Risurrezione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/risurrezione/ Settimanale di informazione regionale Fri, 01 Dec 2023 19:52:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Risurrezione Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/risurrezione/ 32 32 Maria Maddalena, l’apostola degli apostoli https://www.lavoce.it/maria-maddalena-magdala-apostola-degli-apostoli-chiesa-donna/ https://www.lavoce.it/maria-maddalena-magdala-apostola-degli-apostoli-chiesa-donna/#respond Fri, 01 Dec 2023 18:50:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=57088

Maria Maddalena, personaggio del Vangelo che la tradizione ha spesso confuso. Simbolo collettivo del ruolo da protagonista della donna nel cristianesimo a prima creatura che Gesù appena risorto ha voluto incontrare è stata Maria di Magdala, a cui ha affidato il compito del “primissimo annuncio” cioè di rendere edotti dell’Evento gli altri discepoli. Tale “annuncio” - ha ricordato Papa Francesco - si colloca “tra la gioia della resurrezione di Gesù e la nostalgia del sepolcro vuoto”. Se si rimane fissi a guardare il sepolcro, senza capire la Parola di resurrezione, prevale l’opzione finale “per il dio denaro”. Il riferimento è ai sommi sacerdoti che pagarono le guardie perché testimoniassero il falso e dicessero: Gesù non è risorto, i suoi discepoli hanno trafugato il corpo per farlo credere risuscitato. Maria di Magdala, fedele seguace di Gesù, fu la prima a “predicare l’Annuncio” del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Per questo Papa Francesco (con decreto 3 giugno 2016 della Congregazione per il culto divino) ha reso più solenne la  memoria di questa donna elevandola allo stesso grado delle feste che celebrano gli apostoli. Tale istituzione non va letta come una rivincita muliebre: si cadrebbe nella mentalità delle “quote rosa”. Il significato è ben altro: non a caso Tommaso d’Aquino la definì “apostola degli apostoli”. Nel Prefazio è ora scritto de apostolorum apostola. Lei, la prima “mandata da” (questo significa “apo-stolo”): mandata dal Risorto a “istruire” gli Undici.

La Maddalena

Nei Vangeli si legge che Maria era originaria di Magdala, villaggio di pescatori sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade. Sotto lo stesso nome di Maria Maddalena, forse per la necessità di armonizzare racconti simili, sono state unificate donne diverse: la Maddalena, liberata dai sette demoni, interpretati come segno di vita dissoluta (Mc 16,9; Lc 8,2); l’anonima prostituta che bagna di lacrime i piedi di Gesù cospargendoli di profumo (Lc 7,36-50); Maria di Betania, descritta come colei che unge i piedi del Nazareno con costosa essenza di nardo asciugandoli con i suoi capelli (Gv 12,1-8); l’anonima donna che, nella casa di Simone il lebbroso, versa sul capo di Gesù “un profumo molto prezioso”. Un lungo processo di alterazione e di ridimensionamento ci consegna una figura di peccatrice e di pentita, nella quale si fondono bellezza sensuale e mortificazione del corpo. Necessita rimuovere tabù, equivoci e manipolazioni, ribadendo con coraggio i ruoli avuti dalle donne fin dalle origini nel cuore del cristianesimo. Il “caso Maria Maddalena” va quindi inserito nella più ampia analisi della presenza delle donne nella Storia in vista di una ricostruzione di modelli relazionali più consoni a una Chiesa inclusiva, che sia in accordo con la dottrina egualitaria che Gesù ha messo in atto nei confronti delle donne.

La Chiesa è femminile

Per questo occorrerebbe ripensare i tradizionali modelli ecclesiologici secondo il principio di corresponsabilità battesimale e apostolica. Mettere al centro il messaggio evangelico e l’affermazione di un discepolato di eguali. Ciò, per Bergoglio, è invitare la Chiesa a parlare su se stessa; il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine Maria quella che aiuta la Chiesa a crescere! La Madonna è più importante degli apostoli! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Idee che ha ribadito giovedì 30 novembre incontrando i membri della Commissione teologica internazionale: “La Chiesa è donna. E se noi non sappiamo capire cos’è una donna, cos’è la teologia di una donna, mai capiremo cos’è la Chiesa. Uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è ‘maschilizzare’ la Chiesa”. In conclusione, “l’Annuncio delegato da Gesù risorto alla Maddalena” investe la stessa identità del cristianesimo, perché pone domande cruciali sul ruolo delle donne nella Chiesa, sul monopolio maschile del patrimonio teologico-dottrinale e sugli apparati istituzionali che hanno contribuito storicamente all’emarginazione femminile. Pier Luigi Galassi]]>

Maria Maddalena, personaggio del Vangelo che la tradizione ha spesso confuso. Simbolo collettivo del ruolo da protagonista della donna nel cristianesimo a prima creatura che Gesù appena risorto ha voluto incontrare è stata Maria di Magdala, a cui ha affidato il compito del “primissimo annuncio” cioè di rendere edotti dell’Evento gli altri discepoli. Tale “annuncio” - ha ricordato Papa Francesco - si colloca “tra la gioia della resurrezione di Gesù e la nostalgia del sepolcro vuoto”. Se si rimane fissi a guardare il sepolcro, senza capire la Parola di resurrezione, prevale l’opzione finale “per il dio denaro”. Il riferimento è ai sommi sacerdoti che pagarono le guardie perché testimoniassero il falso e dicessero: Gesù non è risorto, i suoi discepoli hanno trafugato il corpo per farlo credere risuscitato. Maria di Magdala, fedele seguace di Gesù, fu la prima a “predicare l’Annuncio” del Figlio di Dio crocifisso e risorto. Per questo Papa Francesco (con decreto 3 giugno 2016 della Congregazione per il culto divino) ha reso più solenne la  memoria di questa donna elevandola allo stesso grado delle feste che celebrano gli apostoli. Tale istituzione non va letta come una rivincita muliebre: si cadrebbe nella mentalità delle “quote rosa”. Il significato è ben altro: non a caso Tommaso d’Aquino la definì “apostola degli apostoli”. Nel Prefazio è ora scritto de apostolorum apostola. Lei, la prima “mandata da” (questo significa “apo-stolo”): mandata dal Risorto a “istruire” gli Undici.

La Maddalena

Nei Vangeli si legge che Maria era originaria di Magdala, villaggio di pescatori sulla sponda occidentale del lago di Tiberiade. Sotto lo stesso nome di Maria Maddalena, forse per la necessità di armonizzare racconti simili, sono state unificate donne diverse: la Maddalena, liberata dai sette demoni, interpretati come segno di vita dissoluta (Mc 16,9; Lc 8,2); l’anonima prostituta che bagna di lacrime i piedi di Gesù cospargendoli di profumo (Lc 7,36-50); Maria di Betania, descritta come colei che unge i piedi del Nazareno con costosa essenza di nardo asciugandoli con i suoi capelli (Gv 12,1-8); l’anonima donna che, nella casa di Simone il lebbroso, versa sul capo di Gesù “un profumo molto prezioso”. Un lungo processo di alterazione e di ridimensionamento ci consegna una figura di peccatrice e di pentita, nella quale si fondono bellezza sensuale e mortificazione del corpo. Necessita rimuovere tabù, equivoci e manipolazioni, ribadendo con coraggio i ruoli avuti dalle donne fin dalle origini nel cuore del cristianesimo. Il “caso Maria Maddalena” va quindi inserito nella più ampia analisi della presenza delle donne nella Storia in vista di una ricostruzione di modelli relazionali più consoni a una Chiesa inclusiva, che sia in accordo con la dottrina egualitaria che Gesù ha messo in atto nei confronti delle donne.

La Chiesa è femminile

Per questo occorrerebbe ripensare i tradizionali modelli ecclesiologici secondo il principio di corresponsabilità battesimale e apostolica. Mettere al centro il messaggio evangelico e l’affermazione di un discepolato di eguali. Ciò, per Bergoglio, è invitare la Chiesa a parlare su se stessa; il ruolo della donna nella Chiesa non è soltanto la maternità, ma è più forte: è proprio l’icona della Vergine Maria quella che aiuta la Chiesa a crescere! La Madonna è più importante degli apostoli! La Chiesa è femminile: è Chiesa, è sposa, è madre. Idee che ha ribadito giovedì 30 novembre incontrando i membri della Commissione teologica internazionale: “La Chiesa è donna. E se noi non sappiamo capire cos’è una donna, cos’è la teologia di una donna, mai capiremo cos’è la Chiesa. Uno dei grandi peccati che abbiamo avuto è ‘maschilizzare’ la Chiesa”. In conclusione, “l’Annuncio delegato da Gesù risorto alla Maddalena” investe la stessa identità del cristianesimo, perché pone domande cruciali sul ruolo delle donne nella Chiesa, sul monopolio maschile del patrimonio teologico-dottrinale e sugli apparati istituzionali che hanno contribuito storicamente all’emarginazione femminile. Pier Luigi Galassi]]>
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“Ma Dio lo ha risuscitato”: è l’annuncio di Pasqua https://www.lavoce.it/ma-dio-lo-ha-risuscitato-e-lannuncio-di-pasqua/ https://www.lavoce.it/ma-dio-lo-ha-risuscitato-e-lannuncio-di-pasqua/#comments Thu, 15 Apr 2021 18:28:19 +0000 https://www.lavoce.it/?p=60182

La Pasqua è il centro dell’anno liturgico intorno alla quale ruota, come polo di attrazione, tutta celebrazione dei misteri della fede. La Pasqua è il cuore della vita di fede di ogni credente. Senza la Pasqua non possiamo vivere, anzi, dalla Pasqua impariamo a vivere, superando i nostri “venerdì di passione”, perché in essi scorgiamo una luce che rischiara la notte, preludio alla mattina di Pasqua.

Una Pasqua di 50 giorni

Per questo la liturgia ci fa celebrare la Pasqua per otto giorni; per questo l’anno liturgico ha un tempo pasquale della durata di cinquanta giorni; per questo noi ogni settimana celebriamo la Pasqua: senza la domenica, giorno del Signore, non possiamo vivere. Sine Dominico non possumus: con queste parole i martiri di Abitene (attuale Turchia) risposero all’autorità pubblica nel 304 d. C., che vietava, pena la morte, il loro radunarsi per celebrare l’eucarestia nel giorno di domenica. La Parola di Dio di questo tempo pasquale ci fa ascoltare i testi della Risurrezione nella ricchezza delle versione dei quattro evangelisti, e la nascita della prima comunità cristiana attraverso la prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli apostoli.

L'incontro con Gesù, dopo Emmaus

Il Vangelo di questa domenica, nella versione liturgica, è introdotto dal racconto dei due discepoli, di ritorno da Emmaus (Lc 24,35), ai loro compagni rinchiusi nel Cenacolo. L’evangelista Luca nei versetti precedenti ci aveva narrato l’esperienza di questi due discepoli. Essi si allontanano da Gerusalemme lo stesso giorno di Pasqua, delusi dalla morte di Gesù, ma in casa lo riconoscono nello spezzare il pane, dopo che gli si era fatto accanto durante il viaggio (Lc 24,11-34).

Incontro personale, non privato

L’incontro personale con Gesù non è un fatto privato, è occasione di gioia da comunicare: “Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro” (Lc 24, 33). L’incontro dei due viandanti con gli altri riuniti nel Cenacolo è uno scambio di conferme sulla risurrezione, sublimata dalla presenza del Risorto: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi” (v. 36). Le apparizioni del Risorto sembrano seguire una struttura narrativa costante: l’incredulità degli apostoli, la paura che li rinchiude nel Cenacolo, l’irruzione della presenza di Gesù, la sua riconoscibilità a partire dai segni della passione, la sua corporeità certificata dal mangiare il pasto con i presenti.

Gesù indica come “capire”

L’incontro del Risorto con i suoi è anche l’indicazione di un metodo: “Aprì loro la mente per comprendere le scritture” (v. 45). Gesù indica una chiave di lettura interpretativa della storia della salvezza: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (v. 44). I l tesoro della salvezza, da annunciare a partire dal mistero pasquale, è arricchito da tutta la storia della rivelazione: Dio sceglie Israele, suo popolo, perché il più piccolo tra tutti i popoli (Dt 7,7-8). Una scelta d’amore confermata e sigillata dal sangue del Figlio suo Gesù Cristo: supremo atto d’amore, unico ed eterno sacrificio gradito a Dio.

Sotto la guida dello Spirito

Sarà questo l’annuncio di Pietro e della prima comunità cristiana, narrata dal libro degli Atti degli apostoli. Dopo l’ascensione al cielo di Gesù e l’irruzione dello Spirito santo nel Cenacolo, gli apostoli troveranno il coraggio per gridare le parole di salvezza del mistero pasquale. La comunità, la Chiesa, sarà la presenza del Risorto nel mondo. Pietro, nei suoi discorsi al popolo d’Israele a Gerusalemme, seguirà proprio lo schema indicato da Gesù. A partire dal racconto degli antichi padri: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, nella narrazione Pietro giunge a Gesù, figlio di questo popolo, discendente di Davide, ma anche Figlio unigenito del Padre (At 3,13). Nel suo discorso, Pietro non tralascerà il dramma della morte di Gesù e la responsabilità del rinnegamento e tradimento di quanto era preannunciato nelle Scritture. Accuserà i capi del popolo di aver rinnegato e ucciso “il Santo” e “il Giusto”, di aver ucciso l’autore della vita (v. 14-15). Il libro degli Atti più volte tornerà su questo schema (vedi 2,22-23.29-30.36; 3,13-17.18; 4,10).

“Dio lo ha risuscitato!”

Nella trattazione dei temi dell’annuncio, oltre alla memoria dell’accusa rivolta agli ascoltatori, c’è una costante che segna sempre un punto di svolta nel racconto, una congiunzione oppositiva: “Ma Dio lo ha risuscitato”. Questa opposizione di Dio all’azione dell’uomo non ha però come conseguenza la punizione, bensì l’appello alla conversione: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (At 3,19). C’è sempre nella nostra vita il “ma” di Dio: è la nostra speranza da cui ripartire.]]>

La Pasqua è il centro dell’anno liturgico intorno alla quale ruota, come polo di attrazione, tutta celebrazione dei misteri della fede. La Pasqua è il cuore della vita di fede di ogni credente. Senza la Pasqua non possiamo vivere, anzi, dalla Pasqua impariamo a vivere, superando i nostri “venerdì di passione”, perché in essi scorgiamo una luce che rischiara la notte, preludio alla mattina di Pasqua.

Una Pasqua di 50 giorni

Per questo la liturgia ci fa celebrare la Pasqua per otto giorni; per questo l’anno liturgico ha un tempo pasquale della durata di cinquanta giorni; per questo noi ogni settimana celebriamo la Pasqua: senza la domenica, giorno del Signore, non possiamo vivere. Sine Dominico non possumus: con queste parole i martiri di Abitene (attuale Turchia) risposero all’autorità pubblica nel 304 d. C., che vietava, pena la morte, il loro radunarsi per celebrare l’eucarestia nel giorno di domenica. La Parola di Dio di questo tempo pasquale ci fa ascoltare i testi della Risurrezione nella ricchezza delle versione dei quattro evangelisti, e la nascita della prima comunità cristiana attraverso la prima lettura, tratta dal libro degli Atti degli apostoli.

L'incontro con Gesù, dopo Emmaus

Il Vangelo di questa domenica, nella versione liturgica, è introdotto dal racconto dei due discepoli, di ritorno da Emmaus (Lc 24,35), ai loro compagni rinchiusi nel Cenacolo. L’evangelista Luca nei versetti precedenti ci aveva narrato l’esperienza di questi due discepoli. Essi si allontanano da Gerusalemme lo stesso giorno di Pasqua, delusi dalla morte di Gesù, ma in casa lo riconoscono nello spezzare il pane, dopo che gli si era fatto accanto durante il viaggio (Lc 24,11-34).

Incontro personale, non privato

L’incontro personale con Gesù non è un fatto privato, è occasione di gioia da comunicare: “Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro” (Lc 24, 33). L’incontro dei due viandanti con gli altri riuniti nel Cenacolo è uno scambio di conferme sulla risurrezione, sublimata dalla presenza del Risorto: “Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi” (v. 36). Le apparizioni del Risorto sembrano seguire una struttura narrativa costante: l’incredulità degli apostoli, la paura che li rinchiude nel Cenacolo, l’irruzione della presenza di Gesù, la sua riconoscibilità a partire dai segni della passione, la sua corporeità certificata dal mangiare il pasto con i presenti.

Gesù indica come “capire”

L’incontro del Risorto con i suoi è anche l’indicazione di un metodo: “Aprì loro la mente per comprendere le scritture” (v. 45). Gesù indica una chiave di lettura interpretativa della storia della salvezza: “Bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi” (v. 44). I l tesoro della salvezza, da annunciare a partire dal mistero pasquale, è arricchito da tutta la storia della rivelazione: Dio sceglie Israele, suo popolo, perché il più piccolo tra tutti i popoli (Dt 7,7-8). Una scelta d’amore confermata e sigillata dal sangue del Figlio suo Gesù Cristo: supremo atto d’amore, unico ed eterno sacrificio gradito a Dio.

Sotto la guida dello Spirito

Sarà questo l’annuncio di Pietro e della prima comunità cristiana, narrata dal libro degli Atti degli apostoli. Dopo l’ascensione al cielo di Gesù e l’irruzione dello Spirito santo nel Cenacolo, gli apostoli troveranno il coraggio per gridare le parole di salvezza del mistero pasquale. La comunità, la Chiesa, sarà la presenza del Risorto nel mondo. Pietro, nei suoi discorsi al popolo d’Israele a Gerusalemme, seguirà proprio lo schema indicato da Gesù. A partire dal racconto degli antichi padri: Abramo, Isacco, Giacobbe, Mosè, nella narrazione Pietro giunge a Gesù, figlio di questo popolo, discendente di Davide, ma anche Figlio unigenito del Padre (At 3,13). Nel suo discorso, Pietro non tralascerà il dramma della morte di Gesù e la responsabilità del rinnegamento e tradimento di quanto era preannunciato nelle Scritture. Accuserà i capi del popolo di aver rinnegato e ucciso “il Santo” e “il Giusto”, di aver ucciso l’autore della vita (v. 14-15). Il libro degli Atti più volte tornerà su questo schema (vedi 2,22-23.29-30.36; 3,13-17.18; 4,10).

“Dio lo ha risuscitato!”

Nella trattazione dei temi dell’annuncio, oltre alla memoria dell’accusa rivolta agli ascoltatori, c’è una costante che segna sempre un punto di svolta nel racconto, una congiunzione oppositiva: “Ma Dio lo ha risuscitato”. Questa opposizione di Dio all’azione dell’uomo non ha però come conseguenza la punizione, bensì l’appello alla conversione: “Convertitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati” (At 3,19). C’è sempre nella nostra vita il “ma” di Dio: è la nostra speranza da cui ripartire.]]>
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Pasqua. La morte… poi ecco che fa irruzione la Luce https://www.lavoce.it/pasqua-la-morte-poi-ecco-che-fa-irruzione-la-luce/ Wed, 31 Mar 2021 17:21:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59942

Tutto tace! Nulla è andato come speravamo, almeno per quello che siamo riusciti a comprendere! L’ingresso del Messia a Gerusalemme è stato quasi trionfale, seppur su un’umile cavalcatura: chi stendeva vesti per farne dei tappeti, chi osannava con fronde d’alberi, chi invece acclamava al figlio di Davide. Quanto successo tra la gente, anche se spesso accompagnato dal rifiuto dell’autorità civile e religiosa! Un Maestro che proferiva parole importanti - vero, talvolta molto audaci e non di facile comprensione -, compiva gesti straordinari e di affetto verso chi ne aveva bisogno. E ora qui nella Città santa tutto sembra essere finito: l’arresto, il processo, la croce, un corpo esanime tra la fredda pietra. Oggi tutto tace, eppure noi avevamo sperato…. Sarà stata forse questa percezione di smarrimento e nonsenso a pervadere l’animo di quel drappello di uomini e donne chiamati discepoli, che fin dagli inizi avevano seguito l’Uomo-Dio di Nazareth, il cui nome riecheggiava in Medio Oriente, ma la cui fine, nonostante più volte lui l’avesse profetizzata, ai loro occhi non è parsa degna. Smarrimento e nonsenso che anche noi ora sperimentiamo. Un anno fa l’inizio della nostra “passione”: il nemico in breve tempo ha travolto il mondo, quella che pensavamo un’epidemia localizzata è stata dichiarata pandemia. Da quel momento contagi in crescita, bollettini giornalieri malauguranti, sofferenza, sovraccarico delle strutture sanitarie, morti quasi in solitudine, crisi economica, povertà in aumento: il nostro sepolcro, il nostro Sabato santo, dove tutto tace! Poi quelle donne, al far del giorno quando ancora era buio, si incamminano verso il luogo della sepoltura per ungere il corpo del Maestro. Incredulità, stupore, timore: la pietra è rotolata via, il corpo non c’è. Una voce rompe il silenzio: “Non è qui, è risorto”. La morte è tornata sui suoi passi e ha lasciato spazio alla vita. Gioia nel vedere che non ha avuto l’ultima parola! Nel tempo drammatico che stiamo vivendo, in questo silenzio angosciante, una voce si alza, chiara e distinta, per ridonare speranza: “Non temete, Io Sono!”. Il Risorto anche ora risolleverà l’opera del Creatore. La divina potenza, oggi come allora, accanto all’umana intelligenza e alla buona volontà dei fratelli e delle sorelle mai tiratisi indietro, rotolerà la pietra che ostruisce l’ingresso del sepolcro, farà irrompere la luce della Pasqua nelle tenebre del tempo presente. Io voglio sperare, perché credo in Lui, perché ho fiducia nell’umanità.]]>

Tutto tace! Nulla è andato come speravamo, almeno per quello che siamo riusciti a comprendere! L’ingresso del Messia a Gerusalemme è stato quasi trionfale, seppur su un’umile cavalcatura: chi stendeva vesti per farne dei tappeti, chi osannava con fronde d’alberi, chi invece acclamava al figlio di Davide. Quanto successo tra la gente, anche se spesso accompagnato dal rifiuto dell’autorità civile e religiosa! Un Maestro che proferiva parole importanti - vero, talvolta molto audaci e non di facile comprensione -, compiva gesti straordinari e di affetto verso chi ne aveva bisogno. E ora qui nella Città santa tutto sembra essere finito: l’arresto, il processo, la croce, un corpo esanime tra la fredda pietra. Oggi tutto tace, eppure noi avevamo sperato…. Sarà stata forse questa percezione di smarrimento e nonsenso a pervadere l’animo di quel drappello di uomini e donne chiamati discepoli, che fin dagli inizi avevano seguito l’Uomo-Dio di Nazareth, il cui nome riecheggiava in Medio Oriente, ma la cui fine, nonostante più volte lui l’avesse profetizzata, ai loro occhi non è parsa degna. Smarrimento e nonsenso che anche noi ora sperimentiamo. Un anno fa l’inizio della nostra “passione”: il nemico in breve tempo ha travolto il mondo, quella che pensavamo un’epidemia localizzata è stata dichiarata pandemia. Da quel momento contagi in crescita, bollettini giornalieri malauguranti, sofferenza, sovraccarico delle strutture sanitarie, morti quasi in solitudine, crisi economica, povertà in aumento: il nostro sepolcro, il nostro Sabato santo, dove tutto tace! Poi quelle donne, al far del giorno quando ancora era buio, si incamminano verso il luogo della sepoltura per ungere il corpo del Maestro. Incredulità, stupore, timore: la pietra è rotolata via, il corpo non c’è. Una voce rompe il silenzio: “Non è qui, è risorto”. La morte è tornata sui suoi passi e ha lasciato spazio alla vita. Gioia nel vedere che non ha avuto l’ultima parola! Nel tempo drammatico che stiamo vivendo, in questo silenzio angosciante, una voce si alza, chiara e distinta, per ridonare speranza: “Non temete, Io Sono!”. Il Risorto anche ora risolleverà l’opera del Creatore. La divina potenza, oggi come allora, accanto all’umana intelligenza e alla buona volontà dei fratelli e delle sorelle mai tiratisi indietro, rotolerà la pietra che ostruisce l’ingresso del sepolcro, farà irrompere la luce della Pasqua nelle tenebre del tempo presente. Io voglio sperare, perché credo in Lui, perché ho fiducia nell’umanità.]]>
Gesù è risorto! E anche noi possiamo vederlo https://www.lavoce.it/gesu-e-risorto-e-anche-noi-possiamo-vederlo/ Wed, 31 Mar 2021 15:05:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=59971

“Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” è la professione di fede che rinnoviamo ogni domenica e che risplende nella notte di Pasqua, nella ricchezza della Lituriga e della Parola che la Chiesa ci propone. È la luce che splende nelle tenebre, è la luce che ha sconfitto le tenebre (Gv 1,5). Le tenebre hanno tentato di avvolgere e di “inghiottire” la luce, così come un “buco nero” che inghiotte ogni cosa. Il buio, le tenebre, la morte hanno tentato di porre un limite alla Luce e alla Vita, dentro il freddo sepolcro di pietra. Ma il “macigno” della morte è stato ribaltato via dalla Luce, che ha ridato vita a un corpo. Il corpo di Gesù, segnato dal dolore e dalla sofferenza della croce, ricomposto dalla tenerezza di una madre e da alcune donne, ha ritrovato nel sepolcro un nuovo grembo da cui “ri-generare vita”.

Nella luce della Pasqua

Proprio perché “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” è egli stesso, Gesù, l’autore della vita. Quella luce divina, come rugiada, penetra nelle fenditure della pietra del sepolcro e illumina ciò che la morte avrebbe voluto spegnere. Quella piccola luce è capace di sconfiggere l’abisso di oscurità della morte e la sua luce fa esplodere la vita. Per questo, la mattina di Pasqua, la pietra che aveva tentato di sigillare la vita nelle tenebre è stata rotolata via (Mc 16,3-4). E così da quel sepolcro, sigillato da una pietra, nel silenzio della notte, la vita rinnovata dalla croce muove i suoi primi passi.

La morte è stata vinta

La Parola germina dal silenzio, l’alba di un nuovo giorno annuncia che la morte non ha più l’ultima parola. Possiamo gridare con san Paolo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria!”. Possiamo “sbeffeggiare” il nemico sconfitto: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54-55). Ma la liturgia ci ricorda che è stata una vera battaglia: “Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa”.

Il “canto” della Sequenza pasquale

La Sequenza che ascolteremo prima dell’Alleluia nella domenica di Pasqua canta questa vittoria innalzando un inno di lode “all’Agnello che ha redento il suo gregge. / L’innocente ha riconciliato / noi peccatori con il Padre”. Con questa forma poetica il testo canta al Signore risorto, definendolo “la vittima pasquale”. La seconda parte esprime il desiderio di ogni credente di conoscere dai testimoni della mattina di Pasqua cosa è successo, cosa hanno visto in quell’alba di futuro: “Raccontaci, Maria, / cosa hai visto sulla via?”. La descrizione della tomba vuota, anziché desolazione, accende la speranza. La vista del sudario e delle bende, poste in modo ordinato, composte, come descrive l’evangelista Giovanni (Gv 20,5-7), rende la scena non un luogo di morte, ma un giaciglio su cui un corpo si è addormentato, riprendendo poi il suo cammino. Le stesse parole della Sequenza confermano questa interpretazione. Maria infatti racconta che gli angeli, in qualità di testimoni, rimandano i discepoli a un altro luogo, l’incontro con il Cristo risorto, con il Vivente: “Cristo, mia speranza, vi precede in Galilea”.

Gesù è risorto!

Il testo riprende questa indicazione dal Vangelo di Marco proclamato nella notte di Pasqua. Gli angeli annunciano alle donne, giunte al sepolcro “di buon mattino” (Mc 16,1-2), che “Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto, non è qui” (v. 6). L’angelo dice alle donne - e a tutti noi - che il Risorto ci attende in Galilea, lui è già lì. Aveva già dato questo appuntamento ai suoi, quando nell’Orto degli ulivi annunciava la tragedia imminente del suo arresto e della sua morte. Quest’annuncio di Pasqua riguarda soprattutto noi. Noi che non abbiamo visto i lini e le bende, come Pietro e Giovanni, che non abbiamo visto la tomba vuota, che non abbiamo ascoltato le donne di ritorno dal sepolcro, ma possiamo ugualmente vedere e toccare il Risorto: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7). Anche per noi c’è una “Galilea delle genti” che ci attende, là vedremo il Risorto.

E anche noi possiamo vederlo

La Galilea non è solo un luogo geografico, non è solo una provincia della Palestina, ma si identifica con la quotidianità della vita. Là dove a ogni credente è chiesto di annunciare la bellezza del Vangelo con la testimonianza della vita. Facendo questo, vedremo le meraviglie che già il Risorto ha compiuto; infatti Lui sempre ci precede e ci attende. Là dove ogni credente porta la sua testimonianza, la Chiesa mostra il suo volto più bello e allarga i confini della sua presenza. È il volto della Chiesa del Concilio, è la Chiesa della Evangelii gaudium, che non si preoccupa di difendere le sue posizioni, ma cammina accanto all’umanità con umiltà e stile di servizio.]]>

“Luce da Luce, Dio vero da Dio vero” è la professione di fede che rinnoviamo ogni domenica e che risplende nella notte di Pasqua, nella ricchezza della Lituriga e della Parola che la Chiesa ci propone. È la luce che splende nelle tenebre, è la luce che ha sconfitto le tenebre (Gv 1,5). Le tenebre hanno tentato di avvolgere e di “inghiottire” la luce, così come un “buco nero” che inghiotte ogni cosa. Il buio, le tenebre, la morte hanno tentato di porre un limite alla Luce e alla Vita, dentro il freddo sepolcro di pietra. Ma il “macigno” della morte è stato ribaltato via dalla Luce, che ha ridato vita a un corpo. Il corpo di Gesù, segnato dal dolore e dalla sofferenza della croce, ricomposto dalla tenerezza di una madre e da alcune donne, ha ritrovato nel sepolcro un nuovo grembo da cui “ri-generare vita”.

Nella luce della Pasqua

Proprio perché “generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” è egli stesso, Gesù, l’autore della vita. Quella luce divina, come rugiada, penetra nelle fenditure della pietra del sepolcro e illumina ciò che la morte avrebbe voluto spegnere. Quella piccola luce è capace di sconfiggere l’abisso di oscurità della morte e la sua luce fa esplodere la vita. Per questo, la mattina di Pasqua, la pietra che aveva tentato di sigillare la vita nelle tenebre è stata rotolata via (Mc 16,3-4). E così da quel sepolcro, sigillato da una pietra, nel silenzio della notte, la vita rinnovata dalla croce muove i suoi primi passi.

La morte è stata vinta

La Parola germina dal silenzio, l’alba di un nuovo giorno annuncia che la morte non ha più l’ultima parola. Possiamo gridare con san Paolo: “La morte è stata inghiottita nella vittoria!”. Possiamo “sbeffeggiare” il nemico sconfitto: “Dov’è, o morte, la tua vittoria? Dov’è o morte il tuo pungiglione?” (1 Cor 15,54-55). Ma la liturgia ci ricorda che è stata una vera battaglia: “Morte e vita si sono affrontate / in un prodigioso duello. / Il Signore della vita era morto; / ma ora, vivo, trionfa”.

Il “canto” della Sequenza pasquale

La Sequenza che ascolteremo prima dell’Alleluia nella domenica di Pasqua canta questa vittoria innalzando un inno di lode “all’Agnello che ha redento il suo gregge. / L’innocente ha riconciliato / noi peccatori con il Padre”. Con questa forma poetica il testo canta al Signore risorto, definendolo “la vittima pasquale”. La seconda parte esprime il desiderio di ogni credente di conoscere dai testimoni della mattina di Pasqua cosa è successo, cosa hanno visto in quell’alba di futuro: “Raccontaci, Maria, / cosa hai visto sulla via?”. La descrizione della tomba vuota, anziché desolazione, accende la speranza. La vista del sudario e delle bende, poste in modo ordinato, composte, come descrive l’evangelista Giovanni (Gv 20,5-7), rende la scena non un luogo di morte, ma un giaciglio su cui un corpo si è addormentato, riprendendo poi il suo cammino. Le stesse parole della Sequenza confermano questa interpretazione. Maria infatti racconta che gli angeli, in qualità di testimoni, rimandano i discepoli a un altro luogo, l’incontro con il Cristo risorto, con il Vivente: “Cristo, mia speranza, vi precede in Galilea”.

Gesù è risorto!

Il testo riprende questa indicazione dal Vangelo di Marco proclamato nella notte di Pasqua. Gli angeli annunciano alle donne, giunte al sepolcro “di buon mattino” (Mc 16,1-2), che “Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto, non è qui” (v. 6). L’angelo dice alle donne - e a tutti noi - che il Risorto ci attende in Galilea, lui è già lì. Aveva già dato questo appuntamento ai suoi, quando nell’Orto degli ulivi annunciava la tragedia imminente del suo arresto e della sua morte. Quest’annuncio di Pasqua riguarda soprattutto noi. Noi che non abbiamo visto i lini e le bende, come Pietro e Giovanni, che non abbiamo visto la tomba vuota, che non abbiamo ascoltato le donne di ritorno dal sepolcro, ma possiamo ugualmente vedere e toccare il Risorto: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto” (Mc 16,7). Anche per noi c’è una “Galilea delle genti” che ci attende, là vedremo il Risorto.

E anche noi possiamo vederlo

La Galilea non è solo un luogo geografico, non è solo una provincia della Palestina, ma si identifica con la quotidianità della vita. Là dove a ogni credente è chiesto di annunciare la bellezza del Vangelo con la testimonianza della vita. Facendo questo, vedremo le meraviglie che già il Risorto ha compiuto; infatti Lui sempre ci precede e ci attende. Là dove ogni credente porta la sua testimonianza, la Chiesa mostra il suo volto più bello e allarga i confini della sua presenza. È il volto della Chiesa del Concilio, è la Chiesa della Evangelii gaudium, che non si preoccupa di difendere le sue posizioni, ma cammina accanto all’umanità con umiltà e stile di servizio.]]>
Sulla via di Emmaus rinasce il desiderio di Dio https://www.lavoce.it/sulla-via-di-emmaus-rinasce-il-desiderio-di-dio/ Fri, 24 Apr 2020 11:12:23 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56928 logo reubrica commento al Vangelo

Abbiamo ascoltato domenica scorsa l’incredulità di Tommaso (Lc 24,25) e, precedentemente, nel Vangelo di Pasqua, la fatica di Maria Maddalena e degli Apostoli a confrontarsi con l’evento della resurrezione (Gv 20,2.8). La liturgia di questa III Domenica di Pasqua, 26 aprile 2020, ci riporta a quel giorno, il primo della settimana (Lc 24,13). Questa volta non siamo però nel cenacolo, due dei discepoli, di cui uno di nome Cleopa, non sono con gli altri e come Tommaso non erano presenti all’apparizione di Gesù di quella stessa sera, del primo giorno dopo il sabato (Gv 20,19). I riferimenti temporali non sono marginali; secondo la scansione presentataci dai Vangeli, i due discepoli si mettono in cammino verso Emmaus nel primo pomeriggio, infatti si trovano in prossimità della località poco prima di sera. La distanza da Gerusalemme è di circa 10-11 chilometri (v. 13). Possiamo immaginare che hanno ascoltato il primo annuncio delle donne di ritorno dal sepolcro, forse anche la conferma di alcuni apostoli ma la conclusione è la stessa: il sepolcro era vuoto e il Signore non lo hanno visto (Lc 24,22-24).

Perché allora rimanere a Gerusalemme con il rischio di essere arrestati?

Con un po’ più di intraprendenza decidono di fuggire da Gerusalemme. Con quale animo si mettono in cammino? Il testo ci dice che erano senza speranza, la loro condizione emerge dal dialogo con Gesù che si accoda a loro: “Noi speravamo” (Lc 24,19-21). Il verbo sperare coniugato all’imperfetto indica un’azione, in questo caso un atteggiamento interiore, iniziata nel passato che permane nel presente. Una vera e propria negazione del significato del verbo sperare, che invece apre all’orizzonte del futuro. Un passato che segna la loro vita, con ferite indelebili, capaci di togliere il futuro alla loro prospettiva di vita: un venerdì di passione senza la prospettiva della domenica di Pasqua. Che cosa interviene in questa linea retta senza prospettiva, che sembra inabissarsi nel mare del “nichilismo”? Un percorso parallelo di una presenza, quella del Risorto, che accompagna al passo dei due discepoli la condizione di quel momento. Una presenza discreta ma non accattivante, impegnativa ma che non schiaccia la condizione di debolezza dei due discepoli. Il risorto questa volta non usa l’evidenza dei segni della passione, come aveva fatto nel cenacolo e come aveva fatto permettendo a Tommaso di toccare le ferite. Qui il risorto ripercorre i “segni” della presenza di Dio nella storia, a partire da uno scuotimento: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti” (Lc 24,25-26).

I Profeti per capire la Resurrezione

I due erano incapaci di leggere in modo sapienziale la storia della salvezza, ma soprattutto come questa storia era entrata nella loro vita e li aveva resi protagonisti. Avevano bisogno di qualcuno che interrompesse la loro lettura orizzontale e immodificabile (Lc 24,27). Quanto annunciato dai profeti, per Gesù sembra essere la via maestra per comprendere, sembra addirittura superiore al segno della resurrezione. Così infatti si era già espresso nella parabola del ricco epulone: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,31). Ecco che la strada parallela, che il Risorto percorre accanto ai due discepoli, compie una decisa deviazione verso i due, costringendoli ad arrestarsi all’incrocio di un interrogativo più profondo. Gesù, che ancora non hanno riconosciuto, con la sua presenza illumina il loro cuore, mette una sana nostalgia di infinito che chiede di indagare ancora sull’identità del pellegrino-compagno di strada (Lc Lc 24,32). “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Lc 24,29). È l’invito amicale, che trasforma il pellegrino-compagno di strada in ospite, anche se diventa difficile, a questo punto, capire chi è l’ospite e chi il pellegrino, chi ha fatto la proposta e chi veramente l’ha accolta.

… ed ora si torna a Gerusalemme

Il pellegrino-compagno di strada e ora ospite, ancora una volta cammina con delicatezza sul terreno accidentato del cuore umano, senza le forzature dell’evidenza. Egli diviene il “maieuta” per eccellenza e pedagogo della verità, facendo debordare dal cuore dei due discepoli la nostalgia di Dio. Non un sentimento effimero che il tramonto della sera può riportare nella notte della paura, lì ad Emmaus la notte si è nuovamente illuminata della luce del risorto. Non nell’evidenza della presenza, ma nel segno del pane, vero nutrimento della fede, che fa vedere ciò che la cecità, dovuta alla durezza di cuore aveva nascosto. Ed ora si può annunciare la novità che ha trovato dimora nel loro cuore? No, è necessario tornare a Gerusalemme perché ogni esperienza personale del risorto sia vagliata per divenire patrimonio della Cattolicità. don Andrea Rossi]]>
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Abbiamo ascoltato domenica scorsa l’incredulità di Tommaso (Lc 24,25) e, precedentemente, nel Vangelo di Pasqua, la fatica di Maria Maddalena e degli Apostoli a confrontarsi con l’evento della resurrezione (Gv 20,2.8). La liturgia di questa III Domenica di Pasqua, 26 aprile 2020, ci riporta a quel giorno, il primo della settimana (Lc 24,13). Questa volta non siamo però nel cenacolo, due dei discepoli, di cui uno di nome Cleopa, non sono con gli altri e come Tommaso non erano presenti all’apparizione di Gesù di quella stessa sera, del primo giorno dopo il sabato (Gv 20,19). I riferimenti temporali non sono marginali; secondo la scansione presentataci dai Vangeli, i due discepoli si mettono in cammino verso Emmaus nel primo pomeriggio, infatti si trovano in prossimità della località poco prima di sera. La distanza da Gerusalemme è di circa 10-11 chilometri (v. 13). Possiamo immaginare che hanno ascoltato il primo annuncio delle donne di ritorno dal sepolcro, forse anche la conferma di alcuni apostoli ma la conclusione è la stessa: il sepolcro era vuoto e il Signore non lo hanno visto (Lc 24,22-24).

Perché allora rimanere a Gerusalemme con il rischio di essere arrestati?

Con un po’ più di intraprendenza decidono di fuggire da Gerusalemme. Con quale animo si mettono in cammino? Il testo ci dice che erano senza speranza, la loro condizione emerge dal dialogo con Gesù che si accoda a loro: “Noi speravamo” (Lc 24,19-21). Il verbo sperare coniugato all’imperfetto indica un’azione, in questo caso un atteggiamento interiore, iniziata nel passato che permane nel presente. Una vera e propria negazione del significato del verbo sperare, che invece apre all’orizzonte del futuro. Un passato che segna la loro vita, con ferite indelebili, capaci di togliere il futuro alla loro prospettiva di vita: un venerdì di passione senza la prospettiva della domenica di Pasqua. Che cosa interviene in questa linea retta senza prospettiva, che sembra inabissarsi nel mare del “nichilismo”? Un percorso parallelo di una presenza, quella del Risorto, che accompagna al passo dei due discepoli la condizione di quel momento. Una presenza discreta ma non accattivante, impegnativa ma che non schiaccia la condizione di debolezza dei due discepoli. Il risorto questa volta non usa l’evidenza dei segni della passione, come aveva fatto nel cenacolo e come aveva fatto permettendo a Tommaso di toccare le ferite. Qui il risorto ripercorre i “segni” della presenza di Dio nella storia, a partire da uno scuotimento: “Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti” (Lc 24,25-26).

I Profeti per capire la Resurrezione

I due erano incapaci di leggere in modo sapienziale la storia della salvezza, ma soprattutto come questa storia era entrata nella loro vita e li aveva resi protagonisti. Avevano bisogno di qualcuno che interrompesse la loro lettura orizzontale e immodificabile (Lc 24,27). Quanto annunciato dai profeti, per Gesù sembra essere la via maestra per comprendere, sembra addirittura superiore al segno della resurrezione. Così infatti si era già espresso nella parabola del ricco epulone: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16,31). Ecco che la strada parallela, che il Risorto percorre accanto ai due discepoli, compie una decisa deviazione verso i due, costringendoli ad arrestarsi all’incrocio di un interrogativo più profondo. Gesù, che ancora non hanno riconosciuto, con la sua presenza illumina il loro cuore, mette una sana nostalgia di infinito che chiede di indagare ancora sull’identità del pellegrino-compagno di strada (Lc Lc 24,32). “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” (Lc 24,29). È l’invito amicale, che trasforma il pellegrino-compagno di strada in ospite, anche se diventa difficile, a questo punto, capire chi è l’ospite e chi il pellegrino, chi ha fatto la proposta e chi veramente l’ha accolta.

… ed ora si torna a Gerusalemme

Il pellegrino-compagno di strada e ora ospite, ancora una volta cammina con delicatezza sul terreno accidentato del cuore umano, senza le forzature dell’evidenza. Egli diviene il “maieuta” per eccellenza e pedagogo della verità, facendo debordare dal cuore dei due discepoli la nostalgia di Dio. Non un sentimento effimero che il tramonto della sera può riportare nella notte della paura, lì ad Emmaus la notte si è nuovamente illuminata della luce del risorto. Non nell’evidenza della presenza, ma nel segno del pane, vero nutrimento della fede, che fa vedere ciò che la cecità, dovuta alla durezza di cuore aveva nascosto. Ed ora si può annunciare la novità che ha trovato dimora nel loro cuore? No, è necessario tornare a Gerusalemme perché ogni esperienza personale del risorto sia vagliata per divenire patrimonio della Cattolicità. don Andrea Rossi]]>
I racconti di Risurrezione non offrono facili soluzioni. Eppure donano una grande luce https://www.lavoce.it/i-racconti-di-risurrezione/ Thu, 09 Apr 2020 13:42:48 +0000 https://www.lavoce.it/?p=56837 logo reubrica commento al Vangelo

“E vissero felici e contenti” non è il contenuto delle prime parole del Vangelo della Risurrezione, della mattina di Pasqua. Maria Maddalena ci introduce a quel mattino narrato nelle Letture del Giorno di Pasqua. “Il primo giorno della settimana” (Gv 20,1), si reca al sepolcro e negli occhi porta l’“imprinting” della croce a cui è appeso Gesù. L’estremo atto d’amore che, insieme all’altra Maria (Mt 27,61), compie nel comporre il corpo di Gesù nel sepolcro non colma il dolore lancinante. Eppure è un nuovo giorno, l’alba del giorno senza tramonto, il fondamento della nostra fede.

"Se siete risorti con Cristo"

Paolo nella seconda lettura introduce il “se” dubitativo: “Se siete risorti con Cristo” (Col 3,1), allora riuscite a pensare alle cose di lassù. Quale percorso saranno chiamati a compiere gli amici di Gesù dopo questo giorno! La Sequenza di Pasqua che avevamo anticipato domenica scorsa nella descrizione della lotta tra la morte e la vita, ora possiamo completarla: “Il Signore della vita era morto; ma ora vivo, trionfa… Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto”. Pietro nella prima lettura ripercorre il cammino compiuto da Gesù dal battesimo al fiume Giordano fino alla morte (At 10,37-39), per giungere a un “ma” che stravolge la narrazione: “Ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno” e volle che si manifestasse a testimoni scelti” (v. 40), a quelli che con lui avevano condiviso tutto. Queste certezze acquisite successivamente, hanno bisogno di maturare nel cuore e nella mente dei discepoli e delle donne. In un certo modo, sono chiamati a compiere interiormente il percorso che Gesù ha fatto nel cuore e nella carne “in quei tre giorni”. Il Vangelo, che dovrebbe gettare luce sul mistero delle parole di Gesù, sembra non aiutarci, perché gli ultimi due versetti sembrano contraddirsi. Il versetto 8 attesta la fede dell’apostolo Giovanni. Egli entra nel sepolcro dopo Pietro e il testo annota che “vide e credette”. Subito dopo, versetto 9, il Vangelo sembra rimettere in discussione tutto: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti”. Il giorno di Pasqua - che ha inizio con la Veglia nella notte - ci dà la possibilità di ascoltare tre versioni del racconto della Risurrezione, e la loro narrazione non ci apre a una comprensione piena. Se mettiamo insieme i quattro racconti della Passione, troviamo una linearità di percorso, con tantissimi punti in comune. Non è così per i quattro racconti della Risurrezione. Questo semplice confronto ci dice che l’evento della Risurrezione non è immediatamente comprensibile con le normali categorie, ma necessita anche una una disponibilità assolutamente nuova nel voler comprendere.

“Hanno portato via il Signore”

Il Vangelo di Giovanni, uno dei due proposti per la domenica di Pasqua (l’altro brano è Lc 24,13-35), mostra un notevole contrasto tra ciò che accade all’esterno e ciò che accade all’interno del Sepolcro. La corsa carica di angoscia della Maddalena, che raggiunge Pietro e Giovanni per annunciare, non la risurrezione, ma lo sconcerto di un furto: “Hanno portato via il Signore” (Gv 20,2). I due apostoli con altrettanto affanno corrono a motivo di ciò che la Maddalena ha detto loro. Nessuna traccia nella loro mente di quanto aveva detto loro Gesù: che dopo la sua morte, passati tre giorni, sarebbe risorto. Se, con lo sguardo di Pietro e Giovanni, oltrepassiamo l’ingresso del Sepolcro, troviamo un altro clima. Tutto è a posto, diversamente dal disordine interiore dei tre manifestatosi nel rincorrersi quasi ossessivo per cercare di capire. Non vedono il corpo di Gesù, come aveva detto la Maddalena, ma non c’è traccia di trafugamento: i teli erano a terra e il sudario piegato a parte. Un “involucro”, quello dei teli, che non contiene più nulla, diversamente da ciò che avevano visto quando Lazzaro era uscito dal sepolcro con i teli e le bende che lo avvolgevano e il sudario che copriva il capo (Gv 11,44). Da qui inizia il loro cammino. Altro che “vissero felici e contenti”! Una continua “macerazione” interiore, che avrà bisogno di più passaggi di mola, in cui tre ruote del dubbio, della fede e della certezza dovranno lungamente roteare. Il loro cammino sarà un percorso accidentato, la luce della Risurrezione; quel loro cammino, certamente gioioso, sarà però sempre soggetto al velo del Venerdì santo. Ma proprio perché hanno visto la vittoria della vita, dopo averla fatta propria, sopranno approdare al mattino di Pasqua. Questo renderà capaci gli apostoli di tenere duro davanti alle persecuzioni, e di introdursi sulla via della luce dopo aver percorso la via crucis. don Andrea Rossi]]>
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“E vissero felici e contenti” non è il contenuto delle prime parole del Vangelo della Risurrezione, della mattina di Pasqua. Maria Maddalena ci introduce a quel mattino narrato nelle Letture del Giorno di Pasqua. “Il primo giorno della settimana” (Gv 20,1), si reca al sepolcro e negli occhi porta l’“imprinting” della croce a cui è appeso Gesù. L’estremo atto d’amore che, insieme all’altra Maria (Mt 27,61), compie nel comporre il corpo di Gesù nel sepolcro non colma il dolore lancinante. Eppure è un nuovo giorno, l’alba del giorno senza tramonto, il fondamento della nostra fede.

"Se siete risorti con Cristo"

Paolo nella seconda lettura introduce il “se” dubitativo: “Se siete risorti con Cristo” (Col 3,1), allora riuscite a pensare alle cose di lassù. Quale percorso saranno chiamati a compiere gli amici di Gesù dopo questo giorno! La Sequenza di Pasqua che avevamo anticipato domenica scorsa nella descrizione della lotta tra la morte e la vita, ora possiamo completarla: “Il Signore della vita era morto; ma ora vivo, trionfa… Sì, ne siamo certi, Cristo è davvero risorto”. Pietro nella prima lettura ripercorre il cammino compiuto da Gesù dal battesimo al fiume Giordano fino alla morte (At 10,37-39), per giungere a un “ma” che stravolge la narrazione: “Ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno” e volle che si manifestasse a testimoni scelti” (v. 40), a quelli che con lui avevano condiviso tutto. Queste certezze acquisite successivamente, hanno bisogno di maturare nel cuore e nella mente dei discepoli e delle donne. In un certo modo, sono chiamati a compiere interiormente il percorso che Gesù ha fatto nel cuore e nella carne “in quei tre giorni”. Il Vangelo, che dovrebbe gettare luce sul mistero delle parole di Gesù, sembra non aiutarci, perché gli ultimi due versetti sembrano contraddirsi. Il versetto 8 attesta la fede dell’apostolo Giovanni. Egli entra nel sepolcro dopo Pietro e il testo annota che “vide e credette”. Subito dopo, versetto 9, il Vangelo sembra rimettere in discussione tutto: “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti”. Il giorno di Pasqua - che ha inizio con la Veglia nella notte - ci dà la possibilità di ascoltare tre versioni del racconto della Risurrezione, e la loro narrazione non ci apre a una comprensione piena. Se mettiamo insieme i quattro racconti della Passione, troviamo una linearità di percorso, con tantissimi punti in comune. Non è così per i quattro racconti della Risurrezione. Questo semplice confronto ci dice che l’evento della Risurrezione non è immediatamente comprensibile con le normali categorie, ma necessita anche una una disponibilità assolutamente nuova nel voler comprendere.

“Hanno portato via il Signore”

Il Vangelo di Giovanni, uno dei due proposti per la domenica di Pasqua (l’altro brano è Lc 24,13-35), mostra un notevole contrasto tra ciò che accade all’esterno e ciò che accade all’interno del Sepolcro. La corsa carica di angoscia della Maddalena, che raggiunge Pietro e Giovanni per annunciare, non la risurrezione, ma lo sconcerto di un furto: “Hanno portato via il Signore” (Gv 20,2). I due apostoli con altrettanto affanno corrono a motivo di ciò che la Maddalena ha detto loro. Nessuna traccia nella loro mente di quanto aveva detto loro Gesù: che dopo la sua morte, passati tre giorni, sarebbe risorto. Se, con lo sguardo di Pietro e Giovanni, oltrepassiamo l’ingresso del Sepolcro, troviamo un altro clima. Tutto è a posto, diversamente dal disordine interiore dei tre manifestatosi nel rincorrersi quasi ossessivo per cercare di capire. Non vedono il corpo di Gesù, come aveva detto la Maddalena, ma non c’è traccia di trafugamento: i teli erano a terra e il sudario piegato a parte. Un “involucro”, quello dei teli, che non contiene più nulla, diversamente da ciò che avevano visto quando Lazzaro era uscito dal sepolcro con i teli e le bende che lo avvolgevano e il sudario che copriva il capo (Gv 11,44). Da qui inizia il loro cammino. Altro che “vissero felici e contenti”! Una continua “macerazione” interiore, che avrà bisogno di più passaggi di mola, in cui tre ruote del dubbio, della fede e della certezza dovranno lungamente roteare. Il loro cammino sarà un percorso accidentato, la luce della Risurrezione; quel loro cammino, certamente gioioso, sarà però sempre soggetto al velo del Venerdì santo. Ma proprio perché hanno visto la vittoria della vita, dopo averla fatta propria, sopranno approdare al mattino di Pasqua. Questo renderà capaci gli apostoli di tenere duro davanti alle persecuzioni, e di introdursi sulla via della luce dopo aver percorso la via crucis. don Andrea Rossi]]>