Rifugiati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/rifugiati/ Settimanale di informazione regionale Wed, 02 Oct 2024 15:50:49 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.5.5 https://www.lavoce.it/wp-content/uploads/2018/07/cropped-Ultima-FormellaxSito-32x32.jpg Rifugiati Archivi - LaVoce https://www.lavoce.it/tag/rifugiati/ 32 32 Vite ricostruite: le esperienze di Suly e Abibou https://www.lavoce.it/vite-ricostruite-le-esperienze-di-suly-e-abibou/ https://www.lavoce.it/vite-ricostruite-le-esperienze-di-suly-e-abibou/#respond Mon, 23 Sep 2024 08:17:24 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77728

All’incontro di Gubbio di Voci dal mondo, i giovani Fatima e Alonso hanno intervistato Suly e Abibou, due migranti che, con una determinazione indomita e molto coraggio, sono riusciti a rifarsi una vita nel territorio eugubino.

Suly: via dal Mali con la famiglia, e poi da solo

Il primo ad aprire l’incontro pubblico è stato Mohamed-Sulymane-Samack , “tutti mi chiamano Suly diminutivo di Sulymane” ha sottolineato. Ha ventitrè anni ed è nato in Mali. Il suo viaggio da migrante inizia all’età di dodici anni quando decide insieme alla sua famiglia di lasciare il luogo che fino a quel momento aveva chiamato casa. Emozionato ha raccontato che i suoi ricordi del Mali sono pochi ma che li conserva ancora con amore. Ricorda che era molto piccolo quando è uscito dal suo villaggio. Continua raccontando il suo lungo viaggio che poi l’ha portato in Italia. “Sono andato via perché vivevo in una condizione molto complicata”, continua, “poi è stato ancora più difficile perché ho dovuto affrontare il viaggio completamente da solo, un lungo viaggio”, precisa il giovane Suly. Inizialmente tutta la famiglia aveva deciso di lasciare il Mali ma poi sono stati separati. Quando è arrivato in Italia, precisamente in Sicilia, si sentiva spaventato e disorientato, perché non conosceva nessuno. La sua difficoltà più grande è stata non riuscire a comunicare in italiano, motivo per cui si è impegnato moltissimo fin da subito per imparare la lingua. “Ho vissuto un breve periodo in Sicilia a Messina dove ho studiato la terza media poi i primi due anni di scuola superiore di secondo grado”, racconta soddisfatto. Da novembre 2019 vive a Gubbio. “Mi trovo benissimo a Gubbio non ho avuto nessuna difficoltà che avevo già avuto, a parte una”, dice. Appena arrivato a Gubbio infatti ha affrontato una delle grandi difficoltà dei migranti: trovare una casa. “Nonostante avessi un lavoro stabile e i documenti in regola non riuscivo a trovare una casa in affitto”, racconta. Poi la svolta, il suo hobby gli ha permesso di familiarizzare con un allenatore di calcio che gli ha fatto conoscere il direttore della Caritas di Gubbio Luca Uccellani , e con una collaborazione genuina sono riusciti ad aiutare il giovane. Attualmente Suly lavora in una azienda che ricicla la plastica, assunto da tre anni con un regolare contratto di lavoro. Inoltre ha superato l’esame della patente e possiede la sua automobile che gli permette di spostarsi liberamente. “Il tuo sogno per il futuro?”, chiede Fatima. “Io sognavo”, risponde Suly con un sospiro. È felice e piano piano sta cercando di ricominciare a darsi il privilegio di sognare un futuro migliore. La resilienza di Suly nel ricostruire la sua vita a Gubbio è una vera ispirazione.

Abibou: dal Senegal a Gubbio per una nuova vita

In un’altra parte del continente africano anche Abibou ha intrapreso un lungo viaggio per arrivare a Gubbio. Nato in Senegal, Abibou, ha lasciato il suo paese quando ancora era minorenne. “Avevo solo 17 anni e ho fatto il viaggio da solo”, ci racconta. Ha attraversato il Mali, l’Algeria, la Tunisia e poi finalmente l’Italia. “Il viaggio è stato difficile e tragico perché...”, si ferma. E poi prosegue, con un nodo alla gola: “Molte sofferenze e torture”. Oggi è ospite presso lo Sprar-Sai di Gubbio, in cui ha conosciuto Anna Barbi, una operatrice e insegnante di lingua italiana presso il centro. Abibou racconta la sua gratitudine per questo paese ma soprattutto per le persone che in così poco tempo gli hanno donato molto. “Il tuo sogno?”, chiede ancora Fatima. E Abibou risponde: “Nel mio paese non avevo la possibilità di andare a scuola, qui sì, motivo per cui io voglio proseguire gli studi e realizzare i miei sogni”.

Apertura e disponibilità

Le storie personali di Suly e Abibou sono il riflesso di migliaia di migranti che cercano una vita migliore in Italia. La comunità di Gubbio ha saputo accogliere e integrare questi giovani, dimostrando che l’inclusione e la solidarietà sono possibili. Dall’altra parte, come ha spiegato il professor Rolando Marini: “Per poter essere inclusi in una nuova comunità, è essenziale anche l’apertura da parte dei migranti stessi”. I due giovani Suly e Abibou hanno dimostrato una grande volontà di adattarsi e contribuire alla società che li ha accolti, mostrando che l’inclusione è una strada a doppio senso, fatta di reciproco impegno. La disponibilità a integrarsi, imparare la lingua, e rispettare le tradizioni locali sono elementi fondamentali per il successo del processo di inclusione. Mentre il dibattito sulle politiche migratorie continua, le realtà di Gubbio ci fanno riflettere e ci dimostrano che dietro i numeri e le statistiche ci sono persone reali con sogni, speranze e un desiderio profondo di ricostruire un futuro migliore. Janeth Guaillas]]>

All’incontro di Gubbio di Voci dal mondo, i giovani Fatima e Alonso hanno intervistato Suly e Abibou, due migranti che, con una determinazione indomita e molto coraggio, sono riusciti a rifarsi una vita nel territorio eugubino.

Suly: via dal Mali con la famiglia, e poi da solo

Il primo ad aprire l’incontro pubblico è stato Mohamed-Sulymane-Samack , “tutti mi chiamano Suly diminutivo di Sulymane” ha sottolineato. Ha ventitrè anni ed è nato in Mali. Il suo viaggio da migrante inizia all’età di dodici anni quando decide insieme alla sua famiglia di lasciare il luogo che fino a quel momento aveva chiamato casa. Emozionato ha raccontato che i suoi ricordi del Mali sono pochi ma che li conserva ancora con amore. Ricorda che era molto piccolo quando è uscito dal suo villaggio. Continua raccontando il suo lungo viaggio che poi l’ha portato in Italia. “Sono andato via perché vivevo in una condizione molto complicata”, continua, “poi è stato ancora più difficile perché ho dovuto affrontare il viaggio completamente da solo, un lungo viaggio”, precisa il giovane Suly. Inizialmente tutta la famiglia aveva deciso di lasciare il Mali ma poi sono stati separati. Quando è arrivato in Italia, precisamente in Sicilia, si sentiva spaventato e disorientato, perché non conosceva nessuno. La sua difficoltà più grande è stata non riuscire a comunicare in italiano, motivo per cui si è impegnato moltissimo fin da subito per imparare la lingua. “Ho vissuto un breve periodo in Sicilia a Messina dove ho studiato la terza media poi i primi due anni di scuola superiore di secondo grado”, racconta soddisfatto. Da novembre 2019 vive a Gubbio. “Mi trovo benissimo a Gubbio non ho avuto nessuna difficoltà che avevo già avuto, a parte una”, dice. Appena arrivato a Gubbio infatti ha affrontato una delle grandi difficoltà dei migranti: trovare una casa. “Nonostante avessi un lavoro stabile e i documenti in regola non riuscivo a trovare una casa in affitto”, racconta. Poi la svolta, il suo hobby gli ha permesso di familiarizzare con un allenatore di calcio che gli ha fatto conoscere il direttore della Caritas di Gubbio Luca Uccellani , e con una collaborazione genuina sono riusciti ad aiutare il giovane. Attualmente Suly lavora in una azienda che ricicla la plastica, assunto da tre anni con un regolare contratto di lavoro. Inoltre ha superato l’esame della patente e possiede la sua automobile che gli permette di spostarsi liberamente. “Il tuo sogno per il futuro?”, chiede Fatima. “Io sognavo”, risponde Suly con un sospiro. È felice e piano piano sta cercando di ricominciare a darsi il privilegio di sognare un futuro migliore. La resilienza di Suly nel ricostruire la sua vita a Gubbio è una vera ispirazione.

Abibou: dal Senegal a Gubbio per una nuova vita

In un’altra parte del continente africano anche Abibou ha intrapreso un lungo viaggio per arrivare a Gubbio. Nato in Senegal, Abibou, ha lasciato il suo paese quando ancora era minorenne. “Avevo solo 17 anni e ho fatto il viaggio da solo”, ci racconta. Ha attraversato il Mali, l’Algeria, la Tunisia e poi finalmente l’Italia. “Il viaggio è stato difficile e tragico perché...”, si ferma. E poi prosegue, con un nodo alla gola: “Molte sofferenze e torture”. Oggi è ospite presso lo Sprar-Sai di Gubbio, in cui ha conosciuto Anna Barbi, una operatrice e insegnante di lingua italiana presso il centro. Abibou racconta la sua gratitudine per questo paese ma soprattutto per le persone che in così poco tempo gli hanno donato molto. “Il tuo sogno?”, chiede ancora Fatima. E Abibou risponde: “Nel mio paese non avevo la possibilità di andare a scuola, qui sì, motivo per cui io voglio proseguire gli studi e realizzare i miei sogni”.

Apertura e disponibilità

Le storie personali di Suly e Abibou sono il riflesso di migliaia di migranti che cercano una vita migliore in Italia. La comunità di Gubbio ha saputo accogliere e integrare questi giovani, dimostrando che l’inclusione e la solidarietà sono possibili. Dall’altra parte, come ha spiegato il professor Rolando Marini: “Per poter essere inclusi in una nuova comunità, è essenziale anche l’apertura da parte dei migranti stessi”. I due giovani Suly e Abibou hanno dimostrato una grande volontà di adattarsi e contribuire alla società che li ha accolti, mostrando che l’inclusione è una strada a doppio senso, fatta di reciproco impegno. La disponibilità a integrarsi, imparare la lingua, e rispettare le tradizioni locali sono elementi fondamentali per il successo del processo di inclusione. Mentre il dibattito sulle politiche migratorie continua, le realtà di Gubbio ci fanno riflettere e ci dimostrano che dietro i numeri e le statistiche ci sono persone reali con sogni, speranze e un desiderio profondo di ricostruire un futuro migliore. Janeth Guaillas]]>
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Ouns racconta il “dietro le quinte” dei giovani del team di “Voci dal mondo”, tra impegno ed emozioni https://www.lavoce.it/ouns-racconta-il-dietro-le-quinte-dei-giovani-del-team-di-voci-dal-mondo-tra-impegno-ed-emozioni/ https://www.lavoce.it/ouns-racconta-il-dietro-le-quinte-dei-giovani-del-team-di-voci-dal-mondo-tra-impegno-ed-emozioni/#respond Fri, 20 Sep 2024 15:01:45 +0000 https://www.lavoce.it/?p=77713

Siamo il team di “Voci dal Mondo”, un progetto che si propone di sfatare stereotipi e fake news sui fenomeni migratori. L’atmosfera durante la preparazione degli incontri sul territorio (Terni e Gubbio, e poi Spoleto e Perugia) è viva e carica di attesa, come quella di una redazione giornalistica. Alla prima riunione, quella in cui si è formato il nostro team, hanno partecipato i membri del settimanale La Voce e della ong Tamat insieme a sedici giovani migranti figli di famiglie straniere residenti in Umbria. Ha segnato l’inizio di un lavoro collaborativo e appassionato: assegnare compiti e responsabilità non era solo una questione logistica, ma un momento di coesione.

Il team: compiti diversi, unico obiettivo

Ci siamo divisi i compiti con entusiasmo. Alcuni si sono dedicati a contattare ospiti e relatori, altri a definire il luogo adatto che potesse accogliere un nutrito pubblico in un ambiente intimo e accogliente, perfetto per una giornata di storie e testimonianze. Altri invece si sono occupati di definire il format degli incontri pubblici, una serie di eventi che ha avuto il suo debutto a Terni il 6 luglio, e che promettono di espandersi a Spoleto e Perugia nei prossimi mesi (più precisamente a settembre e ottobre). Un aspetto importante della preparazione è la raccolta di testimonianze. In questo progetto, come team ci siamo prefigurati l’obiettivo di non mostrare soltanto la forza d’animo dei migranti, le cui esperienze sono un viaggio di resistenza e speranza, ma anche il potere dell’accoglienza della comunità. L’Umbria infatti con la sua lunga tradizione di ospitalità e solidarietà si è dimostrata un faro di speranza per molti di loro. Ogni racconto e testimonianza ha suscitato in noi emozioni distinte ricordando l’importanza di comprendere che dietro ogni cifra e statistica si cela una vita, un sogno in attesa di emergere, riconoscendo così la nostra umanità condivisa; ed è questo il cuore della nostra iniziativa.

Il giorno degli incontri

Il giorno dell’evento, l’atmosfera è ricca di emozioni. Certo, i timori ci sono, ma domina una profonda gratitudine e un forte senso di responsabilità. Alcuni tra noi del team si sono sentiti come reporter in prima linea, pronti con la loro attrezzatura, mentre altri provavano il nervosismo di trovarsi in scena come moderatori. Al di là della tensione presente, ciò che ci unificava era una profonda consapevolezza del nostro scopo e l’idea di contribuire a un progetto più ampio. Ciò che continua a risuonare nella nostra mente è l’accoglienza calorosa del pubblico, la curiosità di chi ascolta e il sottile gioco di emozioni che si crea durante le condivisioni.

Migrazioni: un racconto di persone e destini

Le storie raccontate ci hanno aperto gli occhi su realtà che spesso restano invisibili, facendo del tema della migrazione un racconto di persone e destini, piuttosto che in dati statistici. Nel retroscena, è emersa l’energia di una comunità solidale, animata da un intento comune. Quella giornata non ha rappresentato solo la fine di un evento, ma ha dato vita a un percorso comune verso un’accoglienza più consapevole e informata. All’interno di questo clima di collaborazione, Voci dal Mondo si distingue come una iniziativa significativa volta a dare voce e visibilità alle storie di chi cerca una nuova sistemazione. Ouns Mornagui]]>

Siamo il team di “Voci dal Mondo”, un progetto che si propone di sfatare stereotipi e fake news sui fenomeni migratori. L’atmosfera durante la preparazione degli incontri sul territorio (Terni e Gubbio, e poi Spoleto e Perugia) è viva e carica di attesa, come quella di una redazione giornalistica. Alla prima riunione, quella in cui si è formato il nostro team, hanno partecipato i membri del settimanale La Voce e della ong Tamat insieme a sedici giovani migranti figli di famiglie straniere residenti in Umbria. Ha segnato l’inizio di un lavoro collaborativo e appassionato: assegnare compiti e responsabilità non era solo una questione logistica, ma un momento di coesione.

Il team: compiti diversi, unico obiettivo

Ci siamo divisi i compiti con entusiasmo. Alcuni si sono dedicati a contattare ospiti e relatori, altri a definire il luogo adatto che potesse accogliere un nutrito pubblico in un ambiente intimo e accogliente, perfetto per una giornata di storie e testimonianze. Altri invece si sono occupati di definire il format degli incontri pubblici, una serie di eventi che ha avuto il suo debutto a Terni il 6 luglio, e che promettono di espandersi a Spoleto e Perugia nei prossimi mesi (più precisamente a settembre e ottobre). Un aspetto importante della preparazione è la raccolta di testimonianze. In questo progetto, come team ci siamo prefigurati l’obiettivo di non mostrare soltanto la forza d’animo dei migranti, le cui esperienze sono un viaggio di resistenza e speranza, ma anche il potere dell’accoglienza della comunità. L’Umbria infatti con la sua lunga tradizione di ospitalità e solidarietà si è dimostrata un faro di speranza per molti di loro. Ogni racconto e testimonianza ha suscitato in noi emozioni distinte ricordando l’importanza di comprendere che dietro ogni cifra e statistica si cela una vita, un sogno in attesa di emergere, riconoscendo così la nostra umanità condivisa; ed è questo il cuore della nostra iniziativa.

Il giorno degli incontri

Il giorno dell’evento, l’atmosfera è ricca di emozioni. Certo, i timori ci sono, ma domina una profonda gratitudine e un forte senso di responsabilità. Alcuni tra noi del team si sono sentiti come reporter in prima linea, pronti con la loro attrezzatura, mentre altri provavano il nervosismo di trovarsi in scena come moderatori. Al di là della tensione presente, ciò che ci unificava era una profonda consapevolezza del nostro scopo e l’idea di contribuire a un progetto più ampio. Ciò che continua a risuonare nella nostra mente è l’accoglienza calorosa del pubblico, la curiosità di chi ascolta e il sottile gioco di emozioni che si crea durante le condivisioni.

Migrazioni: un racconto di persone e destini

Le storie raccontate ci hanno aperto gli occhi su realtà che spesso restano invisibili, facendo del tema della migrazione un racconto di persone e destini, piuttosto che in dati statistici. Nel retroscena, è emersa l’energia di una comunità solidale, animata da un intento comune. Quella giornata non ha rappresentato solo la fine di un evento, ma ha dato vita a un percorso comune verso un’accoglienza più consapevole e informata. All’interno di questo clima di collaborazione, Voci dal Mondo si distingue come una iniziativa significativa volta a dare voce e visibilità alle storie di chi cerca una nuova sistemazione. Ouns Mornagui]]>
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Giornata rifugiati. Save the children: “Europa a due livelli, accoglie gli ucraini e respinge gli altri”
 https://www.lavoce.it/giornata-rifugiati-save-the-children-europa-a-due-livelli-accoglie-gli-ucraini-e-respinge-gli-altri%e2%80%a8/ Sun, 19 Jun 2022 13:29:30 +0000 https://www.lavoce.it/?p=67301 Rifugiati. La testimonianza di Fatma raccolta da Save the children

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno Save the children ha presentato il secondo rapporto “Nascosti in piena vista” (qui trovi il testo integrale) per documentare storie di minori soli e di famiglie in arrivo o in transito alla frontiera nord, a Trieste, Ventimiglia e Oulx. Nel Rapporto denuncia le disparità di trattamento e chiede la fine delle violenze lungo le frontiere. Con un appello alla Commissione europea.

Le storie dei rifugiati minorenni

Anastasya ha 14 anni ed è fuggita dalla guerra in Ucraina con la mamma e la sorella di 11 anni. Appena arrivata a Trieste, al valico Fernetti, per lei si sono aperte tutte le porte della solidarietà e dell'accoglienza. Ora ha la possibilità di girare liberamente in Europa grazie alla protezione temporanea concessa agli ucraini. Anche Ghulam ha 14 anni ma è afghano. Fugge da una situazione altrettanto dura e difficile ma alla stessa frontiera è arrivato dopo una camminata di 260 km durata 8 giorni, dal confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia, dopo un viaggio pericoloso lunghi mesi. È stato trovato dai militari italiani nella parte slovena del bosco carsico e condotto nei centri di accoglienza. Per lui il percorso per ottenere una protezione umanitaria sarà molto più lungo e tortuoso. Se vorrà muoversi per l'Europa per raggiungere familiari o amici rischierà di trovarsi di nuovo in una situazione di irregolarità e invisibilità.

I minori rifugiati non sono tutti uguali

La disparità di trattamento nei confronti dei minori migranti viene evidenziata nel nuovo report pubblicato oggi da Save the children, intitolato Nascosti in piena vista, che documenta le storie di minori soli o di famiglie in arrivo o in transito alla frontiera nord, a Trieste, Ventimiglia e Oulx. (Guarda il video di presentazione curato da Save the Children)

Il Rapporto di Save the children

Il Rapporto punta il dito contro le violenze e violazioni dei diritti umani cui sono sottoposti tanti minorenni alle frontiere, mostrando una Europa a due volti: uno buono e solidale nei confronti dei profughi ucraini, uno respingente nei confronti degli altri. “In uno scenario mondiale profondamente mutato, l’Europa e i suoi Paesi hanno dimostrato di saper spalancare braccia e porte alla popolazione in fuga dalla guerra in Ucraina, ma al contempo si sono dimostrati brutali e disposti a usare forza ingiustificata contro gente inerme, 'colpevole' di non avere documenti validi per l’ingresso, ma bisognosa allo stesso modo di un posto sicuro”, denuncia Save the children.

35 minorenni respinti alle frontiere Ue nei primi 3 mesi del 2022.

Nei primi 3 mesi del 2022 sono stati respinti alle frontiere esterne dell'Ue almeno 35 minorenni stranieri non accompagnati, che rappresentano solo la punta di un iceberg sommerso. Basti pensare che nel solo mese di aprile sono stati segnalati 38 minori non accompagnati  in transito a Trieste, 24 in transito a Ventimiglia e 35 a Oulx.
 Un flusso in costante aumento con la bella stagione: a maggio sono diventati 60 a Trieste, a Ventimiglia 47, a Oulx addirittura 150. Si tratta in maggioranza di ragazzi afghani,
che arrivavano sia dalla cosiddetta “rotta balcanica”, sia dal Mar Mediterraneo. Alcuni subiscono violenze fisiche, umiliazioni e pestaggi dalle forze dell'ordine alla frontiera. Ad altri tocca una sorte peggiore, come un minorenne africano senza nome annegato in un fiume al confine con la Croazia. La frontiera tra Italia e Francia continua ad essere uno dei posti peggiori per un migrante: tra le associazioni presenti che cercano di aiutarli a soddisfare almeno i bisogni primari (pasti e vestiti), ci sono Caritas Intemelia, Diaconia Valdese, WeWorld  e Save the children.

Italia - Francia: la frontiera più dura per i migranti

In alcuni giorni i respingimenti dalla Francia riguardano parecchie decine di persone, a volte anche più di 100. Solo il 6 maggio il team di ricerca ha visto almeno 30 persone tornare a piedi dal posto di confine di Ponte San Luigi, respinte in modo sommario. Non potendo entrare per vie ufficiali i migranti approdano così nelle mani dei trafficanti, che consigliano i treni meno controllati, organizzano il tragitto a piedi lungo il Passo della Morte, con i taxi nelle stradine di montagna o nascosti nei camion. Spesso si verificano incidenti tragici, come i due cingalesi investiti da un camion ad aprile o le due persone rimaste folgorate sul tetto del treno da Ventimiglia a Mentone a gennaio e a marzo. A Mentone viene ancora segnalata la pratica della polizia di modificare la data di nascita per far risultare la persona maggiorenne e respingerla con il refus d'entrée. A Oulx, in Piemonte, nel mese di maggio sono state riportate indietro dalla Francia 530 persone, quasi 17 al giorno, cifre in continuo aumento.

Più di 14mila minori nel sistema di accoglienza italiano

Ad aprile 2022 risultano 14.025 minori stranieri non accompagnati nel sistema di accoglienza italiano, secondo i dati Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di cui il 16,3% sono bambine e ragazze, quasi il 70% hanno tra i 16 e i 17 anni e oltre il 22% sono sotto i 14 anni. Per quanto riguarda le nazionalità,

la novità di quest’anno è rappresentata dagli ucraini al primo posto (3.906, pari al 27,9%, la cui quasi totalità è ospitata presso parenti o famiglie affidatarie), poi ci sono gli egiziani con il 16,6% e a seguire bengalesi, albanesi, tunisini, pakistani, ivoriani.

 Gli afghani sono 306 pari al 2,6%, a testimonianza della loro volontà di raggiungere altri Paesi in Europa. Ad aprile sono entrati nel territorio italiano 1.897 minori soli - di cui solo 272 con gli sbarchi alla frontiera sud e i restanti 1.625 entrati evidentemente dalla frontiera terrestre – in maggioranza ucraini (1.332, pari al 70,2%), egiziani (169, pari all’8,9%), afghani (71, pari al 3,7%). Le regioni che ne accolgono di più sono Lombardia (19,6%), Sicilia (18%) ed Emilia-Romagna (8,8%).

Appello all'Ue, "proteggere tutti i minori".

Save the children chiede perciò alla Commissione europea "l’adozione di una Raccomandazione agli Stati Membri per l’adozione e l’implementazione di politiche volte ad assicurare la piena protezione dei minori non accompagnati ai confini esterni ed interni dell’Europa e sui territori degli Stati membri". Chiede inoltre ai governi europei "di astenersi dall’utilizzo di pratiche che erroneamente distinguono fra categorie di rifugiati - afferma Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the children -, rispettando il diritto internazionale e il principio del non respingimento, consentendo l'accesso a tutti i richiedenti asilo, e di
estendere le buone pratiche istituite per i rifugiati ucraini a tutti i richiedenti asilo,
introducendole anche nelle discussioni sull’approvazione o revisione dei provvedimenti del Patto sull’Asilo e la Migrazione. Infine, riteniamo fondamentale l’adozione di sistemi di monitoraggio delle frontiere, che permettano anche di perseguire i casi di violazione dei diritti umani”. Patrizia Caiffa]]>
Rifugiati. La testimonianza di Fatma raccolta da Save the children

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra il 20 giugno Save the children ha presentato il secondo rapporto “Nascosti in piena vista” (qui trovi il testo integrale) per documentare storie di minori soli e di famiglie in arrivo o in transito alla frontiera nord, a Trieste, Ventimiglia e Oulx. Nel Rapporto denuncia le disparità di trattamento e chiede la fine delle violenze lungo le frontiere. Con un appello alla Commissione europea.

Le storie dei rifugiati minorenni

Anastasya ha 14 anni ed è fuggita dalla guerra in Ucraina con la mamma e la sorella di 11 anni. Appena arrivata a Trieste, al valico Fernetti, per lei si sono aperte tutte le porte della solidarietà e dell'accoglienza. Ora ha la possibilità di girare liberamente in Europa grazie alla protezione temporanea concessa agli ucraini. Anche Ghulam ha 14 anni ma è afghano. Fugge da una situazione altrettanto dura e difficile ma alla stessa frontiera è arrivato dopo una camminata di 260 km durata 8 giorni, dal confine tra Bosnia Erzegovina e Croazia, dopo un viaggio pericoloso lunghi mesi. È stato trovato dai militari italiani nella parte slovena del bosco carsico e condotto nei centri di accoglienza. Per lui il percorso per ottenere una protezione umanitaria sarà molto più lungo e tortuoso. Se vorrà muoversi per l'Europa per raggiungere familiari o amici rischierà di trovarsi di nuovo in una situazione di irregolarità e invisibilità.

I minori rifugiati non sono tutti uguali

La disparità di trattamento nei confronti dei minori migranti viene evidenziata nel nuovo report pubblicato oggi da Save the children, intitolato Nascosti in piena vista, che documenta le storie di minori soli o di famiglie in arrivo o in transito alla frontiera nord, a Trieste, Ventimiglia e Oulx. (Guarda il video di presentazione curato da Save the Children)

Il Rapporto di Save the children

Il Rapporto punta il dito contro le violenze e violazioni dei diritti umani cui sono sottoposti tanti minorenni alle frontiere, mostrando una Europa a due volti: uno buono e solidale nei confronti dei profughi ucraini, uno respingente nei confronti degli altri. “In uno scenario mondiale profondamente mutato, l’Europa e i suoi Paesi hanno dimostrato di saper spalancare braccia e porte alla popolazione in fuga dalla guerra in Ucraina, ma al contempo si sono dimostrati brutali e disposti a usare forza ingiustificata contro gente inerme, 'colpevole' di non avere documenti validi per l’ingresso, ma bisognosa allo stesso modo di un posto sicuro”, denuncia Save the children.

35 minorenni respinti alle frontiere Ue nei primi 3 mesi del 2022.

Nei primi 3 mesi del 2022 sono stati respinti alle frontiere esterne dell'Ue almeno 35 minorenni stranieri non accompagnati, che rappresentano solo la punta di un iceberg sommerso. Basti pensare che nel solo mese di aprile sono stati segnalati 38 minori non accompagnati  in transito a Trieste, 24 in transito a Ventimiglia e 35 a Oulx.
 Un flusso in costante aumento con la bella stagione: a maggio sono diventati 60 a Trieste, a Ventimiglia 47, a Oulx addirittura 150. Si tratta in maggioranza di ragazzi afghani,
che arrivavano sia dalla cosiddetta “rotta balcanica”, sia dal Mar Mediterraneo. Alcuni subiscono violenze fisiche, umiliazioni e pestaggi dalle forze dell'ordine alla frontiera. Ad altri tocca una sorte peggiore, come un minorenne africano senza nome annegato in un fiume al confine con la Croazia. La frontiera tra Italia e Francia continua ad essere uno dei posti peggiori per un migrante: tra le associazioni presenti che cercano di aiutarli a soddisfare almeno i bisogni primari (pasti e vestiti), ci sono Caritas Intemelia, Diaconia Valdese, WeWorld  e Save the children.

Italia - Francia: la frontiera più dura per i migranti

In alcuni giorni i respingimenti dalla Francia riguardano parecchie decine di persone, a volte anche più di 100. Solo il 6 maggio il team di ricerca ha visto almeno 30 persone tornare a piedi dal posto di confine di Ponte San Luigi, respinte in modo sommario. Non potendo entrare per vie ufficiali i migranti approdano così nelle mani dei trafficanti, che consigliano i treni meno controllati, organizzano il tragitto a piedi lungo il Passo della Morte, con i taxi nelle stradine di montagna o nascosti nei camion. Spesso si verificano incidenti tragici, come i due cingalesi investiti da un camion ad aprile o le due persone rimaste folgorate sul tetto del treno da Ventimiglia a Mentone a gennaio e a marzo. A Mentone viene ancora segnalata la pratica della polizia di modificare la data di nascita per far risultare la persona maggiorenne e respingerla con il refus d'entrée. A Oulx, in Piemonte, nel mese di maggio sono state riportate indietro dalla Francia 530 persone, quasi 17 al giorno, cifre in continuo aumento.

Più di 14mila minori nel sistema di accoglienza italiano

Ad aprile 2022 risultano 14.025 minori stranieri non accompagnati nel sistema di accoglienza italiano, secondo i dati Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, di cui il 16,3% sono bambine e ragazze, quasi il 70% hanno tra i 16 e i 17 anni e oltre il 22% sono sotto i 14 anni. Per quanto riguarda le nazionalità,

la novità di quest’anno è rappresentata dagli ucraini al primo posto (3.906, pari al 27,9%, la cui quasi totalità è ospitata presso parenti o famiglie affidatarie), poi ci sono gli egiziani con il 16,6% e a seguire bengalesi, albanesi, tunisini, pakistani, ivoriani.

 Gli afghani sono 306 pari al 2,6%, a testimonianza della loro volontà di raggiungere altri Paesi in Europa. Ad aprile sono entrati nel territorio italiano 1.897 minori soli - di cui solo 272 con gli sbarchi alla frontiera sud e i restanti 1.625 entrati evidentemente dalla frontiera terrestre – in maggioranza ucraini (1.332, pari al 70,2%), egiziani (169, pari all’8,9%), afghani (71, pari al 3,7%). Le regioni che ne accolgono di più sono Lombardia (19,6%), Sicilia (18%) ed Emilia-Romagna (8,8%).

Appello all'Ue, "proteggere tutti i minori".

Save the children chiede perciò alla Commissione europea "l’adozione di una Raccomandazione agli Stati Membri per l’adozione e l’implementazione di politiche volte ad assicurare la piena protezione dei minori non accompagnati ai confini esterni ed interni dell’Europa e sui territori degli Stati membri". Chiede inoltre ai governi europei "di astenersi dall’utilizzo di pratiche che erroneamente distinguono fra categorie di rifugiati - afferma Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the children -, rispettando il diritto internazionale e il principio del non respingimento, consentendo l'accesso a tutti i richiedenti asilo, e di
estendere le buone pratiche istituite per i rifugiati ucraini a tutti i richiedenti asilo,
introducendole anche nelle discussioni sull’approvazione o revisione dei provvedimenti del Patto sull’Asilo e la Migrazione. Infine, riteniamo fondamentale l’adozione di sistemi di monitoraggio delle frontiere, che permettano anche di perseguire i casi di violazione dei diritti umani”. Patrizia Caiffa]]>
Assisi. Il racconto del rifugiato eritreo Abrhaley https://www.lavoce.it/assisi-eritreo-abrhaley/ Sun, 14 Jul 2019 12:24:51 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54869 Abrhaley

È stato accolto dalla Caritas diocesana di Assisi a giugno dello scorso anno, il rifugiato eritreo Abrhaley Tesfagergs Habte che con la sua testimonianza ha toccato il cuore dei presenti al convegno “Corridoi umanitari per un’Europa solidale” tenutosi lunedì 1° luglio a Montecitorio.

Il convegno ha riunito le istituzioni, i rifugiati e i promotori degli stessi corridoi umanitari, che finora hanno portato in salvo oltre 2.600 rifugiati vulnerabili.

Accompagnato dalla vice direttrice della Caritas, Rossana Galiandro, Abrhaley è uno dei 24 rifugiati eritrei giunti nella città serafica grazie ai corridoi umanitari. Tra loro anche un giovane che a gennaio di quest’anno ha potuto ricongiungersi alla moglie; la coppia vive ora in vescovado in un appartamento vicino alla sala della Spogliazione.

“Sono consapevole - ha detto Abrhaley che la mia presenza di fronte a voi oggi è quella di un uomo debole. Prima, gli uomini e le donne potenti. L’immagine che vedo nella mia mente è quella di un uomo insignificante presentata alla vista dei grandi”. L’uomo, che ha 29 anni e che all’età di 5 anni nel suo Paese ha perso la vista a causa dell’esplosione di una mina, ha due lauree conseguite in Africa e attualmente è iscritto al corso di Lingua e cultura italiana all’Università per Stranieri di Perugia.

Durante il suo intervento ha ripercorso brevemente la sua vita, spiegando di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese perché era diventato pericoloso vivere lì a causa della sua fede cristiana pentecostale. “Il regime eritreo – ha spiegato – ha vietato tale fede, perseguitando i pentecostali”.

Dopo alcune settimane in Sudan ha raggiunto l’Etiopia. “Qui ho cercato di avere una vita indipendente e produttiva, ma nonostante ciò sono stato costretto a entrare in uno dei tanti campi profughi del Paese. È stato uno dei periodi più difficili della mia vita. Ho trovato il campo profughi come un luogo di disperazione”.

Infine ha spiegato che grazie ai corridoi umanitari la sua esistenza ha avuto un nuovo inizio. “Ora ho un livello di sicurezza fisica che non avevo mai avuto prima. Ho più pace e più riposo, ma non significa che non ho sfide. Ho deciso infatti di sfruttare al meglio le opportunità disponibili, di utilizzare al massimo le mie risorse, di camminare nella fede, di esercitare l’amore e di continuare a sperare per il meglio. Questo mi impegnerò a fare fino alla fine”.

Antonella Porzi

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Abrhaley

È stato accolto dalla Caritas diocesana di Assisi a giugno dello scorso anno, il rifugiato eritreo Abrhaley Tesfagergs Habte che con la sua testimonianza ha toccato il cuore dei presenti al convegno “Corridoi umanitari per un’Europa solidale” tenutosi lunedì 1° luglio a Montecitorio.

Il convegno ha riunito le istituzioni, i rifugiati e i promotori degli stessi corridoi umanitari, che finora hanno portato in salvo oltre 2.600 rifugiati vulnerabili.

Accompagnato dalla vice direttrice della Caritas, Rossana Galiandro, Abrhaley è uno dei 24 rifugiati eritrei giunti nella città serafica grazie ai corridoi umanitari. Tra loro anche un giovane che a gennaio di quest’anno ha potuto ricongiungersi alla moglie; la coppia vive ora in vescovado in un appartamento vicino alla sala della Spogliazione.

“Sono consapevole - ha detto Abrhaley che la mia presenza di fronte a voi oggi è quella di un uomo debole. Prima, gli uomini e le donne potenti. L’immagine che vedo nella mia mente è quella di un uomo insignificante presentata alla vista dei grandi”. L’uomo, che ha 29 anni e che all’età di 5 anni nel suo Paese ha perso la vista a causa dell’esplosione di una mina, ha due lauree conseguite in Africa e attualmente è iscritto al corso di Lingua e cultura italiana all’Università per Stranieri di Perugia.

Durante il suo intervento ha ripercorso brevemente la sua vita, spiegando di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese perché era diventato pericoloso vivere lì a causa della sua fede cristiana pentecostale. “Il regime eritreo – ha spiegato – ha vietato tale fede, perseguitando i pentecostali”.

Dopo alcune settimane in Sudan ha raggiunto l’Etiopia. “Qui ho cercato di avere una vita indipendente e produttiva, ma nonostante ciò sono stato costretto a entrare in uno dei tanti campi profughi del Paese. È stato uno dei periodi più difficili della mia vita. Ho trovato il campo profughi come un luogo di disperazione”.

Infine ha spiegato che grazie ai corridoi umanitari la sua esistenza ha avuto un nuovo inizio. “Ora ho un livello di sicurezza fisica che non avevo mai avuto prima. Ho più pace e più riposo, ma non significa che non ho sfide. Ho deciso infatti di sfruttare al meglio le opportunità disponibili, di utilizzare al massimo le mie risorse, di camminare nella fede, di esercitare l’amore e di continuare a sperare per il meglio. Questo mi impegnerò a fare fino alla fine”.

Antonella Porzi

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Giornata del rifugiato. Oltre 70 milioni di persone in fuga, la metà sono bambini https://www.lavoce.it/rifugiati-70-milioni-bambini/ Thu, 20 Jun 2019 12:05:49 +0000 https://www.lavoce.it/?p=54743 rifugiati

È di nuovo record di persone in fuga nel mondo: sono state 70,8 milioni nel 2018, con un aumento di 2,3 milioni di persone rispetto all’anno precedente, il dato più alto degli ultimi 70 anni, pressoché raddoppiato rispetto a vent’anni fa.

Da dove vengono

Di questi 25,9 milioni hanno lo status di rifugiati (500.000 in più del 2017), 41,3 milioni sono sfollati interni ai Paesi (soprattutto in Colombia e Siria), 3,5 milioni sono richiedenti asilo. L’80% delle persone in fuga vive in Paesi confinanti con i propri Paesi di origine, quindi prevalentemente nei Paesi a medio o basso reddito. E non nel primo mondo come si pensa. Per il quinto anno consecutivo è infatti la Turchia, con 3,7 milioni di persone ad accogliere il numero più elevato di rifugiati nel mondo, seguita dal Pakistan (1,4 milioni), dall’Uganda (1,2 milioni), dal Sudan (1,1 milione) e dalla Germania con 1 milione. Complessivamente il 60% di tutti i rifugiati provengono da soli 5 Paesi: Siria (6,7 milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud Sudan (2,3 milioni), Myanmar (1, 1 milione), Somalia (0,9 milioni). I nuovi sfollati nel 2018 sono stati 13,6 milioni, tra i quali oltre 10 milioni di sfollati all’interno del proprio Paese e 2,8 milioni nuovi rifugiati e richiedenti asilo. Il numero più elevato di domande d’asilo è stato presentato dai venezuelani: 341.800 a fronte di circa 4 milioni di persone che hanno lasciato il loro Paese a causa della grave crisi politica e umanitaria. Sono le principali cifre dei Global trends 2018, le tendenze globali delle migrazioni, presentate oggi a Roma dall’Alto commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra domani, 20 giugno, in tutto il mondo.
37.000 persone al giorno sono dunque costrette a fuggire dalle proprie case: il 16% dei rifugiati sono stati accolti in Paesi sviluppati ma un terzo della popolazione (6,7 milioni) si trovava nei Paesi meno sviluppati. Nel 2018 però anche 2,9 milioni di persone hanno fatto ritorno alla loro casa, anche se i reinsediamenti nei paesi terzi sono stati solamente 92.400. Tra i nuovi richiedenti asilo il numero più elevato è rappresentato dai venezuelani: 341.800. I paesi ad alto reddito accolgono solo 2,7 rifugiati ogni 1000 abitanti. I Paesi a reddito medio e medio basso accolgono 5,8 rifugiati ogni 1000 abitanti. I paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale. Tra i rifugiati 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione.

La metà sono bambini

La metà dei rifugiati sono minori, una percentuale in aumento rispetto al 41% del 2009. Di questi 138.600 sono minori soli, separati dalle famiglie e non accompagnati, che hanno presentato domanda di asilo individualmente.
Tra i 25,9 milioni di rifugiati su scala mondiale, almeno 5,5 milioni sono palestinesi che ricadono sotto il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations relief and works agency/Unrwa). “La crescita complessiva del numero di persone costrette alla fuga è continuata a una rapidità maggiore di quella con cui si trovano soluzioni in loro favore – ha spiegato Carlotta Sami, portavoce di Unhcr Italia -. La soluzione migliore è rappresentata dalla possibilità di fare ritorno nel proprio Paese volontariamente, in condizioni sicure e dignitose. Altre soluzioni prevedono l’integrazione nella comunità di accoglienza o il reinsediamento in un Paese terzo”. Tuttavia, nel 2018 solo 92.400 rifugiati sono stati reinsediati, meno del 7% di quanti sono in attesa. Circa 593.800 rifugiati hanno potuto fare ritorno nel proprio Paese, mentre 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione. La migrazione è un fenomeno prevalentemente urbano: è più probabile che un rifugiato viva in paese o in città (61%), piuttosto che in aree rurali o in un campo rifugiati.

Accolti da Pesi poveri

Un terzo di tutti i rifugiati accolti dai Paesi poveri. Un dato eclatante è che i Paesi ad alto reddito accolgono mediamente 2,7 rifugiati ogni 1.000 abitanti; i Paesi a reddito medio e medio-basso ne accolgono in media 5,8 ogni 1.000 abitanti; i Paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale. Il Paese dove il rapporto tra rifugiati e popolazione è maggiore è in Libano: 156 rifugiati ogni 1.000 abitanti. Un rifugiato ogni 6 libanesi. A seguire Giordania e Turchia.

Italia

In Italia, dove vivono 130.000 rifugiati (non riempirebbero nemmeno il Circo Massimo), il rapporto è di 3 rifugiati ogni 1.000 abitanti. L’Italia è anche al 10° posto nel mondo per nuove domande di asilo: 48.900, un numero dimezzato rispetto ad un anno prima, quando era al terzo posto dopo Stati Uniti e Germania. Ora i primi destinatari di richieste d’asilo sono Stati Uniti, Perù (dal Venezuela) e Germania. Quasi 4 rifugiati su 5 hanno vissuto da rifugiati almeno per cinque anni. Un rifugiato su 5 è rimasto in tale condizione per almeno 20 anni.  “Sono cifre molto preoccupanti – ha detto Luigi Maria Vignali, del Ministero degli affari esteri -. Confermano una difficoltà maggiore ad accoglierli e a proteggerli”. Vignali ha ricordato che l’Italia ha realizzato 700 evacuazioni umanitarie dalla Libia in un anno e mezzo e reinsediato 2.500 rifugiati negli ultimi anni. “I corridoi umanitari – ha detto – sono una eccellenza italiana, un partenariato tra società civile e istituzioni che ha successo. E’ ora il momento di pensare a corridoi umanitari europei”.

Caritas: "Il Governo faccia la sua parte"

“I corridoi umanitari non possono essere l’unico strumento legale per entrare in Italia in modo legale e sicuro – ha obiettato durante la conferenza stampa Caterina Boca, dell’ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas italiana -. Il governo italiano deve individuare politiche di governance per le persone che chiedono protezione e assistenza e avviare un processo che consenta di favorire gli ingressi in maniera legale. Le organizzazioni e gli enti del terzo settore non possono essere caricate, a proprie spese, di responsabilità che devono essere una prerogativa governativa. Il governo deve fare la sua parte, nel rispetto delle direttive internazionali e della Convenzione di Ginevra”. Boca ha ricordato che dal settembre 2015 ad oggi (quando Papa Francesco lanciò l’appello ad accogliere i profughi a parrocchie e comunità), sono state portate in Italia 500 persone con i corridoi umanitari, principalmente dall’Etiopia. Si tratta di eritrei, somali, sud sudanesi in fuga da persecuzioni e conflitti, che vivevano da anni in campi profughi in condizioni di grande vulnerabilità.

La Campagna #IoAccolgo

Durante l’incontro Caritas italiana ha distribuito a tutti i presenti le coperte termiche usate per proteggere i migranti tratti in salvo, oggetto simbolico della campagna #IoAccolgo, lanciata la scorsa settimana avanti da 46 organizzazioni della società civile “per raccontare i tanti presidi sanitari, sociali, di legalità che già esistono, nonostante il fenomeno sia raccontato in maniera ostile”. L’invito è a stendere sul proprio balcone una coperta termica. Domani e nei prossimi giorni, per la Giornata mondiale del rifugiato, sono previste in tutta Italia moltissime iniziative artistiche, culturali e gastronomiche, tra cui le giornate “Porte aperte” dei centri di accoglienza, per favorire l’incontro tra i rifugiati e le comunità. Info: www.unhcr.it/withrefugees]]>
rifugiati

È di nuovo record di persone in fuga nel mondo: sono state 70,8 milioni nel 2018, con un aumento di 2,3 milioni di persone rispetto all’anno precedente, il dato più alto degli ultimi 70 anni, pressoché raddoppiato rispetto a vent’anni fa.

Da dove vengono

Di questi 25,9 milioni hanno lo status di rifugiati (500.000 in più del 2017), 41,3 milioni sono sfollati interni ai Paesi (soprattutto in Colombia e Siria), 3,5 milioni sono richiedenti asilo. L’80% delle persone in fuga vive in Paesi confinanti con i propri Paesi di origine, quindi prevalentemente nei Paesi a medio o basso reddito. E non nel primo mondo come si pensa. Per il quinto anno consecutivo è infatti la Turchia, con 3,7 milioni di persone ad accogliere il numero più elevato di rifugiati nel mondo, seguita dal Pakistan (1,4 milioni), dall’Uganda (1,2 milioni), dal Sudan (1,1 milione) e dalla Germania con 1 milione. Complessivamente il 60% di tutti i rifugiati provengono da soli 5 Paesi: Siria (6,7 milioni), Afghanistan (2,7 milioni), Sud Sudan (2,3 milioni), Myanmar (1, 1 milione), Somalia (0,9 milioni). I nuovi sfollati nel 2018 sono stati 13,6 milioni, tra i quali oltre 10 milioni di sfollati all’interno del proprio Paese e 2,8 milioni nuovi rifugiati e richiedenti asilo. Il numero più elevato di domande d’asilo è stato presentato dai venezuelani: 341.800 a fronte di circa 4 milioni di persone che hanno lasciato il loro Paese a causa della grave crisi politica e umanitaria. Sono le principali cifre dei Global trends 2018, le tendenze globali delle migrazioni, presentate oggi a Roma dall’Alto commissariato per le Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), alla vigilia della Giornata mondiale del rifugiato che si celebra domani, 20 giugno, in tutto il mondo.
37.000 persone al giorno sono dunque costrette a fuggire dalle proprie case: il 16% dei rifugiati sono stati accolti in Paesi sviluppati ma un terzo della popolazione (6,7 milioni) si trovava nei Paesi meno sviluppati. Nel 2018 però anche 2,9 milioni di persone hanno fatto ritorno alla loro casa, anche se i reinsediamenti nei paesi terzi sono stati solamente 92.400. Tra i nuovi richiedenti asilo il numero più elevato è rappresentato dai venezuelani: 341.800. I paesi ad alto reddito accolgono solo 2,7 rifugiati ogni 1000 abitanti. I Paesi a reddito medio e medio basso accolgono 5,8 rifugiati ogni 1000 abitanti. I paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale. Tra i rifugiati 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione.

La metà sono bambini

La metà dei rifugiati sono minori, una percentuale in aumento rispetto al 41% del 2009. Di questi 138.600 sono minori soli, separati dalle famiglie e non accompagnati, che hanno presentato domanda di asilo individualmente.
Tra i 25,9 milioni di rifugiati su scala mondiale, almeno 5,5 milioni sono palestinesi che ricadono sotto il mandato dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (United Nations relief and works agency/Unrwa). “La crescita complessiva del numero di persone costrette alla fuga è continuata a una rapidità maggiore di quella con cui si trovano soluzioni in loro favore – ha spiegato Carlotta Sami, portavoce di Unhcr Italia -. La soluzione migliore è rappresentata dalla possibilità di fare ritorno nel proprio Paese volontariamente, in condizioni sicure e dignitose. Altre soluzioni prevedono l’integrazione nella comunità di accoglienza o il reinsediamento in un Paese terzo”. Tuttavia, nel 2018 solo 92.400 rifugiati sono stati reinsediati, meno del 7% di quanti sono in attesa. Circa 593.800 rifugiati hanno potuto fare ritorno nel proprio Paese, mentre 62.600 hanno acquisito una nuova cittadinanza per naturalizzazione. La migrazione è un fenomeno prevalentemente urbano: è più probabile che un rifugiato viva in paese o in città (61%), piuttosto che in aree rurali o in un campo rifugiati.

Accolti da Pesi poveri

Un terzo di tutti i rifugiati accolti dai Paesi poveri. Un dato eclatante è che i Paesi ad alto reddito accolgono mediamente 2,7 rifugiati ogni 1.000 abitanti; i Paesi a reddito medio e medio-basso ne accolgono in media 5,8 ogni 1.000 abitanti; i Paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati su scala mondiale. Il Paese dove il rapporto tra rifugiati e popolazione è maggiore è in Libano: 156 rifugiati ogni 1.000 abitanti. Un rifugiato ogni 6 libanesi. A seguire Giordania e Turchia.

Italia

In Italia, dove vivono 130.000 rifugiati (non riempirebbero nemmeno il Circo Massimo), il rapporto è di 3 rifugiati ogni 1.000 abitanti. L’Italia è anche al 10° posto nel mondo per nuove domande di asilo: 48.900, un numero dimezzato rispetto ad un anno prima, quando era al terzo posto dopo Stati Uniti e Germania. Ora i primi destinatari di richieste d’asilo sono Stati Uniti, Perù (dal Venezuela) e Germania. Quasi 4 rifugiati su 5 hanno vissuto da rifugiati almeno per cinque anni. Un rifugiato su 5 è rimasto in tale condizione per almeno 20 anni.  “Sono cifre molto preoccupanti – ha detto Luigi Maria Vignali, del Ministero degli affari esteri -. Confermano una difficoltà maggiore ad accoglierli e a proteggerli”. Vignali ha ricordato che l’Italia ha realizzato 700 evacuazioni umanitarie dalla Libia in un anno e mezzo e reinsediato 2.500 rifugiati negli ultimi anni. “I corridoi umanitari – ha detto – sono una eccellenza italiana, un partenariato tra società civile e istituzioni che ha successo. E’ ora il momento di pensare a corridoi umanitari europei”.

Caritas: "Il Governo faccia la sua parte"

“I corridoi umanitari non possono essere l’unico strumento legale per entrare in Italia in modo legale e sicuro – ha obiettato durante la conferenza stampa Caterina Boca, dell’ufficio politiche migratorie e protezione internazionale di Caritas italiana -. Il governo italiano deve individuare politiche di governance per le persone che chiedono protezione e assistenza e avviare un processo che consenta di favorire gli ingressi in maniera legale. Le organizzazioni e gli enti del terzo settore non possono essere caricate, a proprie spese, di responsabilità che devono essere una prerogativa governativa. Il governo deve fare la sua parte, nel rispetto delle direttive internazionali e della Convenzione di Ginevra”. Boca ha ricordato che dal settembre 2015 ad oggi (quando Papa Francesco lanciò l’appello ad accogliere i profughi a parrocchie e comunità), sono state portate in Italia 500 persone con i corridoi umanitari, principalmente dall’Etiopia. Si tratta di eritrei, somali, sud sudanesi in fuga da persecuzioni e conflitti, che vivevano da anni in campi profughi in condizioni di grande vulnerabilità.

La Campagna #IoAccolgo

Durante l’incontro Caritas italiana ha distribuito a tutti i presenti le coperte termiche usate per proteggere i migranti tratti in salvo, oggetto simbolico della campagna #IoAccolgo, lanciata la scorsa settimana avanti da 46 organizzazioni della società civile “per raccontare i tanti presidi sanitari, sociali, di legalità che già esistono, nonostante il fenomeno sia raccontato in maniera ostile”. L’invito è a stendere sul proprio balcone una coperta termica. Domani e nei prossimi giorni, per la Giornata mondiale del rifugiato, sono previste in tutta Italia moltissime iniziative artistiche, culturali e gastronomiche, tra cui le giornate “Porte aperte” dei centri di accoglienza, per favorire l’incontro tra i rifugiati e le comunità. Info: www.unhcr.it/withrefugees]]>
I dati dell’immigrazione in Umbria: la maggior parte degli stranieri provengono dall’Europa https://www.lavoce.it/dati-dellimmigrazione-umbria-la-maggior-parte-degli-stranieri-provengono-dalleuropa/ Fri, 13 Apr 2018 16:12:39 +0000 https://www.lavoce.it/?p=51624

La narrazione sulle migrazioni e i richiedenti asilo nel nostro Paese viene spesso condotta con una marcata connotazione negativa. "Immigrazione: per una comunicazione positiva" è il titolo dell'incontro tenutosi nel pomeriggio del 13 aprile alla sala San Francesco, nell'ambito del festival internazionale del giornalismo 2018. Nel corso della tavola rotonda è emerso, dati alla mano, un grande sfasamento fra percezione e realtà dei fatti sul tema dell'immigrazione. Sono intervenuti sul tema la prof.ssa Paola Springhetti (Università pontificia salesiana), il dott. Paolo Brivio (Italia Caritas e sindaco di Osnago), il prof. Mario Morcellini (Agcom) e il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti. Per ulteriori approfondimenti vedi il prossimo numero de La Voce disponibile gratuitamente in edizione digitale dal 18 aprile.
L’immigrazione è un fenomeno complesso poiché ha molti volti e si compone di svariati aspetti, pertanto troverà ampio spazio anche all’interno del prossimo festival del giornalismo. Anche le Nazioni Unite sono intervenute sul tema e nello scorso mese di febbraio hanno avviato una serie di negoziazioni intergovernative con l’obiettivo di fondare una cooperazione fra stati e soggetti non governativi che si tradurrà nella definizione, entro il prossimo luglio, di due accordi: il Global compact for safe, orderly and regular migration (per migrazioni sicure, ordinate e regolarizzate) e il Global compact for refugees (per i rifugiati). Anche la Chiesa, attraverso la sezione Migranti e rifugiati del Vaticano, ha già preso parte attivamente al processo di formazione dei due Compact elaborando “venti punti di azione” come risposta ai bisogni di migranti e rifugiati (leggi qui il testo integrale). Qual è invece la situazione umbra? È notizia di pochi giorni fa quella riportata dalle prefetture di Perugia e Terni secondo cui l’Umbria sarebbe seconda dopo la Puglia per tempo di permanenza dei migranti nelle strutture temporanee d’accoglienza (media di 251 giorni). Un dato questo non dovuto al benessere che si respira in Umbria, bensì ai lunghi tempi delle commissioni territoriali chiamate a decidere sullo status di rifugiati. Un altro dato, stavolta di provenienza Istat, rivela invece che il numero degli stranieri in Umbria sarebbe calato dal 2015 ad oggi: se tre anni fa il numero ammontava a 98.618, al 1° gennaio 2017 la cifra è di 95.935. Un calo che dipende in buona parte da un fattore positivo: le acquisizioni di cittadinanza. Nel 2017 sono stati, infatti, 3.888 i nuovi cittadini italiani che risiedono sul territorio e questo dato rileva che, nella regione, l’immigrazione è un fenomeno che sta assumendo una certa stabilità. C’è inoltre un altro aspetto che di recente, complice un clima di diffidenza, è facilmente trascurato: la provenienza dei migranti. In Umbria la maggior parte degli stranieri non viene dall’Africa, come si potrebbe facilmente pensare, ma dall’Europa. Secondo il Dossier immigrazione 2017, in Umbria al primo posto tra i paesi di provenienza troviamo la Romania, da cui provengono 26.216 residenti. Al secondo e terzo posto, invece, Albania (13.924 residenti) e Marocco (9.515 residenti). La restante parte della popolazione straniera viene da Ucraina, Macedonia, Ecuador, Moldavia, Cina, Polonia e Filippine. Questo significa anche che la maggioranza di stranieri che vivono in Umbria sono di religione cristiana.  ]]>

La narrazione sulle migrazioni e i richiedenti asilo nel nostro Paese viene spesso condotta con una marcata connotazione negativa. "Immigrazione: per una comunicazione positiva" è il titolo dell'incontro tenutosi nel pomeriggio del 13 aprile alla sala San Francesco, nell'ambito del festival internazionale del giornalismo 2018. Nel corso della tavola rotonda è emerso, dati alla mano, un grande sfasamento fra percezione e realtà dei fatti sul tema dell'immigrazione. Sono intervenuti sul tema la prof.ssa Paola Springhetti (Università pontificia salesiana), il dott. Paolo Brivio (Italia Caritas e sindaco di Osnago), il prof. Mario Morcellini (Agcom) e il vescovo ausiliare di Perugia mons. Paolo Giulietti. Per ulteriori approfondimenti vedi il prossimo numero de La Voce disponibile gratuitamente in edizione digitale dal 18 aprile.
L’immigrazione è un fenomeno complesso poiché ha molti volti e si compone di svariati aspetti, pertanto troverà ampio spazio anche all’interno del prossimo festival del giornalismo. Anche le Nazioni Unite sono intervenute sul tema e nello scorso mese di febbraio hanno avviato una serie di negoziazioni intergovernative con l’obiettivo di fondare una cooperazione fra stati e soggetti non governativi che si tradurrà nella definizione, entro il prossimo luglio, di due accordi: il Global compact for safe, orderly and regular migration (per migrazioni sicure, ordinate e regolarizzate) e il Global compact for refugees (per i rifugiati). Anche la Chiesa, attraverso la sezione Migranti e rifugiati del Vaticano, ha già preso parte attivamente al processo di formazione dei due Compact elaborando “venti punti di azione” come risposta ai bisogni di migranti e rifugiati (leggi qui il testo integrale). Qual è invece la situazione umbra? È notizia di pochi giorni fa quella riportata dalle prefetture di Perugia e Terni secondo cui l’Umbria sarebbe seconda dopo la Puglia per tempo di permanenza dei migranti nelle strutture temporanee d’accoglienza (media di 251 giorni). Un dato questo non dovuto al benessere che si respira in Umbria, bensì ai lunghi tempi delle commissioni territoriali chiamate a decidere sullo status di rifugiati. Un altro dato, stavolta di provenienza Istat, rivela invece che il numero degli stranieri in Umbria sarebbe calato dal 2015 ad oggi: se tre anni fa il numero ammontava a 98.618, al 1° gennaio 2017 la cifra è di 95.935. Un calo che dipende in buona parte da un fattore positivo: le acquisizioni di cittadinanza. Nel 2017 sono stati, infatti, 3.888 i nuovi cittadini italiani che risiedono sul territorio e questo dato rileva che, nella regione, l’immigrazione è un fenomeno che sta assumendo una certa stabilità. C’è inoltre un altro aspetto che di recente, complice un clima di diffidenza, è facilmente trascurato: la provenienza dei migranti. In Umbria la maggior parte degli stranieri non viene dall’Africa, come si potrebbe facilmente pensare, ma dall’Europa. Secondo il Dossier immigrazione 2017, in Umbria al primo posto tra i paesi di provenienza troviamo la Romania, da cui provengono 26.216 residenti. Al secondo e terzo posto, invece, Albania (13.924 residenti) e Marocco (9.515 residenti). La restante parte della popolazione straniera viene da Ucraina, Macedonia, Ecuador, Moldavia, Cina, Polonia e Filippine. Questo significa anche che la maggioranza di stranieri che vivono in Umbria sono di religione cristiana.  ]]>
Tutto ciò che ci portano gli stranieri https://www.lavoce.it/tutto-cio-che-ci-portano-gli-stranieri/ Thu, 27 Jul 2017 10:40:13 +0000 https://www.lavoce.it/?p=49551 Immigrati-lavoro-CMYKSono tanti i falsi miti e i luoghi comuni da sfatare intorno al mondo dell’immigrazione, mentre i politici si azzuffano e l’opinione pubblica è sempre più disorientata e divisa. Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori all’Università di Milano, precisa che in Italia “non è in corso alcuna invasione” e gli immigrati non sono un fardello ma anzi sono vantaggiosi per la nostra società. Lo abbiamo incontrato a Roma a margine della summer school “Acting EurHope” promossa da Ac, Caritas italiana, Focsiv, Istituto Toniolo e Missio.

 

Il tema dello ius soli rischia di diventare motivo di crisi politica, tant’è che il dibattito sulla legge sulla cittadinanza è stato rimandato. Cosa ne pensa?

“Si fa una confusione, forse voluta, tra questioni molto diverse: una cosa sono gli sbarchi, un’altra è l’immigrazione, un’altra è il tema della cittadinanza per i figli di genitori immigrati cresciuti in Italia. La confusione porta opposizione, paura, ansia. Se si mettono insieme tutti questi temi, si forma un fantasma di assedio, di invasione, che nuoce alla serietà del dibattito. Dobbiamo ricordare che gli sbarchi sono poca cosa rispetto al fenomeno dell’immigrazione, e che i richiedenti asilo sono 180.000 a fronte di 5 milioni e mezzo di immigrati residenti. L’immigrazione nel complesso è stazionaria in Italia, non c’è nessuna invasione in corso”.

Che fare?

“Oggi abbiamo l’esigenza di stabilizzare, favorire l’integrazione e dare un futuro alle famiglie immigrate e ai loro figli, un milione e 100 mila tra bambini e ragazzi che frequentano le scuole italiane, si affacciano all’università, al mondo del lavoro. Che senso ha tenerli fuori dal sistema della cittadinanza, dando loro l’impressione di essere cittadini di serie B in una società che non li vuole o li mantiene in una condizione di limbo permanente? Se vogliamo affrontare il tema razionalmente, occorre preparare un futuro più armonico e pacifico per tutti. Certo è un passo importante. Significa prendere atto che gli italiani non saranno più così come siamo abituati a pensarli. Avremo sempre più italiani con la pelle scura, con gli occhi a mandorla, con il velo, di varie religioni. Questo esiste già nei fatti, si tratta di dargli compiutezza e capire che la nostra società sarà sempre più diversificata”.

Perché tutte queste resistenze da parte dell’opinione pubblica e dei politici?

“La resistenza a prendere atto di questa situazione riflette, da una parte, le ansie di un Paese in difficoltà di fronte alla globalizzazione. Gli italiani, invece di reagire e prendersela con i lupi di Wall Street o con le forze finanziarie globali, se la prendono con l’africano sbarcato e con i figli degli immigrati. Mi sembra che, siccome avanza la povertà, dobbiamo difenderci da possibili concorrenti o, comunque sia, da persone che destabilizzano l’immagine dell’ordine sociale che abbiamo. Dall’altra parte, è un tipico calcolo politico-elettorale. Nei sondaggi la maggior parte degli italiani si dice oggi contraria allo ius soli perché probabilmente accomuna questo tema agli sbarchi, come si tenta di fare. È diventato un modo, per i partiti, di ridefinirsi. Un tema abbastanza marginale, di modesto impatto politico, sociale, economico e culturale, diventa invece decisivo per quanto riguarda il posizionamento delle forze politiche e le loro strategie elettorali”.

Il presidente dell’Inps ha ricordato che il sistema pensionistico ha bisogno di immigrati regolari, i quali “regalano” agli italiani un punto di Pil in contributi.

“Nel silenzio un po’ assordante della politica su questi temi, è bene che qualcuno faccia i conti, metta in evidenza questioni note agli esperti. Il tema è squisitamente demografico. Gli immigrati sono perlopiù giovani adulti e non gravano ancora sul sistema pensionistico. Se si guarda il rapporto tra ciò che versano in termini di contributi e ciò che incassano o fruiscono in termini di servizi, il saldo è largamente positivo per il nostro Paese. Anche qui si tratta di sfatare un altro fantasma: che gli immigrati siano un fardello per l’Italia, predatori di risorse scarse. Non è così, neanche tenendo conto dei costi dell’accoglienza dei rifugiati”.

Questo vale anche a livello locale?

“A livello locale ci sono dei costi indotti: perché significa aver bisogno di più scuole, di più case popolari, di più servizi sanitari e sociali. Su questo punto varrebbe la pena aprire un dibattito più serio su come andare incontro alle necessità delle località in cui c’è un maggiore insediamento di immigrati residenti. Altra cosa da mettere in rilievo è l’importanza delle tasse e dei contributi versati dagli immigrati nel bilancio dello Stato, con un’operazione di contabilizzazione a parte che evidenzi questo saldo positivo. Questa semplice operazione contabile da parte della Ragioneria dello Stato potrebbe contribuire a sfatare qualche luogo comune”.

Però per l’accoglienza, nonostante i fondi europei, le spese sono più alte. Come vengono compensate?

“Certo quello che spendiamo è più di quello che riceviamo, anche se ogni tanto l’Europa aumenta i contributi. Tra le operazioni di salvataggio in mare, operazioni di pubblica sicurezza e accoglienza a terra, stiamo parlando di una spesa intorno ai 4 miliardi di euro, mentre i contributi europei incidono intorno a 1 miliardo o 2 rispetto al totale. Su questa voce c’è un costo compensato da voci positive a vantaggio delle casse dello Stato su altre partite”.

Alcuni esempi?

“Non dimentichiamo che gli italiani lavorano nei centri di accoglienza. E poi si pensa poco al contributo degli immigrati ai consumi: sono 5 milioni e mezzo di persone che comprano auto di seconda mano, abitazioni di modesto pregio, supermercati e discount, telefonia, rimesse o beni di largo consumo come i pannolini e gli alimenti per l’infanzia. Il contributo che danno le nascite degli immigrati si traduce in consumi e gettito Iva per le casse dello Stato. Non se ne parla mai. Sembra solo che gli immigrati prendano”.

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Le dieci cose da sapere sui corridoi umanitari che verranno gestiti dalla Cei https://www.lavoce.it/le-dieci-cose-da-sapere-sui-corridoi-umanitari/ Wed, 18 Jan 2017 14:57:02 +0000 https://www.lavoce.it/?p=48279 Migranti_corridoi-umanitari-CMYKjpgLa Chiesa italiana realizzerà “corridoi umanitari” per 500 profughi provenienti dai Paesi del Corno d’Africa. Ma cosa sono? Come funzionano? Chi coinvolgeranno? Il protocollo d’intesa per la realizzazione del progetto è stato siglato a Roma il 12 gennaio tra la Conferenza episcopale italiana, il ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, il ministero dell’Interno e la Comunità di Sant’Egidio. Si ispira a una iniziativa analoga già sperimentata con successo dalla Comunità di Sant’Egidio insieme alla Tavola valdese e alla Federazione Chiese evangeliche italiane.

“Troppo spesso – ha affermato mons. Nunzio Galantino, segretario della Cei – ci troviamo a piangere le vittime dei naufragi in mare senza avere il coraggio di provare a cambiare le cose. Questo protocollo consentirà di raggiungere il nostro Paese in maniera sicura”. “Non è più sopportabile – aggiunge Oliviero Forti, responsabile dell’area nazionale di Caritas italiana – assistere alla morte in mare di 20 persone in media al giorno. Questo è un segnale forte che vogliamo dare ai Governi, perché decidano di affrontare un tema complesso come l’immigrazione, con cui dovremo continuare a confrontarci nei prossimi decenni, con politiche e proposte sostenibili, per non lasciare tutto in mano alla casualità”.

L’iniziativa è stata già presentata anche alle Conferenze episcopali di Francia, Germania e Polonia: “Hanno intenzione di replicare l’esperienza – dice Forti -. Ma stanno riflettendo se i corridoi umanitari debbano essere sostenuti finanziariamente dallo Stato o dal terzo settore”.

 

Ecco 10 cose utili da sapere:

1) Le finalità: il progetto ha lo scopo di “favorire l’arrivo in Italia in modo legale e in condizioni di sicurezza dei potenziali beneficiari di protezione internazionale, in specie i soggetti più vulnerabili”. La Chiesa italiana, tramite i suoi organismi Caritas e Migrantes, insieme alla Comunità di Sant’Egidio, è in prima linea nell’attivazione di vie legali e sicure per far entrare in Italia donne, uomini e bambini che vivono da anni nei campi profughi dell’Etiopia ed evitare così le morti in mare e i percorsi nell’irregolarità. Si tratterà principalmente di profughi eritrei, sudanesi, sud-sudanesi e somali.

2) Il quadro normativo: le comunicazioni della Commissione Ue nel 2016 hanno riaffermato la necessità di “canali legali per consentire alle persone bisognose di protezione internazionale di arrivare in Europa in modo ordinato, gestito, sicuro e dignitoso”, per “salvare vite umane, riducendo la migrazione irregolare e neutralizzando le forme di traffico di esseri umani”. Per questi scopi è previsto anche “il patrocinio privato” da parte di gruppi o organizzazioni private.

3) I numeri: entreranno in Italia, con regolare visto d’ingresso, 500 profughi attualmente presenti nei campi in Etiopia, che al momento accoglie il più alto numero di rifugiati in Africa in fuga da conflitti o fame: almeno 670.000. Nella realizzazione del progetto Caritas italiana impiegherà un team di una decina di persone. Per l’accoglienza nelle diocesi saranno coinvolte migliaia di persone.

4) I tempi di realizzazione: il progetto prevede una prima fase di 6 mesi e una successiva, per un periodo complessivo di 12 mesi “a partire dal primo ingresso, salvo eventuale e motivata proroga”. Le prime missioni in Etiopia inizieranno nelle prossime settimane, per prendere contatti con le autorità locali, l’ambasciata italiana e gli organismi internazionali (Unhcr e Oim). In primavera/estate saranno effettuate le prime selezioni.

5) I criteri di selezione: sarà redatta una lista (verificata dalle banche dati del ministero dell’Interno) con i nomi delle persone in “comprovata condizione di vulnerabilità, determinata dalla loro situazione personale, dall’età e dalle condizioni di salute”. Saranno privilegiate le persone che hanno già reti familiari o sociali in Italia o che possono beneficiare di dichiarata disponibilità di soggetti singoli, Chiese e associazioni a provvedere alla loro ospitalità.

6) I costi: chi pagherà? Tutte le spese, compresi voli aerei e accoglienza in Italia, saranno sostenute della Conferenza episcopale italiana tramite i fondi 8 per mille. Nessun onere sarà a carico dello Stato. “Le spese complessive per ogni singolo profugo – precisa Forti – saranno nettamente inferiori a quanto spende oggi lo Stato per l’accoglienza nei centri”.

7) Dove saranno accolti? Su tutto il territorio nazionale. Caritas italiana metterà a disposizione l’esperienza già collaudata con successo del progetto “Protetto. Rifugiato a casa mia”, che ha ospitato finora 500 profughi in 65 diocesi, presso famiglie, parrocchie, istituti religiosi. Il progetto prevede un sostegno economico e tutor per l’accompagnamento e l’integrazione delle persone. Una volta raggiunta l’indipendenza, quei posti rimarranno vuoti. Lì subentreranno i profughi in arrivo con i corridoi umanitari.

8) Cosa faranno una volta in Italia? I profughi arriveranno in Italia con regolare visto d’ingresso rilasciato dalle rispettive rappresentanze diplomatiche-consolari. Poi entreranno nell’iter di richiesta di protezione internazionale e saranno ascoltati dalle Commissioni territoriali di competenza. Le associazioni proponenti assicurano il sostegno, l’assistenza legale, l’ospitalità e l’accoglienza, con percorsi di integrazione sociale e culturale, corsi di lingua e di formazione al lavoro. L’obiettivo principale è “favorire la stabilizzazione in Italia” ed “escludere movimenti secondari volontari”, ossia il transito verso altri Paesi del nord Europa.

9) Il monitoraggio. Sarà costituito un “nucleo di coordinamento, monitoraggio e valutazione del progetto” che esaminerà i risultati raggiunti, le criticità e l’efficacia delle modalità operative. Un primo report sarà pubblicato dopo il primo semestre, e un altro di valutazione conclusiva.

10) Si può dare disponibilità all’accoglienza? Caritas italiana, che sta già raccogliendo ulteriori disponibilità da diverse diocesi, invita a fare riferimento alle rispettive Caritas diocesane.

 

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Rifugiati: i dati veri https://www.lavoce.it/46723/ Thu, 14 Jul 2016 09:00:53 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46723 Presentato-sito-Rifugiati-in-Umbria_Anci_CMYKQuanti sono i rifugiati accolti in Umbria? Dove e come sono collocati? Da oggi sarà possibile rispondere a queste domande in maniera veloce, attendibile e facilmente fruibile da tutti grazie al nuovo portale web “Rifugiati in Umbria” (www. rifugiati-anciumbria.it) firmato dall’Anci (Associazione Comuni) e presentato martedì mattina presso la sede di Perugia.
Uno spazio virtuale, diviso in numerose sezioni tematiche con dati aggiornati al 31 dicembre 2015, dove confluiscono informazioni, dati statistici e approfondimenti a tutto tondo sul tema dell’accoglienza in Umbria: flussi migratori, progetti di assistenza, esperienze, servizi offerti, enti coinvolti e molto altro. Il tutto con un aggiornamento costante ogni sei mesi per evidenziare punti di forza e criticità del “modello umbro”.
“La nostra regione – ha evidenziato il coordinatore della Consulta immigrazione Anci Umbria e sindaco di Panicale, Giulio Cherubini – può vantare un sistema di accoglienza considerato un ‘modello’, in quanto caratterizzato da servizi diffusi su tutto il territorio. Grazie a questo portale, tutti potranno appurarlo e accedere a un’informazione di qualità che contrasti anche la diffusione di notizie spesso frammentarie, confuse e distorte”.
In numeri, per i richiedenti asilo il “modello umbro” conta 11 progetti attivi, di cui 6 per categorie ordinarie, 3 per minori non accompagnati, 2 per persone con disagio mentale o disabilità, per un totale di 370 posti di accoglienza e 7 enti locali umbri titolari (Perugia, Terni, Narni, Marsciano, Foligno, Spoleto, Panicale). A cui a breve si andranno ad aggiungere altri 4 progetti in altrettanti Comuni del territorio.
L’Umbria è stata tra le prime regioni d’Italia ad entrare nella rete nazionale, aderendo nel 2001 al Programma nazionale asilo (Pna) con il Comune di Perugia e Todi; da allora il numero degli assistiti è costantemente cresciuto.
Vanno poi aggiunti i migranti che appartengono ai cosiddetti “flussi straordinari”, arrivati negli ultimi due anni nella nostra regione a seguito del forte intensificarsi del fenomeno migratorio. Parliamo – stando ai dati forniti dalle prefetture di Perugia e Terni al 7 luglio – di 1.610 presenze in provincia di Perugia accolte in 29 Comuni, e 407 nella provincia di Terni accolte in 12 Comuni. “Ma parlare di ‘flussi straordinari’ è diventato ormai un errore – ha spiegato il vice prefetto vicario di Perugia, Tiziana Tombesi -. Dobbiamo abbandonare l’idea di interventi di tipo emergenziale: le migrazioni sono un processo strutturale stabile, e come tali vanno affrontate. L’Umbria è chiamata a farsi carico dell’1,85% del totale nazionale di migranti accolti. Una percentuale che, se ripartita fra tutti i 59 Comuni del territorio, o comunque fra la maggior parte, permetterebbe di evitare senza problemi situazioni di eccessivo stress a cui, invece, sono sottoposti determinati territori”.
“L’altro grande nodo da affrontare – ha concluso Edi Cicchi, presidente della commissione Welfare e politiche sociali di Anci nazionale, coordinatrice della consulta Welfare e politiche sociali di Anci Umbria e assessore del Comune di Perugia – è quello di gestire l’uscita di queste persone dai progetti Sprar e di accoglienza, garantendo loro assistenza, servizi e l’inserimento lavorativo”.

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Le migrazioni non sono iniziate oggi https://www.lavoce.it/le-migrazioni-non-sono-iniziate-oggi/ Thu, 16 Jun 2016 09:30:40 +0000 https://www.lavoce.it/?p=46487

Quale giudizio darà la Storia sulle stragi nel Mediterraneo, sulle sofferenze dei profughi, sulla difficoltà europea di gestire il fenomeno, sulla complessità delle dinamiche di integrazione? Abbiamo girato la domanda a Matteo Sanfilippo, docente di Storia moderna all’Università della Tuscia ed esperto di flussi migratori; ha collaborato, tra l’altro, ai volumi della Fondazione Migrantes. Che attenzione dà la Storia ai fenomeni migratori, al tema dei rifugiati? “Nel 1947 c’erano in Italia un milione di rifugiati italiani e stranieri, tra cui moltissimi in fuga dai campi di concentramento (su una popolazione che allora era di circa 45 milioni, quindi il 2,5%), e non ne parla nessuno. È stato un fatto apocalittico di cui non si parla mai sui libri di storia. Poi ci sono stati gli istriani italofoni scappati dal ’47 al ’49; poi dal ’49 al ’52 le rappresaglie contro le popolazioni di origine tedesca nell’Europa dell’est, le persone scappano di nuovo in Italia. Negli anni ’70 i boat people in fuga dal Vietnam. Ogni decennio ha visto massicci arrivi di rifugiati. Ma i libri di storia non parlano di nessuno, nemmeno degli sbarchi degli anni ’90 di albanesi, jugoslavi, ecc. È qualcosa di fastidioso che va cancellato”. Perché si cancella la memoria? “Perché, da un lato, la memoria è corta e non vogliamo ricordarci le cose brutte. Dall’altro, perché la maggioranza della popolazione è contro l’immigrazione. Ricordiamo che di recente la Cei ha fatto un’inchiesta tra i frequentatori regolari della messa: solo il 52% era a favore dei rifugiati, una percentuale bassa considerando che è uno dei pochi gruppi interessati al tema. Nella società, l’attenzione è nulla. La memoria viene cancellata perché i profughi, per l’opinione pubblica, portano problemi. Sono stato a Ventimiglia. Il Vescovo ha concesso le chiese per ospitarli, ma i fedeli sono risentiti perché non possono andare a messa. È una situazione molto complessa: noi cattolici siamo teoricamente pro-rifugiati, però ci troviamo con una parte contraria”. Oltre 10 mila morti nel Mediterraneo negli ultimi tre anni: non contano come ‘vittime di guerra’? “Durante una guerra, le migliaia di morti non contano, contano i milioni. Di situazioni in cui muoiono migliaia di persone ce ne sono tantissime, e noi purtroppo siamo in un certo senso assuefatti. Ma questo accadeva già nei tempi degli antichi greci, cioè quando è iniziata la scrittura. Quando Primo Levi tornò a piedi dal campo di Auschwitz, cercò di pubblicare il suo libro Se questo è un uomo, raccontando le sue esperienze del campo di concentramento e poi di rifugiato in fuga: per cinque anni le case editrici non lo vollero. La risposta fu: a nessuno interessa. L’aspetto più brutto della condizione di rifugiato è far parte di una umanità scartata. Gli altri non ti vogliono”. Quindi la storia dei conflitti conta più di quella delle migrazioni? “Degli emigranti si parla solo nel momento in cui diventano risorsa economica. Dei migranti italiani si è parlato male fino agli anni ’80 del Novecento. Poi ci si è resi conto che tra loro c’erano famosi attori e registi, allora si è cominciato a parlare della ‘risorsa’ italiana all’estero. Il mondo accademico non è differente dalla società a livello di scelte culturali, politiche e religiose. Ma questo succede ovunque. I rifugiati devono essere aiutati, per questo vengono visti con sospetto. Al di là dei documenti della Chiesa, è da notare che non ci sono molti interventi pubblici a favore delle migrazioni”. Non ci sarà dunque un giudizio della Storia sull’incapacità dell’Europa di salvare vite umane? “Probabilmente si parlerà dell’Europa che si spacca perché non è capace di far fronte all’emergenza. Aumentano gli sbarchi e aumentano quelli che vorrebbero uscire dall’Europa. In Austria un partitino xenofobo è stato sconfitto per pochi voti. Forse sui libri di storia si parlerà di questo. Fenomeni analoghi di rifiuto del rifugiato sono in tutto il mondo. Si guarda chi arriva non come ospite ma come presenza indesiderata che sconvolge la situazione. Sono discorsi che, da un punto di vista antropologico, corrispondono purtroppo alla mentalità umana”. Non siamo più capaci di empatia e compassione? “Di fronte a tante tragedie nel mondo è scattato un meccanismo di autoprotezione psichica perché si ritengono cose lontane. L’interesse del singolo essere umano è molto limitato e concentrato sul presente, non tiene conto della storia e del futuro. Noi non vediamo mai nessun fatto in maniera oggettiva, ma sempre attraverso filtri culturali, economici, sociali. Più andrà male l’economia, più gli italiani diranno che già stanno male, quindi non possono accogliere perché devono essere aiutati. Quando l’economia andava meglio c’erano stati più aiuti e donazioni nei confronti dei profughi dell’ex Jugoslavia o dei Paesi africani”. Come fare per trasmettere un po’ di fatti oggettivi - e umanità - alle persone? “Non è semplice spiegare i fatti come sono, perché coloro che non hanno l’emergenza sotto gli occhi non la considerano. Al contrario, gli abitanti di Ventimiglia, che hanno 300 accampati sulla spiaggia, non pensano che sono numeri piccoli. Anche perché è un’epoca di feroci localismi. Tutto il resto non esiste. Coloro che parlano e insegnano possono solo provare a far capire cosa sta succedendo. Cerco di ricordare ai miei studenti che questi fatti succedono oggi ma sono accaduti anche ieri, l’altroieri. La migrazione è un fatto normale che nasce dalla preistoria, non è una questione di ricchezza o povertà. Siamo un ‘mammifero ambulante’, poi ovviamente le guerre, la povertà e le catastrofi naturali incentivano gli spostamenti. L’attività di testimonianza è l’unico modo di tenere viva la possibilità che qualcuno capisca. La speranza è che la coscienza si amplii e che in politica ci sia un numero sufficiente di persone sensibile a questi temi”. Ci sarà mai un giorno in cui il fenomeno potrà essere regolamentato in maniera legale? “Penso di no. Resteranno sempre Governi che proporranno manovre di breve durata, e migranti che continueranno a spostarsi”.]]>

Quale giudizio darà la Storia sulle stragi nel Mediterraneo, sulle sofferenze dei profughi, sulla difficoltà europea di gestire il fenomeno, sulla complessità delle dinamiche di integrazione? Abbiamo girato la domanda a Matteo Sanfilippo, docente di Storia moderna all’Università della Tuscia ed esperto di flussi migratori; ha collaborato, tra l’altro, ai volumi della Fondazione Migrantes. Che attenzione dà la Storia ai fenomeni migratori, al tema dei rifugiati? “Nel 1947 c’erano in Italia un milione di rifugiati italiani e stranieri, tra cui moltissimi in fuga dai campi di concentramento (su una popolazione che allora era di circa 45 milioni, quindi il 2,5%), e non ne parla nessuno. È stato un fatto apocalittico di cui non si parla mai sui libri di storia. Poi ci sono stati gli istriani italofoni scappati dal ’47 al ’49; poi dal ’49 al ’52 le rappresaglie contro le popolazioni di origine tedesca nell’Europa dell’est, le persone scappano di nuovo in Italia. Negli anni ’70 i boat people in fuga dal Vietnam. Ogni decennio ha visto massicci arrivi di rifugiati. Ma i libri di storia non parlano di nessuno, nemmeno degli sbarchi degli anni ’90 di albanesi, jugoslavi, ecc. È qualcosa di fastidioso che va cancellato”. Perché si cancella la memoria? “Perché, da un lato, la memoria è corta e non vogliamo ricordarci le cose brutte. Dall’altro, perché la maggioranza della popolazione è contro l’immigrazione. Ricordiamo che di recente la Cei ha fatto un’inchiesta tra i frequentatori regolari della messa: solo il 52% era a favore dei rifugiati, una percentuale bassa considerando che è uno dei pochi gruppi interessati al tema. Nella società, l’attenzione è nulla. La memoria viene cancellata perché i profughi, per l’opinione pubblica, portano problemi. Sono stato a Ventimiglia. Il Vescovo ha concesso le chiese per ospitarli, ma i fedeli sono risentiti perché non possono andare a messa. È una situazione molto complessa: noi cattolici siamo teoricamente pro-rifugiati, però ci troviamo con una parte contraria”. Oltre 10 mila morti nel Mediterraneo negli ultimi tre anni: non contano come ‘vittime di guerra’? “Durante una guerra, le migliaia di morti non contano, contano i milioni. Di situazioni in cui muoiono migliaia di persone ce ne sono tantissime, e noi purtroppo siamo in un certo senso assuefatti. Ma questo accadeva già nei tempi degli antichi greci, cioè quando è iniziata la scrittura. Quando Primo Levi tornò a piedi dal campo di Auschwitz, cercò di pubblicare il suo libro Se questo è un uomo, raccontando le sue esperienze del campo di concentramento e poi di rifugiato in fuga: per cinque anni le case editrici non lo vollero. La risposta fu: a nessuno interessa. L’aspetto più brutto della condizione di rifugiato è far parte di una umanità scartata. Gli altri non ti vogliono”. Quindi la storia dei conflitti conta più di quella delle migrazioni? “Degli emigranti si parla solo nel momento in cui diventano risorsa economica. Dei migranti italiani si è parlato male fino agli anni ’80 del Novecento. Poi ci si è resi conto che tra loro c’erano famosi attori e registi, allora si è cominciato a parlare della ‘risorsa’ italiana all’estero. Il mondo accademico non è differente dalla società a livello di scelte culturali, politiche e religiose. Ma questo succede ovunque. I rifugiati devono essere aiutati, per questo vengono visti con sospetto. Al di là dei documenti della Chiesa, è da notare che non ci sono molti interventi pubblici a favore delle migrazioni”. Non ci sarà dunque un giudizio della Storia sull’incapacità dell’Europa di salvare vite umane? “Probabilmente si parlerà dell’Europa che si spacca perché non è capace di far fronte all’emergenza. Aumentano gli sbarchi e aumentano quelli che vorrebbero uscire dall’Europa. In Austria un partitino xenofobo è stato sconfitto per pochi voti. Forse sui libri di storia si parlerà di questo. Fenomeni analoghi di rifiuto del rifugiato sono in tutto il mondo. Si guarda chi arriva non come ospite ma come presenza indesiderata che sconvolge la situazione. Sono discorsi che, da un punto di vista antropologico, corrispondono purtroppo alla mentalità umana”. Non siamo più capaci di empatia e compassione? “Di fronte a tante tragedie nel mondo è scattato un meccanismo di autoprotezione psichica perché si ritengono cose lontane. L’interesse del singolo essere umano è molto limitato e concentrato sul presente, non tiene conto della storia e del futuro. Noi non vediamo mai nessun fatto in maniera oggettiva, ma sempre attraverso filtri culturali, economici, sociali. Più andrà male l’economia, più gli italiani diranno che già stanno male, quindi non possono accogliere perché devono essere aiutati. Quando l’economia andava meglio c’erano stati più aiuti e donazioni nei confronti dei profughi dell’ex Jugoslavia o dei Paesi africani”. Come fare per trasmettere un po’ di fatti oggettivi - e umanità - alle persone? “Non è semplice spiegare i fatti come sono, perché coloro che non hanno l’emergenza sotto gli occhi non la considerano. Al contrario, gli abitanti di Ventimiglia, che hanno 300 accampati sulla spiaggia, non pensano che sono numeri piccoli. Anche perché è un’epoca di feroci localismi. Tutto il resto non esiste. Coloro che parlano e insegnano possono solo provare a far capire cosa sta succedendo. Cerco di ricordare ai miei studenti che questi fatti succedono oggi ma sono accaduti anche ieri, l’altroieri. La migrazione è un fatto normale che nasce dalla preistoria, non è una questione di ricchezza o povertà. Siamo un ‘mammifero ambulante’, poi ovviamente le guerre, la povertà e le catastrofi naturali incentivano gli spostamenti. L’attività di testimonianza è l’unico modo di tenere viva la possibilità che qualcuno capisca. La speranza è che la coscienza si amplii e che in politica ci sia un numero sufficiente di persone sensibile a questi temi”. Ci sarà mai un giorno in cui il fenomeno potrà essere regolamentato in maniera legale? “Penso di no. Resteranno sempre Governi che proporranno manovre di breve durata, e migranti che continueranno a spostarsi”.]]>