don Francesco Verzini]]>
La liturgia non esaurisce l’azione della Chiesa https://www.lavoce.it/la-liturgia-non-esaurisce-lazione-della-chiesa/ Sun, 17 May 2020 15:46:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57192 logo rubrica domande sulla liturgia

Continuiamo in questo numero la lettura della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II, che abbiamo inaugurato la scorsa settimana, con l’intento di riflettere con semplicità sul senso e l’importanza che la liturgia ha nella vita della Chiesa e dunque di ogni cristiano. Già precedentemente abbiamo accennato a come la liturgia è l’azione con la quale la Chiesa continua ad attuare l’opera della redenzione. Questa settimana ripartiamo da qui, facendo riferimento ai primi numeri della Costituzione sulla liturgia. È chiaro per l’assise conciliare che celebrare significa attuare l’opera salvifica di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Opera che ha avuto il suo inizio fin dalle origini e ha trovato il suo culmine nel Cristo: Gesù Cristo infatti “porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre” (Dei Verbum, n. 4). Dal costato trafitto di Cristo è poi “scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (SC, n. 5), per questo – continua la Costituzione sulla liturgia, al numero 6 – Cristo ha inviato gli apostoli per annunciare e attuare l’opera della redenzione. Già questo basterebbe per comprendere la vitale importanza che la liturgia ha per il popolo di Dio: celebrare non è portare avanti il “si è sempre fatto così” o l’attenzione a un mero precetto da assolvere, ma partecipazione all’evento salvifico, operato una volta per tutte (Eb 9, 25-28), e attualizzato nel tempo “mediante il sacrificio e i sacramenti” (SC, n. 6). Detto questo, ciò su cui vorrei soffermarmi sono due verbi utilizzati dal documento che formano un binomio indissolubile: annunciare e attuare. Vediamo infatti che la missione data agli apostoli, e dunque alla Chiesa tutta, è annunciare l’opera della salvezza e attuarla mediante la liturgia. Lo schema è tipicamente biblico: nell’incontro con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) il Risorto “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva di lui” (v.27) e poi insieme spezzarono il pane. Ancora: dopo la Pentecoste (At 2,1-41) c’è il discorso di Pietro, che sarà seguito dal battesimo di circa tremila persone. Un ultimo esempio: la prima comunità cristiana (At 2,42-47) era “perseverante nell’insegnamento degli apostoli e nello spezzare il pane”. Potremo continuare a citare tanti altri racconti biblici nei quali l’annuncio e l’attuazione di questo annuncio - nello spezzare il pane come nel battesimo - sono due azioni strettamente connesse, che formano una sorta di circolo virtuoso.

Annunciare e attuare ciò che si annuncia

Per questo il documento conciliare cerca di tenere in equilibrio queste due dimensioni parlando della liturgia come azione sacra per eccellenza (SC, n.7) e fonte e culmine della vita cristiana (SC, n.10); ma al contempo sottolineando che essa non esaurisce l’agire della Chiesa (SC, n.9), perché quest’ultima è chiamata anche all’annuncio, alle opere di carità, all’apostolato, alla continua conversione della vita. Speriamo che, in questo tempo nel quale la celebrazione comunitaria è venuta meno, il popolo di Dio non si sia focalizzato solo sull’“assenza” e abbia anche compreso che la liturgia è vitale, sì, ma non è certo l’unica azione che si può compiere. Don Francesco Verzini]]>
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Continuiamo in questo numero la lettura della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione sulla liturgia del Concilio Vaticano II, che abbiamo inaugurato la scorsa settimana, con l’intento di riflettere con semplicità sul senso e l’importanza che la liturgia ha nella vita della Chiesa e dunque di ogni cristiano. Già precedentemente abbiamo accennato a come la liturgia è l’azione con la quale la Chiesa continua ad attuare l’opera della redenzione. Questa settimana ripartiamo da qui, facendo riferimento ai primi numeri della Costituzione sulla liturgia. È chiaro per l’assise conciliare che celebrare significa attuare l’opera salvifica di Dio, “il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4). Opera che ha avuto il suo inizio fin dalle origini e ha trovato il suo culmine nel Cristo: Gesù Cristo infatti “porta a compimento l’opera di salvezza affidatagli dal Padre” (Dei Verbum, n. 4). Dal costato trafitto di Cristo è poi “scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (SC, n. 5), per questo – continua la Costituzione sulla liturgia, al numero 6 – Cristo ha inviato gli apostoli per annunciare e attuare l’opera della redenzione. Già questo basterebbe per comprendere la vitale importanza che la liturgia ha per il popolo di Dio: celebrare non è portare avanti il “si è sempre fatto così” o l’attenzione a un mero precetto da assolvere, ma partecipazione all’evento salvifico, operato una volta per tutte (Eb 9, 25-28), e attualizzato nel tempo “mediante il sacrificio e i sacramenti” (SC, n. 6). Detto questo, ciò su cui vorrei soffermarmi sono due verbi utilizzati dal documento che formano un binomio indissolubile: annunciare e attuare. Vediamo infatti che la missione data agli apostoli, e dunque alla Chiesa tutta, è annunciare l’opera della salvezza e attuarla mediante la liturgia. Lo schema è tipicamente biblico: nell’incontro con i discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) il Risorto “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva di lui” (v.27) e poi insieme spezzarono il pane. Ancora: dopo la Pentecoste (At 2,1-41) c’è il discorso di Pietro, che sarà seguito dal battesimo di circa tremila persone. Un ultimo esempio: la prima comunità cristiana (At 2,42-47) era “perseverante nell’insegnamento degli apostoli e nello spezzare il pane”. Potremo continuare a citare tanti altri racconti biblici nei quali l’annuncio e l’attuazione di questo annuncio - nello spezzare il pane come nel battesimo - sono due azioni strettamente connesse, che formano una sorta di circolo virtuoso.

Annunciare e attuare ciò che si annuncia

Per questo il documento conciliare cerca di tenere in equilibrio queste due dimensioni parlando della liturgia come azione sacra per eccellenza (SC, n.7) e fonte e culmine della vita cristiana (SC, n.10); ma al contempo sottolineando che essa non esaurisce l’agire della Chiesa (SC, n.9), perché quest’ultima è chiamata anche all’annuncio, alle opere di carità, all’apostolato, alla continua conversione della vita. Speriamo che, in questo tempo nel quale la celebrazione comunitaria è venuta meno, il popolo di Dio non si sia focalizzato solo sull’“assenza” e abbia anche compreso che la liturgia è vitale, sì, ma non è certo l’unica azione che si può compiere. Don Francesco Verzini]]>
Il fine della liturgia è la conversione https://www.lavoce.it/il-fine-della-liturgia-e-la-conversione/ Fri, 08 May 2020 15:54:32 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57097 logo rubrica domande sulla liturgia

In tempo di pandemia, la grande assente dalla vita della Chiesa certamente è stata la liturgia, in particolare la celebrazione eucaristica. È per questo che molti sacerdoti per sopperire al vuoto celebrativo si sono prodigati nel trasmettere le proprie celebrazioni tramite social media, pur nella consapevolezza - speriamo - che questa forma supplisce ma non sostituisce. Il gran dibattito poi suscitato dall’impossibilità per i fedeli di prendere parte alle celebrazioni è stato sintomatico di come la liturgia è centrale nella vita della Chiesa, almeno fintanto che i toni non si sono trasformati e il celebrare è diventato ancora una volta il campo di battaglia su cui l’unica perdente è la celebrazione stessa: svilita nel suo senso, danneggiata nel suo significato.

Rileggiamo cosa insegna il Concilio Vaticano II

È per questo che, con semplicità, vogliamo proporre una lettura - senza pretesa di esaustività - della Costituzione conciliare sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium. Questo nella speranza che ad alcuni possa tornare utile per celebrare con maggiore consapevolezza. Fin dalle sue prima battute il documento conciliare centra il nocciolo della questione: la liturgia è quell’azione della Chiesa con la quale si attua il mistero della redenzione, mediante cui i fedeli vengono uniti a Cristo e in Cristo (SC nn. 1-2). La liturgia, e in particolare l’eucarestia (n. 2), è memoriale del Mistero pasquale attraverso il quale non solo l’umanità è stata salvata, ma continua nel tempo a essere edificata nel corpo di Cristo che è la Chiesa. La preghiera dopo la Comunione (post-communio) della XXXV domenica del Tempo ordinario è emblematica: “Guida e sostieni, Signore, con il tuo aiuto, il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti, perché la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita”. Dunque, se da una parte celebrare significa attuare l’opera della redenzione, dall’altra, proprio attraverso quest’ultima, la nostra vita è trasformata.

Dalla liturgia alla vita

Su questo punto vorrei un attimo soffermarmi. Nel sentire comune, anche in questi giorni di intenso parlare dell’eucarestia, è sembrato quasi che la celebrazione sia il fine dell’incontro con Cristo. Questo è vero, ma nella misura in cui quell’incontro - permesso anzitutto dalla mensa della Parola e dalla mensa dell’eucarestia - porti frutto nella vita cristiana. Nei Vangeli notiamo che ogni incontro con Gesù lungo le strade della Giudea, della Galilea o della Samaria, è un incontro che porta alla conversione o al rifiuto. Da qui allora possiamo dire che se la liturgia, ogni celebrazione eucaristica, è incontro reale con Cristo e in essa viviamo l’evento della salvezza, allora reale deve essere la nostra conversione, premessa per l’edificazione della Chiesa nella carità. Anche in questo momento di “digiuno” che stiamo attraversando, forse può essere utile ricordarci lo stretto legame tra liturgia e vita, al fine di vivere comunque oggi i frutti di quell’incontro che un giorno abbiamo celebrato e che torneremo presto a celebrare. Don Francesco Verzini]]>
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In tempo di pandemia, la grande assente dalla vita della Chiesa certamente è stata la liturgia, in particolare la celebrazione eucaristica. È per questo che molti sacerdoti per sopperire al vuoto celebrativo si sono prodigati nel trasmettere le proprie celebrazioni tramite social media, pur nella consapevolezza - speriamo - che questa forma supplisce ma non sostituisce. Il gran dibattito poi suscitato dall’impossibilità per i fedeli di prendere parte alle celebrazioni è stato sintomatico di come la liturgia è centrale nella vita della Chiesa, almeno fintanto che i toni non si sono trasformati e il celebrare è diventato ancora una volta il campo di battaglia su cui l’unica perdente è la celebrazione stessa: svilita nel suo senso, danneggiata nel suo significato.

Rileggiamo cosa insegna il Concilio Vaticano II

È per questo che, con semplicità, vogliamo proporre una lettura - senza pretesa di esaustività - della Costituzione conciliare sulla liturgia, Sacrosanctum Concilium. Questo nella speranza che ad alcuni possa tornare utile per celebrare con maggiore consapevolezza. Fin dalle sue prima battute il documento conciliare centra il nocciolo della questione: la liturgia è quell’azione della Chiesa con la quale si attua il mistero della redenzione, mediante cui i fedeli vengono uniti a Cristo e in Cristo (SC nn. 1-2). La liturgia, e in particolare l’eucarestia (n. 2), è memoriale del Mistero pasquale attraverso il quale non solo l’umanità è stata salvata, ma continua nel tempo a essere edificata nel corpo di Cristo che è la Chiesa. La preghiera dopo la Comunione (post-communio) della XXXV domenica del Tempo ordinario è emblematica: “Guida e sostieni, Signore, con il tuo aiuto, il popolo che hai nutrito con i tuoi sacramenti, perché la redenzione operata da questi misteri trasformi tutta la nostra vita”. Dunque, se da una parte celebrare significa attuare l’opera della redenzione, dall’altra, proprio attraverso quest’ultima, la nostra vita è trasformata.

Dalla liturgia alla vita

Su questo punto vorrei un attimo soffermarmi. Nel sentire comune, anche in questi giorni di intenso parlare dell’eucarestia, è sembrato quasi che la celebrazione sia il fine dell’incontro con Cristo. Questo è vero, ma nella misura in cui quell’incontro - permesso anzitutto dalla mensa della Parola e dalla mensa dell’eucarestia - porti frutto nella vita cristiana. Nei Vangeli notiamo che ogni incontro con Gesù lungo le strade della Giudea, della Galilea o della Samaria, è un incontro che porta alla conversione o al rifiuto. Da qui allora possiamo dire che se la liturgia, ogni celebrazione eucaristica, è incontro reale con Cristo e in essa viviamo l’evento della salvezza, allora reale deve essere la nostra conversione, premessa per l’edificazione della Chiesa nella carità. Anche in questo momento di “digiuno” che stiamo attraversando, forse può essere utile ricordarci lo stretto legame tra liturgia e vita, al fine di vivere comunque oggi i frutti di quell’incontro che un giorno abbiamo celebrato e che torneremo presto a celebrare. Don Francesco Verzini]]>