Russia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/russia/ Settimanale di informazione regionale Fri, 25 Oct 2024 14:36:39 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Russia Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/russia/ 32 32 Schiacciati tra Usa e Cina https://www.lavoce.it/schiacciati-russi-cina/ https://www.lavoce.it/schiacciati-russi-cina/#respond Thu, 09 May 2024 08:20:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=76044 Xi Ginpin a mezzo busto alle spalle le bandiere dell'Europa e della Cina

“Dopo la vittoria dell’Urss, la cosa peggiore per gli Usa sarebbe la fine dell’Urss” disse Eisenhower. Oggi quel detto risuona tra gli analisti, che paventano l’assenza di un nemico speculare, utile a disciplinare le strategie statunitensi nello scacchiere pluriverso e segmentato che ha soffocato l’euforia con cui, una trentina d’anni fa, si celebrava la “fine della storia” come porta spalancata all’unipolarismo planetario marca Usa.

Il multipolarismo che avanza è più problematico della distinzione del mondo in bianco e nero, disperde gli sforzi contenitivi e affanna in un’iperestensione militare, orfana dei primati economici di un tempo. Se proprio non può essere unipolare, meglio l’opzione bipolare allo sfiancamento. Di qui l’urgenza di selezionare gli impegni diretti e delegare i restanti ad alleati ingaggiati con rapporti di fedeltà esclusiva e totalizzante.

La Cina non gradisce le vesti di nemico esistenziale cucitele addosso, come capofila dei nuovi “Stati canaglia” che attentano al mondo libero. Il Gigante asiatico sa di non guidare un blocco egemonico analogo a quello degli Usa, con le loro 850 basi sparse nel mondo sul territorio altrui. Sa di non poter esportare modelli di omologazione culturale atti a diffondere un “sogno cinese” concorrente al mito dell’American way of life. Perciò enfatizza la cooperazione senza cessioni di sovranità, coltivando l’interesse alle interdipendenze articolate in geometrie dai perimetri porosi. Che è esattamente ciò su cui la Casa Bianca tenta di intervenire, progettando sanzioni e dighe protezionistiche, in deroga al libero scambio laddove questo avvantaggi altri e disallinei la globalizzazione e il Washington consensus.

Nonostante le dissimulazioni, queste strette preoccupano le economie occidentali, già azzoppate dai contraccolpi energetici del divorzio con la Russia, per le quali l’inibizione delle forniture cinesi sarebbe il colpo letale. L’azzardo di Scholz, volato a Pechino per auspicare nuovi investimenti, sta a dimostrarlo. Altrettanto significativo il disagio di Bruxelles per la mossa del Cancelliere, accolto al suo rientro dalla notizia dell’arresto in Germania di cinque presunte spie collegate a Pechino, come nelle migliori spy stories ambientate nella Guerra fredda.

Pechino rivendica la sovranità delle sue scelte economiche, compresa la libertà di scambiare con chiunque, pur escludendo supporti all’industria bellica russa mentre Washington fornisce armi a Ucraina e Israele. La ritorsione Usa ha preso forma pochi giorni fa, con sanzioni a carico di 16 aziende cinesi, accusate di vendere sul mercato russo componentistiche a uso civile che potrebbero giovare anche al comparto militare. Ora è il momento della contromossa cinese intesa a sfatare la narrazione bipolare.

Il tour europeo di Xi Jinping, dopo cinque anni di assenza dal Continente, prevede tre tappe: Francia, Serbia e Ungheria, tutte a loro modo desiderose di autonomia strategica, probabilmente scelte anche per evidenziare che la varietà delle loro posizioni verso la Russia non pone problemi di incompatibilità per la Cina. Al solco separativo del bipolarismo, Xi contrappone la diversificazione dei rapporti richiesta dalla direzione che la storia ha già intrapreso.

Chiudere qualcuno fuori significa anche rinchiudersi dentro, finendo per restare a corto di provviste. Non sarà una metafora cinese, ma potrebbe sintetizzare il messaggio che Pechino rivolge all’Occidente per vanificare la grande muraglia a stelle e strisce.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense
]]>
Xi Ginpin a mezzo busto alle spalle le bandiere dell'Europa e della Cina

“Dopo la vittoria dell’Urss, la cosa peggiore per gli Usa sarebbe la fine dell’Urss” disse Eisenhower. Oggi quel detto risuona tra gli analisti, che paventano l’assenza di un nemico speculare, utile a disciplinare le strategie statunitensi nello scacchiere pluriverso e segmentato che ha soffocato l’euforia con cui, una trentina d’anni fa, si celebrava la “fine della storia” come porta spalancata all’unipolarismo planetario marca Usa.

Il multipolarismo che avanza è più problematico della distinzione del mondo in bianco e nero, disperde gli sforzi contenitivi e affanna in un’iperestensione militare, orfana dei primati economici di un tempo. Se proprio non può essere unipolare, meglio l’opzione bipolare allo sfiancamento. Di qui l’urgenza di selezionare gli impegni diretti e delegare i restanti ad alleati ingaggiati con rapporti di fedeltà esclusiva e totalizzante.

La Cina non gradisce le vesti di nemico esistenziale cucitele addosso, come capofila dei nuovi “Stati canaglia” che attentano al mondo libero. Il Gigante asiatico sa di non guidare un blocco egemonico analogo a quello degli Usa, con le loro 850 basi sparse nel mondo sul territorio altrui. Sa di non poter esportare modelli di omologazione culturale atti a diffondere un “sogno cinese” concorrente al mito dell’American way of life. Perciò enfatizza la cooperazione senza cessioni di sovranità, coltivando l’interesse alle interdipendenze articolate in geometrie dai perimetri porosi. Che è esattamente ciò su cui la Casa Bianca tenta di intervenire, progettando sanzioni e dighe protezionistiche, in deroga al libero scambio laddove questo avvantaggi altri e disallinei la globalizzazione e il Washington consensus.

Nonostante le dissimulazioni, queste strette preoccupano le economie occidentali, già azzoppate dai contraccolpi energetici del divorzio con la Russia, per le quali l’inibizione delle forniture cinesi sarebbe il colpo letale. L’azzardo di Scholz, volato a Pechino per auspicare nuovi investimenti, sta a dimostrarlo. Altrettanto significativo il disagio di Bruxelles per la mossa del Cancelliere, accolto al suo rientro dalla notizia dell’arresto in Germania di cinque presunte spie collegate a Pechino, come nelle migliori spy stories ambientate nella Guerra fredda.

Pechino rivendica la sovranità delle sue scelte economiche, compresa la libertà di scambiare con chiunque, pur escludendo supporti all’industria bellica russa mentre Washington fornisce armi a Ucraina e Israele. La ritorsione Usa ha preso forma pochi giorni fa, con sanzioni a carico di 16 aziende cinesi, accusate di vendere sul mercato russo componentistiche a uso civile che potrebbero giovare anche al comparto militare. Ora è il momento della contromossa cinese intesa a sfatare la narrazione bipolare.

Il tour europeo di Xi Jinping, dopo cinque anni di assenza dal Continente, prevede tre tappe: Francia, Serbia e Ungheria, tutte a loro modo desiderose di autonomia strategica, probabilmente scelte anche per evidenziare che la varietà delle loro posizioni verso la Russia non pone problemi di incompatibilità per la Cina. Al solco separativo del bipolarismo, Xi contrappone la diversificazione dei rapporti richiesta dalla direzione che la storia ha già intrapreso.

Chiudere qualcuno fuori significa anche rinchiudersi dentro, finendo per restare a corto di provviste. Non sarà una metafora cinese, ma potrebbe sintetizzare il messaggio che Pechino rivolge all’Occidente per vanificare la grande muraglia a stelle e strisce.

Giuseppe Casale Pontificia università lateranense
]]>
https://www.lavoce.it/schiacciati-russi-cina/feed/ 0
I media ‘sordi’ di fronte alla missione del card. Matteo Zuppi a Mosca https://www.lavoce.it/media-sordi-fronte-missione-card-zuppi-mosca/ https://www.lavoce.it/media-sordi-fronte-missione-card-zuppi-mosca/#respond Wed, 05 Jul 2023 17:06:00 +0000 https://www.lavoce.it/?p=72266

di Paolo Bustaffa

“Nei giorni 28-30 corrente mese [di giugno], il card. Matteo Zuppi, inviato del Santo Padre, ha effettuato una visita a Mosca finalizzata all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”. Inizia con queste parole il comunicato stampa della Santa Sede pubblicato il 30 giugno. Dopo aver elencato gli incontri avvenuti in tre giorni il breve testo così si conclude: “I risultati della visita saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”.

L'incessante impegno per la pace

Nel linguaggio necessariamente stringato di un comunicato stampa c’è la conferma di un incessante impegno per la ricerca della pace. Dietro le poche ed essenziali parole c’è un volto. Ai tratti di fraternità di quel volto la cronaca proponeva negli stessi giorni i tratti dell’odio dei volti degli uomini delle armi e del potere. Il mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi.+

Il card. Zuppi ha guardato negli occhi gli interlocutori

Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza. Ha guardato dritto negli occhi i suoi interlocutori e si è lasciato guardare nei propri. Quella degli occhi è stata una comunicazione che ha rafforzato una richiesta e una disponibilità al dialogo. Il card. Zuppi ha percorso la strada dello sguardo come un insistente bussare alla porta della coscienza di chi, dicendosi cristiano, sceglie e giustifica la guerra.

L'appello ai media di usare la parola pace

Anche ai media, alcuni dei quali hanno trovato dedicato solo un piccolo spazio per documentare la visita del cardinale a Mosca, va l’appello a fare uso di vocabolari dove ancora ci sia la parola “pace”. C’è chi ci sta pensando. L’opinionista Salvatore Settis così scrive il 1° luglio su un quotidiano nazionale: “Se il Papa invita in ogni modo le parti in guerra al dialogo e al negoziato in nome del Vangelo, ma anche di una laica concezione della diplomazia, perché queste sue calorose invocazioni vengono talora scambiate per posizioni filo-russe o perfino ignorate o marginalizzate dai media? Perché la minaccia delle armi atomiche, che tanto angoscia questo Pontefice venuto da lontano, non spaventa altrettanto tutti noi?”.

Papa Papa Wojtyla "la preghiera costituisce la forza più potente della storia umana"

Perché sia all’ovest che all’est dell’Europa ci sono cristiani che vedono nella visita a Mosca, così come in quella a Kiev, un segno di impotenza, e non la forza disarmata e disarmante della preghiera? Perché non ricordano le parole di Papa Wojtyla, che il 12 gennaio 1994 – nel chiedere la pace in Bosnia Erzegovina – disse che la preghiera “costituisce la forza più potente della storia umana”? Perché non accorgersi che la preghiera illuminava gli occhi di un cardinale che nel nome di Francesco tornava a chiedere pace?

]]>

di Paolo Bustaffa

“Nei giorni 28-30 corrente mese [di giugno], il card. Matteo Zuppi, inviato del Santo Padre, ha effettuato una visita a Mosca finalizzata all’individuazione di iniziative umanitarie, che possano aprire percorsi per il raggiungimento della pace”. Inizia con queste parole il comunicato stampa della Santa Sede pubblicato il 30 giugno. Dopo aver elencato gli incontri avvenuti in tre giorni il breve testo così si conclude: “I risultati della visita saranno portati alla conoscenza del Santo Padre, in vista di ulteriori passi da compiere, sia a livello umanitario che nella ricerca di percorsi per la pace”.

L'incessante impegno per la pace

Nel linguaggio necessariamente stringato di un comunicato stampa c’è la conferma di un incessante impegno per la ricerca della pace. Dietro le poche ed essenziali parole c’è un volto. Ai tratti di fraternità di quel volto la cronaca proponeva negli stessi giorni i tratti dell’odio dei volti degli uomini delle armi e del potere. Il mandato del card. Zuppi era di guardare negli occhi.+

Il card. Zuppi ha guardato negli occhi gli interlocutori

Guardare attraverso gli occhi coloro che ritengono di risolvere le tensioni con la violenza. Ha guardato dritto negli occhi i suoi interlocutori e si è lasciato guardare nei propri. Quella degli occhi è stata una comunicazione che ha rafforzato una richiesta e una disponibilità al dialogo. Il card. Zuppi ha percorso la strada dello sguardo come un insistente bussare alla porta della coscienza di chi, dicendosi cristiano, sceglie e giustifica la guerra.

L'appello ai media di usare la parola pace

Anche ai media, alcuni dei quali hanno trovato dedicato solo un piccolo spazio per documentare la visita del cardinale a Mosca, va l’appello a fare uso di vocabolari dove ancora ci sia la parola “pace”. C’è chi ci sta pensando. L’opinionista Salvatore Settis così scrive il 1° luglio su un quotidiano nazionale: “Se il Papa invita in ogni modo le parti in guerra al dialogo e al negoziato in nome del Vangelo, ma anche di una laica concezione della diplomazia, perché queste sue calorose invocazioni vengono talora scambiate per posizioni filo-russe o perfino ignorate o marginalizzate dai media? Perché la minaccia delle armi atomiche, che tanto angoscia questo Pontefice venuto da lontano, non spaventa altrettanto tutti noi?”.

Papa Papa Wojtyla "la preghiera costituisce la forza più potente della storia umana"

Perché sia all’ovest che all’est dell’Europa ci sono cristiani che vedono nella visita a Mosca, così come in quella a Kiev, un segno di impotenza, e non la forza disarmata e disarmante della preghiera? Perché non ricordano le parole di Papa Wojtyla, che il 12 gennaio 1994 – nel chiedere la pace in Bosnia Erzegovina – disse che la preghiera “costituisce la forza più potente della storia umana”? Perché non accorgersi che la preghiera illuminava gli occhi di un cardinale che nel nome di Francesco tornava a chiedere pace?

]]>
https://www.lavoce.it/media-sordi-fronte-missione-card-zuppi-mosca/feed/ 0
Il documento finale della conferenza di pace per un tavolo di dialogo sul disarmo nucleare https://www.lavoce.it/documento-finale-conferenza-pace-tavolo-dialogo-disarmo-nucleare/ Sat, 25 Mar 2023 16:40:34 +0000 https://www.lavoce.it/?p=70967

Una commissione permanente con esperti russi e americani, che possa lavorare  in collaborazione con i leader cattolici e delle altre religioni, per cercare soluzioni utili ai governi che possiedono armi nucleari per incoraggiare modi e mezzi per ridurre gli arsenali e i pericoli nucleari”. È uno dei passaggi del documento finale della conferenza di pace per un tavolo di dialogo sul disarmo nucleare svoltasi sabato 25 marzo nella Sala dei vescovi del santuario della Spogliazione di Assisi e organizzata dal Comitato Civiltà dell’Amore, dalla diocesi di Assisi - Nocera - Gualdo e dalla città di Assisi.

"La necessità di un dialogo costante tra esperti russi e americani per ridurre il rischio dell'uso di armi nucleari"

Nel corso dell’iniziativa, alla quale hanno presenziato il presidente del Comitato Giuseppe Rotunno, il vescovo diocesano monsignor Domenico Sorrentino e il sindaco Stefania Proietti, è stata ribadita “la necessità di un dialogo costante, soprattutto in questo momento tra esperti russi e americani, per ridurre il rischio dell’uso di armi nucleari con conseguenze catastrofiche. Stati Uniti e Russia detengono la vasta maggioranza dell’arsenale nucleare mondiale e hanno la speciale responsabilità di lavorare insieme a misure pratiche che riducano la minaccia di una guerra nucleare. Dalla terra natia di San Francesco, il Santo della pace e dell’amore per i poveri - si legge nella dichiarazione - parte la speranza di utilizzare i fondi attualmente spesi per le armi nucleari per scopi umanitari migliori”.

I relatori del panel in italiano e inglese che si è svolto al santuario della Spogliazione

A prendere la parola nel panel in inglese, moderato dal cardinale Silvano Tomasi, Sergey Rogov del think thank russo Institute for US and Canadian Studies, Pierce S. Corden, esperto di disarmo, l’Archimandrita Philip (Riabykh), rappresentante del Patriarcato di Mosca presso il Consiglio d’Europa, Lucas Koach, direttore dell’Office of International Justice Peace, Alexey Gromyko, membro dell'Accademia delle Scienze di Russia, Dennis Frado, direttore del Lutheran Office for World Community, il ricercatore Lunkin Roman Nikolaevich e lo scrittore e attivista Arnold Kohen. Alla successiva tavola rotonda in italiano, moderata da Guglielmo Gallone di Limes, sono intervenuti l’europarlamentare onorevole Francesca Donato, Mary T. Stronach, vice ministro generale dell'Ordine Francescano secolare, l’ambasciatore Carlo Trezza, il presidente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi e Barbara Gallo della Rete italiana pace e disarmo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="70977,70978,70979,70980,70981,70982"]  

 

]]>

Una commissione permanente con esperti russi e americani, che possa lavorare  in collaborazione con i leader cattolici e delle altre religioni, per cercare soluzioni utili ai governi che possiedono armi nucleari per incoraggiare modi e mezzi per ridurre gli arsenali e i pericoli nucleari”. È uno dei passaggi del documento finale della conferenza di pace per un tavolo di dialogo sul disarmo nucleare svoltasi sabato 25 marzo nella Sala dei vescovi del santuario della Spogliazione di Assisi e organizzata dal Comitato Civiltà dell’Amore, dalla diocesi di Assisi - Nocera - Gualdo e dalla città di Assisi.

"La necessità di un dialogo costante tra esperti russi e americani per ridurre il rischio dell'uso di armi nucleari"

Nel corso dell’iniziativa, alla quale hanno presenziato il presidente del Comitato Giuseppe Rotunno, il vescovo diocesano monsignor Domenico Sorrentino e il sindaco Stefania Proietti, è stata ribadita “la necessità di un dialogo costante, soprattutto in questo momento tra esperti russi e americani, per ridurre il rischio dell’uso di armi nucleari con conseguenze catastrofiche. Stati Uniti e Russia detengono la vasta maggioranza dell’arsenale nucleare mondiale e hanno la speciale responsabilità di lavorare insieme a misure pratiche che riducano la minaccia di una guerra nucleare. Dalla terra natia di San Francesco, il Santo della pace e dell’amore per i poveri - si legge nella dichiarazione - parte la speranza di utilizzare i fondi attualmente spesi per le armi nucleari per scopi umanitari migliori”.

I relatori del panel in italiano e inglese che si è svolto al santuario della Spogliazione

A prendere la parola nel panel in inglese, moderato dal cardinale Silvano Tomasi, Sergey Rogov del think thank russo Institute for US and Canadian Studies, Pierce S. Corden, esperto di disarmo, l’Archimandrita Philip (Riabykh), rappresentante del Patriarcato di Mosca presso il Consiglio d’Europa, Lucas Koach, direttore dell’Office of International Justice Peace, Alexey Gromyko, membro dell'Accademia delle Scienze di Russia, Dennis Frado, direttore del Lutheran Office for World Community, il ricercatore Lunkin Roman Nikolaevich e lo scrittore e attivista Arnold Kohen. Alla successiva tavola rotonda in italiano, moderata da Guglielmo Gallone di Limes, sono intervenuti l’europarlamentare onorevole Francesca Donato, Mary T. Stronach, vice ministro generale dell'Ordine Francescano secolare, l’ambasciatore Carlo Trezza, il presidente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi e Barbara Gallo della Rete italiana pace e disarmo. [gallery td_select_gallery_slide="slide" ids="70977,70978,70979,70980,70981,70982"]  

 

]]>
Le scorte non bastano https://www.lavoce.it/scrte-non-bastano/ Sat, 15 Oct 2022 06:30:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=68972

di Nicola Salvagnin

Il governo Draghi ha fissato alcuni paletti per il consumo del metano negli edifici, con modalità più restrittive rispetto al passato. Orbene, nessuno potrà mai controllare se la “famiglia Rossi” terrà il termostato a 20 piuttosto che a 19 gradi. Se le docce saranno un rapido momento di igiene personale o un lungo e costoso momento di benessere. Ma si tratta di un segnale chiarissimo: bisogna tirare la cinghia.

C’è un perché detto, e uno no. È necessario consumare meno gas perché dalla Russia ne arriverà meno, per nostra scelta. Ma il problema vero è se non ne arriverà proprio, per scelta di Vladimir Putin. Finora, per i russi il taglio delle forniture ai clienti europei non ha comportato grandi disagi economici, perché nel frattempo il prezzo del gas è quadruplicato. Noi abbiamo dovuto riempire le riserve strategiche durante l’estate per essere più tranquilli in inverno, purtroppo comprando metano a prezzi esorbitanti (molte piccole e medie aziende distributrici hanno i serbatoi vuoti e sono vicine al collasso).

Ma la realtà è che tale riserva non basta e non basterà se la Russia dovesse azzerare le vendite nelle prossime settimane. E il pericolo temuto è proprio questo: ricordiamoci che siamo dentro una guerra economica (e non solo) con i russi, laddove noi vogliamo piegare loro con le sanzioni economiche; e loro, noi con le forniture di idrocarburi.

Quindi niente di più probabile di una causa – vera o inventata – che blocchi i metanodotti che collegano Russia ed Europa. A quel punto dovremmo sperare che l’inverno non sia particolarmente freddo; che gli italiani capiscano e si adeguino; che le industrie ce la facciano, o in caso contrario che siano salvaguardate. E che le riserve strategiche non siano pesantemente intaccate.

Il fatto è che i giacimenti in cui è stato immesso il gas di scorta non possono essere svuotati anche per questioni tecniche (calerebbe eccessivamente la pressione per l’estrazione). A quel punto andrebbero ripristinati, ma se non c’è gas in arrivo? E a quel punto, quanto lo pagheremmo il poco in circolazione conteso da tutti i clienti europei? Questo, i russi lo sanno benissimo. Una situazione che fa tremare – di freddo o di paura, poco importa. Si rischiano blackout programmati nelle forniture, soprattutto nella fascia oraria 16-21, verso febbraio-marzo. Nel frattempo, regoliamoci tutti e preghiamo per un inverno mite e piovoso.

]]>

di Nicola Salvagnin

Il governo Draghi ha fissato alcuni paletti per il consumo del metano negli edifici, con modalità più restrittive rispetto al passato. Orbene, nessuno potrà mai controllare se la “famiglia Rossi” terrà il termostato a 20 piuttosto che a 19 gradi. Se le docce saranno un rapido momento di igiene personale o un lungo e costoso momento di benessere. Ma si tratta di un segnale chiarissimo: bisogna tirare la cinghia.

C’è un perché detto, e uno no. È necessario consumare meno gas perché dalla Russia ne arriverà meno, per nostra scelta. Ma il problema vero è se non ne arriverà proprio, per scelta di Vladimir Putin. Finora, per i russi il taglio delle forniture ai clienti europei non ha comportato grandi disagi economici, perché nel frattempo il prezzo del gas è quadruplicato. Noi abbiamo dovuto riempire le riserve strategiche durante l’estate per essere più tranquilli in inverno, purtroppo comprando metano a prezzi esorbitanti (molte piccole e medie aziende distributrici hanno i serbatoi vuoti e sono vicine al collasso).

Ma la realtà è che tale riserva non basta e non basterà se la Russia dovesse azzerare le vendite nelle prossime settimane. E il pericolo temuto è proprio questo: ricordiamoci che siamo dentro una guerra economica (e non solo) con i russi, laddove noi vogliamo piegare loro con le sanzioni economiche; e loro, noi con le forniture di idrocarburi.

Quindi niente di più probabile di una causa – vera o inventata – che blocchi i metanodotti che collegano Russia ed Europa. A quel punto dovremmo sperare che l’inverno non sia particolarmente freddo; che gli italiani capiscano e si adeguino; che le industrie ce la facciano, o in caso contrario che siano salvaguardate. E che le riserve strategiche non siano pesantemente intaccate.

Il fatto è che i giacimenti in cui è stato immesso il gas di scorta non possono essere svuotati anche per questioni tecniche (calerebbe eccessivamente la pressione per l’estrazione). A quel punto andrebbero ripristinati, ma se non c’è gas in arrivo? E a quel punto, quanto lo pagheremmo il poco in circolazione conteso da tutti i clienti europei? Questo, i russi lo sanno benissimo. Una situazione che fa tremare – di freddo o di paura, poco importa. Si rischiano blackout programmati nelle forniture, soprattutto nella fascia oraria 16-21, verso febbraio-marzo. Nel frattempo, regoliamoci tutti e preghiamo per un inverno mite e piovoso.

]]>
Usa e Ue non c’entrano niente https://www.lavoce.it/usa-e-ue-non-centrano-niente/ Wed, 30 Mar 2022 17:27:36 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65909 Logo rubrica Il punto

Diversi commentatori continuano a sostenere che una parte di colpa dell’aggressione all’Ucraina spetta ai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Addebitano loro di avere isolato e “umiliato” la Russia, come nel 1919 le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano fatto con la Germania, e così avevano acceso la miccia che avrebbe fatto scoppiare, dopo venti anni, la seconda. Questa narrazione è puramente di fantasia. La Russia non è stata sconfitta in nessuna guerra (neppure quella fredda) e nessuno le ha imposto nulla. Il ferreo sistema di potere creato da Lenin e Stalin non è crollato per effetto di una guerra perduta o di una rivoluzione interna, ma perché lo hanno deciso i suoi ultimi titolari, in particolare l’allora capo supremo del Pcus, Gorbacev, con il consenso generale della popolazione. L’Unione Sovietica, questa enorme superpotenza, si è sciolta per una decisione collettiva dei capi delle 15 Repubbliche federate che la componevano: Russia, Ucraina, Bielorussia e le altre.

Nessuno da fuori lo aveva chiesto né tanto meno imposto. L’ispiratore era stato Boris Eltsin, in quel momento presidente della Repubblica federativa russa (quella di cui è ora presidente Putin); che in questo modo ha tolto di mezzo Gorbacev, rimasto per un giorno presidente nominale di un’Urss che non esisteva più. Se c’erano problemi di rettifiche di confini fra le ex Repubbliche sovietiche divenute Stati indipendenti come fra la Russia e l’Ucraina -, era quello il momento in cui se ne doveva discutere.

Ma tutti avevano fretta di far scomparire l’Urss e la bandiera rossa, e non ne parlarono. Non è stato l’Occidente a sobillare gli ucraini contro Mosca. A Eltsin stava a cuore solo una cosa: farsi riconoscere dal mondo come il nuovo occupante del seggio all’Ou - con incorporato diritto di veto - che era stato creato per Stalin e l’Urss. Più tardi, a Putin è venuta la voglia di rimettere insieme i pezzi dell’antico impero russo, ma quelli non hanno intenzione di starci. Almeno in questo caso, l’America e l’Europa non hanno colpe.

]]>
Logo rubrica Il punto

Diversi commentatori continuano a sostenere che una parte di colpa dell’aggressione all’Ucraina spetta ai Paesi occidentali, Stati Uniti in testa. Addebitano loro di avere isolato e “umiliato” la Russia, come nel 1919 le potenze vincitrici della Prima guerra mondiale avevano fatto con la Germania, e così avevano acceso la miccia che avrebbe fatto scoppiare, dopo venti anni, la seconda. Questa narrazione è puramente di fantasia. La Russia non è stata sconfitta in nessuna guerra (neppure quella fredda) e nessuno le ha imposto nulla. Il ferreo sistema di potere creato da Lenin e Stalin non è crollato per effetto di una guerra perduta o di una rivoluzione interna, ma perché lo hanno deciso i suoi ultimi titolari, in particolare l’allora capo supremo del Pcus, Gorbacev, con il consenso generale della popolazione. L’Unione Sovietica, questa enorme superpotenza, si è sciolta per una decisione collettiva dei capi delle 15 Repubbliche federate che la componevano: Russia, Ucraina, Bielorussia e le altre.

Nessuno da fuori lo aveva chiesto né tanto meno imposto. L’ispiratore era stato Boris Eltsin, in quel momento presidente della Repubblica federativa russa (quella di cui è ora presidente Putin); che in questo modo ha tolto di mezzo Gorbacev, rimasto per un giorno presidente nominale di un’Urss che non esisteva più. Se c’erano problemi di rettifiche di confini fra le ex Repubbliche sovietiche divenute Stati indipendenti come fra la Russia e l’Ucraina -, era quello il momento in cui se ne doveva discutere.

Ma tutti avevano fretta di far scomparire l’Urss e la bandiera rossa, e non ne parlarono. Non è stato l’Occidente a sobillare gli ucraini contro Mosca. A Eltsin stava a cuore solo una cosa: farsi riconoscere dal mondo come il nuovo occupante del seggio all’Ou - con incorporato diritto di veto - che era stato creato per Stalin e l’Urss. Più tardi, a Putin è venuta la voglia di rimettere insieme i pezzi dell’antico impero russo, ma quelli non hanno intenzione di starci. Almeno in questo caso, l’America e l’Europa non hanno colpe.

]]>
All’Università per stranieri una lezione sull’icona russa https://www.lavoce.it/alluniversita-per-stranieri-una-lezione-sullicona-russa/ Fri, 11 Mar 2022 16:12:15 +0000 https://www.lavoce.it/?p=65526

L’accendersi improvviso della guerra russo-ucraina ha sconvolto in tutti noi consuetudini ed equilibri, generando sgomento e orrore. Dal punto di vista geoculturale questo conflitto smembra innaturalmente le due metà dell’Europa, l’occidentale e l’orientale, secondo una brutale logica di confini e di poteri.

Tuttavia, se nell’immediato occorre contrastare la crudeltà e porre fine all’uso delle armi, nel medio e lungo periodo si impongono priorità differenti, di pace e non di conflitto, di costruzione e non di distruzione, di unità e non di divisione. A tale missione possono contribuire tutte le istituzioni scolastiche e accademiche e tutte le persone di buona volontà. L’impegno sarà quello di costruire un’Europa effettivamente plurale, in grado di riconoscere anche la tradizione culturale russa come sua parte costitutiva.

Rientra in questa chiave la conferenza del prof. Michele Dantini, che l'Università per stranieri propone lunedì 14 marzo alle ore 18 (in aula magna e in streaming). L'incontro verterà attorno alla tradizione dell’icona, considerata non solo nella sua storia, ma nella sua attuale fortuna: portata da Bisanzio a Kiev alle origini della Russia, attorno al X secolo, intimamente connessa al dibattito teologico e agli usi liturgici, l’icona si diffonde e fiorisce in tutta l’attuale Russia occidentale e conosce una mirabile epoca di fortuna tra XIV e XV secolo, soprattutto in centri, “scuole” e monasteri, attorno a Mosca.

In seguito l’affermazione di modelli naturalistici occidentali modificheranno tecniche e stili di questo prodotto artistico, che resta comunque il tratto più distintivo della tradizione figurativa ortodossa e costituisce un patrimonio culturale comune non solo a Russia e Ucraina, ma a tutta l’umanità che si riconosce negli insegnamenti di silenzio, meditazione e pace.

PER SEGUIRE L’EVENTO IN STREAMING: https://www.unistrapg.it/l-icona-ortodossa-un-patrimonio-culturale-comune-storia-fortuna-attualita

]]>

L’accendersi improvviso della guerra russo-ucraina ha sconvolto in tutti noi consuetudini ed equilibri, generando sgomento e orrore. Dal punto di vista geoculturale questo conflitto smembra innaturalmente le due metà dell’Europa, l’occidentale e l’orientale, secondo una brutale logica di confini e di poteri.

Tuttavia, se nell’immediato occorre contrastare la crudeltà e porre fine all’uso delle armi, nel medio e lungo periodo si impongono priorità differenti, di pace e non di conflitto, di costruzione e non di distruzione, di unità e non di divisione. A tale missione possono contribuire tutte le istituzioni scolastiche e accademiche e tutte le persone di buona volontà. L’impegno sarà quello di costruire un’Europa effettivamente plurale, in grado di riconoscere anche la tradizione culturale russa come sua parte costitutiva.

Rientra in questa chiave la conferenza del prof. Michele Dantini, che l'Università per stranieri propone lunedì 14 marzo alle ore 18 (in aula magna e in streaming). L'incontro verterà attorno alla tradizione dell’icona, considerata non solo nella sua storia, ma nella sua attuale fortuna: portata da Bisanzio a Kiev alle origini della Russia, attorno al X secolo, intimamente connessa al dibattito teologico e agli usi liturgici, l’icona si diffonde e fiorisce in tutta l’attuale Russia occidentale e conosce una mirabile epoca di fortuna tra XIV e XV secolo, soprattutto in centri, “scuole” e monasteri, attorno a Mosca.

In seguito l’affermazione di modelli naturalistici occidentali modificheranno tecniche e stili di questo prodotto artistico, che resta comunque il tratto più distintivo della tradizione figurativa ortodossa e costituisce un patrimonio culturale comune non solo a Russia e Ucraina, ma a tutta l’umanità che si riconosce negli insegnamenti di silenzio, meditazione e pace.

PER SEGUIRE L’EVENTO IN STREAMING: https://www.unistrapg.it/l-icona-ortodossa-un-patrimonio-culturale-comune-storia-fortuna-attualita

]]>
Per la crisi in Ucraina la migliore via d’uscita sarebbe la pace https://www.lavoce.it/per-la-crisi-in-ucraina-la-migliore-via-duscita-sarebbe-la-pace/ Fri, 17 Dec 2021 10:43:21 +0000 https://www.lavoce.it/?p=64135 colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da ripetere guardando da vicino la crisi Ucraina-Russia. Non sono nuovi gli appetiti economici e di approvvigionamento energetico: già visto lo schieramento in campo, che non comprende solo quei due Paesi ma vede Nato, Ue, Cina e gli altri Stati della stessa area coinvolti e, soprattutto, interessati. Film già visto anche il trasferimento di armamenti destinato alla nazione alleata.

Nemmeno l’intricata matassa della separazione religiosa è cosa nuova, e non manca di avere il suo peso. Insomma, tutti gli analisti di politica estera sono concordi nell’affermare che la questione è assai ingarbugliata.

Quanto sarebbe importante che tutti i soggetti a vario titolo coinvolti riuscissero a dire che la guerra è da escludere! Perché la guerra direbbe solo chi è il più forte, e non chi ha ragione. Ma il bene primario da preservare, garantire e proteggere è la vita delle persone, e la strada maestra deve restare quella del dialogo.

Detto questo, la comunità internazionale dovrebbe prodigarsi non per complimentarsi dei muscoli di uno dei contendenti, quanto per mediare in quel difficile dialogo. Tutti i credenti sono chiamati ad accompagnare con la preghiera una crisi che deve sfociare nella pace autentica. La stessa che gli angeli annunceranno a Betlemme per tutto il mondo.

]]>
colline e sole, logo rubrica oltre i confini

“Niente di nuovo sotto il sole” verrebbe da ripetere guardando da vicino la crisi Ucraina-Russia. Non sono nuovi gli appetiti economici e di approvvigionamento energetico: già visto lo schieramento in campo, che non comprende solo quei due Paesi ma vede Nato, Ue, Cina e gli altri Stati della stessa area coinvolti e, soprattutto, interessati. Film già visto anche il trasferimento di armamenti destinato alla nazione alleata.

Nemmeno l’intricata matassa della separazione religiosa è cosa nuova, e non manca di avere il suo peso. Insomma, tutti gli analisti di politica estera sono concordi nell’affermare che la questione è assai ingarbugliata.

Quanto sarebbe importante che tutti i soggetti a vario titolo coinvolti riuscissero a dire che la guerra è da escludere! Perché la guerra direbbe solo chi è il più forte, e non chi ha ragione. Ma il bene primario da preservare, garantire e proteggere è la vita delle persone, e la strada maestra deve restare quella del dialogo.

Detto questo, la comunità internazionale dovrebbe prodigarsi non per complimentarsi dei muscoli di uno dei contendenti, quanto per mediare in quel difficile dialogo. Tutti i credenti sono chiamati ad accompagnare con la preghiera una crisi che deve sfociare nella pace autentica. La stessa che gli angeli annunceranno a Betlemme per tutto il mondo.

]]>
I tremendi effetti del coronavirus sul panorama geopolitico mondiale https://www.lavoce.it/i-tremendi-effetti-del-coronavirus-sul-panorama-geopolitico-mondiale/ Thu, 21 May 2020 17:01:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57205

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>

Mappamondo con in primo piano la Cina. Il virus non piace al potere, in ogni sua forma. La Cina ha nascosto a lungo - ormai è assodato - informazioni sulla pandemia che in quel Paese si è originata (anche questo è fuori discussione), e che il resto del mondo avrebbe potuto utilizzare per arginare in modo decisivo il contagio. La Russia, secondo Paese al mondo per numero di contagi e vittime in rapido aumento, continua a ripetere che “la situazione è sotto controllo”. Ma il virus è entrato anche al Cremlino, infettando il portavoce di Putin. Così come non ha risparmiato alla Casa Bianca alcuni collaboratori del Presidente americano e lo stesso primo ministro inglese al numero 10 di Downing Street. Per non parlare del Brasile, dove si scavano ampie fosse comuni all’aperto per seppellire le vittime. Mentre il presidente Bolsonaro continua a minimizzare gli effetti della pandemia. “Il segreto appartiene al potere”, annotava Elias Canetti. Ma nel caso del contagio mondiale da Covid-19, è sempre più evidente che il virus sta mettendo in difficoltà quei sistemi di potere dove la ricerca del consenso si basa su un’immagine irrealistica di totale controllo degli avvenimenti e di reazione agli eventi. E su una narrazione di infallibilità e potenza dei singoli leader che i fatti, e i numeri, smentiscono in un batter d’occhio. Così il potere reagisce aumentando la quantità di fake news e di informazioni artefatte. Russia e Cina in questa classifica sono ai primi posti.

Nuovi equilibri internazionali

Osservano gli analisti dell’Aspen Institute che l’immagine del gigante cinese “esce almeno in parte deteriorata” da quanto successo con l’origine e la propagazione del virus. Tra l’altro - è sempre Aspen a farlo presente - “per un Paese che aspira al dominio tecnologico, la persistenza di forme di arretratezza come la commistione tra essere umani e animali è una contraddizione notevole”. La reazione mediatica della Cina alla sua caduta d’immagine è stata veemente; ogni invio di aiuti ai Paesi occidentali colpiti dal virus è stato accompagnato da un contorno cospicuo e penetrante di messaggi atti a magnificare la capacità di risposta di quel Paese alla pandemia e, nel contempo, a evidenziare le lentezze delle democrazie occidentali. Non è stata da meno la Russia. Ogni suo invio di aiuti ai Paesi europei è stato corredato da una quantità ingente di messaggi autocelebrativi. Nell’ambito di quella che è stata definita “diplomazia aggressiva della generosità”. Emerge da questo scenario il valore geopolitico che lo scoppiare del contagio e la sua evoluzione potrebbero giocare nel determinare nuovi equilibri internazionali. In questa ottica, è facile valutare l’aggressività diplomatica della Cina e della Russia come strategia per ‘riempire’, a livello planetario, quei vuoti che l’America di Trump (ma già prima quella di Obama) hanno lasciato in alcune zone del mondo, a partire dall’Europa. Quell’Europa in cui la presenza economica e finanziaria cinese è già consistente. Per alcuni Paesi, assolutamente vitale per tenere a galla i singoli sistemi produttivi. Questo, non soltanto per gli scambi commerciali. Ma anche e soprattutto perché la maggior parte di quegli stessi sistemi produttivi occidentali prevedono il partner cinese come fondamentale per certe forniture e produzioni (basti pensare che, con il lockdown di Wuhan, epicentro del contagio, l’Europa ha rischiato di rimanere senza paracetamolo, prodotto per larga parte nelle fabbriche di quella regione cinese).

Disinformazione per destabilizzare le democrazie

“Con propaganda e disinformazione sul Covid, Russia e Cina sono impegnate in atti destabilizzanti contro le democrazie occidentali”, ha detto il segretario della Nato, Jan Stoltenberg, rilanciando la richiesta, avviata dall’Unione europea, di un’inchiesta internazionale indipendente “che faccia chiarezza su quanto accaduto”. Inchiesta che Pechino continua a osteggiare, tenendo chiusi i laboratori di Wuhan e arrivando a minacciare il blocco delle esportazioni di forniture mediche. Un clima, insomma, che rende difficile prendere in seria considerazione gli studi scientifici che arrivano dalla Cina su origine e diffusione del Covid. Questo avviene proprio nel momento in cui, sul fronte scientifico, ci sarebbe bisogno della massima cooperazione tra gli istituti di ricerca coinvolti nella ricerca di un vaccino. A esasperare il clima di contrapposizione contribuisce la campagna elettorale in atto (fino al voto di novembre) negli Stati Uniti di quel Donald Trump che fin dall’inizio ha bollato il contagio come ‘virus cinese’ e che continua a esasperare i toni nei confronti di quel Paese, anche allo scopo di distogliere il suo elettorato dalle responsabilità che lui stesso ha avuto nel gestire in modo riduttivo, altalenante e confuso la reazione alla pandemia. Tenendo conto che, a causa del coronavirus, i disoccupati americani sono già oltre 36 milioni, si può facilmente prevedere che il Presidente in carica, per farsi rieleggere, non allenterà la presa nel rimarcare le origini cinesi del contagio. Fino a novembre. Poi si vedrà come sarà cambiato il mondo. Daris Giancarlini]]>